Archivio | luglio, 2018

Cezary Geroń (1960-1998)

28 Lug

 

 

  

 

 

 

Cezary Geroń in classe, 1997

Cezary Geroń, poeta, giornalista, traduttore e insegnante polacco, nacque il 28 luglio 1960 a Jasło. A Cracovia frequentò la facoltà di Studi Francesi e si laureò presso l’Università di Varsavia. Cominciò a lavorare come giornalista e corrispondente dell’Osservatore Romano. Al tempo stesso si dedicò alla traduzione della poesia italiana, con particolare riguardo a Eugenio Montale, Alfonso Gatto, Mario Luzi e Umberto Saba. Nel 1991 iniziò a insegnare storia della musica, nonché le lingue polacca e italiana. Di salute cagionevole fin dall’infanzia, morì improvvisamente per una malattia di cuore venti anni fa, il 26 aprile 1998, e fu sepolto a Jasło. Dopo la sua morte diverse dozzine di manoscritti di sue poesie furono raccolte dagli amici e pubblicate in due volumi.

 

Poesie di Cezary Geroń tradotte da Paolo Statuti

 

Non aspettare più…

Non aspettare più. Gli occhi si abituano al buio,

i polmoni imparano tranquillamente a respirare

forse riuscirai a mettere piede su una riva sicura

e la terra franante cesserà di essere tua.

Da quando tutti se ne sono andati sono solo nella rete –

navi o vetture si sono messe al sicuro

prendendo quelli che come figure di un segreto gioco

si movevano su e giù mescolando le proprie strade,

eppure più saggi di me sono giunti in porto

e hanno il canto di altri uccelli e dolci frutti

anziché le false consolazioni dell’immobilità –

nessuno mi spiegherà più i miei sogni

nessuno accetterà più di prendere la mia vita:

 

l’altra riva cresce sempre: solo l’allontanarsi del mondo

dimostra che il mondo non è un’allucinazione.

 

Ma i giorni passano. Luci sull’arcobaleno di ferro.

Questa corrente è fittizia, brillano sul fondo scuro

i nostri volti immobili. A un passo dal solstizio

più lunghi sono i giorni e le notti. Parliamo nel sonno

e nel sonno usciamo attraverso gli occhi della rete

in direzioni opposte non sapendo cos’è la gioia

non sapendo cos’è l’annientamento.

 

Nell’affresco del profeta Michelangelo

 

Nell’affresco del profeta Michelangelo

c’è Cristo che dirige un’orchestra di corpi

che cantano la messa della discordia universale

 

La mano destra per un canto fragoroso

la sinistra per placare i cuori

e ambedue segnate dalla supposizione

tale è il santo muscoloso che dirige –

 

Ma il giudizio universale si è svolto prima

molto prima ci hanno divisi

con la mano sinistra in solitari assonnati

chiusi orribili a se stessi

e dunque dannati

con la destra

in grandi felici

e addormentati in notti tranquille

nel salmo dell’autocomprensione

 

 

 

Il balletto

 

I corpi dei ballerini

riflessi di un ordine che io sospetto

si muovono nella musica

in armonia con essa

e con un moto di commozione

 

come diversamente si muove il mio

corpo infedele quando soffia

il vento del sud

vento non buono

 

Eppure un corpo altrui permette di restare

nella fretta del cuore

Suscita con un gesto intrepido

 

Cos’è la poesia

se salva tanto poco

solo quella rinnovata estasi

di cui ho così bisogno

 

 

Borges a proposito di Bach

 

Beethoven era sordo, ma non abbiamo

il coraggio di sapere da quale concetto

lo spirito è stato creato. Tutto

può sembrare luce, se la luce

è interiore. L’altro vecchio

senza bisogno tornò prima della morte alla fonte

dei giorni e delle notti, che non servivano

da tempo ai segreti chiarori dei suoi contrappunti.

Il dono della creazione è un peso che Là

doveva portare, non ricordando più che la dea

gli posava sugli occhi le mortifere mani.

Il caso, o il destino, riguarda quelli che devono

cercare luci estranee, aspettare i segni.

La musica non si piega incontrando la pietra.

 

 

Il quintetto in fa minore di Brahms

 

Ci siamo fermati pensosi all’incrocio delle cose

Tacevamo, perché la primavera era eterna

Potevamo lasciando l’isola pietrosa

Non toccare l’onda respirare una nuvola

E gli abiti bagnati non celavano il corpo

In quel profondo volo anche il tempo friniva

 

Ma qualcuno lo aveva già predetto

Chiarito tratto da ombre maschili

Il nero forgiato nel bronzo perché così sonoro

E’ come la corona di un bel giorno

Quando tra le foglie si cimenta con la tempesta

Imbianchiamo ventenni per questo maltempo

 

E di nuovo la vita è un candeliere d’argento

E tutto il resto è un sogno dell’infanzia

Benché siamo riusciti ad essere felici Essere

Un sogno gocce di rugiada su un petalo di rosa

Quando inizia la sera piena di piume di cigno

E nella pioggia impigliati nei vetri di un pioppo

 

E imbianchiamo ventenni per questo maltempo

Così chinati su un sogno di potere

Perché tutto il resto è allucinazione

E una doppia morte ci circonda

Perché essa congiunge i pensierosi

E se stessa nella storia conforme al tempo

 

Eppure sappiamo da noi stessi

Che questo nostro nostro morire

Ci unisce con la bellezza e il desiderio

Fissando le stelle stiamo alla finestra

Ancora questo lampo che sverna nel corpo

Che gli alberi come fervido sussurro imbianca

Trasformerà noi Uomini.

 

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

Poesia e pittura

2 Lug

Poesia e pittura

 

Recentemente ho acquistato un libro dal titolo Poeci patrzą…obrazy, wiersze, komentarze (I poeti guardano…quadri, poesie, commenti, Ed. STENTOR, Varsavia, 2008). E’ un interessante e avvincente viaggio-écfrasi, sapientemente curato dalla professoressa Aneta Grodecka, che da anni organizza cicli di lezioni facoltative per gli studenti di filologia polacca dell’Università Adam Mickiewicz di Poznań, dedicate ai legami tra letteratura e arti figurative. Da questo volume per il momento ho scelto per il mio blog il capitolo “Come guardare Cézanne”. Eccolo nella mia versione.

Nell’estate del 1872 Paul Cézanne si trovava a Pontoise e dipingeva all’aperto in compagnia di Camille Pissarro. Il suo soggiorno in provincia fruttò molti paesaggi, tra i quali il Mulino sulla Couleuvre a Pontoise, che si trova attualmente nella Nuova Galleria Nazionale di Berlino.

 

Paul Cézanne: Il mulino sulla Couleuvre a Pontoise

 

Gli studiosi della creazione di Cézanne considerano diversamente l’influenza di Pissarro sul suo modo di vedere e sulla sua pittura, tuttavia il confronto dei lavori all’aperto dei due maestri mostra piuttosto una diversità delle loro tecniche. In un paesaggio dipinto da Pissarro a Pontoise nel 1867 si vede la “vaporizzazione” impressionistica delle forme, il gioco della luce sui tetti delle case. La presenza in primo piano delle contadine sulla strada accentua la fugacità dell’istante colta nella tela.

 

Camille Pissarro: Paesaggio di Pontoise 

 

Mentre, guardando il paesaggio di Cézanne, dipinto nella stessa località, vediamo lo spazio senza gente e architettonicamente ordinato. Attirano gli sguardi soprattutto i colori che, se osservati a lungo, acquistano una sorprendente vitalità. Ciò è stato descritto a meraviglia dalla scrittrice Virginia Woolf:

Lo stesso pigmento dei quadri di Cézanne rappresenta per noi una sfida, stimola un qualche nervo, risveglia, eccita…Un qualunque paesaggio del maestro suggerisce in noi parole, là dove non sospettavamo l’esistenza di parole, impone delle forme, là dove non abbiamo mai visto niente tranne l’aria.

Questa impressione nasce dalla strategia creativa impiegata dall’artista, che il più delle volte viene definita “pura visibilità”. Essa consisteva nel rifiuto della memoria e della conoscenza del reale, nello scorgere in natura solidi geometrici, forme e colori, nonché i loro rapporti reciproci. Questo modo di guardare fu descritto dal pittore nella nota lettera del 15 aprile 1904 al critico d’arte Émile Bernard:

Bisogna trattare la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono, il tutto posto in prospettiva, in modo che ogni lato di un oggetto o di un piano si diriga verso un punto centrale.

La composizione del Mulino sulla Couleuvre si riconduce al sistema di linee orizzontali e verticali. All’orizzonte appaiono i tratti scuri degli alberi, al centro del quadro si vedono le torrette verticali e le scure aperture delle finestre, a sinistra si può distinguere la marcata linea degli alberi. Le case subiscono una lieve deformazione sotto l’influsso dei riflessi colorati, le pareti e i tetti resi con l’aiuto di piccole macchie suscitano l’impressione di un bassorilievo a colori. Dipingendo i loro solidi, l’artista applicava un diverso grado d’intensità del colore, ciò che si nota chiaramente da vicino. Grazie a ciò, secondo la distanza da cui guardiamo il paesaggio di Pontoise, possiamo scorgere o un piano di macchie colorate, o la cittadina situata sull’altura, lo spazio con una sua propria aria e luce.

Entrambi i modi di lettura dell’opera li troviamo nella poesia Cézanne di Kazimierz Wierzyński. In realtà questa poesia non è la diretta descrizione di un concreto quadro, ma rappresenta un esempio riuscito di écfrasi poetica. Wierzyński aveva visto molti quadri del maestro, viaggiando prima della guerra in Francia e in Svizzera (e tra essi anche il paesaggio della Galleria di Berlino), e il suo testo concorda in molti elementi con il Mulino sulla Couleuvre. Possiamo analizzare questo confronto. La prima osservazione del poeta riguarda l’accostamento sulla tela di due piani coloristici: di profondo verde e di freddo azzurro (l’espressione “azzurrità a dirotto” suggerisce un cielo greve, plumbeo e privo di profondità). Altri elementi del paesaggio di Cézanne nella descrizione di Wierzyński sono: il cipresso, l’altura rosso-gialla, il campo coi solchi rossi, la città grigio-argento, le torrette della costruzione culminanti col rosso. L’effetto geometrizzato dello spazio è reso dalla metafora “il domino della città”. Il poeta non si limita a elencare le costruzioni, in certi punti smantella l’ordine matematico di Cézanne, ravvivando la sua visione con elementi antropomorfici (i pioppi sono alteri, la finestra diventa l’occhio della città, le torrette gridano). In tal modo egli attenua l’impressione di torpore della descrizione verbale, anche se al tempo stesso abbandona decisamente la convenzione romantica di “paesaggio delle sensazioni” (1). Sottolinea che il cipresso è l’antica “Niobe-Albero” –  nella rappresentazione del pittore diventa uno degli elementi dello spazio, interpreta dunque il paesaggio esclusivamente come registrazione di un certo modo di vedere, in cui conta non il valore simbolico delle cose, ma la loro forma e i colori. Forse i quadri di Cézanne hanno insegnato a Wierzyński come guardare? Il poeta si è avvicinato al modo di percepire il mondo attraverso il pittore? La sua relazione attesta che egli fu un allievo attento, e forse nello scrivere utilizzò le sue esperienze derivate dai suoi contatti con l’arte del pittore postimpressionista. Del fatto che un pittore possa ispirare anche poeti e scrittori, testimoniano i ricordi di Ernest Hemingway:

Dalla pittura di Cézanne ho imparato qualcosa che ha reso la scrittura di semplici naturali frasi assai insufficienti a dare ai racconti dimensioni, quali mi sforzavo di racchiudere in essi. Da lui ho imparato moltissimo, ma non ero abbastanza eloquente, per spiegare ciò a una persona qualunque.

 

 

 

 

Kazimierz Wierzyński

Cézanne

Nel verde scuro del tuo

Spazio: l’azzurrità a dirotto.

Il cipresso al centro.

Niobe-Albero.

 

Per chi è il rimpianto? Per le rose,

Che a un tratto sfioriscono,

Sulle rosso-gialle alture

Si spengono come a maggio?

 

Guarda, i pioppi alteri

Con che calma si vantano,

Nel rosso solco il campo

Riluce di vigna.

 

Dalla finestra-occhio come argento

Nel domino della grigia città

Il glicine scorre come nastro

E invade le porte.

 

In alto le torrette-banditori

Si levano con grido ardente.

Il cipresso? – Il cipresso

Qui non piange nessuno.

 

(dalla raccolta Uno staio di papavero, 1951)

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

 

A interessanti osservazioni conduce il confronto della poesia di Kazimierz Wierzyński con l’écfrasi di Stanisław Dąbrowski, che si trova nella sua guida poetica alle gallerie tedesche dal titolo Album niemieckie (Album tedesco). Accanto a differenze nel modo di percepire, appaiono convergenze nella sfera della illustrazione, ad esempio nel paragonare i pioppi a torri, le case alle tessere del domino.

 

Stanisław Dąbrowski (1930-2007)

Paul Cézanne (1839-1906)

Muehle an der Couleuvre bei Pontoise

 

Il paesaggio si alza sotto il cielo grigio

a lunghi livelli, simili a gradini.

Da dietro la chioma di un albero – semivisibili

i muri del mulino biancheggiano stretti,

sopra – il tetto giallo ripido, alto.

che toccava l’azzurro tra le nubi.

Il fiele come ripetuto nastro

scorre tra i verdi del grano (a macchie blu),

presso gli alberi, tra le loro ombre diafane e vuote,

accanto allo stagno, che il suo giallo rossastro riversa

dal recinto alla strada (tutto in macchie di bianco,

sotto il quale la fodera dell’azzurro si è aperta riflessa).

Il mulino si è stretto all’altura. Nella fonda valle

a destra giacciono orizzontali le tessere delle case.

Più in alto il bosco si è steso basso. Sopra il bosco

ficcati in una nube i pioppi somigliano a torri.

 

(dalla raccolta Album tedesco, 1980)

 

(Versione di Paolo Statuti)

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(1) Secondo le ricette dei romantici, si identificavano gli stati della natura con gli stati spirituali, il paesaggio diventava metafora delle sensazioni intime del poeta; a Wierzyński interessa risvegliare la coscienza di un osservatore passivo.