Pulce Birbantella (Titolo originale: Pchła Szachrajka) di Jan Brzechwa (v. nel mio blog) è una favola in versi presente in Polonia nella biblioteca di ogni bambino, ma è letta con piacere anche dai grandi. Pulce Birbantella è una piccola elegantona. Oltre al fascino, possiede molti altri attributi utili per la sua vita avventurosa. E’ assai intelligente, furba e vivace, in grado di cavarsela in ogni situazione pericolosa e di trarre vantaggi dai suoi “scherzi”. Approfitta dell’ingenuità del prossimo, si spaccia per chi in realtà non è. Utilizzando queste “doti”, mette in atto le sue spericolate monellerie. L’autore, ispirandosi ai comportamenti umani negativi, ha creato una figura apparentemente amichevole, ma in realtà guastata e maliziosa. Alla fine Pulce viene scoperta e abbandonata da tutte le amiche, e finisce in prigione. Quindi paga per i suoi errori, ma al tempo stesso ciò le serve come lezione, e da Pulce sconsiderata qual era diventa coscienziosa e matura. Questa esilarante e saggia favola occupa un posto di primo piano tra i libri di Jan Brzechwa. Pochi come lui sanno mettere alla berlina i difetti umani, fornendo nel contempo molti saggi consigli. Questo testo, scritto nel 1946, è stato tradotto in molte lingue. Ecco la mia versione.
Pulce Birbantella
Tra le favole ecco quella
della Pulce Birbantella.
Sembra assurdo ma è avvenuto,
che qualcun così minuto,
per di più di nessun conto,
abbia fatto in questo mondo
tanti scherzi e birbonate,
che nemmeno immaginate.
Dimorava la Pulcetta
nella comoda casetta
di due piani con cantina
che già fu di sua cugina:
quattro stanze e un salottino,
c’era pure un bel giardino.
Niente al mondo le mancava
e la gente l’invidiava.
Un landò aveva ancora
e due pony la signora,
e una mucca americana,
una pecora australiana,
un cagnetto, un canguro
e due gatti grigio scuro.
Scarafaggi tutti insieme
in cucina a pance piene,
e alla Pulce un grillino
sviolinava il suo violino,
e così in quell’andazzo
la sua vita era un sollazzo.
Dice: “Al club voglio recarmi
e alle pulci trastullarmi”.
E vestita assai elegante,
sorridente e raggiante,
Pulce va con la carrozza
colorata gialla e rossa,
va con grande alacrità,
ha un gilè di taffettà,
di velluto gli scarpini,
ed i guanti porporini.
Ma il club è assai affollato,
farsi strada è complicato.
Birbantella grida allora:
“Fate largo a una signora!”.
Tra la folla premurosa ,
passa Pulce baldanzosa.
Giunta al tavolo si siede,
posa i soldi che possiede.
“Io tre soldi punterei…
sopra il verde” – dice lei.
E le pulci van su e giù,
quelle rosse e quelle blu,
una vince, un’altra perde.
“E io punto ancora verde!”.
Salterina, saltarella,
tra le pulci Birbantella
sceglie sempre il suo colore,
ed allora un signore
dice alzando la sua mano:
“Questo verde è molto strano!”.
Prima ancora che capisse,
lei si disse e si ridisse:
“Da qui è meglio scappar via
e tornare a casa mia”.
Da quel giorno la beffarda
da quel club stette alla larga,
e pensò dove poteva
fare ancor ciò che voleva:
“Sono Pulce, sono audace,
e farò ciò che mi piace!”.
E incontrò in quell’istante
un bellissimo elefante,
che felice sgambettava
e per poco la schiacciava.
“Ciao, che cosa fai di bello?”.
Pulce gli agita l’ombrello:
“Sono Pulce e non tua zia,
chiedo un po’ di cortesia!”.
E lui replica così:
“Riverisco, sono Jombo,
e provengo da Colombo”.
Birbantella molto seria:
“E io sono di Madera,
ho una grande piantagione,
dove cresce il peperone,
dove cresce il pomodoro,
e ci pianto anche l’avorio,
cento tigri fan la guardia,
attenzione con chi parla!”.
L’elefante un po’ confuso
disse piano: “Oh, mi scuso!”.
E in ginocchio le confessò:
“Io ti sposo, e lo farò,
cerco proprio una così,
Oh, mia cara, dimmi di sì”.
E allora in risposta,
lei gli fece una proposta:
“La tua tromba è imponente,
ma la tromba solamente.
Se però vuoi, con piacere,
ti farò mio trombettiere”.
Tutti sanno che le pulci
alla larga stan dai dolci,
ma Pulcetta era assai ghiotta
dei cannoli alla ricotta,
molto amava le ciambelle,
marzapane e pastarelle,
il torrone, i confetti,
le crostate e gli amaretti.
La carrozza è già arrivata,
scende Pulce estasiata.
Nel negozio tutti quanti
la ricevono coi guanti,
ed aspettano già in posa
che lei ordini qualcosa.
“Dei cannoli, per favore,
con la crema e il liquore,
trenta penso basteranno,
di più, forse, non mi andranno!”.
Un cannolo solamente
mangia Pulce avidamente,
tutti gli altri restano lì.
“Uno solo pago, merci!”.
Ringraziato con sussiego,
le rispondon: “Prego, prego!”.
Esce e in fretta si allontana
la carrozza con la dama.
Son stupiti i camerieri
e si chiedon seri seri:
“Trenta paste ha ordinato,
e una sola l’è bastato?
Oh! – gli occhi hanno sbarrati –
Tutti quanti li ha svuotati!
Che imbrogliona, che impostora,
e fa pure la signora!”.
Per la rabbia al padrone
si bruciò un panettone,
e gridò: “Comprate svelti
un veleno per gli insetti,
se qui torna, spudorata,
farà ancora una mangiata!”.
Un bel dì fece una festa.
Tanti ospiti Pulcetta
invitò a casa sua:
quattro ragni, un cacatua,
una mosca e un grillino,
cinque bombi e un maggiolino,
tre formiche ed un lombrico,
una vespa con l’amico,
un moscone assai contento,
e iniziò il divertimento.
Una torta coi canditi
portan ora ben vestiti
due solenni scarafaggi,
con diversi beveraggi
in minuscoli ditali,
e ciambelle come occhiali.
Ad un tratto Pulce dice:
“Grazie a voi sono felice,
voi mi fate un grande onore
e perciò dal «Trovatore»
canterò in italiano
quattro arie per soprano.
Tutti gridano: “Evviva!
canta pure «Casta diva»!”.
Dalle labbra piccoline
escon note cristalline,
e si mettono in ascolto
nel silenzio più raccolto.
La sua voce era divina
e stringeva la manina
sul suo cuore rattristato,
tutti eran senza fiato
per la forte emozione,
ma finì l’esibizione.
“Ah, che voce! Ah, che incanto!”.
“Se volete, ancora canto”.
“Certo! Certo!” – e presto detto
attaccò dal «Rigoletto»
l’aria di Sparafucile.
Con che forza, con che stile,
E che basso, miei signori,
Birbantella tirò fuori.
“Meno male che finisce,
questa Pulce mi assordisce!” –
gridò il grillo spazientito.
Poi il fatto fu chiarito:
Non cantava la Pulcetta,
ma un grammofono a cassetta,
dove dentro era nascosta
una vespa facciatosta.
Messo aveva il «Rigoletto»
per errore o per dispetto.
Disse il grillo: “Io, in futuro,
qui non torno di sicuro!”.
A Pulcetta non piaceva
restar sola, perciò aveva
sette amiche molto belle,
eran giovani e snelle,
tutte ancora signorine,
come sette francesine
abbigliate ed eleganti,
alla moda pettinate,
con le calze satinate.
Ed insieme a carnevale
frequentavano le sale,
e con lor pettegolava.
Pulce a turno visitava
un’amica e criticava
con lei tutte le restanti.
Era noto a tutti quanti
che aveva un gran successo,
e – ciò avviene molto spesso –
le sue amiche eran gelose
e dicevano invidiose:
“Pulce è un tipo molto strambo,
ma cos’ha che piace tanto?
Forse quelle sue moine,
quegli stecchi di gambine,
o gli azzurri cappellini
o i guanti porporini,
quel sorriso che lusinga,
i suoi scherzi, la sua lingua?”.
Questi erano i commenti
delle amiche coi parenti.
Ma da gente assai fidata
giunse a Pulce una soffiata.
Quale fu la sua reazione!
Bianco il viso e arancione,
la gambetta agitava,
e la casa traballava.
“Che sfacciate, che insolenti,
arroganti e prepotenti,
questa me la pagheranno,
molto presto, entro l’anno!”.
Ecco cosa escogitò:
alle amiche sue inviò
questo semplice biglietto:
“Giovedì cara ti aspetto,
Ti offrirò un buon caffè
con la panna oppure un tè”.
Alle amiche lo spedì
e le aspetta giovedì.
Già le vede arrivare
senza nulla sospettare,
tutte allegre ed eleganti,
una dietro e l’altra avanti.
Pulce corre loro incontro
col sorriso più giocondo:
“Che piacere che mi fate,
care amiche, prego entrate!”.
Tutte sembrano modelle,
risplendenti come stelle.
I vestiti di alta moda
e qualcuno con la coda.
Sono tutti di modiste
conosciute e brave artiste.
“C’è uno specchio, per chi vuole”
– dice Pulce alle signore.
Grida una: “Io mi guardo!”.
Ma per poco ha un infarto:
guarda guarda e le appare
una mucca con collare.
“Che vuol dire? Mamma mia!
Può venir l’apoplessia!”.
Corre un’altra più spedita,
ma rimane allibita.
“Anche io, che spavento,
una mucca ora mi sento!”.
Guardan tutte una ad una,
quella bionda e quella bruna,
e si dicono piangendo:
“E’ orrendo! E’ orrendo!
Questo è un altro suo dispetto,
è di Pulce uno scherzetto,
come può trattarci male
quell’ingrata, quella tale,
questa non la perdoniamo,
presto, presto, andiamo, andiamo!”.
Senza dir neppure ciao,
le fan tutte maramao.
Non sapevano spiegarsi
il perché di quel mutarsi,
il perché di quel testone,
ma ecco a voi la spiegazione:
lei lo specchio aveva tolto,
e poi senza pensar troppo,
una mica aveva messa
con la mucca dietro ad essa,
e ciascuna era d’avviso
di vedere il proprio viso.
In carrozza la Pulcetta
sembra una reginetta.
Mantellina sulle spalle,
gonnellina di percalle,
camicetta di batista,
una spilla di ametista.
Nel negozio entra e dice:
“Voglio un abito da attrice.
Penserei ad una seta
colorata e non consueta”.
E il commesso: “Glielo giuro,
qui la trova di sicuro,
guardi questa seta a fiori,
che finezza e che colori:
bianco, giallo paglierino,
verde chiaro, celestino,
o un azzurro, un lillà,
ciò che cerca troverà”.
Nel negozio Pulce allora
si fermò per qualche ora,
molte stoffe osservava,
le sceglieva, le scartava.
Disse infine: “Mi dispiace,
questa seta non mi piace,
chi lo sa, forse tra un anno,
i disegni cambieranno”.
Nel negozio nulla spese,
Ma era stata assai cortese,
e perciò fino al landò
il commesso l’accompagnò.
Riordinando i tessuti,
gridò: “Diavoli cornuti!
Questa seta era fiorita
e adesso è in tinta unita!”.
Pulce i fiori ha rubato,
e il commesso è disperato:
“Se la prendo, quella peste,
io la concio per le feste!”.
In carrozza la Pulcetta
sembra una reginetta.
Ecco arresta il carrozzino
proprio là dov’è il giardino.
In segreto tira fuori
tutti quanti quei bei fiori:
bianchi, gialli paglierini,
verdi chiari, celestini,
con gli azzurri e coi lillà,
pianta Pulce di qua e di là,
ciclamini e anche narcisi,
roselline ed elicrisi,
e – finito quel trapianto –
tutti esclamano: “Che incanto!”.
Come gli altri, anche tu sai,
che una donna quasi mai
compra e legge un giornale,
e per Pulce ciò pur vale.
Ma un dì – lo credereste?
Tra le piccole richieste,
legge che una certa Franca,
che abitava in viale Francia,
imparare vuol l’inglese.
E Pulcetta, è palese,
trama subito qualcosa,
e vestita color rosa,
di velluto gli scarpini
ed i guanti porporini,
va di corsa in viale Francia
a trovare quella Franca.
Con la sua parlantina,
somigliando a un’inglesina,
non sapendo cosa fare,
lei di nuovo vuol scherzare.
Suona dunque alla sua porta,
e le apre l’inquilina.
“Molto lieta, stamattina
ho veduto l’inserzione,
sono qui per la lezione”.
Dice Franca: “Prego, entri,
senza fare complimenti,
son felice, benvenuta,
lei dal cielo m’è piovuta!
Ho in America un parente
e l’inglese è occorrente,
se un bel giorno lui – chi lo sa?-
sua erede farmi vorrà.
Ho il quaderno e la matita,
dell’inglese son patita,
oggi è sabato e perciò
da lunedì comincerò”.
Pulce niente conosceva
dell’inglese e ripeteva
due parole imparate
e mai più dimenticate,
quando era una bambina,
dalla zia Giuseppina.
E iniziò così lo studio:
le parole Pulce detta
Franca scrive e le balbetta,
senza sosta Pulce inventa,
Franca ascolta ed è contenta:
tirli – tutto, pirli – niente,
tirlipirli – esattamente.
Fiki – campo, miki – vino,
fikimiki – contadino.
Limpa – ruota, pimpa – fretta,
pimpalimpa – bicicletta…”
Franca pronta e zelante
le trascrive tutte quante,
le ripete ogni sera,
Pulce è lieta e molto fiera.
Dice a Franca: “Complimenti!
Penso siano sufficienti
le lezioni che ha già prese,
la pronucia è in un mese
pari a quella del re inglese.
Solo un’altra settimana
durò ancora la panzana.
Franca a corso ormai finito,
tocca il cielo con un dito,
ma rimane piedi in terra,
come nata in Inghilterra.
Anche pulce è soddisfatta,
e in tal modo si accomiata:
“Sono fiera, cara Franca,
Pimpalimpa, Fikimanca!”.
Franca entra in un caffè,
dove tanta gente c’è,
perché è molto frequentato.
Dice: “Prego, un gelato!”.
Le sue amiche son curiose,
e per renderle invidiose
usa solo in inglese
le parole già apprese
dalla Pulce Birbantella.
Ora lei vuol farsi bella,
e risponde all’occasione
nella lingua di Albione.
Nel locale ad un tratto
ebbe luogo questo fatto,
molto strano veramente:
ogni pulce lì presente
salta lesta e si avvicina
dove siede l’”inglesina”.
Le sue amiche tutte quante
si disperdono all’istante.
E le pulci, è accertato,
si dividono il gelato.
Franca scappa atterrita
dalle pulci inseguita,
ma le saltan sul vestito,
sulle calze, sopra il viso,
sulle mani e sulla testa.
Di quel fatto così strano
poi svelarono l’arcano:
Pulce – è chiaro – non potendo
insegnare, non sapendo
quella lingua complicata,
delle pulci la parlata
ha insegnato a Franca e quelle
si sentiron sue sorelle.
Pulce dopo lo scherzetto
si nascose in un boschetto,
si nascose e per un po’
alla casa non ritornò.
Era giunto il carnevale,
quando ogni scherzo vale.
“Tutti vogliono ballare,
quindi un ballo voglio dare –
pensa Pulce – ma attenzione!
Lo darò dal calabrone”.
Mandò quindi questo invito:
“Cari sabato vi aspetto” –
sottoscritto dal suddetto.
Recitata la preghiera,
già dormiva quella sera,
perché era molto stanco,
Calabrone, proprio tanto.
E del sonno sul più bello,
suona allegra il campanello
una folla d’invitati,
tutti alquanto scalmanati.
Calabrone si sorprende,
un invito da uno prende:
“La mia firma è contraffatta” –
dice e aggiunge contrariato:
“Qui qualcuno vi ha ingannato!”.
Ma le dame eleganti
gli sorridono festanti.
Calabrone a malincuore,
li fa entrare con onore,
senza farsi più pregare.
Pulce vuole già ballare.
Veste l’ultimo modello
pieghettato e molto bello,
ha di seta le scarpette,
senza indugio già si mette
proprio al centro della stanza
e inizia la sua danza.
I signori son stupiti,
incantati e incuriositi.
Pregan tutti: “Dicci il nome,
dicci il nome, calabrone!
Ma lui tace, non risponde,
pensa solo e ne ha ben donde:
“Nel mio frigo non c’è niente
da offrire a questa gente,
potrei fare a palate
solo gnocchi di patate”.
Pulce or con eleganza
balla una contraddanza.
Piega e china la testina,
fa al suo partner una moina.
Le figure son perfette,
lievi come nuvolette.
Poi l’orchestra fa una sosta,
calabrone già si apposta,
vuole tendere un agguato
a chi l’ha così ingannato.
Ma Pulcetta furbacchiona
ha capito l’antifòna.
Gli altri vogliono ballare
ma lei pensa di scappare,
e lasciando quella festa,
salta via dalla finestra.
In carrozza è già al sicuro,
e facendo uno scongiuro
torna a casa e, presto detto,
poco dopo è già nel letto.
Ad un tratto a Pulcettina,
dalla sera alla mattina,
viene voglia di viaggiare,
e si mette in riva al mare.
Una nave presto arriva,
e Pulcetta persuasiva
dice a tutti i marinai:
“Ho una voglia grande assai
di girare il mondo intero,
di viaggiar con voi io spero”.
“Certo sì, cara signora,
sarà qui la sua dimora”.
E Pulcetta, senza ingaggio,
in un sabato di maggio,
incomincia il lungo viaggio.
Molto spesso si abbronzava
e i marosi ammirava.
Poi un giorno il comandante
gridò: “Terra a levante!”.
“Fermi qui, per cortesia,
della terra ho nostalgia” –
dice Pulce al capitano,
lui le fa il baciamano,
fa calare una barchetta,
si allontana già Pulcetta.
Un gabbiano l’accompagna.
Vede Pulce una campagna,
ed in mezzo un bel castello,
con davanti un gran cancello.
Dieci torri fan da cinta,
molte guardie con la grinta
si domandano chi sia
che cammina sulla via,
e a caval le vanno incontro
per poter rendersi conto.
Al castello è già scortata
e sarà interrogata.
Entra in una grande sala,
dove i paggi fanno ala.
Il suo cuore batte forte
in presenza della corte.
Candelabri e vetrate
e pareti colorate,
ed il re Bajbajo siede,
tambureggia con un piede,
ha un mantello di castoro,
e la sua corona d’oro.
Birbantella assai gentile
fa un inchino signorile:
“Principessa Biancoviso –
dice poi con un sorriso –
sono figlia del re Paja
del paese Patataja,
ho un palazzo d’oro e argento
e di servi un reggimento,
la mia flotta è ancorata,
numerosa e bene armata.
La mia stella ho seguito,
sono in cerca d’un marito”.
“Bene bene! – tutto gaio
le risponde Bajbajo –
a dicembre o a gennaio
questa dama io sposerò,
la mia idea non cambierò!”.
A Pulcetta si avvicina
e le bacia la manina.
Sull’attenti i cavalieri,
tutti accesi i candelieri,
le donzelle, i cortigiani,
tutti battono le mani.
Ed il re molto contento
proclamò il fidanzamento.
Proprio allora il cancelliere
grida: “Fatemi il piacere!
Sire illustre e preclaro,
io vi informo e vi dichiaro
che non è di nobil casta,
è una pulce – punto e basta!”
Si creò una confusione,
una grande agitazione
di gendarmi e cavalieri,
castellane e stallieri…
I ministri con spavento
non han più l’orientamento,
e il re con una lente:
“E’ una pulce! Veramente!
Prego darmi uno staffile
per punire questa vile!”.
Ma Pulcetta, è naturale,
non si lascia staffilare,
e in quattro e quattr’otto
scappa via veloce al trotto.
Bajbajo infuriato
corre e grida a perdifiato:
“Se ti prendo sei spacciata!”.
Ma la Pulce si è salvata.
Dopo un mese di emozioni,
tornò a casa balzelloni.
Per la Pasqua le sue uova
pitturava Pulce sola.
Anche i dolci preparava,
con il burro l’impastava,
ci metteva anche i canditi
e venivano squisiti.
Quando tutto era pronto,
accendeva anche il forno,
e i domestici più esperti
infornavan quelli e questi.
Due cuoche – Mira e Lina,
han versato la farina,
e lo zucchero a velo,
e con tutto il loro zelo,
e secondo la ricetta,
voglion mettere l’uvetta.
Cercan tanto ma non c’era,
Birbantella si dispera.
Era lì quella mattina.
Poi la chiede alla vicina –
niente – “Ahimé, come farò?
Senza uvetta non si può!”.
Dovrà andare fino in città,
chissà forse la troverà.
Pulce ora è allo specchio,
si sistema in fretta ed ecco –
è già pronta per uscire
e l’uvetta reperire.
Non ce l’hanno in trattoria
e nemmeno in frutteria,
né al negozio coloniale,
c’è una jella più fatale?
“Mi dispace, son sprovvista” –
dice pur la farmacista.
Ed informa un pensionato:
“So che l’import è bloccato”.
Forse un’altra avrebbe ammesso:
“Senza uvetta fa lo stesso”.
Ma la Pulce è capricciosa,
è testarda e ingegnosa.
Guarda e vede – meno male –
un negozio musicale.
entra e chiede gentilmente
qualche pezzo divertente:
“Avrò ospiti importanti,
che sian brani non pesanti.
Che sia facile capire,
e ancor più da digerire”.
“Di spartiti ne abbiam tanti,
anche marce, anche canti,
e la nota serenata
«Alla pulce innamorata»…”
“Non saprei che cosa dire,
me la faccia un po’ sentire…
sì, d’accordo, prendo questa,
andrà bene per la festa…”
Giunta a casa Birbantella
prende svelta una scodella,
e le note dalla carta
con le forbici ritaglia.
Perché è cosa certa e vera
che la nota è tonda e nera.
La scodella è già piena,
corre Pulce di gran lena
in cucina e allegretta
dice: “Eccovi l’uvetta!”.
Ah, che torte prelibate,
Birbantella ha preparate,
smette solo a mezzanotte,
e le cuoche allegrotte,
ammirati quei portenti,
fanno tanti complimenti.
Bussan gli ospiti festanti,
Pulce accoglie tutti quanti
con calore e simpatia:
“Benvenuti a casa mia!”.
Poi a tavola li invita,
alla tavola imbandita.
Versa loro un po’ di vino,
a qualcuno anche un grappino.
“Spero il vino sia gradito,
ma il dolce è ben riuscito,
specie questo dove ho messo
tanta uvetta proprio adesso.
Su, mangiate e bevete
tutto quello che volete”.
Non si fecero pregare,
e poi presero a cantare,
soprattutto le budella,
e cantavano la bella
commovente serenata
«Alla pulce innamorata».
“Qui san tutti come sono,
non mi aspetto alcun perdono,
meglio allor cambiare aria,
me ne vado a Falconara!”.
E la Pulce, è presto detto,
le valigie dal palchetto
tira giù e le riempie
di vestiti e ovviamente,
mette i guanti porporini
e tre paia di scarpini.
La mattina di soppiatto,
forse erano le quattro,
fatta in fretta colazione,
corre dritta alla stazione.
Nella sala dell’attesa,
sorridente e distesa,
Pulce scarta un cremino
e lo mangia pian pianino.
Quando il treno arriverà
non si dice e non si sa.
Mangia ancora una focaccia,
ma del treno non c’è traccia.
Per di più la gente aumenta,
e la calca più non c’entra,
con valigie e fagottelli,
con bambini, cani e uccelli…
Ah che strazio, che calore,
son passate già tre ore!
Alla cassa c’è una fila –
saran forse almen duemila,
e per giunta – sorte amara –
vanno tutti a Falconara.
Pulce quasi soffocava,
poco spazio occupava,
e una ganba sola usava.
Giunta l’ora di cenare,
ecco il treno arrivare,
tutti corron come matti,
tutti saltan come gatti,
con valigie e fagottelli,
con bambini, cani e uccelli.
Nei vagoni numerati
tutti entrano sudati,
e chi è basso e chi è alto,
siede ognuno accanto all’altro,
e qualcuno sta perfino
sopra il tetto o il predellino,
e si vedono signori
anche sopra i repulsori.
Birbantella è piccoletta,
ma in tutta quella fretta,
quelle spinte e quel fermento,
trova il suo scompartimento.
Su un baule si è seduta
e si beve una spremuta.
Ma continua il pigia pigia,
Pulce in mano ha la valigia.
Pensa d’essere un’acciuga
e una lacrima si asciuga.
Finalmente il macchinista
è già pronto, quindi fischia,
il vapore è già nell’aria,
vanno tutti a Falconara.
Per i campi e le colline
corre il tren con le sardine,
soffia, sbuffa e corre presto,
ed intorno è buio pesto.
Nonostante quel calore,
più di un solo viaggiatore
dorme in piedi come mai.
Solo Pulce soffre assai,
e, ahimé, non può dormire,
è sul punto di svenire.
Ora il treno ha rallentato
e a Fabriano s’è fermato.
Pensa Pulce: “Adesso basta!”.
Benché piccola è rimasta,
ad un tratto a gridar prende,
imitando il conducente:
“Falco-nara! Falco-nara!
Senza fare una cagnara,
chi è arrivato scenda in fretta,
chi non scende in treno resta,
sosta breve, è risaputo,
ci fermiam solo un minuto!”.
E succede un putiferio
su e giù nel treno intero:
saltan pur dai finestrini,
con i gatti e i canarini.
Or nel treno tutto tace.
Pulce esclama: “Ah, che pace!”
E prosegue il suo cammino
tutta sola nel trenino.
Beve un tè, poi si distende,
soddisfatta pienamente.
E alla fine del tragitto –
“Falconara” vede scritto.
Tante volte, fortunata,
dagli scherzi si è salvata,
ma una volta le andò male –
uno scherzo fu fatale.
L’arrestò un caporale,
e così la Birbantella
si trovò in una cella.
Affluirono all’istante
le denunce da ogni parte.
Era il giudice turbato
ed assai meravigliato:
“Di reati, è un bel guaio,
ne ha commessi un centinaio!
Bel lavoro mi son scelto,
la salute ci rimetto,
ho già perso i miei capelli,
che eran neri, folti e belli!”.
E si reca alla prigione,
e domanda al piantone:
“Dov’è Pulce Birbantella?”.
“Vostro Onore, Pulce è quella”.
Pulce era spaventata.
Sorridendo impacciata,
lei gli tende la manina.
“Mi dispiace, signorina… –
dice il giudice tossendo –
io di lei mi sorprendo,
la dovrei condannare,
ma una chance le voglio dare,
Mah…beh…sì, cara figliola…
se mi dà la sua parola,
che da oggi la condotta
sarà saggia e incorrotta,
se promette che lo sarà,
la rimetto in libertà”.
“Vostro Onore, le prometto
che il mio comportamento,
fin da oggi e in futuro,
sarà onesto di sicuro”.
E con questa sua premessa,
onorò la sua promessa.
Quella volta non scherzava,
e adesso è così brava,
che la gente con trasporto
dice: “Pulce è un conforto!”.
Un bel giorno si sposò
con il principe Cocò.
Anch’io sono intervenuto,
e il Barolo ho bevuto.
Ebbe figli, oh! suppergiù
mille e forse anche di più,
certamente in ogni via
ha un cugino o una zia –
una casta infinita.
Ma la favola è finita.
(Versione di Paolo Statuti)
(C) by Paolo Statuti