Archivio | marzo, 2020

Paolo Statuti: Colonna di automezzi

31 Mar

Colonna di automezzi

che attraversi furtiva

le vie di Bergamo, di notte,

come timorosa

della luce del giorno

che più non ti appartiene,

seguita dal mondo intero,

ti seguo anch’io col tricolore

negli occhi appannato

dal dolore.

Soffocati dal virus,

respirate ora a pieni polmoni,

increduli ma felici,

ne sono certo!

19.3.2020

Michaìl Svetlov: L’Italiano

30 Mar

L’Italiano

Sul petto italiano una croce nera,

Semplice, senza rabeschi giaceva,

Da una famiglia povera conservata,

Dal figlio unico era portata…

Giovane che a Napoli sei cresciuto,

In un campo russo cos’hai perduto?

Ma non potevi felice restare

Nel golfo del tuo celebre mare?

Io che ti ho ucciso dall’Italia lontano,

Quante volte ho sognato il vulcano!

Come ho sognato sulle rive del Volga

Almeno una volta un giro in gondola!

Ma io non sono venuto a luglio

A rubarti l’estate – pistola in pugno,

Non ho lanciato le mie granate

Sulla santa terra dell’Urbinate!

Ho sparato dove ho le mie radici

E sono fiero di me e degli amici,

Dove le storie della nostra gente

In un’altra lingua nessuno sente.

I segreti e i meandri del caro Don

Forse uno straniero ha mai studiato?

La nostra terra – la Russia, la Rus’ –

Hai forse arato e seminato?

No! Sei giunto qui con un convoglio

Per colonizzare con cieco orgoglio,

Perché la croce della tua famiglia

Finisse in una fossa di argilla…

Non lascerò che oltre mari stranieri

Sia portata la mia patria venusta!

Io sparo – e un’altra giustizia non sarà

Mai della mia pallottola più giusta!

Tu non sei mai stato né vissuto qui!..

Ma si è disteso sui campi innevati

Il cielo azzurro della tua Italia,

Ora vitreo nei tuoi occhi sbarrati…

1943

(Versione di Paolo Statuti)

Nika Gheorghievna Turbina

27 Mar

Nika Gheórghievna Turbiná

   Nacque a Jalta il 17 dicembre 1974. La madre Maja Nikanorkina era pittrice e il padre Gheorgij  Torbin – attore. Dal padre prese il cognome che in seguito diventò il suo pseudonimo. Ben presto i genitori divorziarono e la bambina crebbe nella famiglia della madre e con la nonna Ljudmila Karpova. Tutta la famiglia era votata all’arte. Fin dai primi anni le leggevano i versi di vari poeti e una grande influenza su di lei ebbero le poesie di Andrej Voznesenskij, amico della madre. Girava la voce che egli fosse il vero padre di Nika, ma sia il certificato di nascita che i ricordi dei conoscenti lo escludono. Anche la madre di Nika scriveva poesie, però senza mai pubblicarle.

   Fin dai primi anni Nika soffriva di asma bronchiale e d’insonnia. Quando aveva 4 anni , guardando di notte da una finestra della sua casa a Jalta, stupì la madre recitando: «Luna crèmisi, luna crèmisi, guardami attraverso la finestra buia. La stanza è nera. Gli angoli sono neri. Nere sono le case. E nera sono io stessa». Cominciò a scrivere poesie prima ancora d’imparare a leggere e a scrivere. Alla stessa età, durante l’insonnia, pregava la madre e la nonna di scrivere le poesie che sussurrava e che, secondo le sue parole, le dettava Dio.

   Nel 1981 la nonna di Nika riuscì a incontrare lo scrittore Julian Semjonov e lo pregò di leggere le poesie della nipotina. Lui le lesse e le trovò geniali, pur con qualche dubbio che le avesse scritte una bambina. Subito telefonò al caporedattore della “Komsomolskaja Pravda” dicendogli: «Ascolta, c’è un vero poeta russo che vive a Jalta». Un corrispondente fu inviato a intervistare Nika e ripartì stupito.

   Si mormorava che non tutte le poesie pubblicate col nome di Nika fossero state scritte da lei e che molte fossero frutto di una sua collaborazione con la madre. A queste insinuazioni la giovane poetessa rispose con questa poesia:

Non io scrivo le mie poesie?

Va bene, non le scrivo io.

Non io grido che non c’è una riga?

Non io.

Non io ho paura dei folti sogni?

Non io.

Non io mi getto nell’abisso delle parole?

Va bene, non io.

Voi vi svegliate al buio,

Senza forza per gridare.

E senza parole…

No, le parole ci sono!

Su, prendete un quaderno

E scrivete voi

Cosa avete visto nel sonno,

Cosa è diventato dolore e luce,

Scrivete di voi stessi.

Allora, amici, vi crederò:

I miei versi non li scrivo io.

1982

   Per un fortuita coincidenza Nika frequentò lo stesso ginnasio dove all’inizio del secolo ventesimo aveva studiato Marina Cvetaeva. Nel 1984, quando non aveva ancora compiuto 10 anni, uscì a Mosca in 30 mila copie la sua prima raccolta di poesie scritte tra i 5 e gli 8 anni, dal titolo Quaderno di appunti, tradotta in 12 lingue. Evghienij Evtuscenko scrisse la prefazione e da allora egli si prese cura della bambina. La portò anche a Venezia, dove Nika fu premiata con il prestigioso “Leone d’oro” per la poesia, che prima di lei aveva ricevuto anche Anna Achmatova.

   A 13 anni visitò New York e Boston per una settimana, recitando le sue poesie. In tale occasione disse: «Ci vuole molta energia. Quando io leggo una mia poesia, rivivo tutta l’emozione con cui l’ho scritta, ogni parola evoca la sofferenza di questa emozione».

   La sua seconda e ultima raccolta dal titolo Gradini in su, gradini in giù… uscì

nel 1990. In quel periodo Evghienij Evtushenko aveva già smesso di proteggerla e di frequentare la famiglia della poetessa – egli pensava che la mamma e la nonna cercassero di ottenere denaro da lui.

   Nika mal sopportava la perdita di popolarità e di interesse del pubblico e aveva l’impressione di essere diventata inutile a tutti. Secondo i ricordi dei conoscenti beveva, aveva frequenti flirt, a lungo viveva fuori casa e si era perfino tagliata le vene. Aveva quasi dimenticato le sue poesie dell’infanzia. In seguito al suo squilibrio mentale fu mandata in Svizzera per curarsi in una clinica psichiatrica e si fidanzò col suo psichiatra che aveva 76 anni.

   Tornata dalla Svizzera, sperando di realizzare il suo sogno di diventare attrice, cominciò a studiare presso l’Istituto Statale Russo di Cinematografia, ma non concluse niente a causa di attacchi di nervi provocati dall’ubriachezza. Un anno dopo, delusa, abbandonò l’istituto. Non riusciva a trovare un lavoro adatto per lei. Finalmente nel 1994 fu ammessa, senza esami, a frequentare l’Università della Cultura di Mosca. La sua insegnate era Aljona Galich, figlia del poeta Aleksandr Galich, che diventò sua intima amica. Nonostante lo squilibrio psichico e la labile memoria, il primo semestre studiava bene, aveva ripreso anche a scrivere poesie – su un qualunque pezzo di carta o perfino col rossetto, se non aveva una matita a portata di mano. Ma alla fine del primo corso, poco prima degli esami, si recò a Jalta dal suo ragazzo Kostja, che frequentava già da qualche anno.

   Per gli esami non tornò. Nel maggio del 1997 ci fu la prova generale della sua morte. Quel giorno Nika era in casa di un amico, entrambi avevano bevuto e per qualche motivo litigarono. Nika corse verso il balcone (come poi disse “per scherzo”), non si fermò e restò sospesa nel vuoto. Lui l’afferò per la mano e lei cercò di risalire, ma non ci riuscì e cadde. Fortunatamente restò attaccata a un albero. Si salvò riportando soltanto la frattura della clavicola e una lesione alla spina dorsale.

   Per iniziativa dell’amica Galich, Nika avrebbe dovuto curarsi in una clinica specialistica americana, ma quando arrivò il consenso di quest’ultima, la madre improvvisamente la portò a Jalta, dove Nika, dopo un violento attacco nervoso fu ricoverata in un ospedale psichiatrico.

   L’11 maggio 2002 Nika si trovava in casa di Inna, una sua conoscente che abitava nella stessa via, aveva bevuto con lei e con un amico e si era addormentata. Inna con l’amico erano usciti per comprare la vodka e Nika, svegliatasi, li aspettava seduta sul davanzale al quinto piano con le gambe all’infuori, che secondo quanto afferma la Galich, era la sua posizione preferita. Escludendo la tesi del suicidio, Nika deve aver fatto un movimento brusco per girarsi e, perso l’equilibrio, restò appesa nel vuoto. Gridò aiuto ma precipitò, riportando gravissimi traumi. Si trattò dunque di una fatale disgrazia, di una tragica fatalità? Anche se fu così, una cosa è certa: non era la prima volta che Nika “scherzava” con la morte. Il suo corpo fu cremato. Soltanto una persona le portò gli ultimi fiori – la sua amica insegnante Aljona Galich. Aveva appena 27 anni.

   Molti fanno notare che la psiche della bambina non aveva restistito al peso della fama e alla prova dell’oblio. Ecco cosa dice in proposito lo scrittore Dmitrij Bykov: «Alcoolizzati, donnaioli e magari anche impostori diventano gli scrittori quando non riescono più a scrivere. Ciò rappresenta un tremendo stress e non c’è modo di compensarlo con un’altra occupazione… la stessa cosa avvenne con la giovane poetessa Nika Turbiná, saltata dalla finestra dopo dieci anni di depressione, e a tanti altri che si sono dati al bere o si sono estraniati, sentendo inaridirsi la propria fonte di Castalia».

   Dopo la morte di Nika l’archivio con i suoi scritti fu consegnato all’amico di famiglia Aleksandr Ratner. Egli nel 2018 ha pubblicato una sua dettagliata biografia dal titolo I segreti della vita di Nika Turbiná, che ha ricevuto il premio “Ernest Hemingway”. Basandosi sui ricordi dei conoscenti, sulle minute e sui manoscritti conservati, egli giunge alla conclusione che molte poesie erano frutto di una collaborazione con la madre, o scritte interamente da quest’ultima e attribuite alla figlia. Egli afferma anche che la famiglia sfruttava la fama e i guadagni di Nika, danneggiando in tal modo la salute e la psiche della bambina.

   Qualunque sia la verità e chiunque le abbia scritte, queste poesie mi hanno colpito. Basterebbe tuttavia che anche solo una parte di esse fosse stata scritta veramente e interamente da Nika, per qualificarla come una geniale e autentica poetessa, come una bambina prodigio, la cui vena poetica andò purtroppo esaurendosi con gli anni, fino alla tragedia finale.

   In un paese dove i tassisti recitano a memoria Pushkin e i poeti più noti possono riempire a volte gli stadi di ascoltatori delle loro poesie, come accadeva ad esempio con Bella Achmadulina, Turbiná sembrava destinata ad attirare su di sé un’attenzione sempre crescente e duratura. Ma, ahimé, la poesia russa è costellata di martiri, quanti omicidi e suicidi si contano in essa! «Perché io soffro?» – si chiede Nika e si risponde: «Perché vivo. Il mondo non è pieno di colore. Da qualche parte la gente viene uccisa, da qualche parte i bambini muoiono, e con le mie poesie voglio aiutare a rimuovere i blocchi che attualmente dividono il mondo».

   Nel 2009, in occasione del trentacinquesimo anniversario della nascita di Nika Turbiná, a Jalta sull’edificio della scuola nr. 12 è stata murata una lapide alla sua memoria. Attualmente la direzione del “Club Amici di Jalta” è in trattative con le autorità cittadine per la creazione di un monumento e di un museo della poetessa.

   Si può ascoltare Turbiná in YouTube. Il suo modo di recitare nel tradizionale stile russo drammatico ed emotivo, fa impressione: le dita contratte davanti a sé, lo sguardo rivolto in alto a cercare l’ispirazione, e una voce risonante che sembra innaturale per il suo fragile fisico di bambina.

                                                                                       Paolo Statuti

Poesie di Nika Turbiná tradotte da Paolo Statuti

Alla mamma

Mi manca

la tua tenerezza,

come a un uccello

che muore – l’aria.

Mi manca

l’inquieto tremito

delle tue labbra,

quando mi sento sola.

Mi manca il sorriso

nei tuoi occhi –

essi piangono,

guardandomi.

Perché in questo mondo

il dolore è così cupo?

Sarà, forse,

perché sei sola?

(1981)

Sono pesanti i miei versi…

Sono pesanti i miei versi –

Pietre in salita.

Le porterò fino alla rupe,

Tenacemente.

Cadrò con la faccia nell’erba,

Le lacrime non basteranno.

Squarcerò la mia strofa –

Il verso scoppierà a piangere.

Con dolore l’ortica

Penetrerà nella mia mano.

Tutta l’amarezza del giorno

Si trasformerà in parole.

(1981)

Chi sono?

Con gli occhi di chi io guardo questo mondo?

Degli amici? dei parenti? degli alberi? degli uccelli?

Con le labbra di chi io colgo la rugiada

Della foglia caduta sulla  strada?

Con le mani di chi io abbraccio il mondo

Così debole e fragile?

Io perdo la mia voce nelle voci

Dei boschi, dei campi, delle piogge,

Della bufera di neve, della notte…

Chi sono?

In cosa cercare me stessa?

Come rispondo a tutte le voci della natura?

(1982)

Io sono l’erba assenzio…

Io sono l’erba assenzio,

Amara sulle labbra,

Amara sulle parole,

Io sono l’erba assenzio.

E lamento sulla steppa.

Circondato dal vento

Stelo sottile,

Spezzato…

Nata dal dolore

Lacrima amara.

A terra cadrà –

Io sono l’erba assenzio…

(1982)

Sono come una bambola rotta…

Sono come una bambola rotta.

Nel petto hanno dimenticato

Di metterle il cuore

E l’hanno lasciata inutile

In un angolo buio.

Io, come una bambola rotta,

Quando spunta il giorno

Sento il soave sussurro del sogno:

“Dormi, mia cara, dormi a lungo.

Voleranno gli anni,

E quando ti sveglierai ,

Di nuovo vorranno

Prenderti in braccio,

Cullarti, giocare,

E batterà il tuo cuore…”

Ma l’attesa è tremenda.

(1983)

*  *  *

Tu ed io

Parliamo lingue diverse.

Le lettere sono le stesse,

Ma le parole sono estranee.

Viviamo su isole diverse,

Eppure stiamo nella stessa casa.

(1983)

Non andrò col tram

Non andrò col tram,

L’autunno copre le rotaie.

Resterò in casa

Alla finestra.

Raccoglierò sul palmo i suoni,

Come i portinai raccolgono al mattino

Le nebbie nei cesti,

Sollecitando il giorno.

Il vento farà roteare le foglie,

Non si poseranno sui gradini.

E sbatterà la finestra

Facendo tintinnare i vetri.

Non andrò col tram,

I suoni precedono l’autunno.

Resterò in casa

Accanto alla finestra rotta.

1983

Non bisogna chiedermi…

Non bisogna

Chiedermi

Perché vivono le poesie malate.

Io capisco,

Sarebbe meglio

Avere una scorta di sane parole.

Ma non posso farci nulla,

Ai sogni non si può chiedere

Perché vengono.

Perché i boia notturni

Hanno sguainato le spade

E si avvicinano a me tutti insieme.

Perché gente cieca e sfinita

Si è affollata alla porta

Della mia memoria non infantile.

Il fuoco ha divorato decine di sorti,

Ma davvero è apparso

Chi prenderà su di sé

Tutto il male?

(198?)

*  *  *

Vi ho ingannati,

Dicendo che un istante può essere l’eternità,

Che quando migrano gli uccelli

Finisce il caldo.

E che ho dimenticato da tempo

Gli scongiuri delle notti incantate,

Che la gioia è così vicina,

Basta sfiorarla per caso –

La tua mano

Solleva la sfera terrestre.

Io vi ho ingannati?

No, ho donato un segreto

Noto a me soltanto.

(1983)

Per i viali del parco…

Per i viali del parco,

come pallina di cristallo,

la tua voce tintinnante

mi ha superato.

È passata sui tetti,

è passata sulle foglie.

Nel fruscio dell’autunno

ha colto la musica.

A un tratto s’è fermata

accanto a quella panchina

dove c’era

un lampione rotto.

La tua pallina di cristallo

ha riso lanciando scintille,

e il lampione rotto

si è illuminato.

(1983 o prima)

Il pesciolino d’oro

Hanno preso nella rete il pesciolino d’oro:

Tutti i suoi doni hanno restituito.

Anche le parole

Che lui diceva sull’amore,

Le abbiamo restituite –

Amaro inizio…

Per quale ragione di nuovo

da una ripida sponda

Noi supplicando guardiamo

Aspettando una parola?

(Italia – Yalta  1985)

Le mie poesie somigliano a un gomitolo…

Le mie poesie somigliano a un gomitolo

Di fili colorati, arruffati da un bambino…

La mattina cerco di sgrovigliarli

In graziosi gomitoli separati,

Ma la sera – che assurdità! –

Il pavimento, le pareti, le strade, le case –

Tutto è confuso!

Le poesie somigliano

A una lunga coperta colorata,

No, alla strada dove

Dovrò rotolare il gomitolo della mia vita…

Che un bambino arruffi pure i fili –

Non si può seguire un solo dritto cammino!

E con un solo colore

Non si può riempire il mondo intero!

Che le parole siano un arcobaleno.

(1985 – 1987)

(C) by Paolo Statuti

Marek Baterowicz: La maledizione

21 Mar

Marek Baterowicz: La maledizione

Una maledizione è scesa sulla Terra

come innumerevole locusta

moltiplicandosi nell’aria

e circolando nelle nostre vene

– pestilenza più crudele di un ciclone,

spietata come tsunami,

sciagura a misura di peste,

flagello peggiore di fame e fuoco,

calamità che tormenta i popoli

come erinni laceranti le loro vittime,

insudicia l’opera della Creazione

con la stoltezza che si è fatta perfidia.

La morte ci colpisce

non distinguendo

gli appestati dai benedetti

credenti

che sperano nel Signore

spaventando la morte con la preghiera.

Questa maledizione non viene da Dio,

ma da noi stessi,

dalla nostra superbia e spina,

l’abbiamo scagliata sulle nostre case e teste

e sui nostri figli.

19 marzo 2020 AD

Marek Baterowicz

(Traduzione di Paolo Statuti)