Oggi presento il mio amico di vecchia data Piotr Mϋldner-Nieckowski, medico, prosatore, poeta, drammaturgo, linguista e traduttore. Ingegno straordinariamente poliedrico. Nato a Zielona Góra il 29 marzo 1946.
Più volte premiato per la sua produzione letteraria che comprende in particolare romanzi, racconti, poesie, satire e radiodrammi. E’ autore del Grande dizionario fraseologico della lingua polacca e di numerosi testi scientifici prevalentemente nel campo medico e linguistico.
Nella sua creazione emerge un suo personale verismo, la tendenza a rappresentare il mondo con i mezzi da esso dettati. Il suo è il mondo ordinario della gente comune. Poiché esso è disordinato, assurdo, grottesco e imprevedibile, lo scrittore si serve proprio dell’assurdo e del grottesco. Il suo linguaggio è denso, conciso, privo di parole e frasi irrilevanti, ma saturo di paradossi, sia nelle descrizioni che nei dialoghi, e al tempo stesso preciso psicologicamente, a volte in una trama volutamente ridotta o troncata. Nei suoi radiodrammi l’atteggiamento verso il mondo descritto sembra mutare in direzione di una diagnosi sintetica, e di una definizione di ciò che è indefinibile, usando metodi anche scientifici (ad esempio psicologici e sociologici). Ciò si avverte anche nella commovente raccolta di poesie Lamenti per una donna, scritti dopo la morte della diletta moglie Małgorzata, oltre che in alcuni radiodrammi nei quali il riflesso letterario degli assurdi della vita è sottoposto all’analisi dei propri pensieri, sentimenti ed emozioni.
Il suo racconto grottesco La ferita alla testa è stato da me tradotto e inserito nella mia antologia di racconti brevi polacchi Viaggio sulla cima della notte, Editori Riuniti, 1988.
Poesie di Piotr Mϋldner-Nieckowski tradotte da Paolo Statuti
Dalle raccolte: Il parco (2011) e Scale (2015)
Su consiglio degli amici
Si guardarono negli occhi, su consiglio degli amici,
e dovevano dirsi
che lui voleva vivere da solo,
che lei se ne andava con un altro,
ma li spaventò la sincerità
reciproca.
Li intimidì sentirsi dispensati
dai giuramenti e dagli obblighi,
prima ancora di farsi le ultime confessioni.
Eppure avrebbero dovuto sorprendersi,
ma lui senza parlare le cinse la vita,
lei pensò che, dal momento che erano così uniti,
non occorreva fare nient’altro,
né respingersi, né avvicinarsi.
L’albero
Tu vuoi vivere senza difficoltà
Io voglio le difficoltà per vivere
Tu vuoi che un bastone ti protegga
dalle difficoltà per vivere
meglio dell’albero
da cui è ricavata la tua sedia
Tutti gli alberi devono stare ritti
tu non devi
puoi sedere e chiedere
come vivere senza difficoltà
affinché il bastone non ti spacchi la testa
Abbozzo di un istante
Non c’è un istante tale
che non ritorni
Nessun istante resta senza traccia
Lo sapevo allora
e lo so adesso in piedi sulla baia
Da qui ho preso a destra
e tu ti sei infilata sotto la corteccia
di questo albero che cresce ancora oggi
Senti la sterna che ride?
Sì, questa risata ci segue
benché non ci siamo più da tanto
La quiete
che felicità –
nella casa,
in cui da tempo non c’era nessuno,
dove nessuno sparecchiava dopo i pranzi,
e risistemava i mobili presso la tavola
dopo notti burrascose (in buona compagnia),
e dove si scurivano i vetri delle finestre,
oggi impassibili ai raggi del sole,
alle battute spiritose degli ospiti,
dove c’era silenzio – non si sentiva
nemmeno il fruscio delle ragnatele gonfie di polvere –
di nuovo cominciano a riunirsi quelli
che creano confusione,
scrollano la cenere nei bicchieri,
ridono, turbano la sgradevole quiete.
Li accolgo molto cordialmente.
Aspetti tutto il giorno
Anche tu a volte tutto il giorno
cammini tra una stanza e la cucina,
aspetti che io arrivi, benché io sia
vicino, tanto che basta salire in macchina
e trovarsi subito con me,
oppure usare il telefono.
Ma questo riserbo
in presenza di estranei!
Non puoi venire da me, perché ci sono loro.
Non puoi usare il telefono,
perché loro sentono.
Non capiranno il silenzio.
Trattenere le parole che
fanno impazzire,
un fiume di termini con la prenotazione pagata
di certi frammenti essenziali,
ancora generalmente non usati,
e già a noi noti.
Questo, come tu chiami l’amore,
ancora a tutti
può non arrivare.
E come?
No, queste parole – davanti a loro –
non si possono dire.
Il pianoforte
(che gracchiava, mentre il pianista tamburellava)
E’ vero, sono docile come un frutto,
che si fa strada fino al palato,
ogni dito può spremere da me
ogni goccia di suono, perché gli permetto
d’immergersi in una sonata, in una polacca,
e perfino in Chopin, le corde sono mie,
e proprio da esse esce
il piacere di una compagnia importante in questa festa,
sonandomi puoi cantare,
guardare, ecco i ginocchi di una bionda ascoltatrice,
forse commuoverà, si schiuderà, volerà via,
quando la fuga comincerà a premere il soffitto,
e allora, quando gli spettatori inchiodati alle sedie,
immobilizzati dall’amore per il canto
resteranno impietriti nell’ammirazione, permetti
che io suoni una nota stonata,
una soltanto, una volta sola , ma con forza.
Non succederà nulla, soltanto tu
lo saprai.
Quando vagheranno con gli occhi sull’arredo della sala
come un orso che difende un vitello morto,
risuonerò stridendo, proprio nel cuore della coda.
Da tempo immersi nel fremito, non sentiranno,
di sicuro non capiranno l’intesa.
Dalla raccolta Lamenti per una donna:
Lamento asciutto
E’ morta Małgosia, moglie di Piotr.
Hanno fatto una colletta
e hanno messo i necrologi sui giornali,
poi sono andati alla messa funebre.
Al cimitero si è svolto il funerale.
Hanno coperto la bara di fiori e corone.
Piotr e tutti gli altri hanno gettato
un pugno di terra sulla cassa di legno.
Già il giorno dopo in città
negli annunci funebri
c’era un’altra persona,
non più Małgosia, moglie di Piotr.
E’ passato del tempo.
Sono passate le immagini di luce e ombra.
Quando sono andata a visitare quella casa,
in cui un tempo c’era allegria,
e le parole servivano per giocare,
sulla soglia mi ha accolta Piotr.
Sorridente, felice,
gli occhi chiari, aperti come sempre.
Si è girato, gridando verso il fondo della stanza buia:
Małgosia, accendi la teiera, abbiamo un’ospite!
Lamento presso il recinto
Davanti casa s’è fermata un’auto col muratore,
ha chiesto se volevo terminare la costruzione,
rivestire i soffitti, mettere i pavimenti iniziati da te.
Ha chiesto a lungo tergiversando e impacciato,
se c’era la signora che si occupava di tutto,
che offriva il pane coi cetrioli e usava i bicchieri della senape.
Ancora qualcosa lo turbava, stava per chiedere ancora,
quando la donna che sedeva al volante
ha ingranato la marcia e s’è allontanata velocemente.
Lamento del viaggio di andata e ritorno
Dal taschino sporge una sigaretta
che porto da ottobre,
e già si avvicina giugno.
Dicono che il funerale è ormai lontano,
ma tu ancora corri col fiammifero,
io scappo, la fiammella si spegne,
niente si può accendere,
sempre questo carbone che non brucia,
sempre qualche ostacolo.
(C) by Paolo Statuti