Oggi pubblico nella mia traduzione la poesia “Il tram che si è smarrito”, scritta da Nikolaj Gumiljov nel 1920, un anno prima della sua uccisione, perché accusato di attività antirivoluzionarie. È un’opera simbolica ricca di metafore. In essa il poeta affronta il tema della rivoluzione e della realtà post-rivoluzionaria, verso la quale aveva un atteggiamento di insoddisfazione e di timore. In tono elegiaco la poesia esprime i pensieri cupi dell’autore sulla sua epoca.
Secondo gli studiosi, il tram indicherebbe il furore della rivoluzione, in cui il poeta si trova coinvolto a malincuore (non sa come sia saltato sul predellino). Egli implora il conducente di fermarsi, ma non è possibile arrestare la corsa sfrenata verso la stazione dove ora vendono teste morte. Sono le teste di chi ha cercato di “nuotare controcorrente”, e qui la poesia si fa profetica, prevedendo la morte del poeta un anno dopo. Mashenka è una metafora della Russia che Gumiljov considera defunta. Nelle ultime strofe egli esprime l’idea che la vera libertà arriva solo dopo la morte, quando una persona va in paradiso, “da dove la luce proviene”. L’opera si conclude con una dichiarazione d’amore rivolta alla Russia-Mashenka.
Nel sito russo yandex ho trovato un ciclo di poesie dal titolo Стихи о мире (Poesie per la pace). Ho scelto e tradotto queste sei. Consideratelo una specie di bombardamento poetico sulle teste ottuse di coloro, ignari che anche i Russi amano la pace e sono contro la guerra. Spero cessi al più presto questa assurda e ingiustificata “caccia alle streghe e agli stregoni” russi, indice di stupidità e d’ignoranza.
In aggiunta alle poesie di Norwid da me tradotte e pubblicate nel mio blog, propongo oggi la mia traduzione di queste altre tre poesie: Il nostro epos, Il passato, L’oscurità
Cyprian Kamil Norwid
IL NOSTRO EPOS
1848
I
Dalle tue gesta a leggere ho imparato,
O cavaliere! – e a te leverò il mio canto.
Alto, le spalle rivolte al sole
Che, sulla corazza guizzando,
Indora la tua figura rattristata,
E gioca con la staffa abbandonata…
II
I tuoi tratti cantare non posso –
In molti hai riversato il tuo aspetto.
Ma il cuore? – anch’io sento l’ansia
Dell’eroismo…amico mio diletto!
Delle tue gesta l’ardore e lo zelo
Io ancora sento e ad essi ancora anelo.
III
Da bambino, sul foglio ingiallito
(Il suo colore non ho scordato)
Chino, con la testa tra le mani,
Oh! quanto etere ho aspirato
Dalla lettura, dal libro che leggevo!
E quando la candela si spegneva,
O qualcuno dei grandi chiamava,
Che tristezza intorno nasceva!
O quando solo poche righe ancora
Mancavano per la fine della storia!…
IV
Se ti amavo e se scrivo il vero,
Te lo dice la memoria che ho nutrita,
Io scrivo poco e poco pecco creando:
Scrivo e canto fedele alla mia vita…
V
Proprio così!… di nuovo mi stai davanti
Come allora, con la corrosa armatura,
E risvegli mestizia, che irrita come serpe,
Ah! Dulcinea – mia dolce creatura!
VI
Proprio così!…qui non vien da ridere, no! –
Forse a chi guarda, forse ai lettori,
Ma a noi? noi che con entrambe
Le mani lottiamo coi malfattori,
Liberando la principessa virtuosa –
Resta il dolore, l’afa e la strada tortuosa.
VII
E il riso? – poi nella storia – i posteri
Ridano pure di noi così limitati,
Mentre loro sono felici e immensi,
E puri e di splendore adornati…
VIII
E loro? – non traditi da nessuno,
In paradiso volano raggianti
Con le loro Beatrici – innamorati –
Con le corone e i preziosi manti,
Sorridono agli astri affabilmente,
E un Osanna! per loro si sente.
IX
Benedicili, o Signore. . . . . . . . .
X
…e noi – cavalieri erranti,
Senza scudieri, fascia rossa sul petto,
Per umidi boschi e boschi di querce,
Tiriamo da lontano il nostro carretto
Impigliato: in grate di ferro rugginoso,
In porte aperte come cannone furioso…
XI
Un giorno un branco di draghi si scalda
Su zolle e avvelenate radici;
Un altro un nano con uno sterpo
Stuzzica a un cavallo le narici;
Altrove una fanciulla invoca aiuto;
E altrove un grigio serpe biforcuto…
XII
Per così tanti sentieri io andavo
Con la grande lancia che spezza i rami,
Solo tu lo sai, o Don Chisciotte,
Tu che questo mio ricordo ami,
Perché la marmaglia dalle cento facce
Riderà indegna delle tue tracce!
XIII
E la mia Dulcinea – oh! cavaliere
Intrepido – la sua persona così amata
Non mi si è mai rivelata;
– A meno che brezze gentili e lievi
Il velo dal viso non scosteranno,
E un serto di stelle mostreranno
Sui capelli, o l’anello di opale,
O una scarpina che gioca con la ruta
In fiore, piccola, così piccola,
Come una conchiglia mai veduta…
XIV
È tutto!… gli uccelli spesso mi cantavano
Che già risvegliata e senza più malia,
Esce dalla torre in mezzo ai draghi;
Che regge una lampada, e i mostri,
Non sopportando la luce fuggono,
Sbattono le ali in antri desolati
E imprecano, gridano, ululano…
XV
E allora? – gli uccelli, posatisi
Sullo scudo o sul mio elmo cantano
Ciò che vogliono – ma lo spirito sa
Che mentono, la verità è soltanto
Per noi Don Chisciotti, noi gli eletti –
Contro draghi, veleni, e proietti.
L’OSCURITÀ
I
Tu lamenti l’oscurità del mio linguaggio;
– Hai mai acceso una candela tu stesso?
O il tuo servo ti ha sempre portato
La luce?… – ascoltami allora adesso.
II
Lo stoppino, acceso dalla scintilla, brucia
E riscalda la cera, che come sfera s’è alzata,
E al suo polo la fiamma a un tratto annega;
La sua luce si fa pallida – velata –
III
Ora – pensi, ora si spegne, perché dal basso
Il fluido riscaldato ingoierà la luce –
Fede ci vuole – cenere e scintilla non bastano…
Hai avuto fede?… allora guarda come brucia!…
IV
Così sono le mie parole, o bonuomo,
Ma tu neghi loro un briciolo di attenzione,
Prima che riscaldino la freddezza dell’epoca –
Lanciano in cielo una fiamma… in espiazione.
IL PASSATO
1
Passato, morte e dolore non li ha creati Dio,
Ma chi la legge vuole stracciare,
E quindi vive nel timore
E, sentendo il male, vuole dimenticare!
2
Ma non è come un bambino che sul carro
Grida: “Oh! la quercia dove
Corre?… corre nel bosco…”
– Mentre sta ferma ed è il carro che si muove.
3
Il passato è anche l’oggi, anche se l’oggi lontano: