Archivio | agosto, 2016

Elizabeth Barret Browning (1806-1861)

21 Ago

 

Elizabeth Barret Browning

Elizabeth Barret Browning

 

Tante volte mi chiedo: ma esiste l’Amore? Esiste davvero? Probabilmente sì, se tanti grandi poeti l’hanno celebrato. Tra i loro sospiri amorosi spiccano quelli di Elizabeth Barret Browning. Ecco il suo celebre sonetto 43 nella mia versione.

 

Come ti amo?

Come ti amo? Ti amo in tante maniere.

Con la più grande altezza e profondità

Che la mia anima raggiungere saprà,

Finché l’Essere e la Grazia potrò vedere.

Io ti amo nel bisogno quotidiano,

Al  lume di candela e sotto il sole.

Come chi lotta perché il Bene vuole;

In modo libero e puro io ti amo.

 

Con l’amore provato nel dolore,

Con la fede dell’infanzia ormai lontana.

Con la passione che sembrava sparita,

Col riso e col pianto e l’amore più forte,

Col respiro di tutta la mia vita!

E ti amerò di più dopo la morte.

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

Chaurapanchasika

18 Ago

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Chaurapanchasika  è considerato uno dei più bei poemi d’amore  di tutti i tempi. Comprende 50 brevi strofe e ciascuna di esse inizia con adyápi (anche ora). Secondo il poeta, traduttore e drammaturgo inglese Tony Harrison, questa parola: “produce l’effetto di una campana funebre e del battito del cuore del condannato a morte. Nella pausa tra anche ora e la strofa che segue, il suono della campana rievoca alla sua coscienza il voluttuoso amore vissuto.” E’ la storia dell’amore furtivo di un giovane di talento, scelto dal re Sundava del Kanchipur per istruire la figlia Vidya. Per evitare ogni sviluppo romantico tra i due, il re disse alla principessa che il suo tutore era lebbroso, mentre disse al giovane che la sua allieva era cieca. Tuttavia il trucco durò poco e nelle due giovani anime sbocciò l’amore. Quando il re venne a saperlo imprigionò e condannò a morte il giovane. Egli trascorse le sue ultime ore componendo questo poema, in cui ricorda la bellezza dell’amata e le gioie della passione.

Nei vari manoscritti conservati negli archivi indiani e di altri paesi, esistono diverse versioni di questa “raccolta di strofe”, come qualcuno ha voluto definirla, sotto il nome di Chaurapanchasika o Bilhanapanchasika, tuttavia gli studiosi considerano come fondamentali due versioni: quella del Kashmir e quella dell’India meridionale, nelle quali soltanto 7 strofe sono comuni a entrambe. Nel 1971 è uscito il libro della nota studiosa di letteratura sanscrita Barbara Miller Phantasies of a Love-Thief. The Caurapancasika attributed to Bilhana (Columbia University Press), dove c’è la traduzione letterale dal sanscrito di queste due versioni. Consultando anche altre traduzioni in inglese e francese, ho rilevato che esse divergono più o meno tra loro per il numero e la lunghezza delle strofe e per il loro contenuto. Si ha insomma l’impressione che da un ceppo originario siamo scaturite differenti “schegge”. Esiste ad esempio anche una traduzione anonima russa di sole 41 strofe, che sembra sia stata tradotta da una delle lingue europee, anziché dal sanscrito.  Inoltre la leggenda ha conclusioni diverse: quella più lieta vede il giovane rimesso in libertà e il suo matrimonio con la principessa, dopo aver letto il suo poema al re, e quella più triste che termina con la morte dell’amante segreto per mano del carnefice.

Ci sono varie opinioni sulla paternità di questo poema, tuttavia esistono fondati motivi per attribuirlo a Bilhana, poeta del Kashmir dell’XI secolo, ricordato soprattutto per il suo poema storico Vikramankadevacarita (Le gesta del re Vikramaditya).

Nell’inverno del 1915 il poeta inglese Edward Powys Mathers tradusse il poema di Bilhana e lo intitolò Black Marigolds (I neri garofani d’India). La prima edizione uscì nel 1919 e nel 1929 fu inserita nell’antologia della poesia mondiale curata dal poeta americano Mark Van Doren (Anthology of World Poetry). Edward Powys Mathers nacque da una famiglia cinese che viveva a Forest Hill (Londra) il 26 agosto 1892 e morì il 3 febbraio 1939. All’inizio della I guerra mondiale si arruolò volontario nell’esercito britannico, ma qualche mese dopo, per motivi sconosciuti, fu congedato. Della sua produzione poetica e della sua vita si sa poco. Nella prefazione al suo lavoro Mathers scrive: “Più che una traduzione, considero questa mia opera una interpretazione, un tentativo di rendere in inglese lo spirito di mesta esaltazione di cui è saturo il testo originale in sanscrito.”  Quella di Mathers è considerata una traduzione libera e piuttosto come un’opera originale, scritta sotto l’influenza e come imitazione del poema indiano.

Per la mia versione ho preso in esame soprattutto due traduzioni dal sanscrito: quella inglese di Edward Powys Mathers, 8 strofe della quale furono inserite da John Steinbeck (1902-1968) nel suo romanzo Cannery Row (Vicolo Cannery), e quella francese di Hippolyte Fauche (1797-1869).

In italiano mi risultano queste due traduzioni dal sanscrito:

Il canto del ladro d’Amore, a cura di Giuseppe De Lorenzo, R. Ricciardi, 1925 e

Ladro d’amore. Caurapancasika attribuito a Bilhana, a cura di Giuliano Boccali, Vanni Scheiwiller, 1979. Di queste due versioni non ho tenuto alcun conto per evitare ogni possibilità di plagio.

Sono felice di avere scoperto questo capolavoro della poesia erotica che mostra tutta la gamma dell’amore e un intero mondo di colore, luce, passione che stimola i sensi e suscita emozioni. E sono soprattutto felice di poter contribuire a farlo conoscere ai lettori italiani.

 

Ecco la mia versione:

 

 

Chaurapanchasika – Il canto del ladro d’Amore

 

1

Anche ora,

tutti i miei pensieri volano alla figlia del re

in ghirlande di magnolie dorate,

tutti i miei pensieri vanno a lei,

come a una scienza perduta,

fuggita dalle menti umane,

cercando di riportarla nella mia anima.

 

2

 

Anche ora,

se penso alla sua immagine,

al suo viso come loto sbocciato,

al suo seno come due frutti

ricolmi di dolce succo,

al suo corpo ferito

dalle frecce dell’amore,

il mio cuore è come sepolto nella neve.

 

3

 

Anche ora,

se rivedessi la mia fanciulla

dai grandi occhi di loto, di nuovo

l’abbandonerei alle mie bramose braccia,

a questi frementi gemelli che ora stringono

nel buio un gelido nulla, di nuovo

berrei il nettare inebriante

dalle sue morbide labbra,

come un’ape nella sua folle ebbrezza

ruba il miele a un fiore di ninfea.

4

 

Anche ora,

la ricordo esausta dal peso del giovane amore,

ricordo lo sciame di riccioli che cadevano

sulle pallide guance, come a celare

il segreto della colpa, ricordo

i suoi piccoli piedi armoniosi e le morbide braccia

che cingevano come edera il mio collo.

 

5

 

Anche ora,

ricordo il suo viso acceso da improvviso pudore,

trasformato dall’insonnia amorosa,

i suoi grandi occhi lucenti come tremule stelle,

e tutta la notte vaganti come uccelli rosa

che sfiorano le acque dell’amore

in un raccolto di loto.

 

6

 

Anche ora,

se rivedessi le sue membra soavi

che la mia lunga assenza

ha gettato nella febbre,

il mio amore per lei sarebbe corde di fiori,

e la notte un amante dai capelli neri

sul seno del giorno.

 

 

 

 

 

7

 

Anche ora,

sento il suono del flauto,

vedo le sue labbra color papavero,

il suo corpo fremente al ritmo dell’amore.

Tacita e incantevole come luna piena,

ninfa dal florido seno che danza avvolta

nella criniera dei suoi capelli al vento.

 

8

 

Anche ora,

la ricordo nel suo letto

fragrante di muschio e di sandalo.

I miei occhi che presto non vedranno più

rivedono le campanule d’oro

che pendono dalle orecchie

e battono sulle guance di magnolia;

i seducenti occhi simili a due fringuelli

che si baciano coi becchi immersi a turno

nelle piccole avide bocche.

 

9

 

Anche ora,

l’austera ruvidezza dell’amore

sul suo corpo docile e delicato,

tormenta la mia memoria.

La rivedo nell’ora che incorona l’amore,

rossa per il vino gustato dalle sue labbra,

il corpo lieve, i grandi occhi accesi,

le membra che profumano

di muschio e di legno del Kashmir.

 

10

 

Anche ora,

ricordo il lontano viso splendente come oro,

imperlato dal sudore, gli occhi ardenti di desiderio,

che svelavano la fatica della voluttà.

Ricordo il viso raggiante, come disco lunare,

quando Rahu smette di nascondere i suoi raggi

con la sua ombra scura.

 

11

 

Anche ora,

la morte mi conforta col ricordo

delle sue ciglia vellutate

e dei piccoli fiori rossi del suo seno.

Ed è presente al mio animo

la parola “Addio”, che al momento

di lasciare la figlia del re,

quella notte, chino su di lei,

io le sussurrai nell’orecchio.

 

12

 

Anche ora,

i miei occhi che non guardano più intorno

mi mostrano il viso della mia diletta perduta,

le guance accarezzate dai riccioli neri.

O soffice, bianca, mirabile pergamena,

dove le mie povere labbra ora lontane,

nella notte lunare, scrivevano versi di baci

che non scriveranno più.

 

13

 

Anche ora,

lottando con la morte, mi appare il tremolio

delle palpebre delicatamente incipriate,

tutta la dolce immagine del corpo

spossato dai moti ripetuti della gioia,

i fiori rosa dei palpitanti capezzoli

sul bordo della tunica,

la freschezza delle labbra scarlatte,

segnate dai miei baci voluttuosi.

 

14

 

Anche ora,

in un fresco scroscio di acque a primavera,

le sue dita rosse come fiori di asoka,

le perle della collana che baciano

le seducenti punte dei seni,

le sue amabili pallide guance,

dove si riflette un sorriso interiore,

il suo languido passo di cigno:

mi ricordano la mia diletta fanciulla.

 

15

 

Anche ora,

rivedo i segni delle mie unghie,

lasciati sulle morbide anche,

lucenti di polvere dorata,

il suo splendente abito di fili d’oro

e il suo incedere regale.

 

 

16

 

Anche ora,

che il mio cuore è spezzato

e sento crollarmi addosso

le pareti della mia prigione,

vedo una luce e in quella luce

la mia fanciulla si muove,

i piedi e le braccia ornati

di cerchietti d’oro, i suoi occhi

abbelliti dal collirio vagano lontano,

i denti sono fili di perle

nel cinabro delle labbra.

 

17

 

Anche ora,

ricordo il nastro della treccia slegato

e la ghirlanda appassita,

il sorriso sulle sue labbra

dolce come l’ambrosia,

la coppia dei seni alti e sporgenti

che baciano voluttuosi

i fili della sua collana.

 

18

 

Anche ora,

la ricordo nel suo bianco palazzo

alla luce delle torce mescolata

a quella dei suoi gioielli,

i raggi di luce che squarciano la notte.

Rivedo la mia principessa,

gli occhi presi da un timido pudore,

nel momento in cui si alza e dice:

«Andrò a dormire, buonanotte, mie dame!»

 

19

 

Anche ora,

benché sia così lontano da lei,

uno stormo di uccelli sorvolando gli alberi

della valle passa sulla mia prigione,

e i loro richiami e trilli

mi riportano alla mia fanciulla.

Perché assai simile a quello di un uccello

è il suo canto, e come le ali di un’aquila nera

si scuotono di notte i suoi capelli.

 

20

 

Anche ora,

io so che la mia principessa era felice.

La rivedo toccarsi il seno con le dita

morbide come fiori, guardandomi

con sospetto e gli occhi sorridenti.

Lei è il vaso in cui si versa il filtro magico

di otto sentimenti e recita il primo ruolo

nel  dramma dell’amore.

Oh, morire qui! Baciami

e io sarò più puro dei rapidi fiumi.

 

21

Anche ora,

certamente! neanche un istante

io posso dimenticare questa fanciulla,

che un signore suo sposo, ancora

non ha condotto alla sua dimora,

lei così piena di tenerezza

e che vale più della mia vita,

lei che vede le sue membra

consumate dal fuoco dell’amore,

e il cui corpo aderiva al mio

come un abito bagnato.

 

22

 

Anche ora,

io sogno questa figlia di re. Ella fu creata

come primaria bellezza

per essere il vaso unico dell’amore…

Oh, Vishnu, il mio distacco

da questa fanciulla

dalle membra così delicate,

io non potrò mai sopportare!

 

23

 

Anche ora,

ricordo la sua bellezza sorridente,

la sua veste dorata che scivola sul terreno

e prevale sull’ordine terrestre

rendendo inefficaci le maree.

Io la contemplo bella

come lo stesso vessillo di fiori

fiammanti dell’Amore,

che sventola sul monte Mandara

dell’erotismo.

 

24

 

Anche ora,

ricordando le parole dei saggi

che dietro le pareti delle torri

hanno perso la loro giovinezza,

non trovo in esse lo spirito e i sussurri

della mia fanciulla, la sua lingua brillante

dai colori sfumati, dove s’intrecciano

timide frasi ora ragionevoli, ora piccanti,

ora intrise di cento lusinghe.

 

25

 

Anche ora,

rivedo il suo stanco sorriso la mattina

stretta tra le mie braccia.

Rivedo le sue guance baciate

da uno sciame di api, attratte

dal profumo di loto del suo viso.

Lei sembra essere il fenicottero

dell’Amore nella foresta dei suoi loti,

e mi appare immersa nel piacere

in cui l’amante pensa di rinascere.

 

26

 

Anche ora,

il peschereccio approda e il pescatore

torna alla sua casa con la rete grondante

di gialli riflessi della luna.

La fiamma porporina del fuoco

lo chiama all’amore e al sonno.

La luna brilla sul seno della mia amata,

e io devo morire.

 

 

 

 

 

27

 

Anche ora,

ho bisogno di pregare, di esprimere

il mio estremo giudizio sul mondo

ai grandi tredici dei, di fare un bilancio,

prima che l’anima s’involi.

M’inginocchio e sussurro: Padre della Luce,

fa’ ch’io possa vederti. Madre delle Stelle,

lasciami baciare i tuoi piedi, io ti amo.

 

28

 

Anche ora,

ricordo la sua divina beltà,

i suoi sguardi smarriti,

come quelli di una cerva impaurita,

il viso segnato dal grave dolore,

gli occhi offuscati dalle lacrime

che scendevano vacillanti,

quando il clamore del popolo sulla strada,

dove mi hanno portato,

ha ferito il suo orecchio.

 

29

 

Anche ora,

mi appare la mia fanciulla,

lei che sostiene l’edificio della mia vita,

e la cui assenza anche per un solo istante

è come il veleno, lei che è un fiume d’ambrosia,

quando mi è dato di essere al suo fianco.

Con lei non ho bisogno di Brahma,

di Vishnu e di Shiva!

30

 

Anche ora,

in questo mondo, dove la natura

fa nascere incantevoli spose,

i miei occhi non hanno mai visto

una creatura più perfetta

di questa fanciulla, la cui bellezza

ha vinto le grazie della luna,

dell’Amore e di Rati sua sposa,

la Voluttà.

 

31

 

Anche ora,

ricordo i suoi piedi piccoli come una mano,

e tutto il suo corpo piccolo come uno scudo,

e non posso dimenticare quando il re

mi fece prendere nel suo palazzo

dalle perfide guardie,

simili a messaggeri di morte,

lei tentò allora in tutti i modi di salvarmi,

affrontando il padre nella sua collera,

colpendo i soldati con le bianche mani inermi!

 

32

 

Anche ora,

notte e giorno il mio cuore è tormentato

dal pensiero che non vedrò più la mia amata

mostrare davanti a me ad ogni passo

la sua leggiadra figura di luna piena,

fiera delle ferite che ella procurò all’orgoglio

dell’Amore, irritato ch’ella superi in bellezza

il viso stesso della Voluttà, sua sposa.

 

33

 

Anche ora,

il sonno mi ha abbandonato,

pensando al suo bianco letto,

dove ora dorme dopo aver pianto tanto.

Povero piccolo amore, il tempo vola via,

l’anno così grigio che è trascorso

fermenta adesso nel vinoso autunno,

e io devo morire.

 

34

 

Anche ora,

ricordo quando camminavamo,

pieni di stupore, come entrando

dal sonno in una grande luce,

lungo il corso del fiume invernale

e il sole al tramonto.

Con lei ho amato i cipressi e le rose,

le azzurre cime maestose

e le verdi colline, il mare turchese

e le stelle. Ricordo che il mio sogno

si avverava in un’avida vita,

nell’ora in cui cadevano i fiori del pesco.

Allora l’oro della sua anima

fluiva nella mia anima e io sono ricco

anche oggi, nel mio ultimo giorno.

 

 

 

 

 

 

35

 

Anche ora,

io amo i lunghi occhi neri

il cui sguardo accarezza come seta,

la cui tristezza si alterna

senza sosta all’ilarità,

Io amo la fragranza delle sue labbra,

la sua bocca profumata,

e i capelli ondulati, lievi come il fumo,

e le minute dita e il quieto riso

delle verdi gemme.

 

36

 

Anche ora,

ricordo e mi chiedo: dove e come amano

le sacerdotesse di Rati?

Potete dirmi come si bagnano

al chiaro di luna, e se la calda vasca

ha i bordi d’argento?

E se quando si pettinano le loro dita

sembrano rami di corallo

nel nero mare dei capelli?

 

37

 

Anche ora,

ricordo che alle mie carezze rispondeva

con una carezza silenziosa,

unendo la sua anima alla mia,

e nel fuoco dell’amore

non era mai lasciva,

come le sacerdotesse che servono

la loro voluttuosa dea. Io le ho viste

nell’amore al chiaro di luna,

e poi in una sala rivestita di tappeti,

addormentarsi qua e là discinte,

con la lucerna come unico testimone.

 

38

 

Anche ora,

io non so se lei non è Mahadevi,

la sposa di Shiva, o Kagapata,

la compagna del Re degli Dei,

o Lakshmi, la sposa di Krishna,

dai capelli viola.

Io non so se Brahma nei suoi segreti disegni

non ha creato la mia dolce amata,

per fare impazzire i tre mondi

dal desiderio impaziente di contemplare

questa perla tra le fanciulle.

 

39

 

Anche ora,

i più grandi pittori del mondo

con le loro barbette nere, i loro rosa,

verdi e grigi, blu oltremare e terra d’ombra,

non sono capaci sicuramente

di dipingere la sua bellezza.

Deride l’arte la luce del sole

sul corpo della mia sposa.

Soltanto chi ha potuto vedere

coi propri occhi le sue forme senza veli,

è capace di dipingerla.

 

40

 

Anche ora,

che la notte è piena

di pagliuzze d’argento della pioggia,

io mando a lei la mia anima,

per vedere il suo corpo

per l’ultima volta.

La sua testa in ombra giace

lasciando una spazio sul cuscino,

le sue braccia tese a stringere il vuoto.

Io vedo il suo corpo nudo.

 

41

 

Anche ora,

che la bellezza immacolata della luna

stende la sua luce d’argento

sul cielo d’autunno,

e ha incantato l’anima

del severo anacoreta,

che dimentica anche di pregare,

a maggior ragione per me,

se potessi riavere la sua bocca

dal sapore di ambrosia,

il timore della separazione

non tormenterebbe più la mia anima.

 

42

 

Anche ora,

ricordo la sua bocca

deliziosamente profumata

come polline di loto,

e il lago sacro dell’amore.

Se potessi immergermi in esso

una sola volta ancora,

darei la vita pur di possederlo per sempre.

 

43

 

Anche ora,

oh prodigio! in questo mondo

con centinaia di migliaia di beltà,

in questo mondo dove il fascino,

aumentato dalla sequela delle generazioni

è diventato incalcolabile,

non esiste possibilità alcuna

di confrontare con altre donne

le forme incomparabili della mia amata,

e ciò causa nel mio cuore una pena amara.

 

44

 

Anche ora,

lei, dalle giovani membra

soffici come polline dei fiori,

dal corpo che ondeggia

come nelle acque del languore,

ed è simile a un uccello smagliante,

non cambia, non supera il lago

nero e profondo del distacco,

dove si cullano le ninfee del mio pensiero.

 

 

 

 

 

45

 

Anche ora,

se stendiamo le nostre reti

oltre i più lontani cieli,

sicuri di prendere in esse

i piedi dell’aurora,

prima del risveglio e dopo il sonno,

e le stelle visibili e invisibili,

ciò è ancora nulla, o Vidya.

 

46

 

Anche ora,

questa figlia del re dei re,

i cui occhi si muovono con languore,

tutta ricolma della gioia

che la giovinezza ispira,

soffre ora al mio pensiero,

lei che fu mandata da noi

dall’alto dei cieli.

 

47

 

Anche ora,

ricordo questa fanciulla,

elisir della mia vita,

che ha la bellezza dell’oro,

piena di pudore e al tempo stesso

infiammata dal desiderio,

timorosa davanti all’amore

fino a tremare, e nella quale

l’unione dei nostri corpi

ha fatto nascere spesso il delirio.

48

 

Anche ora,

ricordo la compagnia di uomini e donne,

e sotto le loro fronti,

io vedevo profonde negli occhi

le loro anime, che scorrevano accanto

a frotte davanti alla mia mente;

il mondo era come un volo di uccelli

che ho visto sorvolare le colline.

Ma nessuno era mai come la mia fanciulla.

 

49

 

Anche ora,

attendo la morte come conforto.

No, neanche se fossi libero come un condor,

potrei vivere un solo istante in altro modo,

senza provare il piacere sul seno

della più bella delle spose,

e poiché le mie pene finiranno con la morte,

io t’imploro, o boia, tronca presto la mia vita!

 

50

 

Anche ora,

io so di aver gustato l’ardente sapore della vita,

nel grande festino ho bevuto dal sospirato calice.

Anche se per un breve istante, la mia diletta

ha versato nei miei occhi la più pura eterna luce.

 

 

(Traduzione di Paolo Statuti)

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

Bogdan Jaremin

13 Ago
Bogdan Jaremin

Bogdan Jaremin

 

 

Il poeta polacco Bogdan Jaremin è nato a Lwów nel 1942. Terminato il liceo a Elbląg e affascinato dalla poesia di Jan Kochanowski, pensò d’intraprendere gli studi di filologia polacca, ma scelse medicina, laureandosi a Gdańsk. Come medico ha viaggiato molto, lavorando anche sulle navi e nei paesi tropicali. Ha insegnato presso l’Università di Medicina di Gdańsk. Nel 1998 è uscita la sua prima raccolta di poesie dal titolo La risata nel fazzoletto nero. Ha pubblicato 11 raccolte, tra cui Qua e là: didascalie a margine (2013) e Il laboratorio del tempo (2013), nelle quali sono inseriti i testi da me tradotti. Nella poesia di Bogdan Jaremin la sensualità della percezione del mondo e della sua materia si intreccia con la percezione metafisica dell’inafferrabilità e fugacità dell’essenza della vita. Nella sua lirica l’amore è non solo la più potente forza causante, ma anche la strada per conoscere il senso dell’esistenza. Anche quando ci delude, finisce, viene tolto, esso non è perduto del tutto e per sempre.

Poesie di Bogdan Jaremin tradotte da Paolo Statuti

 

Dalla raccolta: Il laboratorio del tempo

 

Il vangelo

                                         da Baudelaire

Fratelli e sorelle nell’ipocrisia –

vi porto la buona novella, il Vangelo

secondo san Charles.

Amate e maledite il mondo.

siate ubriachi della sua bruttezza.

Tale è la sua bellezza e niente dovete cambiare

di forma e contenuto, essi  sempre torneranno

cresciuti con le parole. siate ubriachi

di Bene e di Male, essi si sono giurati

eterno legame

e non c’è divorzio tra spirito e materia.

siate ubriachi di Luce e di Tenebra

esse scorrono dai ghiacciai del cuore

e da un torrente di vene recise.

siate ubriachi di Amore e di Sogni

perché essi hanno unito il quotidiano

e l’eternità con un vincolo duraturo.

E non chiedete alla Vita, perché

fiorisce così rigogliosa, quando la Morte

danza sui prati di maggio.

siate ubriachi. E felici

per così tante domande nelle nuvole

e nessuna risposta nel vento.

Che altro vorreste sapere

immersi nella Vita divina

sul Paradiso e sull’Inferno che avete dentro di voi?

L’ora felice

A Miłosz

Niente sfugge. L’ oscurità che recede, il caldo concentrato.

Mi hanno svegliato i merli. Nel loro canto la primavera e i nidi.

Gli alberi erano già alzati. Le nuvole lottavano con lo spazio.

Stavo al centro dell’incerto. La bellezza del mondo

e la vita andavano in una direzione ignota.

Indipendenti l’uno dall’altra, non ci disturbavamo

nello sgusciare l’attimo. Attraverso la porta schiusa del reale

il mattino mi portava a una incomprensibile gioia di esistere.

La lentezza del destarsi, l’instancabile battito dei mulini del cuore

la fiducia che il Mondo?, Dio? – sappiano cosa occorre fare.

Cos’è

A Różewicz

 

Sai? – dice – non so cos’è un verso

imita la vita, ma un’intervista con esso non è autorizzata.

Nega che in qualche modo sia nato da sé, spontaneamente.

Il mondo è oscurità generalizzata e chiarezza dettagliata

– disse Dio, creandolo – ciò fu semplice.

Il difficile lasciamolo agli uomini, che crescano come un albero.

A volte piove, è grigio, l’anima respira con mille foglie,

guardando in alto e arrampicandosi

lungo la corda del silenzio, quasi volesse raggiungere il cielo.

Verso ciò che è, e noi impotenti nel chiamare con la parola.

Sì, lo so, l’albero non cresce all’infinito. Le foglie,

le ghiande sanno forse di più sulla caduta e sulla crescita?

Forse il verso deve maturare fino all’ineluttabile?

Mio zio guardia forestale

 

Sempre volevo essere come lui, prima che morisse di vodca.

Querce, pini, abeti, faggi. Stavano dalla sua parte

lo rispettavano e non chiedevano i motivi della sua caduta.

Gli uomini non sanno guardare alla morte come loro.

Al capriolo in trappola, quando i suoi occhi scuri

si abituano alla fangosità del buio. Alla muscosità dei ricordi

dei tronchi abbattuti nel lungo viaggio verso la luce.

Al paziente silenzio della nebbia, che non svela la paura

alzandosi davanti al successivo mattino.

E la felce che sa di trovarci solo

nel sogno, dove fioriscono le parole. Soltanto il bosco è

la vera vita, con un passato senza sconforto

e senza colpa. Con la voce che si oppone alla tempesta,

cresce nel freddo e nella pioggia senza perdere la forza.

Non era una guida, un traduttore,

neppure un educatore penitenziario. Era tornato da Workuta (1)

Era uno degli alberi liberi, un vaso di memoria

che conduceva un ragazzo attraverso il vecchio bosco della vita.

(1) Città-lager dove l’inverno dura 9 mesi e la notte polare 6 mesi. Ricca

di carbone estratto per decenni da migliaia di prigionieri, tra cui anche

molti Polacchi. Le guardie del NKWD accoglievano i nuovi arrivati con le

parole: “Lavorerete finché non creperete”.

Il senzatetto divide

 

Be’, si prende ciò che capita, l’aria non manca

le nuvole sono gratis, e all’erba non serve un tetto.

In qualche modo si resiste, si cresce – dentro un pelame di parole

per le giornate fredde, ma non bisogna mentire agli alberi.

Non capisco perché si bruciano le erbacce

anche loro hanno i propri diritti. Forse aprirò un’agenzia

per la difesa delle cose inutili o un locale dove bere il tempo.

Per ora divido con lei la panchina e le parole.

Alcune sono forti come una tirata di sigaretta

o come dare il senso, senza filtro. Forse la vita

è dislettica, ma anche la nullità fai suoi sgorbi.

Mi presta un sorriso? Glielo restituirò, stia tranquillo.

Dalla raccolta: Didascalie a margine

 

*

che piccolo mondo! – la minaccia entra in una goccia di sudore

in una scheggia sotto l’unghia, in un brivido della pelle, in una pupilla

la paura, bella belva con la palpebra aperta, vigile, non dorme

*

entra, ti aspettavo, scopriti o parola adeguata

prima che invecchino i mobili di casa, i miei migliori ascoltatori

fatti sentire, o sorda infanzia: con l’argano del pozzo

con l’eco ferroso del secchio, con l’umido rivestimento del fondo

*

il vento di primavera ha l’orecchio assoluto, sente

come le nuvole si affidano la cura della pioggia randagia

come le foglie indicano agli uccelli dove dormire gratuitamente

*

 

conta solo su te stesso – disse l’imprevedibile

cavatela come puoi – disse l’impotenza

non fidarti troppo di me – disse la trasparenza

*

la simmetria dei contrari, il livello del mare e le verticali delle rocce

il mesto isolamento delle isole, la folla dell’agora delle spiagge

gli strumenti di precisione del vento, macinano i grani dei secoli

o Grecia, tu penetri in me come una lisca

Indirizzi di musica della signora Ishizu

 

La giapponese Ishizu non conosceva il tuo indirizzo.

Scriveva: Gould, Toronto, sentiva i suoni della mezzanotte.

E si apriva senza resistenza

il chiarore della musica

che ci attira dalla parte del bene comune

l’oscurità della musica

che giustifica il cammino verso l’ignoto

la preghiera della musica

che implora la pietà di Dio per ogni creatura

la fede della musica

che promette il seme al grembo chtonico della donna

la dispensa della musica

che nutre i sogni dei solitari oppressi dallo sconforto

la profondità della musica

da cui emerge un’isola sotto i piedi che affondano

Apritevi porte delle orecchie, apriti pietra del cuore

sollevati ferrea palpebra della notte,

svelati indirizzo del senzatempo.

2015

grandi domande
dicono che ci siamo inutilmente incatenati ad esse
se non ci sono grandi domande, non è perché esse manchino
per carenza di punti interrogativi, segnali di avvertimento
segni diacritici o d’interpunzione
sono stati recisi troppi roveri, faggi, frassini, abeti
e il silenzio ha bisogno degli alberi per fare al cielo
le trepide, elevate domande delle foglie
adesso il vento cerca risposte
ma tacciono i nidi delle parole
i chiassosi tagliaboschi mangiano e bevono
2018

(C) by Paolo Statuti