Archivio | aprile, 2016

Jorge Luis Borges (1899-1986)

18 Apr

 

 

 

Jorge Luis Borges

Jorge Luis Borges

 

Due poesie inglesi

                                             A Beatriz Bibiloni Webster de Bullrich

 

I

L’inutile alba mi sorprende in un angolo d’una strada deserta;

sono scampato alla notte.

Le notti sono onde altere; onde blu scure, dalle creste troppo

pesanti, cariche di tutti i toni di una smisurata rovina,

cariche di cose improbabili e desiderabili.

Le notti sono avvezze a doni e rifiuti misteriosi,

a cose per metà date e per metà trattenute,

a gioie con un buio emisfero. Le notti agiscono

così, credimi.

I marosi, questa notte, mi hanno lasciato il consueto ciarpame

e i consueti avanzi: qualche odiato amico per chiacchierare,

la musica per i sogni, il fumo

di ceneri amare. Tutte cose estranee al mio

cuore affamato.

Una grande ondata ha portato te.

Parole, parole qualsiasi, la tua risata; e tu così pigramente

e incessantemente bella. Abbiamo parlato e tu

hai dimenticato le parole.

L’alba distruttrice mi trova in una strada deserta

della mia città.

Il tuo profilo che si allontana, i suoni che si compongono

nel tuo nome, la cadenza della tua risata:

sono gli illustri giocattoli che mi hai lasciato.

Li rigiro tra le dita all’alba, li perdo, li ritrovo;

parlo di loro a qualche cane randagio e a

qualche stella randagia dell’alba.

La tua buia ricca vita…

In un modo o nell’altro devo giungere a te; metto da parte

gli illustri giocattoli che mi hai lasciato, io voglio

il tuo sguardo nascosto, la tua reale risata – quel solitario,

beffardo sorriso, che il tuo freddo specchio conosce.

 

                                               II

 

Con che cosa posso trattenerti?

Ti offro misere strade, tramonti disperati,

la luna di pezzenti sobborghi.

Ti offro l’amarezza di un uomo che a lungo,

a lungo ha fissato la luna solitaria.

Ti offro i miei antenati, i miei morti, i fantasmi

che i vivi hanno onorato nel bronzo:

il padre di mio padre ucciso alle porte di Buenos

Aires, due pallottole gli forarono i polmoni,

barbuto e morto, avvolto dai suoi soldati in

una pelle di vacca; il nonno di mia madre –

che a ventiquattro anni guidò una carica di

trecento uomini in Perù, adesso solo fantasmi

su cavalli spettrali.

Ti offro ogni sapienza che nei miei libri si possa trovare,

ogni virilità o umore contenga la mia vita.

Ti offro la fedeltà di un uomo che non è

mai stato fedele.

Ti offro quel nucleo di me stesso che ho potuto salvare

in qualche modo – il cuore centrale che non commercia

con le parole, che non traffica coi sogni, e non è

violato dal tempo, dalla gioia, dalle avversità.

Ti offro il ricordo di una rosa gialla vista

al tramonto anni fa, prima che tu nascessi.

Ti offro spiegazioni di te stessa, teorie di

te stessa, vere sorprendenti notizie di

te stessa.

Posso darti la mia solitudine, la mia oscurità, la

fame del mio cuore; cerco di corromperti

con l’incertezza, con il pericolo, con la sconfitta.

 

(1934)

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

Nikos Chadzinikolau

15 Apr

 

 

Nikos Chadzinikolau

Nikos Chadzinikolau

 

Nikos Chadzinikolau, poeta, prosatore, autore di testi di canzoni, storico e traduttore della letteratura greca antica e moderna nella lingua polacca e traduttore dal polacco in greco, è nato a Trifilli in Grecia il 1 ottobre 1935 ed è morto a Poznań il 6 novembre 2009. Nella città natale terminò la scuola elementare e due anni di ginnasio. Dopo la guerra civile (1946-49) si ritrovò in Jugoslavia, dove conobbe il poeta e romanziere Ivo Andrić, futuro Nobel per la letteratura nel 1961. Andrić conosceva il polacco, per aver studiato all’Università Jaghellonica di Cracovia. Egli parlava spesso della Polonia al giovane greco, tanto da far nascere in lui il desiderio di conoscere personalmente questo paese. Vi si trasferì all’età di quindici anni. Dapprima a Szczecin, dove terminò il ginnasio e la scuola di musica. Poi si laureò in filologia polacca presso l’Università Adam Mickiewicz di Poznań. Per lunghi anni insegnò in un liceo di questa città. Scrisse le prime poesie in greco. Debuttò sulla stampa greca nel 1956 e sulla stampa polacca nel 1958. Nel 1961 uscì la sua prima raccolta di poesie I colori del tempo. Egli stesso confessò: “Sono contento che la mia origine, la conoscenza della lingua greca dalla culla e della lingua polacca per elezione, della psicologia della gente del sud e del nord, nonché il dono del pensiero poetico, mi permettono di realizzare i miei ambiziosi progetti, di consolidare l’antico ponte che unisce la Grecia alla Polonia”.

Tradusse in polacco tra l’altro il bestseller di Nikos Kazantzakis Zorba il Greco, le favole di Esopo, gli erotici di Saffo, i drammi di Sofocle, l’Iliade e l’Odissea. In greco tradusse ad esempio le Fiabe polacche e la poesia di Szymborska e di Miłosz. Libor Martinek, traduttore dei suoi versi in ceco, scrisse della sua poesia: “…ha un sapore aspro-salmastro. Tale è l’aria greca, tale è il sapore delle olive, il sale che si posa sulle pale dei mulini a vento e sulle labbra dopo l’amore con le ragazze di quella terra. Ogni poesia è una goccia di sale sulle labbra”. Pubblicò più di 100 libri, di cui oltre 30 raccolte poetiche. e ricevette diversi prestigiosi premi.

Il poeta e critico letterario Dariusz Tomasz Lebioda in un bell’articolo sulla poesia di Nikos Chadzinikolau intitolato Il respiro del mare, scrive: “La lirica di Chadzinikolau è straordinariamente raccolta in se stessa, piena di tensioni e reticenze interiori, ha in sé come un ritmo ipodermico, una pulsazione di elementi naturali. Le figure che si muovono in queste poesie vivono in un mondo di colori e di suoni idealmente puri…Il poeta vuole risolvere l’enigma dell’esistenza, vivendo in armonia con la natura, pronunciando parole di alleanza con la smeraldo del mare e con l’azzurro del cielo che riempie il vuoto…Nel suo mondo di delicate immagini e di belle metafore non solo i colori, ma tutto proviene dal sole…Il sole – prima e grande ossessione e nostalgia di Chadzinikolau – che porta sollievo, ma che è anche in grado di distruggere. La seconda sua grande ossessione è il mare. Quando si sente perso, quando ha bisogno di aiuto, il poeta si rivolge al mare, trova soccorso nel respiro del mare, nella sua folle forza e infantile tenerezza. Allora egli dice: Mi basta un solo giorno tra le profondità delle onde e i baci salati.

Nel 2014, cinque anni dopo la morte del poeta, il figlio Ares Chadzinikolau, nato a Poznań nel 1973, poeta, pianista, compositore, per onorare la memoria del padre ha curato e pubblicato una raccolta di circa 1400 poesie scritte dal genitore tra il 1960 e il 2009. Nella postfazione a questo volume la poetessa, giornalista e critico Danuta Bartosz scrive tra l’altro: “Nikos Chadzinikolau da cinque anni non è più tra noi. Il vento diffonde le sue poesie nelle foglie che cadono nei nostri cortili. Le fiamme della memoria sono sempre più alte, anche se nello specchio del tempo i volti si cancellano. Il profondo legame tra padre e figlio, tra i due cuori, resterà per sempre immutato. Ares è in Lui dappertutto, nei preludi, nelle miniature per pianoforte, nelle rapsodie greche, nel concerto Tributo a Nikos Chadzinikolau…”. Ecco una poesia di Ares dedicata al padre:

 

A mio padre    

 

                                       Sempre più spesso parli del mare,

di annegati gettati sulla riva,

di viaggi incompiuti.

Nella memoria hai il canto delle sirene

e la zattera di Ulisse,

sulla quale io adesso vado alla deriva.

 

 

Parli sempre della burrasca,

delle onde dal volto umano,

degli scogli,

sui quali muore il vento.

 

L’insonnia del faro

nelle tue braccia tese.

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

Poesie di Nikos Chadzinikolau tradotte da Paolo Statuti

 

Inverno

 

In via Staff nevica,

fiocchi come frammenti di cielo,

dietro la finestra il rimpianto si cela

come strano senso nel nonsenso.

Il vento spazza via tutte le ombre,

lascia piccole ferite.

Dai comignoli il fumo si libra in aria

come nuvola irreale.

Un cane abbaia bonariamente,

una ragazza corre sulla neve

con prudenti fiocchi sui capelli.

In via Staff nevica

morbidamente come soffice cordialità.

E malgrado le finestre delle case siano chiuse,

non ci sono segreti.

 

 

 

 

 

 

Tienimi per mano

 

Tienimi per mano.

Troppi segnali stradali,

troppe svolte, gobbe.

Tienimi per mano.

I passi indecisi tra oblio

e speranza.

Non basta guardare.

Così tanti oscuramenti.

Neanche il filo di Arianna

conduce fuori dal labirinto del mondo.

Tienimi per mano.

Troppe avversità,

troppe fragili ore,

strade biforcate.

Tienimi per mano

come la terra il melo,

perché non si laceri

fino al cuore.

 

Il poeta

 

Mio figlio mi ha chiesto

cos’è la poesia.

Gli ho mostrato un uccello con le ali distese.

eppure vedevo uccelli spennati.

Gli ho mostrato un albero coi rami verdi.

Eppure vedevo rami attorcigliati come cappio.

Gli ho mostrato una donna col bambino.

Eppure vedevo donne

che si reggevano il ventre trafitto da un pugnale…

 

 

 

Fedele all’amore

 

Non mi vergogno dei miei affetti

e nessuna donna ho dimenticato –

esse sono la mia libertà e schiavitù.

Tornano nei sogni come estasi, dolore,

nuvola che cerca la patria,

come riva verso la quale navigo.

 

Non chiedermi altre parole.

L’affetto più bello –

è amare fino alla morte

e vivere ancora.

 

Ritorno

 

Non stupirti,

se nei miei versi

c’è un rammarico solare.

Torno ai suoni

dell’infanzia,

al fiume che scompare.

Icaro

mi ha dato i suoi sogni,

Sisifo

il macigno da portare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’insonnia del mare

 

Il mare non permette di addormentarsi.

Spumeggia in autunno.

Pesa nella memoria,

esige un riscatto.

Ma insegna ad amare la notte

solcata da un corale di rauchi gabbiani

e da un lamento.

 

Neanche tu puoi addormentarti

sprecando i pensieri con le punte delle dita

sul viso della notte.

 

Di sale frusciano i nostri corpi.

 

Poesia

 

La poesia è una finestra aperta.

Il sole entra come alba di puri carati,

lega il cielo nella stanza.

La gente guarda dentro,

vede la tavola e il pane.

 

Il vento chiude la finestra.

La luce diventa ricordo.

La gente cerca la cifra,

bussa.

Non vede in profondo,

sente soltanto parole piene di cicatrici.

 

La poesia è una finestra aperta.

 

 

 

La donna e il tempo

 

Chiama il falegname, disse,

il bosco nel nostro tavolo si frantuma.

Chiama il pittore, disse,

il cielo si scolora sulle pareti.

Chiama l’idraulico, disse,

dai rubinetti gocciola acqua amara.

Chiama il vetraio,

nei vetri s’incrinano i nostri volti.

Chiama, chiama, disse…

 

Il cane zoppo

 

Apri la finestra.

Non importa se quelle dei vicini sono chiuse.

Essi guardano attraverso le tende.

Vedono soltanto ciò che è davanti alla casa.

E là in alto gli uccelli si amano,

danzano sulle funi del vento.

Un cane zoppo nel cortile aspetta il suo padrone.

Non scodinzola, perché non ha la coda.

Non può correre,

si rizza il suo pelo come erba calpestata.

Apri la finestra.

Sorridi al cane zoppo

come in sogno,

anche lui sorriderà a Dio

ululando.

 

 

 

 

 

 

Gli ulivi

 

Stanno in silenzio nel semicerchio del mare

assorti, ansiosi,

come le madri dei marinai,

le quali nelle onde pescano il proprio riflesso.

 

Stanno in silenzio nel semicerchio del mare

ricurvi e umili

come scogli dolenti,

che non possono piangere.

 

Stanno in silenzio nel semicerchio del mare

tristi come il boscaiolo che taglia gli alberi,

cantano con un sussurro, con un breve respiro.

Per me?

 

La tomba della poetessa

 

La strada è segnata dalle penne degli uccelli.

Il cimitero del bosco livido di silenzio.

L’iscrizione: “Anna Andrejevna Achmatova

1889 – 1966”.

E soltanto l’eco di un vecchio canto

si dibatte sul dignitoso abete,

sulla croce di legno

incavata dai segreti.

 

Il lontano settentrione odora di muschio

che pende dai rami del buio.

Palude e cielo hanno il colore dei suoi occhi

come versi trasmessi con un sussurro.

 

Ricordarli come perduto amore.

 

(C) by Paolo Statuti

 

 

 

 

 

 

 

 

T. Różewicz: La caduta… nella versione di Paolo Statuti

9 Apr

 

Tadeusz Różewicz

Tadeusz Różewicz

 

 

La caduta

ovvero elementi verticali

e orizzontali nella vita dell’uomo

contemporaneo

 

nella versione di Paolo Statuti

 

Questo poema di Tadeusz Różewicz va considerato come un’aspra critica

rivolta a ogni mortale dei nostri giorni. Il titolo stesso ha un significato estremamente ironico, che rasenta quasi il sarcasmo. L’idea essenziale che

il poeta vuole trasmettere ai lettori è che la gente odierna si trova in una

condizione morale notevolmente peggiore rispetto a tanto tempo fa,

quando “si cadeva verticalmente”. Il “fondo” dell’uomo contemporaneo si trova assai vicino. Oggi cadiamo non in giù, ma di lato. Attualmente l’uomo è

un essere degenerato, privo di valori e principi fondamentali, e per questo si trova costantemente sul fondo. L’uomo è caduto così in basso, che ormai può

muoversi solo in senso orizzontale – in uno stato di perenne degenerazione.

Nel poema l’autore ricorre alla storia della letteratura, tramite diversi riferimenti. Ricorda la figura di Albert Camus che nel 1957 ricevette il premio

Nobel. Różewicz lo definisce “l’ultimo moralista francese contemporaneo”,

e tratta ironicamente il suo romanzo sulla caduta morale dell’uomo. Si ricollega anche alle Confessioni di sant’Agostino che fu vescovo di Hippo Regios (Annaba

in Algeria) negli anni 396-430. E’ un’opera teologica con diversi elementi autobiografici. In essa il filosofo descrive la sua ricerca della verità, cui legherà poi la sua vita. Il rapporto di Różewicz con questa dissertazione filosofica e morale è alquanto ironico – egli deride la convinzione che tutti coloro che hanno sottoposto le proprie opere a Dio, entreranno nel regno divino, nella cui

esistenza egli non crede. Troviamo anche un riferimento ai romanzi di Françoise Sagan e un frammento del dialogo sulla fede fra Stavroghin e il religioso, tratto da I demoni di Dostojevskij. Anche questo è un campo in cui

il poeta può ironizzare. In questo poema Różewicz ribadisce con forza la sua

pessimistica visione dell’uomo, della sua caduta e della scomparsa della moralità.

Tanto

tanto tempo fa

c’era un solido fondo

che l’uomo poteva

toccare

 

l’uomo che vi giaceva

grazie alla sua sconsideratezza

o grazie all’aiuto del prossimo

era guardato con spavento

interesse

odio

gioia

era additato

ma egli a volte

si alzava

si risollevava

macchiato e grondante

 

Era un solido fondo

si potrebbe dire

un fondo borghese

 

un fondo era per le signore

e un altro per i signori

in quei tempi c’erano

ad esempio donne corrotte

screditate

c’erano bancarottieri

un genere oggi quasi

sconosciuto

il suo fondo aveva il politico

il prete il commerciante l’ufficiale

il cassiere e l’erudito

un tempo c’era anche un altro fondo

oggi esiste ancora un vago

ricordo

ma il fondo non c’è più

e nessuno può

toccare il fondo

o restare in fondo

 

Il fondo che rammentano

i nostri genitori

era una cosa costante

sul fondo

tuttavia

si era

specificati

l’uomo perduto

l’uomo smarrito

l’uomo che

si risolleva

dal fondo

 

dal fondo si potevano anche

tendere le braccia chiamare “dal profondo”

adesso questi gesti non hanno

alcun senso

nel mondo contemporaneo

il fondo è stato rimosso

 

l’incessante caduta

non favorisce atteggiamenti

pittoreschi posizioni

salde

 

La Chute la Caduta

è ancora possibile

solo in letteratura

nel sogno nella febbre

ricordate il racconto

 

sull’onestuomo

 

non corse in aiuto

sull’uomo che praticava la “dissolutezza”

mentiva era schiaffeggiato

per questa fede

 

il grande defunto forse l’ultimo

moralista francese contemporaneo

ricevette nel 1957

il premio

 

com’erano innocenti le cadute

 

ricordate

le antiche

Confessiones

del vescovo di Hippo Regius

 

C’era un pero nelle vicinanze della nostra vigna,

che non allettava né per l’aspetto, né per il sapore.

Noi giovani ignobili dopo aver tirato in lungo i

nostri scherzi per le strade, secondo un’infame

abitudine, ci recammo là, nel cuore della notte,

per scuotere la pianta e raccogliere le pere.

Ne cogliemmo una quantità enorme, ma non per

farne una scorpacciata, ma per gettarle ai porci.

Anche se ne assaggiammo qualcuna, fu solo per

il gusto della cosa proibita. Ecco il mio cuore, Dio,

ecco il mio cuore di cui hai avuto pietà, quando

esso si è trovato in fondo all’abisso…

 

“in fondo all’abisso”

 

peccatori e penitenti

santi martiri della letteratura

agnelli miei

siete come bimbi al petto

che entreranno nel Regno

(peccato che esso non ci sia)

 

– Lei, padre, crede in Dio? – gridò di nuovo Stavroghin

– Credo.

– E’ stato detto che la fede sposta le montagne. Se uno

crede e ordina alla montagna di spostarsi, quella si

sposterà…mi scusi l’indiscrezione, ma m’interessa

sapere se lei, padre, farà spostare la montagna

 

simili domande faceva il “mostro” Stavroghin

e ricordate il suo sogno

il quadro di Claude Lorraine

alla Galleria di Dresda

“qui vissero uomini bellissimi”

Camus

La Chute la Caduta

Ah, mio caro, per l’uomo che è solo, senza

dio e senza padrone, il peso dei giorni è terribile

 

quel lottatore dal cuore di bambino

immaginava

che i canali concentrici di Amsterdam

fossero un girone dell’inferno

dell’inferno borghese

naturalmente

“qui siamo nell’ultimo girone”

diceva a un compagno occasionale

nel bar

l’ultimo moralista

della letteratura francese

prese dall’infanzia

la fede nel Fondo

Doveva credere profondamente nell’uomo

Doveva amare profondamente Dostojevskij

doveva soffrire perché

non c’è l’inferno il cielo

l’Agnello

la menzogna

gli sembrava di aver scoperto il fondo

di giacere sul fondo

di essere caduto

 

Invece

 

il fondo non c’era più

lo capì senza volerlo

una signorina di Parigi

e scrisse un componimento

sul coito buongiorno tristezza

sulla morte buongiorno tristezza

e i lettori riconoscenti

da entrambi i lati

di quella chiamata allora

cortina di ferro

lo compravano

a peso d’oro

quella signorina signora

quella signorina quella signora

ha capito che il Fondo non c’è

che non ci sono i gironi dell’inferno

che non c’è il risollevamento

e non c’è la Caduta

tutto si svolge

nel noto

limitato spazio

tra

Regio genus anterio

regio pubice

e regio oralis

 

e ciò che un tempo era

il vestibolo dell’inferno

fu trasformato

da una letterata di moda

in vestibulum

vaginae

 

Chiedete ai genitori

forse ricordano ancora

l’aspetto del vecchio Fondo

il fondo della miseria

il fondo della vita

il fondo morale

 

la “Dolce vita”

o Cristina Keller

viveva nel fondo

il rapporto di lord Denning

afferma

tutto il contrario

Il Mons pubis

da questa vetta

si stendono vasti

crescenti orizzonti

dove sono vette

dov’è l’abisso

dov’è il fondo

 

a volte ho l’impressione

che il fondo dei contemporanei

si trovi poco sotto la superficie

della vita

ma forse è un’ulteriore illusione

forse esiste ai “nostri giorni”

la necessità di costruire

un nuovo

Fondo adatto

alle nostre necessità

 

Mondo Cane

perché questo quadro mi fece

una grande impressione che cresce ancora

che cresce sempre

Mondo Cane ein Faustschlag ins Gesicht

Mondo Cane film senza stelle

Mondo Cane

dove si mangia si balla si uccidono gli animali

“si fa l’amore” si balla si prega si muore

colorito reportàge

sull’agonia

sull’agonia dei vecchi

sulla cucina cinese

sull’agonia di uno squalo

sui condimenti

sull’uccisione delle vecchie

automobili

ricordo lo schiacciamento delle forme

lo schiacciamento del metallo

il frastuono e lo stridore

l’annientamento delle carrozzerie

le viscere metalliche dell’automobile

il cimitero delle automobili

un altro modo di dipingere

i quadri a ritmo di musica celeste

a Parigi l’impronta del corpo su tele bianche

il velo di santa Veronica

i volti dell’arte

le bocche dei milionari e delle loro donne

la frittura di formiche insetti e larve

neri mucchietti in scodelle d’argento

le labbra di chi mangia

labbra rosse in Mondo Cane

grandi lucide labbra rosse

si muovono in Mondo Cane

 

Poi è iniziata la discussione

sul capitolo III dello schema relativo alla Chiesa

al popolo di Dio e al laicato

 

Il cardinal Ruffini

ha spiegato

che il concetto di Popolo di Dio

è assai impreciso

poiché il III capitolo

non ha ottenuto la maggioranza qualificata

dei voti è stato rinviato

alla Commissione Liturgica

per essere riesaminato

 

 

C’era un pero nelle vicinanze della nostra vigna, che non

allettava né per l’aspetto, né per il sapore…confessò Agostino

 

avete notato che

gli interni delle moderne case di Dio

rammentano

la sala d’aspetto di una stazione

ferroviaria di un aeroporto

 

Cadendo non possiamo

assumere la forma

di una posizione ieratica

le insegne del potere cadono di mano

 

cadendo coltiviamo i nostri giardini

cadendo alleviamo i figli

cadendo leggiamo i classici

cadendo eliminiamo gli aggettivi

 

la parola cade non è

la parola adatta

non chiarisce il movimento

del corpo e dell’anima

in cui scorre l’uomo contemporaneo

 

le persone ribelli

gli angeli dannati

cadevano all’ingiù

l’uomo contemporaneo

cade in tutte le direzioni

contemporaneamente

in giù in alto di lato

a forma di rosa dei venti

 

 

un tempo si cadeva

e ci si rialzava

verticalmente

adesso si cade

orizzontalmente

 

1963                                 in: Volto terzo,1968