Archivio | dicembre, 2013

Poesie dedicate a Johann Sebastian Bach

26 Dic

 

 

Johann Sebastian Bach

Johann Sebastian Bach

Con grande  piacere offro oggi ai miei lettori un po’ di musica e poesia, chiedendo a Johann Sebastian Bach, l’”organo di Dio” – il mio compositore prediletto – di sedere un po’con noi e brindare all’Anno Nuovo.

Vadim Sokolov

 

Su, ascoltiamo Bach

Lirica universale

 

Su, ascoltiamo Bach:

Un preludio, la fuga in do minore?

Guarda, un uccellino sul davanzale,

E le ali non pulisce il sudicione,

E’ stanco, forse, poveretto!

 

Con la pioggia l’organo suona meglio,

E tuttavia ispira tristezza!

Che la pioggia batta, non sentirla…

Io socchiudo un po’ la porta…

…Ispira pure – è questo ciò che conta!

 

Il preludio è finito. Bene!

Forse, spegnerò la luce.

Tu sei accanto, che piacere…

Sulla strada ha rinfrescato…

…Siedo accanto a te…

 

Ma non tacere, ti prego…

…Fuori è già notte,

E vicino non si vedono fuochi…

Ah, se tu non fossi malata…

Soltanto la luce delle candele accese…

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

Osip Mandel’stam

 

Bach

 

Qui parrocchiani – figli della polvere,

E tavole anziché quadri,

Dove col gesso di Sebastian Bach

Si segnano solo le cifre dei salmi.

 

Quale dissonanza

Nelle taverne chiassose e nelle chiese,

E tu esulti, come Isaia,

O Bach – il più assennato!

 

O nobile disputante, sul serio,

Sonando ai nipoti il tuo corale,

Un sostegno allo spirito davvero

Nelle prove logiche cercavi?

 

Che suono è mai? Semicrome,

Il grido polisillabo dell’organo –

Soltanto il tuo brontolio, niente più,

O inflessibile vegliardo!

 

 

E il predicatore luterano

Sul suo nero pulpito

Con il tuo, o sdegnato interlocutore,

Fonde il suono della sua orazione.

 

(1913)

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

Aleksandr Baltin

 

Bach

 

Con la parrucca, vestito con garbo e austerità

Glorifica, sonando adesso l’organo di Dio.

Lo glorifica sempre, anche se la strada è ramificata.

 

Ed ecco in casa Johann Sebastian è solo.

I vivaci pannelli con le immagini delle scimmie

E dei pavoni, la quercia risplende spargendo

Oro. La candela lancia guizzi di luce.

 

Sviluppi di note – di segni annerisce l’immensità.

Il suono sottile scorre, e a un tratto come ferro,

Il suono, quasi molla, si comprime.

 

Quanti angeli proteggevano

 Il cammino? Quanti lavoravano

Sugli accordi del minerale celeste,

Affinché il riverbero toccasse Bach, e musica

Diventasse un sol, e proprio così risonasse?

 

Le vigne ci sono. E c’è

La polvere, le pietre in essa.

Ci sono i boschi coi tronchi degli organi – e tutto

Il mondo delle nostre passioni, delle velocità.

 

La musica di Bach è data,

In essa c’è tutto – passato e futuro,

E la preziosa verità,

Più alta delle parole, e oltre la luna.

 

Bach al lume di candela

Crea le fughe.

E i suoi amici spirituali –

Gli angeli –

Che non sono nelle nuvole,

Ma accanto a lui:

Dettano le note.

Nascono i fuochi,

Invisibili ad alcuni.

Bach è accecato? Egli è immerso nella

Possibilità di vedere altro.

Che importa a lui il trionfo della sua musica,

Se per lui si è aperta la parola del’immenso…

 

…I bambini giocano, il tappeto è morbido,

Qualcosa per la vita fa la moglie.

La domestica prepara il pranzo.

Lo sguardo di Bach per ora è limpido.

Il maestro berrà volentieri un po’ di vino,

Per poi di nuovo donare agli uomini la luce.

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

 

Konstanty Ildefons Gałczyński

 

 

La Pasqua di Johann Sebastian Bach

 

La famiglia è andata ad Hagen.

Sono rimasto solo in questa enorme casa.

Dei miei passi rimbomba l’andante.

 

Mi fa ridere tutta questa doratura

e questi pellicani scolpiti senza cura,

e quelle nuvole che corrono a levante.

Io amo le nuvole. E le luci cupe.

Come le fortezze. Come le mie quadruple fughe.

 

Girare per le stanze – che incanto,

con la Signora Musica accanto!

Come bosco d’autunno le rosse candele d’oro.

Oggi è Pasqua. Le campane conversan tra loro.

Oh, felice è il mio cuore!

Nei vecchi cassetti le vecchie missive,

e nei libri le foglie seccate;

che bello frugare tra le carte d’un tempo…

Oh, ore festive piene di dolce fermento!

O estri come colonne d’oro, o cantate!

Vestito di verde velluto

sguazzo, vago per queste stanze,

sui ballatoi e sulle scale;

oh, prima di sera, quante ore ancora, quante,

per borbottare, canterellare, camminare,

scorrere come acqua incantata!

Scuri come la notte i ritratti mi salutano,

e ancor più scuriscono quando m’allontano.

E’ buffo che alcuni m’han chiamato maestro,

dicono che nelle cantate il Cielo ho messo.

Peccato che qui non tutti conoscete il mio merlo,

ah, come questo merlo canta, ah, che bravura!

A lui devo molto. E anche alle grandi nubi.

E ai grandi fiumi. E al tuo seno, o Natura.

Guardate questi giacinti azzurri,

queste sedie di legno nero,

tutti questi mobili dorati,

questa gabbia coi pappagalli, che canticchia,

quelle nubi come vascelli argentati,

che il vento del sud solleva.

Sì. Guardate. Qui dimoriamo.

Qui ricorderanno Johann Sebastian.

Dicono che sono vecchio. Come il fiume.

Che il tempo sempre più mi sfugge di mano.

E’ vero che molte ore ho sprecato.

Non fa niente. Al diavolo! Io suono su corde resistenti

e ci sono ancora le mie cantate, accidenti!

Non il tempo me, ma io lui all’incudine ho legato.

Presto tornerà la famiglia e comincerà il banchetto.

Le mie figlie, prima di sedersi, si acconceranno.

Lo sciame degli ospiti giungerà. Il ballo inizierà.

Mangeranno e berranno a profusione.

E anche il pastore dall’arazzo zufolerà una canzone.

Poi calerà la sera. E io sparirò nel pergolato.

Perché migliore del mio violino, quando ero a Weimar,

delle perle che sogno per mia moglie,

delle sonate dei miei figli, di ogni vaghezza,

è questo attimo di grande dolcezza,

proprio quando, nella pergola, da una sua fessura,

vedo una cosa insolita, vertiginosa, pazzesca a dismisura:

IL CIELO STELLATO DI PRIMAVERA

(1950)              

(Versione di Paolo Statuti)

 

Paolo Statuti

Ascoltando Bach

 

O diletto Bach,

lascia chio ti ringrazi

per la tua musica.

Essa è una dolce visione,

dove cherubini e serafini

cantano in coro

la quiete dell’anima

e la gioia di essere.

Nel fluire delle note

il cuore torna sereno,

le pietre che lo schiacciano

diventano piume,

le catene che lo legano –

ghirlande di fiori.

Le note penetrano

sempre più a fondo,

là dove si ha più bisogno

di conforto e di amore.

O Sebastian,

ascoltandoti,

vedo cielo e terra fusi

nella tua persona.

Tu immortale

li hai mostrati ai mortali,

tu li hai racchiusi

nella tua ciaccona.

 

 

(C) by Paolo Statuti

Anna Nagórska: “La sorella di san Francesco”

14 Dic
Anna Nagórska nel 1911

Anna Nagórska nel 1911

 

 

                                                                     Siamo come una nave spinta

                                                                     per la prima volta in mare.

                                                                    Navighiamo finché occorre.

                                                                    Finché Dio non dirà: “Ora puoi riposare!”

 

                                                                                                                                  Anna Nagórska

 

   Capita a volte, „rovistando” in internet, di scoprire cose nuove, personaggi nuovi, come accade con la musica, quando aprendo casualmente la TV o la radio, ascoltiamo una composizione mai sentita prima, che ci piace in modo particolare, tanto da farci desiderare di riascoltarla, magari comprando il relativo CD. Questo preambolo si riferisce a una poetessa, ancora stranamente sconosciuta alla stragrande maggioranza dei Polacchi, ma che entra con pieno diritto nel mio blog, come persona assai gradita. Si chiamava Anna – un nome-chiave, un vero refrain nella mia vita.

   Anna Nagórska, insegnante, educatrice, poetessa e ardente patriota polacca, nacque nel 1882 nella provincia di Sieradz, ma trascorse gran parte della sua vita a Zaklików (non lontano da Sandomierz), dove morì il 19 novembre 1963. Quast’anno, nel cinquantenario della sua morte, l’Associazione Socio-Culturale di Zaklików che porta il suo nome, ha pubblicato un bel volume di 500 poesie scelte di Anna Nagórska.

   Di nobile famiglia, studiò alla Sorbona. Conosceva le lingue, la letteratura, aveva attitudine alla pittura, ma i suoi interessi includevano anche il teatro, il canto e la musica. Personalità di grande levatura spirituale e intellettuale, come è dimostrato dalla sua corrispondenza con l’allora vescovo Stefan Wyszyński, futuro cardinale e primate di Polonia, e con illustri filosofi polacchi. Era nota per il suo fervore religioso, anche se molti si stupivano del suo strano modo di fare penitenza. Camminava scalza (“Anna la scalza”), poveramente vestita, la consideravano una “pazza innocua”, in chiesa sedeva in terra, non porgeva la mano in segno di saluto, giustificando ciò con la sua umiltà verso la gente. Rifiutava le comodità e conduceva una vita ascetica. Quel poco che aveva lo spartiva con i poveri. Viveva per gli altri. La chiamavano “sorella di san Francesco”, e veniva paragonata a madre Teresa di Calcutta.

   In modo particolare amava i giovani. Insegnava loro gratuitamente la lingua polacca e il francese, la storia e dava lezioni di pianoforte. Riusciva a scoprire il talento nascosto e li incoraggiava a formarsi secondo le loro capacità e le loro predilezioni, stimolando l’amore per la bellezza, per il prossimo, per la natura e per Dio. Uno dei suoi allievi prediletti, al quale donò il suo pianoforte Pleyel, fu Leszek Długosz, nato a Zaklików nel 1941, attore, poeta, compositore e pianista, uno dei più noti e apprezzati interpreti della poesia cantata. Ecco come egli ricorda la sua educatrice: “Sono stato fortunato. Ero suo allievo. Dal giorno del nostro primo incontro, quando avevo 6 anni, fino alla sua morte, cioè al termine dei miei studi, mi ha insegnato tutto: la musica, la letteratura, le lingue, la natura…In un piccolo paese di provincia ho ricevuto la migliore educazione possibile vecchio stile”.

   Nella sua poesia Anna esprime l’incanto di fronte a Dio e alla bellezza della creazione, vista nei prodigi della natura e nelle opere dell’uomo. In essa si riflette la profondità delle sue esperienze religiose, le meditazioni sulla vita, le riflessioni patriottiche. Molto spesso ella univa i suoi versi alle lettere inviate ai numerosi amici.

   “I suoi versi non si prolungano” – scrive Mirosława Ołdakowska-Kuflowa, docente di letteratura contemporanea presso l’Università Cattolica di Lublino –

“sono per lo più concisi, a volte si presentano come un concentrato di idee. Impiegando poche parole, la poetessa riesce a delineare una situazione, a creare un quadro poetico non convenzionale… Sia la rappresentazione che il contenuto delle sue poesie, assai spesso scaturiscono da efficaci e originali metafore…Molte sono le riflessioni ispirate dalla natura, dal susseguirsi delle stagioni, dal trascorrere del tempo, dalla problematica religiosa e patriottica. Troviamo anche poesie dedicate all’arte, alla musica e alla tradizione culturale”.

   Di questa poetessa, secondo la quale “tutto deve scaturire dall’amore”,  che voleva “avere tutti come fratelli”, e che qualcuno ha definito “perla della cultura religiosa e nazionale polacca”, ho tradotto alcune poesie per i miei lettori.

                                                                                   Paolo Statuti

 

 

Poesie di Anna Nagórska tradotte da Paolo Statuti

 

La neve

 

Le lettere degli angeli, custodite dalla luna,

il vento ha lanciato nell’abisso planetario.

Ha lacerato, ha seminato.

E’ la neve.

 

Pleiadi di soffici fogli

Lette dai sapienti e dai poeti.

L’archivio del cielo è aperto.

L’ispirazione vola coi fiocchi.

 

*  *  *

Il bosco s’è destato.

Le pulsatille come soffici graziosi uccellini

col viola quaresimale insegnano alla gente

le verità che vale la pena ricordare.

 

Nei tronchi dei pini scorre la linfa – e i tappeti di muschio

saturi della fresca umidità d’aprile,

ricordano che furono l’estremo capezzale

del partigiano – che qui di recente grondava sangue.

 

La dafne accende le fiaccole rosate,

le nostalgie dei secoli percorrono il ponte dell’iride,

cadono i massi delle vittime, che è difficile sollevare.

Un angelo spalanca la porta della storia.

 

 

*  *  *

Mi è sembrato, o Signore, che la mia dedizione

fosse completa – totale –

eppure, eppure – purtroppo

nascondo in un angolo un sassolino esclusivo.

 

A volte te lo do e subito me lo riprendo.

Crocifissa di amore!

Ecco è giunta la Quaresima. Lasciami spezzare ora

l’idolo ricavato nel diaspro dall’orgoglio.

 

La sonata “Al chiaro di luna”

 

Eterno incanto delle notti lunari.

Ciò che una volta sognò Semiramide.

Il più bianco fiore del linguaggio lirico

nella sonata di Beethoven verrà.

Si verseranno sull’acqua lustrini d’argento.

Siamo udito – e tutto vediamo.

 

Nel giardino meli fioriti,

dai tronchi traspare il freddo smalto dello stagno.

Nel fresco dei roridi suoni tutto il giardino annega.

L’anima rapita dal sogno, felice

s’inginocchia sui cerchi delle battute raggianti.

Raggiunge la soglia dell’eternità.

 

 

 

 

 

Vecchi alberi di Natale

 

Ho rivisto in sogno i vecchi alberi di Natale.

Formavano un grande magnifico bosco.

E nel fascino e nel profumo silvestre –

anche i fiori più belli di ogni solito anno.

 

I cherubini alati e san Nicola,

le pigne dorate e con un filo di cristallo.

Qualcuno ha preso l’addobbo da vecchie scatole.

Le candele accese. Gli uccelli. Corre la slitta argentata.

 

Sono tornate intere le palle di vetro spezzate.

Al solito posto il pittoresco presepe.

Tutto è rapimento. Tutto è ammirazione,

che al limite del destino possiamo incontrare.

 

Il brutto tempo non ha sciupato le angeliche ali.

La neve fresca ha nascosto il lutto della terra.

Le stelle brillano sui puntali degli alberelli.

Gesù la sua miseria come felicità ci ha donato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*  *  *

                                         A Michał

 

E’ qualcosa – che non rientra nella vita –

e cerca un ardito sfogo –

è l’arte.

Un anello di brame incantate.

 

Un canto può renderci più lieti o più tristi,

qualcosa che non c’è al mondo, rivelerà.

L’artista confessa nel suono, nel marmo, nella tela,

le impressioni più personali.

 

Una grande ispirazione attraverso i secoli ci commuove,

ore buone e cattive anneghiamo nell’estasi.

Nell’opera di un maestro a volte abbagliati vedrete,

come cresce e si rafforza l’anima Vostra.

 

*  *  *

Il mattino oggi m’ha guardato coi Tuoi occhi.

Il vento ha pettinato le chiome soffici delle nubi.

Forse è l’istante solare che comincia,

Di cui tutti abbiamo nostalgia?

 

Ogni foglia, che da aprile sempre più s’è rafforzata,

ora l’apice della sua bellezza misura e ammira.

Luglio la mano affaticata ha posato sull’elsa.

I raccolti.

 

Dopo l’inverno verrà la primavera, fiorirà la pervinca.

Il lillà il suo cinquefoglie conserverà per Voi nelle rugiade.

Con la preghiera mi alzerò sopra la nicchia lungo la strada,

e il cielo mi guarderà coi Tuoi occhi.

 

*  *  *

La finestra. Il mercato dopo l’esecuzione.

Un fazzoletto nero. Fragore di spari. Batticuore: Basta!

Poco dopo – Zofia – Ti hanno preso i cieli.

Sotto la porta a vetri oggi sostiamo tristi.

 

La finestra. Il legame con il mondo.

Testimone dei sorrisi solari, della nuvolosità.

Pulpito, dal quale predicano le stelle chiare e grandi.

Paggio che porta i sontuosi mantelli dell’afa.

 

La finestra. Tenace confessore di notti insonni.

Indagatrice di estasi. Di collere. Di affetti.

S’inserisce in ogni festa e nella vita quotidiana.

Attraverso essa passa l’estate e il rigido inverno.

 

La finestra. La via più lunga della nostra nostalgia.

Le lacrime versate sono simili al vetro che brilla.

Di qua scorrerà il più grande conforto,

quando l’eternità verrà a prenderci.

 

 

 

 

 

 

 

 

*  *  *

                          Come ringraziamento per i fiori d’ispirazione podlaska

 

Il mio tempo è il canto degli uccelli e il fiore del gelsomino,

luccico sul lago col baccello della luna.

Le spighe accarezzo con la mano del vento,

brucio col papavero di campo, scorro con le nuvole.

 

Il mio tempo respira in primavera e piange in autunno,

i doni dei buoni ricordi sotto l’albero pone,

accende le candeline della speranza nell’orto innevato,

le candeline che brillano stupende e ingannevoli.

 

Il mio tempo pensieri lontani districa, annoda,

li risuscita nelle stampe sulla parete,

estrae una nuova estasi dai libri prediletti

e la mia morte nella tasca benevolmente tiene.

 

Fuga

 

Il turbine stanotte ha spezzato il collare.

Ulula. Mugola. Scorrazza.

Una putrida quercia s’è rovesciata.

Chi mai ti metterà nella bara,

raccoglitrice di pianto, di sudore e di sangue di coralli –

O miseria!?

 

 

 

 

 

Ti rotoli sul muschio o atlante.

Intessi sempre peggio.

Sonno e veglia si azzuffano.

Furiosi colpi di accordi nel basso.

Il violino accorre in aiuto.

Balenano zanne e coltelli.

Guai!

 

Bach il tifone tiene al guinzaglio.

Che schiuma! Il cielo in bagliori!

Non è più un cane. E’ un cavallo.

Nitrisce. Scalcia.

Ha gli occhi neri dell’autunno.

Splende la criniera – bionda canapa.

Un drago nel patos di una lunga nota rugghia,

ma Bach lo tiene al guinzaglio.

 

E’ crollata la nicchia lungo la strada.

Qualcuno un secolo fa la scolpì con devozione.

S’è spaccata la tettoia. Due belle colonnine.

I venti ansimanti tacciono. “Così non si può!” –

ulula il più giovane con voce sottile.

Un corteo. Sul campo di battaglia la Fuga è in ginocchio.

 

Nuvole leggere, piumose.

Dal folto è uscito un pastore.

Ha estratto il coltello. Una nuova nicchia scolpirà.

Ha uno strano sorriso sulle labbra.

Coi santi non si può scherzare!

Leszek Długosz

Leszek Długosz

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

BUON NATALE!

7 Dic

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BUON NATALE!

 

Ai miei Lettori con 5 poesie nella mia versione dal polacco. Questo post va ad aggiungersi agli altri tre dedicati al Natale, pubblicati nel mio blog:

– Il santo Natale nella poesia polacca

– Il Natale polacco

– Natale con Stanisław Reymont

 

Anna Nagórska (1882-1963)

Vecchi alberi di Natale

Ho rivisto in sogno i vecchi alberi di Natale

Formavano un grande magnifico bosco

E nel fascino e nel profumo silvestre

Anche i fiori più belli di ogni solito anno

I Cherubini alati e san Nicola

Le pigne dorate e con un filo di cristallo…

Qualcuno ha preso l’addobbo da vecchie scatole

Le candele accese. Gli uccelli. Vola la slitta d’argento.

Sono tornate intere le palle di vetro spezzate

– Al solito posto il pittoresco presepe

Tutto è rapimento. Tutto è ammirazione

Che al limite del destino possiamo anche incontrare…

Il brutto tempo non ha sciupato le angeliche ali

– La neve fresca ha nascosto il lutto della terra

Le stelle brillano sui puntali degli alberelli

– Gesù la sua miseria come felicità ci ha donato…

 

 

Krzysztof Kamil Baczyński (1921-1944)

Canto di Natale

 

O angeli, angeli bianchi,

che cosa aspettavate presso la greppia,

perché battendo così le ali

la neve avete sparso nella notte nera?

 

Volevate far perdere la strada col bagliore

a quei dannati con la mani insanguinate?

Avete seminato fiori, foglie d’argento

sulle tombe dei cavalieri di acciaio,

sulle tombe dei cavalieri delle schiere,

che di sferza e di fame sono morti?

 

Notti scure, o angeli, nella nostra terra,

stelle scure e neve scura, anche l’amore,

e sotto le nuvole scure

il nostro cuore in oscurità s’è mutato.

 

O angeli, angeli bianchi,

oh! fate luce con le vostre ali,

perché trovi il Signore chi s’è perso

e chi non osa alzare gli occhi,

e chi aspetta senza sperare,

e il cavaliere con la corazza squarciata,

perché come uomo incontri il Dio-Uomo,

o angeli, angeli bianchi.

 

Jan Twardowski (1915-2006)

 

*  *  *

Perché  c’è il santo Natale?

Perché fissiamo la stella in cielo?

Perché intoniamo i canti natalizi?

 

 

Per imparare l’amore di Gesù.

Per stringerci la mano.

Per sorriderci

E perdonarci l’un l’altro.

 

Czesław Miłosz (1911-2004)

 

Preghiera della Vigilia

 

O casta Maria, benedici colei

Che nella pietà non crede.

Che la tua fulgida stanca mano

Reprima tutte le sue pene.

Sotto la tua mano il pianto le sia lieve.

 

Sulla tavola della Vigilia

Scenda per lei un verde alberello,

Che toccandolo, senta ronzare le api,

Che lucide mele si spandino intorno.

Non dare le candele ma una stella dei gelidi campi.

 

Portale vicino un corteo di monti bianchi,

Che essi splendano alla sua finestra.

Gli astrologi di Caldea e di Ur

Il ricordo dei brutti anni leniscano.

I morti poeti tocchino le corde,

Per lei così sola intonino un canto di Natale.

 

Varsavia 1938

 

 

 

 

 

 

Leopold Staff (1878-1957)

 

Vigilia nel bosco

 

Anche gli alberi hanno la loro Vigilia…

Nel giorno più breve dell’anno del Signore,

Quando al crepuscolo azzurreggia la neve

Sui rami, come enormi gigli,

Pecci bianchi, pini, abeti,

Col fiato sospeso assorti nel silenzio,

Meditano come monaci,

Sgranando sante preghiere.

Il bosco è muto come un mistero,

Taciturno come un’attesa,

Perché qualcosa avviene, qualcosa accadrà,

Qualcosa diventerà reale, si mostrerà.

Nelle case il bosco ha messo gli alberelli,

 

Chi  in dono gli porterà una meraviglia?

Soltanto la neve è scesa sugli alberi del bosco,

In regalo alle mani degli alberi.

Il bosco freme di tensione e di speranza,

A tratti piovono piume d’argento

E svolazzano come spiriti d’un sogno…

Di colpo cessa di battere il cuore della selva,

Perché con la prima stella delle distese celesti,

Dal folto, smovendo il verde,

Sporge la testa un superbo cervo

Con le candeline sulle corna…

 

 

(C) by Paolo Statuti