Archivio | settembre, 2015

Alphonse de Lamartine (1790-1869)

23 Set
Alphonse de Lamartine

Alphonse de Lamartine

 

Benedizione di Dio nella solitudine

 

Donde mi viene, o Dio, questa pace che m’inonda?

Donde viene questa fede che nel mio cuore abbonda?

A me che sono sempre così incerto e turbato,

E sui flutti del dubbio da ogni vento agitato,

Cercavo il bene, il vero, nei sogni dei sapienti,

E la pace nei cuori immersi nei tormenti.

Sulla mia fronte appena qualche giorno è trascorso,

E a me sembra che un secolo, che un mondo sia scorso;

E che separato da essi da un abisso immenso,

Un uomo nuovo in me sia nato, questo ora penso.

 

(preambolo)

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

Consiglio di leggere questa poesia-preghiera ascoltando contemporaneamente il bellissimo brano musicale “Benedizione di Dio nella solitudine” di Franz Liszt, incluso nelle sue “Armonie poetiche e religiose”.

 

 

(C)by Paolo Statuti

L’ultima intervista di Tadeusz Różewicz (9.10.1921-24.4.2014)

18 Set

 

Tadeusz Różewicz  fot. Krzysztof Wojciechowski  fonte: Forum

Tadeusz Różewicz fot. Krzysztof Wojciechowski fonte: Forum

Paolo Statuti con Tadeusz Różewicz (1990 circa)

Paolo Statuti con Tadeusz Różewicz (1990 circa)

 

Il 18 maggio 2014 il settimanale Newsweek Polonia ha pubblicato l’ultima intervista con Tadeusz Różewicz, a cura della scrittrice e giornalista Ewa Likowska. Eccola nella mia traduzione:

Ho conosciuto Tadeusz Różewicz – scrive Ewa Likowska – nel 2000 a Wrocław. Realizzai con lui un’intervista che fu pubblicata sul settimanale Przegląd (la Rassegna. Poi ci siamo incontrati altre volte, durante i suoi soggiorni nella Casa della Creatività a Konstancin. Eravamo anche in corrispondenza. Qualche anno dopo, volendo avere con lui un nuovo colloquio, mi chiese di inviargli le domande per posta, perché non amava il registratore e preferiva scrivere le risposte. Me le spedì nell’inverno del 2010, pregandomi di pubblicare l’intervista soltanto dopo la sua morte. Non mi spiegò perché.

NEWSWEEK POLONIA: Più di 20 anni fa lei scrisse la poesia “Sono venuti per vedere il poeta”, che oggi sembra un commento della più recente realtà polacca:

 

. . . . . . . . . . . . . . . .

vedo un agire qualunque

prima di un qualunque pensare

 

un Gustaw qualunque

si trasforma

in un Konrad qualunque

 

un qualunque pubblicista

in un moralista qualunque

 

 

sento

che uno qualunque dice una cosa qualunque

a chiunque

 

una qualità qualunque invade la massa e l’élite

 

ma ciò è soltanto l’inizio

 

E che avverrà dopo? Lei quale fine prevede? Lo chiedo, perché lei impersona

l’antico ideale del poeta veggente, che grazie al sesto senso riesce a prevedere il futuro. Mezzo secolo fa lei profetizzò i fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti: il trionfo del consumismo, le catastrofi ecologiche, il tempo della super-pattumiera globale, lo scompiglio dei criteri e dei valori, la crisi della famiglia, della religione, il declino della storia, la fine delle utopie.

TADEUSZ RÓŻEWICZ: Che avverrà dopo? Risponderò con le parole del Vate: “ovunque oscurità, ovunque sordità, nulla è stato, nulla sarà”. Il futuro è inserito nel presente e nel passato – è questa la “genetica della storia” – il sesto senso è l’istinto, e il settimo – il pensare. Nel passato, ad esempio nel trattato di Versailles, e in seguito nei trattati di Yalta e di Potsdam, erano contenuti tutti i futuri conflitti – territoriali, etnici, di comando. Le sono grato per aver scoperto per prima in Polonia, che io ho anticipato ad esempio Fukuyama – sono più vecchio di lui, ho visto e vissuto di più…

N P: Lei ha ampliato il campo della poesia, inserendovi la politica, considerazioni psicologiche, culturali, e anche economiche. Nella poesia “La superpotenza stanca di piangere” lei conversa con Ryszard Kapuściński sulla globalizzazione.

T R : In realtà era la satira dell’indovino.

N P Oggi lei è più vicino al suo ideale di poesia, rispetto a 60 anni fa?

T R : Io non ho un “proprio ideale” di poesia.

N P : E’ preoccupato per il futuro della poesia? Sempre più persone scrivono

(alla meno peggio), e sempre meno leggono…

T R : La poesia non ha un futuro, il futuro non mi preoccupa… Il presente è interessante.

N P : I poeti contemporanei possono essere felici (“Erano felici i poeti di un tempo”… – lei ha scritto)? Come descriverebbe oggi la situazione del poeta e della poesia?

T R : Tanti poeti, quante “situazioni”. Un buon poeta è sempre in una cattiva situazione.

N P Le accade a volte di dubitare del senso del suo lavoro, della poesia? Da dove proviene la propensione al grottesco, allo scherno, a evitare il tono serio?

T R : No! Il dubbio mi prende, quando penso al “senso” della vita… (ma solo un paio di volte al mese…).

N P : Si sente apprezzato? Lei ha ricevuto premi e diplomi honoris causa soltanto negli anni ’90, eppure lei era artisticamente maturo già nella giovinezza. Per me lei è il più illustre poeta contemporaneo, un sottovalutato Mickiewicz dei nostri tempi.

T R : Sono soltanto il Różewicz “dei nostri tempi”. I premi non hanno niente in comune con la poesia, e così anche i titoli ecc. Cos’ha ad esempio la musica in comune con l’oro? O col denaro? Tanto quanto lo Spirito Santo col Banco di Santo Spirito…

N P : Legge se stesso frequentemente?

T R : La correzione delle bozze è seccante, ma gli “errori” (specialmente nelle citazioni) sono assai spiacevoli.

N P : La consapevolezza di aver cambiato in modo irreversibile il linguaggio della poesia, è per lei una ricompensa, una consolazione?

T R : Bertolt Brecht una volta disse: “Dopo di noi non verrà niente degno di attenzione”. Io dico lo stesso, ma forse ci sbagliamo entrambi…

N P : Quando ultimamente ha saputo qualcosa d’importante su di sé?

T R : In ospedale. In vari ospedali e cliniche.

N P : Negli ultimi anni lei si è lamentato spesso della vecchiaia… Come si è sentito dopo avere scoperto di essere più vecchio di Staff, il suo amato Vecchio Poeta? Quando si hanno tanti anni, la vita può essere ancora gustosa?

T R : Mi lamento della vecchiaia, quando mi dolgono le gambe… Non soltanto la vita ha un suo gusto nella vecchiaia, ma anche il silenzio o i colori… Anche le zuppe e la filosofia!

N P : Mark Twain una volta ha scritto: “Meglio essere un giovane coleottero, che un vecchio uccello del paradiso. Lei è d’accordo?

T R : Sì, meglio essere un coleottero o una coccinella, che un’aquila impagliata o un leone crepato.

N P : Ha paura di morire? O pensa alla morte con serenità?

T R : Non temo la morte, ma il morire.

N P : Cosa penserebbe il giovane Tadeusz Różewicz dell’odierno Tadeusz Różewicz? E’ rimasto fedele al primo?

T R : Sì.

N P : Si fa sentire a volte in lei il Satiro?

T R : A volte si fa sentire, ad esempio quando vedo gli ex-combattenti degli anni 1990-1999…

N P : Ha scoperto qual è la cosa più importante nella vita? Come vivere, per non sprecare la vita?

T R : Nella vita la cosa più importante è la vita, non bisogna scappare da essa.

N P : Quale posto occupa l’amicizia nella sua vita?

T R : Il posto più importante, accanto all’amore e alla fede.

N P : Lei crede nel grande amore? Quello che è capace di spostare le montagne, che sconfigge la morte? Come per Giulietta e Romeo, Tristano e Isotta, Eloisa e Abelardo, ma con una happy end?

T R : No. A Giulietta e Romeo preferisco Bauci e Filemone.

N P : Cosa significa per lei la felicità?

T R : Quando la gente intorno a me è “felice”.

N P : La peggiore esperienza che può capitare a un uomo? La peggiore disgrazia?

T R : La perdita della fede e dell’amore. Ma anche la perdita della Dignità umana (dell’onore?).

N P : Da molti anni i ricordi della guerra si affacciano nelle sue poesie. Continuano a tormentarla?

T R : Sì, come in gioventù…

N P : Cosa farebbe se, come a Faust, le apparisse Mefistofele? Cosa vorrebbe da lui in cambio? Un capolavoro? L’amore? La giovinezza?

T R : Non credo agli angeli, ai diavoli, ai Mefisti…

N P : Le interessano i giudizi dei lettori? Le recensioni dei critici? O conta solo la sua opinione?

T R : Ho sempre letto con interesse i giudizi dei lettori (e dei recensori, anche se a volte mi causavano il mal di pancia). Ma io stesso so se una poesia non vale niente, se è mediocre o buona.

N P : Sua moglie Wiesława ama la sua poesia? Segue ciò che lei scrive? E’ il suo primo recensore?

T R : Per me è importante sapere che mia moglie mi ama. Il primo recensore devo essere io (e anche l’ultimo). Spesso il primo non è d’accordo con l’altro.

N P : Attualmente cos’è che le procura il più grande piacere?

T R : La compagnia di mia moglie, la lettura dei libri, le conversazioni con alcune vecchie persone (ma anche giovani).

N P : Cosa la irrita di più nella vita di tutti i giorni?

T R : La gente maleducata che parla a voce troppo alta, in modo aggressivo.

N P : Come giudica la nostra élite politica e intellettuale?

T R : Non li vedo e non li sento in TV, ma a volte (assai di rado) penso a loro con compassione, a volte mi viene da piangere e a volte da ridere (la prego di leggere “La cartoteca sparpagliata”).

N P : In “Spargimento di sangue” lei scrive:

 

il sangue versato un tempo

per la libertà l’uguaglianza l’indipendenza

per Dio l’Onore e la Patria

è versato adesso a vanvera

da duecento unioni

che lottano tra loro

per i monumenti le lapidi

le lettere e il denaro

quando ascolto

i commilitoni

(… i quali) ringhiano e si sputano

addosso

quando ascolto quei litigi infernali

il sangue mi monta alla testa

 

Diversamente si immaginava la III Repubblica?

T R :

N P : Qual è il suo atteggiamento civico? Prende parte alle elezioni?

T R : Sì, anche se in genere quelli che scelgo io perdono.

N P : Come si sente nelle vesti di nostro principale teste del XX secolo? Forse l’unico che tutta la vita è rimasto qui, sul posto?

T R : Mi sento “fuori posto”.

(C) by Paolo Statuti

 

 

Piotr Muldner-Nieckowski

12 Set

 

Piotr Muldner-Nieckowski

Piotr Muldner-Nieckowski

 

Oggi presento il mio amico di vecchia data Piotr Mϋldner-Nieckowski, medico, prosatore, poeta, drammaturgo, linguista e traduttore. Ingegno straordinariamente poliedrico. Nato a Zielona Góra il 29 marzo 1946.

Più volte premiato per la sua produzione letteraria che comprende in particolare romanzi, racconti, poesie, satire e radiodrammi. E’ autore del Grande dizionario fraseologico della lingua polacca e di numerosi testi scientifici prevalentemente nel campo medico e linguistico.

Nella sua creazione emerge un suo personale verismo, la tendenza a rappresentare il mondo con i mezzi da esso dettati. Il suo è il mondo ordinario della gente comune. Poiché esso è disordinato, assurdo, grottesco e imprevedibile, lo scrittore si serve proprio dell’assurdo e del grottesco. Il suo linguaggio è denso, conciso, privo di parole e frasi irrilevanti, ma saturo di paradossi, sia nelle descrizioni che nei dialoghi, e al tempo stesso preciso psicologicamente, a volte in una trama volutamente ridotta o troncata. Nei suoi radiodrammi l’atteggiamento verso il mondo descritto sembra mutare in direzione di una diagnosi sintetica, e di una definizione di ciò che è indefinibile, usando metodi anche scientifici (ad esempio psicologici e sociologici). Ciò si avverte anche nella commovente raccolta di poesie Lamenti per una donna, scritti dopo la morte della diletta moglie Małgorzata, oltre che in alcuni radiodrammi nei quali il riflesso letterario degli assurdi della vita è sottoposto all’analisi dei propri pensieri, sentimenti ed emozioni.

Il suo racconto grottesco La ferita alla testa è stato da me tradotto e inserito nella mia antologia di racconti brevi polacchi Viaggio sulla cima della notte, Editori Riuniti, 1988.

Poesie di Piotr Mϋldner-Nieckowski tradotte da Paolo Statuti

 

Dalle raccolte: Il parco (2011) e Scale (2015)

 

Su consiglio degli amici

 

Si guardarono negli occhi, su consiglio degli amici,

e dovevano dirsi

che lui voleva vivere da solo,

che lei se ne andava con un altro,

ma li spaventò la sincerità

reciproca.

Li intimidì sentirsi dispensati

dai giuramenti e dagli obblighi,

prima ancora di farsi le ultime confessioni.

Eppure avrebbero dovuto sorprendersi,

ma lui senza parlare le cinse la vita,

lei pensò che, dal momento che erano così uniti,

non occorreva fare nient’altro,

né respingersi, né avvicinarsi.

L’albero

 

Tu vuoi vivere senza difficoltà

Io voglio le difficoltà per vivere

Tu vuoi che un bastone ti protegga

dalle difficoltà per vivere

meglio dell’albero

da cui è ricavata la tua sedia

Tutti gli alberi devono stare ritti

tu non devi

puoi sedere e chiedere

come vivere senza difficoltà

affinché il bastone non ti spacchi la testa

Abbozzo di un istante

 

Non c’è un istante tale

che non ritorni

Nessun istante resta senza traccia

Lo sapevo allora

e lo so adesso in piedi sulla baia

Da qui ho preso a destra

e tu ti sei infilata sotto la corteccia

di questo albero che cresce ancora oggi

Senti la sterna che ride?

Sì, questa risata ci segue

benché non ci siamo più da tanto

La quiete

 

che felicità –

nella casa,

in cui da tempo non c’era nessuno,

dove nessuno sparecchiava dopo i pranzi,

e risistemava i mobili presso la tavola

dopo notti burrascose (in buona compagnia),

e dove si scurivano i vetri delle finestre,

oggi impassibili ai raggi del sole,

alle battute spiritose degli ospiti,

dove c’era silenzio – non si sentiva

nemmeno il fruscio delle ragnatele gonfie di polvere –

di nuovo cominciano a riunirsi quelli

che creano confusione,

scrollano la cenere nei bicchieri,

ridono, turbano la sgradevole quiete.

Li accolgo molto cordialmente.

 

Aspetti tutto il giorno

 

Anche tu a volte tutto il giorno

cammini tra una stanza e la cucina,

aspetti che io arrivi, benché io sia

vicino, tanto che basta salire in macchina

e trovarsi subito con me,

oppure usare il telefono.

Ma questo riserbo

in presenza di estranei!

Non puoi venire da me, perché ci sono loro.

Non puoi usare il telefono,

perché loro sentono.

Non capiranno il silenzio.

Trattenere le parole che

fanno impazzire,

un fiume di termini con la prenotazione pagata

di certi frammenti essenziali,

ancora generalmente non usati,

e già a noi noti.

Questo, come tu chiami l’amore,

ancora a tutti

può non arrivare.

E come?

No, queste parole – davanti a loro –

non si possono dire.

Il pianoforte

(che gracchiava, mentre il pianista tamburellava)

 

E’ vero, sono docile come un frutto,

che si fa strada fino al palato,

ogni dito può spremere da me

ogni goccia di suono, perché gli permetto

d’immergersi in una sonata, in una polacca,

e perfino in Chopin, le corde sono mie,

e proprio da esse esce

il piacere di una compagnia importante in questa festa,

sonandomi puoi cantare,

guardare, ecco i ginocchi di una bionda ascoltatrice,

forse commuoverà, si schiuderà, volerà via,

quando la fuga comincerà a premere il soffitto,

e allora, quando gli spettatori inchiodati alle sedie,

immobilizzati dall’amore per il canto

resteranno impietriti nell’ammirazione, permetti

che io suoni una nota stonata,

una soltanto, una volta sola , ma con forza.

Non succederà nulla, soltanto tu

lo saprai.

Quando vagheranno con gli occhi sull’arredo della sala

come un orso che difende un vitello morto,

risuonerò stridendo, proprio nel cuore della coda.

Da tempo immersi nel fremito, non sentiranno,

di sicuro non capiranno l’intesa.

Dalla raccolta Lamenti per una donna:

 

Lamento asciutto

 

E’ morta Małgosia, moglie di Piotr.

Hanno fatto una colletta

e hanno messo i necrologi sui giornali,

poi sono andati alla messa funebre.

Al cimitero si è svolto il funerale.

Hanno coperto la bara di fiori e corone.

Piotr e tutti gli altri hanno gettato

un pugno di terra sulla cassa di legno.

Già il giorno dopo in città

negli annunci funebri

c’era un’altra persona,

non più Małgosia, moglie di Piotr.

E’ passato del tempo.

Sono passate le immagini di luce e ombra.

Quando sono andata a visitare quella casa,

in cui un tempo c’era allegria,

e le parole servivano per giocare,

sulla soglia mi ha accolta Piotr.

Sorridente, felice,

gli occhi chiari, aperti come sempre.

Si è girato, gridando verso il fondo della stanza buia:

Małgosia, accendi la teiera, abbiamo un’ospite!

Lamento presso il recinto

 

Davanti casa s’è fermata un’auto col muratore,

ha chiesto se volevo terminare la costruzione,

rivestire i soffitti, mettere i pavimenti iniziati da te.

Ha chiesto a lungo tergiversando e impacciato,

se c’era la signora che si occupava di tutto,

che offriva il pane coi cetrioli e usava i bicchieri della senape.

Ancora qualcosa lo turbava, stava per chiedere ancora,

quando la donna che sedeva al volante

ha ingranato la marcia e s’è allontanata velocemente.

Lamento del viaggio di andata e ritorno

 

Dal taschino sporge una sigaretta

che porto da ottobre,

e già si avvicina giugno.

Dicono che il funerale è ormai lontano,

ma tu ancora corri col fiammifero,

io scappo, la fiammella si spegne,

niente si può accendere,

sempre questo carbone che non brucia,

sempre qualche ostacolo.

(C) by Paolo Statuti

Le poesie di Paolo Statuti

11 Set

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Poesie di Paolo Statuti

Vita

Ogni giorno vai smerciando astuta

il logoro corredo dei tuoi stracci,

ti sforzi di ridere e scherzare

ma ogni sera l’ombra ti fa muta.

 

La bancarella

Anch’io ho una bancarella

nel bazar del mondo

Offro parole fatte in casa

pensieri genuini

intenzioni sincere

ricordi ben selezionati

Offro tutto ciò

che ho accumulato

con cura

e che ancora riesco a trovare

di nuovo di fresco di buono

Non devo gridare

per attirare la gente

basta un sorriso

La sera faccio il bilancio

della giornata:

non è mai poco

non è mai molto

è quello che mi aspettavo

Affrettatevi però

prima che mi scada

la licenza di vendita.

1981

Malinconia

Mi stati attaccata come una piovra

perché una buona volta

non te ne vai al diavolo!

Ti sei offesa?

Scusa non volevo

stasera ti porterò al cinema

e poi al ristorante

facciamo pace?

Lo sai che senza di te

non potrei vivere

che senza di te

non potrei nemmeno morire

1981

Capodanno 1981

 

Buon Anno

a mia moglie

che grazie a Chopin e ai suoi anni

è sempre giovane e piacente.

Buon Anno ai suoi amici,

provvidenziali gettoni

del suo conforto.

Buon Anno

a mio figlio –

rocchettaro

che a sedici anni

fa la comparsa muta

nel grigio teatro di famiglia.

Buon Anno a mia figlia

che crede ancora

(chissà per quanto)

che la vita

sia un incanto

(grazie Silvia!).

Buon Anno

anche a me

che in una coppa di spumante

annego la lingua –

innocuo sacripante.

Invito

 

Vieni

nella mia burrasca

trasformati in gabbiano

che ama il cielo plumbeo

e il livido mare

portami

i suoi scrosci di risa

e il suo modo d’amare –

ardenti sguardi

e carezza alate

1982

Riconciliazione

 

Quanta pena, quanta amarezza,

in fondo all’anima provare,

quando c’è un mare di tristezza

dove si può annegare…

Si vorrebbe tendere la mano,

ma l’orgoglio non lo consente,

e qualunque sforzo è vano,

perché non porta a niente…

Si vuole sorridere e dire

che un bacio è come un fiore,

che non potrà appassire

se finirà il rancore…

Ma non capiamo e non riusciamo,

a volte anche se si vuole

non si riesce a dire: ti amo…

eppure sono solo due parole!

Vecchi tram

Vecchi tram

nella vecchia stazione

fuori  uso,

qua e là bucati,

corrosi, sbiaditi.

Vecchi tram

voi m’invitate:

“Perché non sali?”

Un brivido, un sorriso

e un lungo cigolìo

mi danno il benvenuto…

“Avanti c’è posto!

Scusi, scende?

Vietato fumare.

Fermata a richiesta.

E  guarda dove metti i piedi!”

E ancora parole…

Vecchi tram –

vecchine

truccate di ruggine e polvere.

Primavera

Nostalgia di primavera:

il cielo solcato da nere ali,

nei campi le ultime

macchie bianche,

il verde forte, veemente,

e le perle delle pratoline,

timide nel mare di smeraldo.

Intorno il bisbiglio degli alberi –

il primo dopo il lungo silenzio.

Silenzio

La luce si stende

sui corpi di marmo

degli antichi eroi

una vecchietta prega

i santi sonnecchiano

fuori il vento

accarezza i capelli

dei campi

Mini intervista

Dica, Paolo,

cosa fa Lei in Polonia?

Cosa faccio?…

Scrivo…

dipingo…

traduco…

ascolto la musica

guardo gli alberi alti

colgo i fiori di campo

seguo le nuvole che scorrono

conto le stelle che brillano

nella corona dell’eternità –

come disse Tagore.

Che cosa ancora?

Ah, sì:

cerco di capire

cosa pensa il mio gatto

che deve sapere molte cose

cerco gli occhiali

o le chiavi di casa…

E altre cose ancora…

E’ poco? E’ molto?

A me basta.

 

 

Il gufo

Solchi i flutti della notte

senza gorgheggi senza frulli

scivoli via silenzioso

sovrano del buio

i tuoi occhi – una corona

di topazi e smeraldi.

Come vorrei potermi celare

nelle tue soffici piume

e accarezzare con te

il velluto della notte!

A Masečín

Il gallo chicchiriava  presto

la mattina,

ma non m’infastidiva,

anzi mi rallegrava.

Schiamazzavano le galline

e ognuna credeva

d’essere la favorita.

Scrosciava la pioggia

e scorreva via,

scorreva via

come la vita.

Die Kunst der Fuge

Bach si siede:

davanti a lui si spalanca il cielo,

dietro – il silenzio

e il respiro dell’umanità.

All’improvviso dodici note esplodono

dalla tastiera:

potenti, profonde, maestose…

Bach sorride, è felice,

sa che è la voce di Dio.

Le note irrompono, si ripetono,

si rincorrono

tra le canne dell’organo,

si allontanano e ritornano

come eco di sfere celesti.

Seduto nella mia stanza

ascolto un disco:

Bach è con me,

Dio è con lui.

Le dodici note mi danno pace

e conforto,

di tanto in tanto mi chiedono:

senti anche tu la Mia Voce?

Rispondo come in sogno:

Ti ringrazio, mio Dio.

Essere

Essere

come foglia al vento

come fiume scintillante

come sussurro di abete

come soffice nube bianca

come l’alba nei tuoi occhi…

sarei felice

come uccello

che solca lo spazio

con le sue piccole ali.

Senzatetto

Ho dato qualcosa a un senzatetto,

mi ha sorriso e ringraziato:

grazie tante, signore…

vede, io sono schiavo

della mia povertà,

ma sono felice

della mia libertà.

Poi se n’è andato.

Lo guardavo allontanarsi:

lasciava sul terreno

le sue enormi impronte

di umanità.

Ritorni

A volte tornano immagini dimenticate

come nuovo stupore

a volte tornano parole dimenticate

come nuova scoperta

a volte tornano persone dimenticate

come nuova amicizia o nuovo amore

e ogni anno torna

il fresco odore della primavera

e il dorato sorriso dell’autunno

e ogni volta

l’anima ringiovanisce un po’

eppure è sempre più vecchia.

Giewont

Guardando il Giewont

ogni cosa intorno

si fa più piccola

solo l’anima cresce:

si dibatte

nel suo stretto

involucro

e aspira

alla Vetta.

 

 

La lettera

Il fruscio delle foglie secche

punge il corpo

come vespa invisibile

sbatte una finestra

con monotona perfidia

oggi anche il sole fa il broncio

sbocconcellato da una grigia trina

che puzza di pioggia

se tu almeno fossi qui

mi diresti

che il fruscio delle foglie

è uno scherzo di Chopin

che la finestra che sbatte

è una tachicardia

e che una lettera non scritta

non è poi la fine del mondo.

Ho visto un uomo…

Ho visto un uomo

con un buco  nella scarpa

Il vestito mostrava

il lungo sfregamento

contro il tempo

Si è avvicinato  al banco

dei liquori

la vodka nei suoi occhi

sgorgava dalla roccia

saltellava allegra

tra i ciottoli

la fissava pensando

com’è fresca

com’è limpida

peccato…

Mansueto mi ha sorriso

e se n’è andato

come Adamo –

cacciato dal paradiso

Ho visto un uomo

con un buco nella scarpa

Il quinto elemento

Per trovare la terra

fa’  una passeggiata

Per trovare l’aria

spalanca la finestra

Per trovare il fuoco

accendi un fiammifero

Per trovare  l’acqua

apri il rubinetto

Per trovare l’uomo

prendi un specchio

Lo riconosci subito

ha testa braccia e gambe

cammina in posizione eretta

vede sente parla

come robot è inodore

come uomo spesso si lava

eppure quando passa

si lascia dietro

una scia selvatica

accumulata dai tempi

della pelle e della clava.

L’aspirina

Bisogna essere malati

e stare in letto

per vedere le crepe nel soffitto –

come i segnacci sul quaderno

per scoprire

che i fiori nel vaso

sono già appassiti

come le mani della nonna

che i libri sono impolverati

come quella strada di campagna

che il gatto nella cartolina

somiglia tanto a Mustafà

che il pavimento

è di color nocciola

come i gelati di Romolo

davanti alla scuola

che un profilo sul muro

sembra quello

del Corsaro Nero…

– A cosa stai pensando,

hai preso l’aspirina?…

Cara vecchia pasticca –

come una calda carezza

in un inverno lontano.

Morte di un amico polacco

Caro Zbyszek,

qui dove frusciano i ricordi

e il sasso geme

sotto il piede amico,

improvviso sei giunto

e subito cortese, esitante,

hai chiesto d’unirti

al coro dei silenzi,

ma immaginarti silenzio

io non posso:

troppo umana e schietta

era la tua voce.

Continuità

L’abito chiaro dell’alba

gli occhi spenti delle case

il pizzicato degli uccelli

il brontolio delle caffettiere

il viavai  nei bagni

i saluti plastificati

il grugnito delle vetture

L’abito scuro della sera

gli occhi accesi delle case

le avide occhiate

il clic degli interruttori

il cigolio delle reti

i sogni i ronfi

le coscienze archiviate

Roma

Roma, ogni notte

ti getti nei vortici

del tuo amante

e scorrete insieme

finché la draga dell’alba

non ti ripesca

grondante di luce

e di amore.

Erotico

Taci. Non dire niente,

ascolto il tuo respiro

come canto di uccello

all’alba,

come adagio di ruscello

montano.

Nella stanza buia

a un tratto i fari d’una macchina

e il lampo dei tuoi seni –

come due coppe dorate.

Taci. Non dire niente,

non senti anche tu?..

– il cielo sempre più vicino,

il mondo sempre più lontano…

Le stelle

Perché tutte quelle stelle

quello spreco di argento e cobalto

a chi serve tutto quello sfavillio

perché quei miliardi di sguardi

puntati sulla nostra piccola trottola

che gira tranquilla per i fatti suoi

Forse sono lì per ricordare

che dopo il giorno viene la notte

forse sono solo un ornamento

per la gioia degli occhi

o forse – più probabile –

sono lì per sbalordire

per impressionare

per mettere a disagio

davanti a una nudità

così sfrontata e provocante

Una strada buia

in montagna

camminando a testa in su

pensando

ora la Terra è inerme

sotto il fuoco incrociato

del Cielo

Stelle leggiadre e superbe

sprofondate nel baratro dell’infinito

sembrano sapere qualcosa

e di tanto in tanto strizzano l’occhio.

Betulla

Albero – angelo

albero – ricamo

albero buono

albero pietoso

albero piangente

albero – croci

sei così bianco

che t’incontro da lontano

e subito penso:

compagna che amo

consolante rifugio

bellezza serena.

Ascoltando Bach

Mio caro, diletto Bach,

lascia ch’io ti ringrazi

per la tua musica.

Essa è una dolce visione,

dove cherubini e serafini

cantano in coro

la quiete dell’anima

e la gioia di essere.

Nel fluire delle note

il cuore torna sereno,

le pietre che lo schiacciano

diventano piume,

le catene che lo legano –

ghirlande di fiori.

Le note penetrano

sempre più a fondo,

là dove si ha più bisogno

di conforto e di amore.

Il tuo sorriso

è il sorriso che Dio

ti ha rivolto

quando morendo

gli hai portato in dono

le tue armonie…

le Sue armonie!

La pioggia

Senti?

sul davanzale della finestra

la pioggia esegue

il suo balletto:

passo semplice, passo doppio,

vivace, allegro, smorzando…

Le foglie degli alberi

applaudono in silenzio

per non disturbare la musica

che scende dal cielo.

Sui vetri gli occhi delle gocce

osservano la danza

vibrando di gioia

e di commozione.

La cantina dei ricordi

A volte scendo

nella cantina dei ricordi

prendo una bottiglia

d’una buona annata

tolgo con cura la muffa

e levo il tappo

Già pregusto un sorso

di giovinezza –

il primo segreto

la prima promessa…

ma inatteso un topo

mi passa accanto

e da lontano mi osserva

Nei suoi occhi imploranti

leggo una coltre

di calda soffice peluria

che protegge i ricordi

dalla paura

Gli alberi

Vanno tenendosi per mano

e guardandosi negli occhi

gli alberi –

i milleocchi della terra –

essi guardano soltanto

gli alberi non hanno orecchie –

come potrebbero resistere

al chiasso degli uccelli?

gli alberi non hanno la bocca –

cosa potrebbero rispondere

alla prepotenza del vento?

gli alberi sono felici

senza sentire

gli alberi sono saggi

senza parlare

gli alberi muoiono in silenzio

e il loro ultimo desiderio

è leggere ancora una pagina

di cielo.

La vita

Torno dal lavoro

cammino e penso

un’altra vite in meno

nell’ossatura dell’esistenza

Sento alle spalle

la vita che mi pungola

che ha fretta

Non le interessa

l’uomo che vende le mele

del suo giardino

il bimbo che addenta

una pagnotta

ancora calda e fragrante

la ragazza che scivola via

bella nel suo tailleur

color pesca e leggera

come un alito di vento

la vecchietta che racconta

qualcosa al suo bassotto curioso…

Le interessa soltanto

che io arrivi a casa presto

mi sdrai in poltrona

e osservi come essa

si esibisce alla televisione.

Esortazione

Dove correte!

Fermatevi un istante,

o indaffarati,

spogliatevi dell’abito che ormai

ha il peso della notte,

quando le palpebre

vacillano ubriache,

quando la mente

sta per annegare.

Tutta la vita –

come accendere una sigaretta?

Tutta la gioia –

come premere il pedale?

Sappiate!

Ancora non è spenta

la luce che ignorate e seppellite

ogni giorno nell’asfalto,

luce antica e perenne –

Poesia:

vuoi aspra, vuoi dolce,

vuoi lieta o disperata,

ma sempre ardente,

e mai famelica,

mai spietata.

Natale

Di nuovo è Natale:

sulla grotta brilla la cometa,

dal cielo scende un canto di pace.

La dolce Mamma

culla suo Figlio e tace.

Lo Sposo li guarda con amore

e sussurra:

– Maria, ha gli stessi tuoi occhi,

com’è bello!

Ma il Piccolo trema,

ha bisogno di calore,

allora un bue e un asinello

gli offrono il loro fiato buono.

Il Bambinello sorride,

ringrazia per quel dono,

poi rivolge ai genitori,

agli animali, ai pastori,

al mondo intero

queste sante parole:

– E’ Natale,

da oggi amatevi,

non fatevi del male!

Alba

La betulla si veste di rosa,

gli uccelli accorrono e gridano:

– Come sei bella!

Nell’erba il grillo sbadiglia

e accorda il violino.

Il contadino riprende

la via dei campi,

l’impiegato la via dell’ufficio,

il prete la via della sua chiesa,

ed io riprendo la via dei miei sogni,

sempre così vivi e colorati

sempre così sinceri e…irreali.

In memoria di A.M.R

Dopo tanto sfolgorìo

Dopo tanto logorìo

O incantato esploratore

Delle lettere slave

Instancabile cesellatore

Di fantasiosi accenti

Hai serrato per sempre

La tua bottega di portenti

E hai tolto l’insegna:

U zlaté studnĕ.

La Praga di Jaroslaw

La Mosca di Anna e Marina

La Pietroburgo di Aleksandr

Ti chiamano al Gran Festino…

Va’ non tardare

Sei tu l’ospite d’onore –

Angelo Maria Ripellino.

Invito alla Vergine

Vergine Santa,

sei libera stasera?

Ascolta, ho un’idea…

Per un istante voglio toglierTi

all’angoscia del Golgota,

voglio veder scomparire

le lacrime che rigano

il tuo volto dolente.

In una chiesetta di legno

annerita dagli anni

e immersa nelle betulle,

c’è un vecchio organo

che tace da tempo,

ma stasera

lo soneranno per Te

i tuoi celebri cantori:

Vivaldi, Bach, Schubert

e altri ancora.

Potrai chiedere anche

tutti i bis che vorrai,

essi non Te li negheranno.

Poi alla fine del concerto

ci saluterai felice sulla soglia

e ognuno Ti ringrazierà

e porterà a casa

le tue dolci sembianze

nel cuore.

Vergine Santa,

sei libera stasera?

Ascolta, ho un’idea…

Pasqua

Tre giorni al buio

e nel silenzio del Sepolcro,

poi esplodono la luce

e le trombe degli angeli.

In pochi secondi

la Risurrezione!

La profezia si avvera,

Cristo vola verso la sommità

dell’universo

e lancia al mondo la sua promessa:

un giorno tornerò…

La Croce cui era inchiodato

è diventata il trono

dell’Eterno Amore.

Tramonto

Le case paonazze

si coprono gli occhi

coi verdi palmi

delle persiane

Un cane scodinzola

spargendo

aghi di sole ramati

Il mare

contagiato dallo sbadiglio

dei pesci

rimbocca le onde

preparando il giaciglio

alla notte.

Passeggiata

17.00. Ti parlo,

ma non è la mia voce,

essa tace,

ti parla la voce del bosco.

19.00. Ti guardo,

ma non coi miei occhi,

essi sono offuscati,

ti guardano gli occhi delle stelle.

20.00. Ti sorrido,

ma tu non mi vedi,

ti accecano le fiamme del tramonto.

Ora scenderà dal cielo un angelo

e le spegnerà

sotto una coltre di cobalto.

 

Preghiera

Mio Dio,

sapienza eterna e infinita,

signore dell’universo,

creatore della vita,

essa è labile come filo d’erba

ma assai ricca di tuoi portenti.

Ascolta la mia preghiera:

dammi la forza di amare,

la saggezza per ben operare,

la speranza per non soccombere,

la fede per credere fermamente

che Tu sei il mio buon Padre,

che mi ami e mi proteggi

in ogni istante.

Lo so, tante volte ho peccato,

ma per la tua pietà

oso sperare, mio Dio,

che mi perdonerai

e mi sorriderai

nell’ora del supremo addio

alla vita mortale.

Amen.

Ascoltando Strauss

Trin…trin…trin…

tum…tum…tum…

zing…zing…zing…

zannnnnnnn!

sussurrano le note tra loro

rimbalzano sulle spalle nude

si rincorrono tra le vesti-campane

si riflettono sugli alamari d’oro

sulle scarpe-specchi

i violini accarezzano l’aria

i flauti sorridono

i tamburi esultano

i lampadari impazziscono di luce

un fiume scorre

un pipistrello fischia

un bosco racconta

donne vino canto…

caro Strauss,

dovevi essere tremendamente felice

o anche tremendamente triste.

Solitudine

Solitudine

dell’ultimo fiore

che muore nel giardino,

del nido tra i rami

d’un albero spoglio,

della cassetta della posta

eternamente vuota.

Solitudine

d’un cane abbandonato

e d’un uomo

al suo ultimo respiro.

In treno

 

Torno a Varsavia

il treno scivola via

sui pattini-rotaie

tempo e spazio

racchiusi nel vagone.

Nel campo una mucca

suona il fagotto

e concede bis

che nessuno richiede.

Ritorno dalla Russia

Ho fumato l’ultima Stoličnaja,

ho bevuto l’ultimo goccio di vodka,

ma rimangono i ricordi

rimane la nostalgia…

Sante chiese di Russia,

incanto di tombe – altari:

tomba di Lev , bella e  solenne,

tomba a Peredelkino , come un’icona,

candele a Peredelkino, fragili e vibranti,

alla vostra luce religiosa

io dico spasibo

e ripeterò spasibo

ormai per sempre.

Don Chisciotte

Cavaliere della Mancia,

ti vedo alle prese coi giganti.

Dulcinea come sempre

ti è accanto e ammira

il tuo coraggio,

sicuramente ti ama.

Anche Sancio a modo suo

ti ama e ti dà consigli,

ma tu giustamente

non lo ascolti.

Ecco ora sei partito

a lancia bassa,

ma…che succede…?

Dei maligni stregoni

hanno trasformato i giganti

in mulini a vento

e una pala ti ha colpito in pieno.

Ora Sancio si ubriacherà

dal dispiacere.

Ronzinante farà un nitrito

di plauso,

scoprendo i denti gialli

e cariati.

E la dama del Toboso

ti bacerà ,

facendoti arrossire.

Don Chisciotte,

patrono dei poeti,

ogni notte in cielo

vedo la tua stella,

non posso sbagliare,

perché è l’unica stella errante.

Dipingendo l’autunno

Siedo

i colori attendono

e si chiedono:

quale sarà il mio posto?

Guardo:

il verde mi consola

il giallo mi illumina

il rosso mi rallegra

l’azzurro del cielo mi ispira

i colori attendono

e sanno

che troveranno un posto

sulla tela

e pazienti mi guardano…

Autunno

La pioggia

dietro i vetri

le foglie piangono

lacrime – cristalli.

Leggo un libro

a tratti guardo

e penso:

vorrei dissolvermi

nel tuo umido tepore

e lambire le tue labbra

o Autunno – Amore.

Amo la primavera…

Amo la primavera,

ma mi commuove l’autunno,

che nasce

dal caldo grembo dell’estate

e muore

nel freddo abbraccio dell’inverno.

 

Necrologio

Sai, è morto…

Ma no! Davvero?

Un coro di elogi

sospiri e pianti.

Ma perché?

Là di sicuro egli è felice,

la sua tomba

sguazza nell’erba,

ascolta un concerto di allodole,

un terso ruscello lo disseta

e in esso

come un chiassoso corale –

russano le rane.

 

 

 

Il sorriso della rosa

                                                Ad Olga

Quando la rosa si schiude

sorride

e dai petali affiora l’anima,

come dal viso della Gioconda.

Il suo colore non conta,

la rosa è sempre bella,

e sorride…sorride

fino all’ultimo sospiro.

Le spine sono il suo destino,

il suo ornamento ingiunto,

la lieve malinconia

del suo sorriso.        

 

Sainte-Victoire

                                       A Catherine

Sainte-Victoire,

che tanto hai dato

e ricevuto

da Cézanne,

e sei stata compagna

delle sue gioie

e dei suoi timori,

nei ritratti che ti ha fatto

si leggono

le vostre due anime

unite,

e si sentono

le note della tua sinfonia.

Adesso siedo davanti a te

con i miei colori

e ti guardo incredulo,

provando anch’io

gioia e timore.

Perdona la mia ambizione,

credimi:

è un mio vecchio sogno

che solo oggi si avvera.

Amore

                                            A Rosy e a Claudio

Amore, oggi pensavo…

quante belle parole scritte su di te,

che riempiono più la bocca

che il cuore.

Quante facce ti hanno dato,

quante volte ti hanno visto:

nell’uccello che imbecca i suoi piccoli,

in un pane dato a chi ha fame,

nella cura di un lebbroso,

nel pianto di una vedova

e in quello degli orfani,

nella gioia dell’amore corrisposto

e nel dolore di quello respinto…

Quante volte ti hanno letto:

nelle poesie e nei quadri,

nella lettera di san Paolo,

nelle lettere di un soldato dal fronte…

Quante volte ti hanno sentito

nella musica di Chopin…

Anch’io ti ho incontrato tante volte

e ho creduto

di capire il tuo segreto,

eppure mi sei sempre così lontano…

E pensando,

a un tratto mi è venuto in mente

l’amore mercenario

della Maddalena

e le parole di Cristo:

– Io ti perdono, va’ e non peccare più!

Dimmi dunque, amore,

è questo il tuo volto più vero?

E’ questo il tuo segreto?

Musica

E’ l’alba. La luce

bacia le tenebre

e il silenzio del cielo

accoglie il risveglio

della terra,

i suoni ritornano,

le voci umane

si fondono e coprono

il pianto di chi nasce

e il gemito di chi lentamente

si spegne,

come le note di un accordo.

Il sospiro del vento

accompagna

la marcia dei pellegrini

e i rintocchi della campana

portano sollievo,

come fresca mano

su una fronte ardente.

 

Giulietta

 

A Verona

c’è un balcone

scoperto da un poeta

guidato dall’amore.

Quando cala la sera,

sotto la luna,

diventa il salone

dove Giulietta

ballava con Romeo.

Chiunque può salirci,

incontrare Giulietta

e dirle: ti amo.

Un giorno lo feci anch’io,

sorrise e rispose,

lo sguardo fisso lontano:

– Conosci la mia storia,

io sono morta con lui…

Romeo…Romeo…

forse solo il suo amore

era vero…

Natale polacco

                                      A Marek Baterowicz

 Caro Zbyszek,

neppure a Prima Porta

riposi in pace.

Sognavi una Vigilia

di gioia serena,

ma di colpo

è cambiata la scena:

fischia un vento gelido

che scuote la Grotta,

in ginocchio nel fango

la Madonna trema,

sparano ai pastori,

la neve si arrossa.

Inoltre piange a dirotto

e mancano gli ombrelli

della rassegnazione.

Sognavi il Natale,

ed è la Passione.

Roma,  Natale 1981

La finestra della vita 

Sul muro del convento

c’è una piccola nicchia

chiusa da una finestrella.

Qualunque madre può aprirla

e deporvi il “frutto del suo seno”.

Tu inizi così il tuo cammino:

da una parte respinto,

da un’altra accolto da un sorriso.

Tu ancora non capisci

le vicende della vita,

guardi tua madre

che si allontana furtiva

e aspetti che torni…

A un tratto senti un campanello

e il grido di gioia

della suora che ti ha visto,

ma tu ti spaventi

e scoppi a piangere:

no, non è tua madre,

lei aveva gli occhi chiari…

Poesia

Se non sai cos’è la poesia,

immagina d’esser sordo

e udire scendere

dal cielo un accordo…

immagina d’esser cieco

e vedere accendersi

il fuoco del tramonto…

immagina d’esser muto

e poter dire:

tu piccola stella

risplendi, tremando

d’infinito…

Riflessione di Capodanno

Mio Dio,

sono stanco:

stanco di vedere le ossa sporgenti

e gli occhi spenti

dei bambini che muoiono di fame,

stanco di vedere i vecchi

tristi e abbandonati,

stanco di guerre, violenze,

intolleranza, incomprensione,

tradimenti, ipocrisie, disprezzo e odio,

stanco perché nella vita

mi hai concesso di fare molto.

Tu hai creato la Terra e l’uomo,

ma gli hai dato la possibilità

di fare il male.

Perché? Perché l’hai fatto?

Certo, hai creato anche il bene,

ma quanto è difficile

incontrare questo sfuggevole compagno,

guardarlo negli occhi,

piangere di gioia e sussurrare:

finalmente ti ho trovato,

d’ora in poi cammineremo insieme…

In questo fine anno

auguro a tutti questo luminoso e felice incontro.

Mio Dio,

perdonami questo sfogo

e sorridimi…

sono stanco, tanto stanco.

Quando mi chiamerai?

Quando potrò riposare?

2009

Amore

Amore che incanti e tradisci

che infiammi e ferisci

che illudi

che ami, che uccidi…

Quante volte ti ho chiesto:

dimmi, in realtà chi sei –

il buon samaritano

o l’eterno ciarlatano?

E  in risposta ho sempre visto

sul tuo dolce viso

un ironico sorriso.

Il vecchio albero e il fiore

Vedi, cara?

La mia corteccia è già crepata

come argilla arsa dal sole,

il sole che ho tanto amato

pur essendomi così lontano…

Nella mia lunga vita

ho visto tanti fiori

intorno a me,

ma non tutti mi apprezzavano,

non tutti mi amavano,

e nessuno era come te

che senti tra i rami

il mio cuore pulsare

e vedi con le foglie

i miei versi vibrare.

Ti ringrazio,

come la vela ringrazia il vento

che ancora la spinge sull’onda

verso l’ultima sponda.

Sherazade

Sei ancora a Bagdad,

il tuo abito è sempre lo stesso:

tulle, seta, ricami dorati,

gioielli alle dita,

un diadema sui capelli sciolti,

cammini agile e leggera,

quasi danzando.

Sì, sei sempre la stessa,

ma adesso nei tuoi occhi ambrati

leggo fiabe diverse

di rovine e morte.

Sei sempre a Bagdad

ma soltanto io ti vedo,

nessuno ti riconosce

e forse neanche ti ricorda.

Ti chiamo, ti chiedo

di fermarti un istante,

ma tu non mi vedi,

non mi senti e prosegui

alla ricerca

del tuo mondo incantato

delle tue notti inebrianti.

Addio, Sherazade!

Pittura all’aperto

Siedi davanti alla natura:

guarda, concentrati, sii umile

e pronto a sentire

i suoi fremiti e sussurri,

il suono dei suoi colori.

Essa guiderà la tua mano,

affinché nel tuo quadro

ci sia un soffio

della sua immensa anima

e almeno una piccola ombra

del suo immenso amore.

10 aprile 2010

prima silenzio

poi un rombo

uno schianto

uno scoppio…

poi di nuovo silenzio

nel bosco di Smolensk

e in milioni di cuori

polacchi.

Foglie d’autunno

Chi dice che l’oro non arrugginisce?

Guarda le foglie d’autunno

che muoiono smentendo la Natura…

Prendine una che già adorna il suolo,

accarezzala con lo sguardo

e posala tra le pagine d’un libro…

Un giorno ti servirà per ricordare:

l’oro – i momenti più belli,

la ruggine – che sei mortale,

e quando sarà giunta l’ora

restituiscila all’aria, alla pioggia,

al vento, al sole, alla terra,

alle tante compagne care

che l’hanno preceduta,

come aprendo la gabbia a un uccello

che ancora canta e scuote le ali,

ma che ormai non sa più volare.

Dalla mia finestra

I rami oscillano,

le foglie tremano,

il cuore ricorda

un motivo antico:

forse una ninnananna,

forse una barcarola;

intorno lo spazio riempito

di soffi colorati,

come in un paesaggio

di  Cézanne.

La nostra Terra

Su questo granello dell’Universo

c’è chi odia anziché essere indulgente

chi uccide anziché amare

chi vuole la guerra anziché la pace

chi distrugge anziché proteggere

chi arraffa anziché elargire

chi delira anziché ragionare…

e i saggi animali guardano increduli

e non riescono a capire

mentre l’occhio di Dio

che tutto vede

aspetta tollerante

che l’Uomo ritrovi il senno

finalmente

su questa nostra Terra

così inerme e tuttavia

così arrogante.

2010

Vecchio violoncello

Vecchio violoncello

annerito dal tempo

e accantonato

come una cosa inutile

ora sei come un fiume

di voci imprigionate

di carezze represse

sei come un nido abbandonato…

Ricordo il nonno

che ti stringeva a sé

per eseguire “il Cigno”

tutta la casa allora si fermava

per ascoltare

e anche gli uccelli tacevano

solo le tende vibravano

la sala si mutava in un lago

e il cigno scivolava via

fiero della sua bellezza

e del suo soffice candore

e noi lo seguivamo…

Com’è irreale

ora il tuo silenzio

rotto soltanto

dai rumori della strada

che non cessano mai…

 

HAIKU

Pittore – autunno

con l’ultimo colore

indora il bosco

Il lago indossa

il cappotto di ghiaccio

e si addormenta

La foglia cade

e con le labbra arse

bacia la terra

L’arpa del fiume

e gli zufoli – uccelli

danno un concerto

Quiete di neve

qua e là interrotta

dalle cornacchie

Coi mille occhi

gli alberi leggono

brani di cielo

Sereno il grano

attende il carnefice:

la falciatrice

La vela gonfia

scortata dai gabbiani

gioca col vento

La formichina

trascina il suo fardello

ha il fiato grosso

Cigola il carro

lontano gli risponde

una campana

La mia Musa

Non so dove vive la mia Musa:

forse in una conchiglia

in fondo al mare

in un soffione dissolto dal vento

in un fiocco di neve

o anche in un tenero bacio

in un mite sorriso

in un pianto sommesso

in un grido disperato

forse vive in tutto questo

e in altro ancora…

La mia Musa è parca e modesta

non mi lusinga non mi vizia

anzi mi visita di rado

appare sempre all’improvviso

con un lampo di gioia

si avvicina sfiora

le mie docili corde

col suo magico archetto

e mi sussurra:

adesso ascolta e scrivi…

Domani

Domani di nuovo

il chiarore dell’alba mi sveglierà

con un respiro di sollievo

con un soffio di speranza

Domani di nuovo

le ore passeranno veloci

come antilopi in fuga

Domani di nuovo

cercherò risposte

ad astruse domande

e di nuovo ascolterò

il lieto canto della Natura

e le chiacchiere della gente

Domani di nuovo

spegnerò la luce

e mi addormenterò

nella gioia del silenzio.

L’ultimo desiderio

Morire solo

all’improvviso

senza un commiato

senza un sorriso

tendendo le braccia

come estremo saluto

al mondo perduto

ed entrare nel nuovo

serenamente

senza pretese

senza chiedere niente

solo di poter volare

nell’infinito

leggero e contento

come foglia al vento

Riflessione di Capodanno II

Vedo un ragno che tesse la tela,

la falena pazza di luce,

l’onda che rincorre l’onda,

il sole che sorge e tramonta,

l’iride che fende il cielo,

vedo un sorriso, un fiore…

di questo – grazie, o Signore!

Sento le note di un corale,

il fischio di un uccello,

le carezze del bosco,

la pioggia sul tetto,

la voce del mare,

il battito del cuore…

anche di questo –

grazie, o Signore!

E guardo la volta celeste

in una notte serena

e vedo miliardi di stelle,

e Ti chiedo: perché?

Perché hai creato

questo firmamento

misterioso e infinito,

che nel mio mondo

mi fa sentire

inerme e smarrito,

e come in bilico

su uno strapiombo?

Perché?

Tendo l’orecchio ad una spiegazione

e dall’alto mi giunge la Tua voce:

– E’ così com’è e non c’è una ragione!

2011

Il terremoto

 

Quando la terra comincia a tremare

all’improvviso

in un’ora qualunque

del giorno o della notte,

il cuore si stringe,

il sangue si gela,

negli occhi leggi la paura,

un istante sembra un’eternità.

Non sai quanto durerà ancora…

Che fare?

Sai soltanto che devi scappare,

scappare prima che il tetto –

tuo rifugio finora –

diventi la tua tomba.

E intanto la terra romba

e senti solo boati e schianti,

e grida e pianti,

e intanto qualcuno muore…

Ti guardi intorno:

la strada è deserta e spaccata,

le case sventrate,

le chiese crollate

e in mezzo al polverone

tra le macerie,

un cane cerca il suo padrone…

2012

La mia ultima preghiera

 

Mio Dio,

quando mi chiamerai,

accoglimi con un sorriso

per come sono,

per quello che ho fatto

e non fatto nel bene e nel male,

non essere un giudice severo,

sii misericordioso,

ma con tutto il cuore t’imploro,

non farmi tornare mai più

su questo Pianeta:

potrei essere un corrotto

o un terrorista,

un padre senza lavoro

oppure un analfabeta,

un mafioso o un camorrista,

un bambino che muore di fame,

un clandestino annegato,

una donna violentata,

una pianta malata tra i rifiuti,

un pesce soffocato dalla plastica,

un uccello avvelenato

dall’aria inquinata.

Se devo rinascere, mio Dio,

trovami un luogo

nell’immenso universo,

lontano dall’uomo

e vicino ai saggi animali,

e se mi vedrai triste e solo

mandami un Tuo angelo

con tre ali,

sì, un angelo poeta,

musicista e pittore,

con una poesia da tradurre,

una cantata da ascoltare

e una tela da dipingere insieme.

Grazie, mio Dio e adesso –

l’ultimo favore –

che la mia anima

sia per sempre preda

del Tuo Infinito Amore!

Canto amaro

 

Tre soldati sopra un carro,

tre come tanti altri.

– Che fai?! E’ disarmato!

– Fermo! E’ un ragazzo!

– E con questo? Lo stendo io!

– Perché lo hai fatto?!

Quando il sole cala

perché non riposi?

Non profanare il silenzio,

nascondi il fucile,

taci, dunque!

Le tue vane parole

offendono la notte.

Quanti torti, mio Dio!

Quanto sangue e pianto,

le lacrime sono cristalli

che brillano invano,

lo so, ma il riso è infame.

Ascolta! Qualcuno chiede:

– Vuoi morire?

Non temere,

un cieco non vede,

un sordo non sente.

Quei soldati sul carro

li conosco da tanto:

uno mi difenderà,

uno mi libererà

e uno mi ucciderà.

E così finirò

tra le mummie del passato

accanto a un fiore che nasce

per milioni di affamati,

per milioni di condannati

all’odio eterno.

Sventola un vessillo bugiardo

e il vento è suo complice,

c’è scritto: “Pace e libertà”.

Ma quando sarà?

Ride il vento e mi risponde:

– Non lo saprai mai.

Triste presagio…

Cammino lentamente

lungo un sentiero erboso,

mentre la luna

lascia a malincuore

un filo d’erba, un fiore,

l’impronta dei miei passi

al primo sole.

Un cane abbaia,

forse cerca una compagna,

passa un vecchio e mi guarda

indifferente,

sembra chiedermi:

– Dove vai?

Tanti anni ho trascorso

e nessuno mi conosce…

Cosa pensi? Che vuoi fare?

Passa una vecchia

in abito nero,

la faccia bianca,

lo sguardo amaro…

Barcolla e sputa

sulle verdi foglie

coperte di rugiada.

Mi grida: – Hai sbagliato strada!

Il sentiero è chiuso,

ci sono i soldati

che non lasciano passare.

Mi annoia la sua voce roca:

– Ci sono i soldati, ti spareranno,

torna indietro,

oltre quel sentiero

non c’è amore,

non c’è speranza.

Mi guardo intorno e ascolto:

silenzio e solitudine.

Mi nascondo, sento uno sparo,

il sole all’improvviso

non riscalda più il mio corpo,

ho paura,

ma perché…

se già sono morto?

1969

Quando me ne andrò…

Quando me ne andrò

resteranno le medicine

che prendevo mattina e sera

(se mi ricordavo)

i vestiti le scarpe

che forse andranno

a un immigrato

peccato che non vedrò

come gli stanno

resterà un calzino bucato

che mia moglie

voleva rammendare

un mucchio di carte e di libri

che poi bruceranno…

una poesia non tradotta

una tela non dipinta

un corale non ascoltato

un “ti amo” non detto

un sorriso non fatto…

e una macchia di caffè

sulla scrivania

che per quanto abbia fatto

non è mai andata via.

Quando me ne andrò

Resterà tutto questo.

27.1.2015

Lampedusa 

L’Italia! Lampedusa!

Sono arrivati

sfiniti affamati

ma felici

si abbracciano

sorridono

piangono di gioia

vogliono lavorare

vogliono vivere!

Sognano un’officina

un cantiere

una pizzeria

un supermercato

sono in tanti

su quel barcone sgangherato

e tutti vogliono

la stessa cosa:

un sorso d’acqua

un po’ di pane

ora la terra

è a portata dei sogni

è così vicina

incredibilmente vicina

eppure…no…

è lontana

ancora lontana

troppo lontana

inaspettatamente lontana…

lontaaa…looonnn…

looooo…

lll…aaa…!

4.10.2013

Il pianoforte

Pianoforte di casa mia,

pieno di tarli e di nostalgia,

che bel suono un tempo avevi,

quanti applausi ricevevi!

Ora sei solo con le corde antiche –

le tue mute care amiche.

Ricordo che cantavo con te

Fior di giaggiolo: eravamo in tre

con la mamma che accompagnava,

mentre Beethoven ci guardava.

Vicino a te pende ancora il diploma

che la mamma prese a Roma.

Ora vivi solo di ricordi

di tante note, di tanti accordi.

Chopin ti ha lasciato la sua impronta

e quando fuori la pioggia gronda,

risuona il preludio della goccia,

che batte e ribatte sulla roccia…

Vecchio pianoforte così scordato,

Pieno di acciacchi e così forato,

La polvere che copre la tua armonia

è la cipria del tempo che vola via.

2015

Cyprian Kamil Norwid (1821-1883)

4 Set

 

J.F. Millet: L'Angelus

J.F. Millet: L’Angelus

 

Monologo

 

Le preghiere vanno e tornano – nessuna è inascoltata.

Tutte sono esaudite, per questo ciascuna di esse ritorna.

E ciascuna di esse ritorna, perché tutte vengono dall’amore.

Chi ha lavorato per l’Amore, con amore poi lavorerà.

Questa è la felicità. – Un’altra felicità non c’è.

Qui è tutto il diletto dell’amicizia.

Qui è tutta la soddisfazione e la sicurezza di sé.

Qui è tutta la serenità.

 

*

Ma chi ha lavorato per l’Amore – come Te, che hai voluto diventare

Uomo per questo lavoro?

Che eri triste fino alla morte, pur amando sempre?

Che non avevi dove posare il capo, o Re del mondo intero.

Tradito dalla natura e da Dio stesso abbandonato,

ma non deposto – Dio.

Egli è la vittoria dell’Amore!

Santo, Santo! – così cantano nei Cieli e sulla Terra.

Santo, Santo! – nello spazio dov’è l’unica vera armonia!

Santo nei cori di tutti gli Angeli.

E dove gli Angeli-custodi ricevono questo “santo” dall’uomo –

e dove ha fame il dolore non riposto nella preghiera,

e dove soltanto la tristezza stessa è la santità del silenzio.

Anche là santo, e ovunque!

 

(1846)

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

 

Bohdan Zadura

4 Set

 

1343911692_zadura

All’ultimo istante

 la morte dà maggiori possibilità di scelta

 infatti chiediamo di che è morto e non

 di che è nato

Bohdan Zadura

Oggi desidero presentarvi il mio amico polacco Bohdan Zadura, nato a Puławy

il 18 febbraio 1945, prosatore, traduttore e critico letterario, ma soprattutto poeta da più di cinquant’anni, avendo debuttato sul mensile letterario Kamena (Camena) nel 1962. Più volte premiato per la sua opera, ha al suo attivo più di venti raccolte di poesie. Dal 2004 è caporedattore della prestigiosa rivista letteraria Twórczość (Creazione). Quest’anno in occasione del suo settantesimo compleanno, è uscito un volumetto di poesie scelte da diverse sue raccolte, che si intitola Najlepsze lata (Gli anni migliori) e che l’autore mi ha inviato con tanto di dedica. La scelta, approvata da Zadura, si deve al poeta, prosatore e sceneggiatore Darek Foks, e sono state lette personalmente da Bohdan Zadura nel corso di un incontro con l’autore che ha preceduto l’uscita del libro in questione.

Il critico letterario Małgorzata Pieczara-Ślarzyńska, laureata sia in polonistica che in italianistica, nella seconda e terza di copertina presenta così le poesie di questa raccolta: «Ciò che attrae di più nei versi di Bohdan Zadura è la loro perspicacia e la conseguente messa a nudo di ciò che è falso, la loro credibilità, che “si avvera a tutti i livelli di significato”. E non si tratta qui di un avverarsi fisico o di una verifica biografica o di verificabilità, ma del sentire che questi versi sono autentici e grazie a ciò è più facile confidare in essi. Come ha detto il poeta in una delle sue interviste: “Un criterio del tutto idiota è il criterio della veridicità. Diciamo che una poesia è legata ai ricordi, e soltanto io so se ho confuso qualcosa o no. Ho tuttavia il sospetto che, benché ciò non sia verificabile, una poesia che alteri la realtà, abbia una forza d’influenza minore”. E questo si sente. Le poesie di Zadura non alterano.

Ciò che affascina nella sua poesia è il suo tenersi lontano dall’ideologia, lontano dall’impelagarsi nel ruolo della letteratura come missione, dalla fede nella forza rivelatrice del poeta, restando tuttavia così vicino alla vita quotidiana e ai problemi della vita comune. Inoltre, parlando di questi problemi, richiamandosi in modo specifico a ciò che avviene intorno, il poeta non moralizza, non indica come dovrebbe essere, ma semplicemente egli sa che non sa. Stando faccia a faccia (verso a verso?) con i più comuni, semplici e al tempo stesso più difficili fenomeni della vita – ha il coraggio di ammettere che non sa».

Poesie della raccolta Gli anni migliori di Bohdan Zadura tradotte da Paolo Statuti:

 

Da cosa provengo

 

da una famiglia dell’intellighenzia

nella prima generazione

dal muovermi carponi

homo erectus

dalla pelliccetta coi pompon

dai calzettoni

dal cappello da aviatore

dal sogno del berretto che rende invisibili

dall’erezione all’alba

che oggi anche se avviene

è solo per un attimo

tanto che passa inosservata

e non bisogna nasconderla

dalla paura della morte

(nell’infanzia temevo

di morire prima che finisse la vita

e invece guarda un po’)

dal ping-pong

dal lancio del peso

dal tennis

dal sogno

di una medaglia d’oro

allo Stadio Olimpico

nel 1960

nella corsa dei 5000 metri

dall’andare in bicicletta

dal bridge

dal guidare l’auto

(posso ancora guidare

ma l’auto non può più andare)

dalla fede

che Dio è piuttosto

tra le nuvole

che nell’azzurro sbiadito

dalla convinzione

che una buona poesia

dia maggior piacere

della vista di due natiche ben fatte

I piccoli musei

 

I

 

I piccoli musei come i piccoli paesi

ci sono ma potrebbero non esserci

anche noi dipendenti di piccoli musei

potremmo non essere

dipendenti di piccoli musei

Potremmo misurare la circonferenza

del seno della Venere di Milo Descrivere

la tavolozza degli antichi maestri

Interpretare il significato occulto

insito nelle sagge tele

Ascoltare il battito degli orologi

di epoche morte che

misurano anche il nostro tempo

Ma siamo dipendenti

di piccoli musei Qualche decina

di mediocri paesaggi

che non figureranno mai

nei dizionari di storia

dell’arte Qualche vecchia moneta

Banconote che raccontano

l’inflazione

Fossili Un berretto roso

dalle tarme indossato

da un architetto del posto

Un telaio

qualche pentola

un globo

E’ tutto ciò

che era incluso

nell’inventario

Quelli delle grandi città dei grandi paesi

che ci invidiano i nostri piccoli

musei non sanno che a dispetto delle apparenze

dobbiamo intenderci di tutto

Dalla storia delle guerre alle tecniche grafiche

Dal ricamo all’arte del vasaio e alla tessitura

Ma forse forse occorre

lo stesso indagare quando

sono nati i nostri quadri

senza i quali la popolazione non sarebbe

più povera Scoprire la data

in cui fu creata la pentola

che in centinaia di esemplari

si vendono ogni settimana nei mercati

Valgono per noi gli stessi

modelli di carte di cataloghi scientifici

di cartoteche

Non costruiamo casseforti

nelle pareti Segnali

di allarme automatici

perché non ce li possiamo permettere

Ma le regole sono identiche per i grandi

e i piccoli musei

E da niente siamo esonerati

II

Nei piccoli musei

si parla sottovoce D’inverno

quando sotto le scarpe scricchiola la neve

il silenzio fa scoppiare i piccoli musei

Appoggiate alla stufa in maiolica

vicino al tavolino dove

si trovano i biglietti stanno in piedi

magre lentigginose ragazze

pensano ai propri dispiaceri

ai problemi in casa

al padre che si è ubriacato

al fratello che ha percosso qualcuno

Odorano di sudore acido

Fanno bollire l’acqua per il tè

Credono nei sogni

ma non sanno cosa possono significare

i due teschi

pieni di sangue

che dicono bevici

ed eseguito l’ordine

si riempiono

di nuovo

Cosa possono significare

i due teschi

dell’ultima notte

Non sanno niente di Yorick

E’ inverno In piedi presso la stufa

aspettano che le lancette dell’orologio

segnino le tre Aspettano

l’estate Ogni estate

si sposano

Un’estate si interessavano

di ciclismo Ma il ragazzo

non è più nella squadra

nazionale Sotto il naso

e sul collo sentono ancora

il solletico dei baffi del pittore

sedutosi con loro

la scorsa stagione

D’estate a volte nei piccoli

musei si sente

il rumore dei passi e il pigolio

delle ragazze

Un giorno qualcuno scrive un giudizio

sul quaderno dei visitatori in una lingua

straniera Una di loro

si reca in un paese straniero

e per puro caso diventa la signora

van der Weyden o Wassenhove

III

I musei si dividono in

grandi e piccoli musei

i piccoli musei dipendono

dai grandi musei

I piccoli musei si dividono in

piccoli musei con un passato

e piccoli musei con un futuro

In una situazione migliore

malgrado le apparenze

si trovano i secondi

A volte i piccoli musei

con un futuro

diventano musei con un passato

ma senza futuro

L’idea che nei piccoli musei

si possono leggere molti libri

di narrativa

è giusta solo in parte

IV

1.

Un piccolo museo con un futuro

acquista un grande castello

con un passato

Nel cortile

tra le rovine

che non saranno mai

ricostruite

un banchetto finanziato dalla

televisione

Sotto un ombrello di tela

l’ultimo proprietario

privato

in un completo

un po’ stretto

color pastello

Con voce fioca

racconta per sommi capi

la storia del castello

in cui da alcune decine di anni –

ogni anno arricchendola di nuovi

dettagli –

lui stesso crede

La gente del luogo

– dice la compagna

segretario a nome

delle autorità sociali

e suo proprio –

nutrendo per l’ultimo proprietario

rispetto e simpatia

lo chiamava perfino

principe

Il principe come io lo ricordo

indossava sempre un lacero

cappotto Non fa niente

colombella tesorino

diceva e tirava fuori dalla tasca

le caramelle

2.

Il principe

consegna le chiavi

al direttore del piccolo

museo

Il direttore del piccolo museo

brinda col vino

finanziato

dalla televisione

L’operatore

punta la telecamera

sul coro che canta

tanti auguri a te

La birra nella botte

che rotolano

con ritardo

non è finanziata

da nessuno

3.

Siamo in estate e il vino

è caldo per via del sole

Siamo in estate e gli ospiti

invitati alla cerimonia

hanno i loro problemi

legati alla nuova

suddivisione amministrativa

del paese

Non sono sicuri

se sono piccole persone

con un passato

o con un futuro

Siamo in estate e il vecchietto

dimentica che ha venduto il castello

tira fuori dal borsellino

una moneta con l’effigie di Elisabetta

sul diritto e un leone

sul rovescio

Caro lei guardi prego

qui Elisabetta II e qui il nostro stemma

sappia caro lei che siamo

imparentati

Siamo in estate

La stampa divulga informazioni inesatte

La regina sorride sotto i baffi

Sì sì sussurra dalla moneta

da mezza sterlina Sì sì caro cugino

V

1.

Nel piccolo museo

si presenta un Grande

Collezionista

Tiene sotto il braccio

un Libro d’Onore

rilegato in legno

Signor direttore

impregnato

per settecento anni

Dia un’occhiata

prego

Questa è la colonia estiva

40 persone

qui il campeggio mobile

qui il Responsabile

qui una gita

della comunità polacco-americana

e 4 professori

della Sorbona

Visitarono con ammirazione

pieni di gratitudine

complimentandosi per la fatica

e la passione

E qui

mi sono permesso di esporre

in breve la storia

della mia famiglia

2.

Il direttore del piccolo museo

si reca a visitare le raccolte

del Grande Collezionista

Il Grande Collezionista

insegnante in pensione

di professione falegname

lo accoglie sulla soglia

Qui vedrà

molti interessanti

ricordi del passato

bilance

mobili

un modello di mulino a vento

fatto

con le mie mani

Macina – chiede

il direttore del piccolo museo –

ancora non l’ho finito –

risponde il Collezionista

ecco le macine

con le quali i nostri antenati

facevano la farina

ecco una falce

della rivolta

di Kościuszko

e questo

fatto da me

è un trittico

preceduto

da un mio motto

qui invece è inciso

il giuramento di Tadeusz Kościuszko

secondo Maria Konopnicka

Nelle vetrinette può vedere

dei libri antichi

Usanze turche

XVII secolo

scritte dall’ambasciatore

di Francia a Istambul

con vecchie stampe

nozze turche

un funerale turco

i monarchi dietro il feretro

le piagnone

Qui

la prima edizione

del Pan Tadeusz

Qui

le Liriche di Losanna

Lo sguardo del direttore

del piccolo museo

si posa per un attimo sulla scritta

lirica – componimento

prevalentemente romantico

Qui il Settimanale Illustrato

del 1905 il Convito Letterario

L’unica pubblicazione clandestina

un articolo sui Polacchi

in Siberia

stampato – dice il Collezionista –

all’insaputa della censura

dello zar

Qui

gli animali

dei nostri campi e boschi

il cinghiale

l’alce

la cicogna

Il Grande Collezionista

porge al direttore

il Libro d’Onore

Tira fuori da un cassetto

un quaderno

Ecco signor direttore

nel caso volesse scrivere

prima in brutta copia

Come vede signor direttore

insieme

faremmo grandi cose

3.

Accomiatandosi

il Grande Collezionista

dice

Vorrei signor direttore

che lei si convincesse

che potrei restare

qui

Devo parlare col parroco

vado in canonica

devo sbrigare una faccenda al Comitato

vado dal Segretario

e Dio non voglia

dovessi recarmi al commissariato

anche in questo caso nessun problema

Ma quando è vecchio

l’uomo si sa

è attratto

dalle proprie origini

Eccellenti involtini

dice il direttore del piccolo

museo

di nuovo la prego

di ringraziare

e salutare la sua consorte

VI

Nei piccoli musei

ci si può riparare

dalla pioggia

I piccoli musei

garantiscono piccoli

guadagni piccoli

dispiaceri piccole

soddisfazioni

A volte nei piccoli musei

si può scoprire che un verso

deve avverarsi

a tutti i livelli

di significato

I piccoli musei come i piccoli paesi

ci sono Ma potrebbero non esserci

Il poeta parla con la nazione

 

                                                 E in mancanza di scritti migliori mi legge perfino la corte

  1. Mickiewicz

Da una settimana non parla con suo figlio

(se avesse più figli

non con quello

ma forse parlerebbe con un altro

Da un mese non parla con la suocera

(meno male che non ne ha due

perché non parla

soltanto con una)

Da sei mesi non parla con l’editore

(l’editore ha fallito e si è dato

all’allevamento di pavoni e pappagalli)

Poteva andare peggio

le figlie della governante si comportano bene

anche della gioventù in generale non si lamenta

le fotocopiatrici funzionano le direttrici delle case della cultura

sorridono mandano bacetti

Ha molto tempo

quindi potrebbe parlare un po’ con la nazione

ma la nazione dovrebbe forse

eleggere una delegazione

Oppure la direzione della TV

dovrebbe dichiarare che ciò è valido

Oppure bisognerebbe prendere degli ostaggi

e richiedere il tempo antenna

come riscatto (il tempo è denaro)

Qualcuno infatti dovrebbe

rendere alla nazione gli estremi onori

Anche se non sa suonare la tromba

non ha i cannoni e nemmeno un tamburello

questo è il suo dovere professionale

In fin dei conti i suoi colleghi scrittori più vecchi

un tempo formarono

questa nazione (anche lui? non contando i genitori naturali)

Quindi chi se non lui deve renderle

gli estremi onori

(Eppure un tempo sembrava

che sarebbe stato sempre il contrario)

(C) by Paolo Statuti