Archivio | marzo, 2016

Versioni di due poesie di F.I. Tjutcev a confronto

23 Mar
Fjodor I. Tjutcev

Fjodor I. Tjutcev

 

 

Come traduttore di poesia di età avanzata e di memoria ormai capricciosa, ho tradotto, non volendo, due volte due poesie del grande poeta russo F.I. Tjutčev. Le pubblico qui entrambe, come esempio di duplice versione di una poesia da parte dello stesso traduttore (cosa credo piuttosto insolita), offrendo così ai lettori una possibilità di scelta.

 

 

Fjodor Ivanovič Tjutčev (1803-1873)

 

Silentium!

Taci, cèlati e nascondi

I tuoi sentimenti più profondi,

Che nel fondo del tuo cuore

Brillano e fuggono alle prime ore,

Silenti, come stellari faci –

Sappi ammirarli e taci.

 

Come il tuo animo si mostrerà?

Come ad un altro si svelerà?

Di che tu vivi saprà capire?

Pensiero espresso è già mentire.

Sappi le fonti pure mantenere,

Sappi nutrirti di esse e tacere.

 

Sappi vivere solo in te stesso!

In te c’è un intero universo

Di pensieri magici e arcani

Che il rumore esterno rende vani,

Che la luce del giorno non fa vedere –

Sappi ascoltarne il canto e tacere!..

 

Silentium!

Taci e nascondi se puoi

I sentimenti e i sogni tuoi!

Che dal fondo del tuo cuore

Essi spuntino con splendore,

Come di notte le stelle:

Taci e ammirali come perle.

 

Come a un cuore ti puoi scoprire?

Come un altro ti può capire?

Capirà come vivi davvero?

Il pensiero detto non è più vero.

Scavando offuschi le fonti:

Cibati e il pensiero nascondi!

 

In te stesso vivi da solo!

Nell’animo hai tutto un mondo

Di occulti e incantati pensieri;

Li soffoca il chiasso esteriore,

La luce del giorno li acceca:

Ascolta il loro canto e taci.

1830

 

Sera autunnale

C’è nella luce delle sere autunnali

Un amorevole, misterioso addio…

Un sinistro bagliore, degli alberi le tinte.

Delle foglie porporine il lieve fruscio;

L’azzurro velato e silenzioso

Sulla terra orfana tristemente,

E, come presagio di vicine tempeste,

A volte un vento freddo e veemente;

Languore, spossatezza, e su tutto

Quel dolce sorriso dell’appassimento,

Che in un essere ragionevole si chiama

Il nobile pudore del patimento.

 

Sera d’autunno

Nel chiarore delle sere autunnali

C’è un dolce misterioso incanto:

Il tetro brillìo degli alberi screziati,

Il mesto fruscìo delle foglie amaranto.

L’azzurro offuscato e silenzioso,

Sulla terra che orfana diventa,

E, come presagio di vicine bufere,

A volte un freddo impetuoso vento.

Stanchezza, sfinimento – e su tutto

Il mite sorriso dell’appassire,

Che in un essere ragionevole si chiama

Il nobile pudore del soffrire.

1830

(Versioni di Paolo Statuti)

 

 

 

La scuola polacca del radiodramma

7 Mar

 

 

   Lo sviluppo del radiodramma in Polonia ha inizio il 29 novembre 1925 con la trasmissione del dramma Warszawianka (La Varsaviana) di Stanisław Wyspiański. I primi autori di radiodrammi furono scrittori, traduttori e registi, e per la loro realizzazione vennero impiegati i migliori attori e compositori. Nel periodo tra le due guerre troviamo radiodrammi come adattamenti di testi letterari e drammatici, ad opera ad esempio di Leon Schiller, Juliusz Osterwa e Wilam Horzyca, nonché radiodrammi originali, scritti da illustri letterati, quali: Czesław Miłosz, Józef Czechowicz, Bolesław Leśmian, Julian Tuwim, Jarosław Iwaszkiewicz, Sofia Nałkowska, Leopold Staff, Antoni Słonimski, Jerzy Szaniawski e altri ancora.

L’”età matura” del teatro radiofonico polacco si fa coincidere con l’anno 1957 (preceduto dal generale risveglio intellettuale del paese nel 1956), quando venne bandito il primo Concorso Nazionale dopo la guerra per un radiodramma originale. In quella occasione fu scoperto il talento di scrittore radiofonico del poeta Zbigniew Herbert, premiando il suo testo Drugi pokój (La seconda stanza).

Un critico tedesco e traduttore di radiodrammi ricordava così il 1957 nello sviluppo della scuola radiofonica polacca: “Appare evidente che il radiodramma polacco si allontana sempre più dal teatro e si avvicina alla letteratura” – letteratura intesa come “arte della parola”, come innalzamento del suo valore estetico. Non è un caso che a partire dal 1957 sia tanto cresciuto il numero dei poeti che hanno scritto radiodrammi.

Nel dopoguerra la scuola polacca del radiodramma sviluppò un suo proprio modello, ponendosi a fianco di altri generi e stili. Tra le più importanti caratteristiche dei radiodrammi di questo periodo ci furono, da una parte l’apertura alla sperimentazione e alla flessibilità, dall’altra la documentazione della realtà con la difficile situazione dell’individuo. La denominazione “scuola polacca del radiodramma” si deve soprattutto al coraggio, sia dal punto di vista del contenuto, sia formale, alla sensibilità e apertura alla verità psicologica, nonché ai valori morali. Per queste sue caratteristiche il radiodramma polacco diventò uno dei più apprezzati in Europa. Lo sviluppo dell’arte radiofonica fu favorito anche dalla difficile situazione del teatro e soprattutto dall’ostilità politica per una creazione teatrale intellettualmente indipendente. Rifugio per gli autori destinati a essere estromessi dalle scene diventò proprio la radio. Fra i temi trattati dal teatro radiofonico, in particolare negli anni ’70 e ’80, prevalevano l’atteggiamento dell’individuo di fronte alla guerra, le tragedie personali e nazionali e l’emigrazione. Oggetto di particolare interesse dei creatori del radiodramma del dopoguerra è quindi anzitutto l’uomo, le sue concezioni, i dilemmi, le inquietudini, le scelte (spesso assai difficili e non sempre appropriate)…

Paulina Kierzek

 

Nella mia versione esistono i seguenti quattro radiodrammi molto noti in Polonia e in altri paesi, ma non mi risulta che lo siano anche in Italia:

 

Jerzy Szaniawski

Jerzy Szaniawski

 

 

L’orologio di Jerzy Szaniawski (1886-1970), drammaturgo e prosatore.

 

4 personaggi: Il principale (Arten), Jan, l’avvocato, la signora

 

   Trama: Il giovane Jan lavora nella bottega di un orologiaio e viene ingiustamente accusato da quest’ultimo del furto di un prezioso orologio. Apparentemente i sospetti dell’orologiaio sono giustificati e Jan viene licenziato. Anni dopo Jan riceve una lettera da una signora che lo invita a recarsi da lei. E’ la sorella della moglie dell’orologiaio deceduta cinque anni prima. In punto di morte ha chiesto alla sorella di rintracciare Jan e di dirgli che l’orologio lo aveva rubato lei. Particolarmente interessante è il racconto di come la moglie dell’orologiaio sia riuscita astutamente a rubare l’orologio senza destare il minimo sospetto su di sé. La donna aveva un giovane amante e ha rubato per pagare un debito del ragazzo. Arten, ormai vecchio, amava molto la moglie e non sa che lei lo tradiva. Ogni domenica va a visitare la tomba della consorte e le porta i fiori. Venuto a conoscenza della verità, il primo impulso di Jan è quello di mettere subito le cose in chiaro con il suo ex principale e va a trovarlo. Arten è sempre convinto che Jan abbia rubato l’orologio, malgrado ciò Jan rinuncia a svelare al vecchio il comportamento della moglie. Paga quindi il presunto valore attuale dell’orologio e mette i soldi nella cassettina con la scritta: “Per l’ospizio dei vecchi orologiai”. “Lei si stupisce? Per quale motivo dovrei darli a lei? L’orologio non l’ho rubato io!” Il finale altamente drammatico è un capolavoro di psicologia e di originalità.

 

Jerzy Krzysztoń

Jerzy Krzysztoń

 

 

 

Maledetto acquazzone di Jerzy Krzysztoń (1931-1982), drammaturgo e prosatore.

 

2 personaggi: Il signore bagnato, il signore asciutto

 

Trama: Piove a dirotto. Un signore sta all’asciutto sotto una piccola tettoia in grado di riparare una sola persona. Arriva un signore già bagnato. Dialogo tra i due. Il signore bagnato vorrebbe che quello asciutto si spostasse un po’ e permettesse anche a lui di ripararsi, ma l’altro replica che così facendo si bagnerebbero entrambi. Poi propone di ripararsi a turno per una questione di giustizia sociale, di bene comune, di solidarietà nel bene e nel male. I due discutono e litigano adducendo argomenti diversi, offendendosi a vicenda con un crescendo di comicità. Alla fine il signore bagnato, visto che facendo la voce grossa non riesce ad ottenere niente, cambia tattica e comincia a lusingare il signore asciutto, che alla fine commosso dalle parole del primo, gli cede il posto sotto la tettoia. Poi lo invita a casa sua a bere un goccio e ascoltare un po’ di musica, credendo di aver trovato un amico. Ma il signore bagnato una volta raggiunto il suo scopo lo caccia via in malo modo.

 

Stanisław Grochowiak

Stanisław Grochowiak

 

 

 

I capricci di Lazzaro di Stanisław Grochowiak (1934-1976), poeta, drammaturgo, prosatore, saggista

 

8 personaggi: Il nonno, la vecchia, il figlio maggiore, il figlio minore. la nuora, il

prete, il dottore, il chierichetto

 

Trama: In una casa di campagna Jacenty, vecchio terribile, sta morendo, o almeno tutti pensano che sia così. Ma come dice il titolo, il nonno dato per spacciato (Lazzaro) “fa i capricci”. Il prete è già stato da lui cinque volte con il viatico, il dottore chiede di non essere più chiamato “a meno che non muoia”, i figli malgrado siano in pieno raccolto perdono il loro tempo prezioso al suo capezzale. Il nonno dice che non morirà, finché i parenti non giureranno di seppellirlo nella sua vecchia terra oltre il fiume Bug (passata all’URSS dopo la guerra). Il prete cerca di convincerlo e arriva perfino a cedergli la propria tomba che si era riservata nel cimitero della chiesa. Ma il vecchio la rifiuta. Il prete lascia la casa del moribondo dicendo che tornerà soltanto quando il vecchio sarà morto. Improvvisamente da dietro la porta della stanza i parenti sentono che il nonno si sta vestendo, poi comincia ad imprecare perché manca un bottone alla manica, le mutande sono strappate, non trova la cravatta nera e la spilla d’oro…La vecchia e i figli pensano che il nonno si sia deciso finalmente a morire e mandano a chiamare il prete. La porta della stanza si apre con fragore e sulla soglia appare Jacenty. Si lamenta che ha fame, gli duole un dente e ha i capelli lunghi. Il vecchio conferma che non vuol morire. Arriva il prete e tutti scappano temendo una sua scenata, lasciando il vecchio solo. Jacenty dice al prete di volersi recare in parrocchia per dare un’occhiata alla tomba da lui cedutagli. Il prete propone di “ricomprarla” per due fiaschi di vino, che naturalmente il vecchio e il curato berranno insieme.

 

Ireneusz Iredyński

Ireneusz Iredyński

 

 

 

La radio di Ireneusz Iredyński (1939-1985), prosatore, drammaturgo, poeta

 

3 personaggi: Bodzio, Olo, l’infermiera

 

Trama: L’anziano Bodzio e il giovane Olo sono ricoverati da due anni nella stessa stanza di una casa di cura. Apparentemente i due non si sopportano e si scambiano insulti (più Bodzio che Olo). La radio si è guastata e Bodzio suona insistentemente il campanello per chiamare l’infermiera. Quando arriva le dice che deve assolutamente ascoltare la radio. Lei gli promette di portargli la radiolina che è nella stanza del medico. I due continuano ad offendersi reciprocamente. Olo non ha mai ricevuto la visita di nessuno, né alcuna lettera, ma racconta a Bodzio di avere un padre, una madre e che saranno presenti al suo funerale se dovesse morire. Dice che il padre è un grande scrittore, ma lui ha proibito ai genitori di fargli visita, perché la sua vita ormai è lì nella casa di cura e non vuole aver niente a che fare con il loro mondo. In realtà Olo è solo, come del resto lo è Bodzio. L’infermiera tarda a portare la radio e Bodzio è sempre più nervoso e impaziente. Finalmente l’infermiera porta la radiolina. Appena in tempo. Sono le quattro. Lo speaker annuncia: “Vi invitiamo ora all’ascolto di un concerto augurale”. Tra i vari auguri i due ascoltano anche questo: “Ad Aleksander (Olo) Lipaki che si trova nella casa di cura di Zambowice in occasione del compimento del ventesimo anno di età esprimono tutto il loro amore i suoi genitori”.

Bodzio: Sono auguri per te, Olo.

Olo: Bodzio, io non ho famiglia. Sono cresciuto nella Casa del Fanciullo…Lo so…hai mandato tu quegli auguri.

Bodzio: Se li hanno trasmessi vuol dire che hai una famiglia.

 

I quattro testi completi di questi radiodrammi sono a disposizione di eventuali registi interessati a metterli in scena, previo accordo con chi possiede i diritti di autore.

(C) by Paolo Statuti

Boris Pasternak: Due poesie per questo mese di marzo 2016

3 Mar

 

La Pasqua russa

La Pasqua russa

La Pasqua russa

La Pasqua russa

Simon Ushakov, "L'Ultima Cena", 1685

Simon Ushakov, “L’Ultima Cena”, 1685

 

 

Boris Pasternak è già ampiamente presente nel mio blog. Inoltre nel 2014 Gianmario Lucini (CFR) – un amico che non smetterò mai di rimpiangere, ha pubblicato 30 poesie di Pasternak nella mia traduzione. Oggi presento la mia versione di due poesie di Pasternak, come omaggio alla vicina primavera, e come devoto pensiero rivolto alla imminente Settimana Santa. Esse sono tratte entrambe dal ciclo Poesie di Jurij Živago.

 

Marzo

 

Al sole si sudano sette camicie,

E si agita, stordito, il burrone.

Come il lavoro di robusta mandriana,

Fervono le mani della primavera.

 

Langue la neve malata di anemia

Nei rametti inerti di vene azzurrine.

Ma fuma la vita nella stalla delle mucche,

E di salute scoppiano i denti dei forconi.

 

Che notti, che giorni e che notti!

Il ticchettio delle gocce a metà giorno.

I cachettici ghiaccioli dei tetti,

Dei ruscelli insonni il cicaleccio!

 

Tutto è aperto, la scuderia e la stalla.

I colombi nella neve beccano l’avena,

E tutto genera e vivifica

L’odore fresco del letame.

1946

Nella Settimana Santa

 

Intorno ancora la nebbia notturna.

Ancora nel mondo è così presto,

Che il cielo pullula di stelle

E ognuna, come il giorno, è luminosa,

E se solo la terra potesse,

Dormirebbe il giorno di Pasqua

Alla lettura del Salterio.

 

Ancora intorno la nebbia notturna.

Ancora è così presto nel mondo,

Che la piazza giace coricata

Come in eterno da tutti i lati,

E mille anni ancora la separano

Dall’alba e dal calore.

 

Ancora la terra è completamente nuda,

E di notte essa non ha niente

Per far oscillare le campane

E fare eco ai coristi dall’esterno.

 

E dal Giovedì Santo

Fino al Sabato Santo

L’acqua perfora le rive

E intesse mulinelli.

 

E il bosco è spoglio e scoperto,

E sulla Passione di Cristo,

Come folla in preghiera,

Veglia la turba dei tronchi di pino.

 

Ma in città, in un piccolo

Spazio, come a una riunione,

Gli alberi guardano muti

Le grate della chiesa.

E il loro sguardo è preso dal terrore.

E’ comprensibile il loro sgomento.

I giardini escono dai recinti,

Vacilla il sistema terrestre:

Seppelliscono Dio.

 

E c’è la luce nella porta regia,

E il nero manto, e la fila di candele,

Volti rigati dalle lacrime –

E a un tratto la processione viene

Incontro col lenzuolo tombale,

E due betulle presso la porta

Devono tirarsi da parte.

 

E il corteo gira intorno alla chiesa,

Riempie il marciapiede fino al bordo,

E porta dalla strada sul sagrato

La primavera, le ciarle primaverili

E l’aria che sa di prosfora

E di ebbrezza di primavera.

 

E marzo sparge la neve

Nell’atrio sulla folla degli storpi,

Come se qualcuno fosse uscito

Portando l’arca e l’avesse aperta

Distribuendola a tutti.

 

E il canto dura fino all’alba,

E, dopo aver tanto singhiozzato,

Giungono sommessi dall’interno

Nel luogo vuoto sotto i fanali

Il Salterio e l’Apostolo.

 

A mezzanotte taceranno la creatura e la carne,

Avendo udito la voce primaverile,

Che appena tornerà il sereno –

La morte si potrà sconfiggere

Con lo sforzo della resurrezione.

 

1946

 

(C) by Paolo Statuti

 

 

 

 

Józef Czechowicz

1 Mar

 

 

 

 

 

 

Józef Czechowicz

Józef Czechowicz

 

Józef Czechowicz nacque a Lublino il 15 marzo 1903. Scrittore, drammaturgo, critico, traduttore e soprattutto poeta di avanguardia nel ventennio tra le due guerre, co-fondatore del gruppo poetico Reflektor e della omonima rivista, dove nel 1927 apparve la prima raccolta delle sue poesie Pietra, accolta assai favorevolmente dalla critica. Nel 1920 partecipò come volontario alla guerra polacco-bolscevica. Negli anni ’30 riunì intorno a sé un cospicuo numero di poeti della seconda avanguardia (tra i quali Stanisław Piętak, Bronisław Ludwik Michalski, Józef Łobodowski). Redattore di molte riviste letterarie e per l’infanzia, collaborò anche con la Radio Polacca scrivendo radiodrammi. Nel maggio del 1932 il poeta insieme con Franciszka Arnsztajnowa fondò l’Unione dei Letterati di Lublino.

Józef Czechowicz è uno dei poeti più originali del suo tempo. Nei suoi primi versi egli crea un’atmosfera onirica e di serenità. Tutte le sue poesie provocano una forte suggestione ipnotica. Descrive il paesaggio della campagna, in cui un ruolo determinante è svolto dalla natura che circonda l’uomo da ogni lato. Il soggetto lirico vede il fiume, il campo, la segala, il bestiame che torna dal pascolo. Perfino il sogno profuma di fieno. Il poeta con descrizioni metaforiche agisce sui sensi – si serve dei colori, dei suoni, degli odori.

Ma alla vigilia della seconda guerra mondiale l’ammirazione della natura nella creazione di Czechowicz lascia lentamente il campo al catastrofismo. Nelle sue visioni profetiche si avvertono l’inquietudine e i timori per le sorti del mondo e dell’uomo. Appaiono motivi e simboli apocalittici ripresi dalla Bibbia: fumo, incendio, diluvio. Cresce il senso di solitudine.

Nella sua ultima raccolta Nota umana troviamo il presentimento della morte, riconosciuto poi come profetico. Czechowicz infatti morì il 9 settembre 1939, a soli 36 anni, nella sua città natale durante un bombardamento. La sua poesia è straordinariamente musicale. Egli si considerava un “virtuoso della musicalità”. Il mondo poetico di Czechowicz è rappresentato soprattutto dalla campagna e dal villaggio e le principali tonalità psichiche sono la moderazione, la tenerezza e l’insicurezza. Il timbro affettivo dominante è il rammarico, l’elegia e la principale ossessione è la morte. Arcadia e Catastrofe coesistono e si incrementano a vicenda.

Nel 1955 i poeti Seweryn Pollak e Jan Śpiewak, dando alle stampe una raccolta di poesie scelte di Józef Czechowicz, scrissero: “gli amanti della poesia leggono e leggeranno i suoi versi con autentica commozione. Si avverte in essi un soffio di onestà, una toccante nota profondamente umana”.

Forse soprattutto per questo il poeta Józef Czechowicz mi è particolarmente caro.

P.S.

Poesie di Józef Czechowicz tradotte da Paolo Statuti

 

Nel paesaggio

 

il fruscio dei castagni in basso il canto marino

si spengono al crepuscolo le candele degli alberi in fiore

la strada nel bosco in faccia al sole s’indora doppiamente

di fruscio e di sera scuriscono i recessi

dondolandosi come erba rigogliosa

le ragazze snelle sui cavalli

 

 

un colle all’incrocio dei viottoli

là una cappellina fresca come corallo

nella penombra una croce là un angelo

gli ex voto abbandonati dei pescatori

una stagione dimenticata da tempo

in un vaso spezzato è ammuffita la morte dei papaveri

 

il mare mormora i castagni

i cavalli con gli zoccoli intorbidano l’oro sull’acqua

di quelle che vanno una ha alzato la mano

e dà il segnale movendolo in aria come remo

perché è rimasto presso la cappella un puledro smarrito

ha guardato dentro ha toccato col morbido labbro la porta

ha nitrito puerilmente in alto non si sa che cosa

1932

 

Preludio

 

1

all’alba sono esplosi gli uccelli dei terreni di ottone

una donna snella ha portato il chiarore sulla testa

2

campane insaziabili culle musicali

ricordare ricordare dimenticare

3

o soffio rosato come viso di bambino

o fiammella che recide l’erba bassa

con lo scuro fiore di papavero farò un cenno

l’immobile profumo mi colpirà e morirò

4

un cervo sta presso la fonte il ruscello sussurra ave

 

Via Szeroka

La banderuola sul tetto canta.

Striscia il ragno della prima stella.

Le lanterne nei neri alberi,

dondolandosi,

luccicano.

 

Un caldo aroma fluisce dai forni,

e il silenzio dai portoni chiusi.

Se un cane nel lontano sobborgo non abbaiasse,

saresti solo – come mai.

 

Solo, forse ancora col fiumicello,

che non si sente,

benché forse in questa chiara notte d’azzurro

anch’esso – amante dei cieli –

dal crepuscolo al mattino

di sicuro sospira

tra le mura.

 

La musica di via Złota

Il cielo cambia, benché la sera non si sia quietata,

il vento bisbiglia ancora, prima di assopirsi.

Il vento fruscia di violetto.

Il vento – non più vento – un sorriso.

 

Dalla via Domenicana il canto di un coro;

le fanciulle lodano Maria.

Dall’arcidiaconato per accompagnamento

arie di un solitario violino.

 

Silenzio musicale delle case

congiunte con l’arco dell’iride,

sulla fronte della chiesa un raggio

ricade come ciocca.

 

E adesso qualcuno ha teso il silenzio,

batte in esso col pugno di bronzo

la campana serale

grondando di forza del metallo

prende a sonare sotto la croce della chiesa:

uno – due – tre – – – –

 

1934

Attraverso i confini

 

con monotonia il cavallo solleva la testa

la criniera ritmicamente ogni istante ricade

ruote ruote

erbe

 

tintinna l’assonnata semivita

lungo un viottolo erboso del bosco

in basso in basso

nel campo

 

al crepuscolo nella stoppia inciampa

la luna rossa e scura

io grido

dorata focaccia

 

non c’è niente neanche il sonno solo lo stridio delle ruote

la notte nebbiosa lunga veglia

io grido focaccia dorata

io grido le ruote in basso nel campo focaccia dorata

 

1932

 

In campagna

 

Il fieno profuma di sogno

il fieno profumava nei vecchi sogni

i pomeriggi in campagna riscaldano di segala

il sole suona il fiume di balenanti lamiere

vita – campi – trama di fili dorati

 

Di sera attraverso il cielo una passerella

la sera e il vespro

le mucche da latte tornano alle fattorie

a ruminare nel trogolo colmo di crepuscolo

Di notte sotto i bracci delle croci nei bivi

si spande l’azzurra tarlatura delle stelle

nuvolette siedono davanti alla soglia del prato

sono sfere di bianca peluria

un soffione

 

la luna si reca a lavare fazzoletti argentei

i grillini stridono nelle biche

non c’è di che aver paura

 

Il fieno profuma di sogno

celata è in esso una melodia religiosa

mi accosta guance infantili

protegge dal male

 

1927

 

Sogno idilliaco

 

dal soffitto della notte che pende

attraverso il fruscio di ranuncoli e artemisie

il gorgoglio della pioggia sbufferebbe come incubo

ma sono note le parole di scongiuro zolfo

lanute criniere di cavalle

 

la Vergine Maria camminava tra le stelle

leniva la Vergine Maria il bruciore delle anime sofferenti

ed io sto nel tuono temo la mezzanotte

perché restate con chi dorme e con i sogni

non tormentate andate via dove volete

corvi lupi orsi cervi

amen

 

o tenebra così limpida adesso

ha brillato sulla veranda il tuo pettine d’argento

questo quieto parlare nel fosso

è il calamo

annuncia la confessione d’acqua

le stelle mariane terge con le dita

e a noi come parlare quando dietro il vetro – il frutteto

e più lontano arnie terreni di aneto e di carote

 

purificaci chiunque e ovunque tu sia

andate via da noi opere di uomini e animali

per questo ci inginocchiamo nella paglia come morti

da innumerevoli anni

 

1939

 

Cervello di anni 12

 

nembi più in alto più in basso le note

sguazzano sciolte nell’azzurro

sguazzano anche le mie scarpe

in un rivo di vento d’estate

 

le nicchie coi san giovanni

in una coroncina di erba appassita

raggiunte da una nube

inattesa di farfalle

 

più oltre lungo la strada verso il prato

su una collina d’argilla

va al ferrovia

il convolvolo ha superato i binari

 

fino al prato il sentiero s’incurva

giù dal terrapieno

calpestando l’erba del fiume

un ragazzino nudo spumeggia

là dove i pini finiscono

coprendo la città

getta cento esili piccole mani

il cervello di anni 12

 

tra gocce di fiordaliso

sulle scaglie dell’onda

svolazza il vivace capriccio

di uno snello torso-spirale

 

un grido o mezzodì o torrente

bocca e pugni pieni del grido

nell’estasi del sole come motore

brucia il cervello di anni 12

 

guardo il giorno va oltre il mezzodì già asimmetrico

presto la sera si stenderà come montagna

il vento ha mosso l’erba ma non i camini della fabbrica

l’oro del fiume diventerà grigio

 

ragazzo ragazzo domani o dopodomani

la nuda gioia che non è lievito di vita

si chiuderà per sempre come a chiave

nel 1936 guarderai il fiume da sotto l’elmo

 

1930

 

Rimpianto

 

la testa che imbianca e splende come doppiere

quando trasvolano i nastri argentei dei venti

porto nei fondi delle stradine

le rondini garriscono sul fiume

è poco va’

 

andare guardare sogni festini scene

di sinagoghe i vetri in frantumi

la fiamma che ingoia le grosse gomene

la fiamma d’amore

la nudità

 

ascoltare dei popoli affamati il ruggito

che è voce diversa dal pianto degli affamati

cala la sera di questo mondo

le narici fiutano la rossa mungitura

dal bruciante diluvio

ci chiediamo a vicenda chi sei

 

in tutti noi mirabilmente moltiplicato

sparerò a me stesso e morirò più volte

io nel solco con l’aratro

io tra i codici giurista

dal grido gas soffocato

io assopita tra i ranuncoli

e bambino torcia umana

in chiesa da una bomba colpito

e impiccato incendiario

io nera crocetta nelle lettere

 

o mietiture di rombi e di lampi

riuscirà il fiume a togliersi la ruggine di sangue fraterno

prima che i pilastri delle città si risolleveranno

giungerà allora un turbine di rondini

sibilerà sulla testa un’ala attraverso un’oscurità d’uccelli

va’ va’ oltre

 

1939

 

 

 

Nei pressi della stazione centrale di Varsavia

 

dalle finestre bagliori

nel nichel il buffet regnava

la fontanina dei fiori

verso il soffitto sprizzava

 

ondeggiano là le tendine

sfondo all’ombra dei grassoni

nell’alba avvolta di brine

e nell’ora dei lampioni

 

alcolica sinfonia

fughe di verdure e pane

sonate nell’agonia

serpeggia una viva fame

 

una fame latra sputa

un’altra spezza le dita

una terza cosa fiuta

nell’androne intimorita

 

facce della fame irsute

dai molti occhi diversi

son le lune decadute

di abbandonati universi

 

tossiscono sopra il pelo

di una sciarpa logorata

 

per esse io vi rivelo

Gerico sarà annientata

 

1939

 

(C) by Paolo Statuti