Cezary Geroń, poeta, giornalista, traduttore e insegnante polacco, nacque il 28 luglio 1960 a Jasło. A Cracovia frequentò la facoltà di Studi Francesi e si laureò presso l’Università di Varsavia. Cominciò a lavorare come giornalista e corrispondente dell’Osservatore Romano. Al tempo stesso si dedicò alla traduzione della poesia italiana, con particolare riguardo a Eugenio Montale, Alfonso Gatto, Mario Luzi e Umberto Saba. Nel 1991 iniziò a insegnare storia della musica, nonché le lingue polacca e italiana. Di salute cagionevole fin dall’infanzia, morì improvvisamente per una malattia di cuore venti anni fa, il 26 aprile 1998, e fu sepolto a Jasło. Dopo la sua morte diverse dozzine di manoscritti di sue poesie furono raccolte dagli amici e pubblicate in due volumi.
Poesie di Cezary Geroń tradotte da Paolo Statuti
Non aspettare più…
Non aspettare più. Gli occhi si abituano al buio,
i polmoni imparano tranquillamente a respirare
forse riuscirai a mettere piede su una riva sicura
e la terra franante cesserà di essere tua.
Da quando tutti se ne sono andati sono solo nella rete –
navi o vetture si sono messe al sicuro
prendendo quelli che come figure di un segreto gioco
si movevano su e giù mescolando le proprie strade,
eppure più saggi di me sono giunti in porto
e hanno il canto di altri uccelli e dolci frutti
anziché le false consolazioni dell’immobilità –
nessuno mi spiegherà più i miei sogni
nessuno accetterà più di prendere la mia vita:
l’altra riva cresce sempre: solo l’allontanarsi del mondo
dimostra che il mondo non è un’allucinazione.
Ma i giorni passano. Luci sull’arcobaleno di ferro.
Questa corrente è fittizia, brillano sul fondo scuro
i nostri volti immobili. A un passo dal solstizio
più lunghi sono i giorni e le notti. Parliamo nel sonno
e nel sonno usciamo attraverso gli occhi della rete
in direzioni opposte non sapendo cos’è la gioia
non sapendo cos’è l’annientamento.
Nell’affresco del profeta Michelangelo
Nell’affresco del profeta Michelangelo
c’è Cristo che dirige un’orchestra di corpi
che cantano la messa della discordia universale
La mano destra per un canto fragoroso
la sinistra per placare i cuori
e ambedue segnate dalla supposizione
tale è il santo muscoloso che dirige –
Ma il giudizio universale si è svolto prima
molto prima ci hanno divisi
con la mano sinistra in solitari assonnati
chiusi orribili a se stessi
e dunque dannati
con la destra
in grandi felici
e addormentati in notti tranquille
nel salmo dell’autocomprensione
Il balletto
I corpi dei ballerini
riflessi di un ordine che io sospetto
si muovono nella musica
in armonia con essa
e con un moto di commozione
come diversamente si muove il mio
corpo infedele quando soffia
il vento del sud
vento non buono
Eppure un corpo altrui permette di restare
nella fretta del cuore
Suscita con un gesto intrepido
Cos’è la poesia
se salva tanto poco
solo quella rinnovata estasi
di cui ho così bisogno
Borges a proposito di Bach
Beethoven era sordo, ma non abbiamo
il coraggio di sapere da quale concetto
lo spirito è stato creato. Tutto
può sembrare luce, se la luce
è interiore. L’altro vecchio
senza bisogno tornò prima della morte alla fonte
dei giorni e delle notti, che non servivano
da tempo ai segreti chiarori dei suoi contrappunti.
Il dono della creazione è un peso che Là
doveva portare, non ricordando più che la dea
gli posava sugli occhi le mortifere mani.
Il caso, o il destino, riguarda quelli che devono
cercare luci estranee, aspettare i segni.
La musica non si piega incontrando la pietra.
Il quintetto in fa minore di Brahms
Ci siamo fermati pensosi all’incrocio delle cose
Tacevamo, perché la primavera era eterna
Potevamo lasciando l’isola pietrosa
Non toccare l’onda respirare una nuvola
E gli abiti bagnati non celavano il corpo
In quel profondo volo anche il tempo friniva
Ma qualcuno lo aveva già predetto
Chiarito tratto da ombre maschili
Il nero forgiato nel bronzo perché così sonoro
E’ come la corona di un bel giorno
Quando tra le foglie si cimenta con la tempesta
Imbianchiamo ventenni per questo maltempo
E di nuovo la vita è un candeliere d’argento
E tutto il resto è un sogno dell’infanzia
Benché siamo riusciti ad essere felici Essere
Un sogno gocce di rugiada su un petalo di rosa
Quando inizia la sera piena di piume di cigno
E nella pioggia impigliati nei vetri di un pioppo
E imbianchiamo ventenni per questo maltempo
Così chinati su un sogno di potere
Perché tutto il resto è allucinazione
E una doppia morte ci circonda
Perché essa congiunge i pensierosi
E se stessa nella storia conforme al tempo
Eppure sappiamo da noi stessi
Che questo nostro nostro morire
Ci unisce con la bellezza e il desiderio
Fissando le stelle stiamo alla finestra
Ancora questo lampo che sverna nel corpo
Che gli alberi come fervido sussurro imbianca
Trasformerà noi Uomini.
(C) by Paolo Statuti