Archivio | agosto, 2021

Aleksandr Blok – I dodici (nuova versione di Paolo Statuti)

24 Ago

i

Mi piace il suo viso severo e la sua testa di fiorentino del Rinascimento (M. Gorkij)

Oggi mi sento un genio” – così disse Aleksandr Blok, solitamente modesto, terminando il suo poema “I dodici”, il 29 gennaio 1918.

   Aleksandr Blok – il più grande poeta simbolista russo – nacque a Pietroburgo nel 1880. Esordì con il ciclo Ante lucem(1898-1900), di cui facevano parte poesie pubblicate più tardi nel volume Versi sullaBellissima Dama(1905). In questi versi Blok, seguendo le dottrine del poeta filosofo Vladimir Solovjov (1853-1900), canta la quintessenza umana della femminilità eterna, invoca la Sposa celeste in un rapimento estatico, saturo di sensualità, di teneri sospiri, di sensazioni ineffabili.

   Il fallimento della rivoluzione del 1905 infranse nel poeta le speranze di un rinnovamento spirituale e politico della società, e a partire dal 1906 la sua voce rivela delusione e amarezza. L’ironia, unita a un sentimento di rivolta e di insofferenza, trova posto nella sua anima ormai libera dall’estasi e dai sogni giovanili.

   Nel dramma La baracca dei saltimbanchirappresentato a Pietroburgo nel 1906, egli deride con spietato sarcasmo, in un susseguirsi di immagini grottesche ed illusorie, le sue precedenti esperienze mistiche.

   Nei versi del ciclo Il mondo terribile, la Sposa celeste è ormai una creatura terrena, una prostituta. Pietroburgo è uno squallido aggregato di bettole fumose e sporche, di vecchi straccioni mendicanti, di vagabondi, di relitti alla deriva. Nel dramma La sconosciutail sacro tempio si trasforma in una casa di tolleranza.

   L’amore ideale, nebuloso, ormai svanito, lascia il posto all’amore per la Russia, che egli vede come entità concreta e divina, come una creatura sofferente.

   “La Russia resta sempre la stessa: un’entità lirica”, scriveva alla madre nel 1909, ed aggiungeva: “Qualunque cosa accada, essa resterà sempre la Russia dei sogni”.

   Da questo amore, dall’entusiasmo suscitato in lui dagli avvenimenti del 1917 e soprattutto dalle giornate di Ottobre, nacquero due poemi: I dodiciGli Sciti, entrambi scritti nel gennaio 1918.

   Blok sentì la “musica” della rivoluzione, presagì l’ineluttabilità del cataclisma che avrebbe spazzato via tutte le ingiustizie del “mondo terribile”, del vecchio mondo. Nei “Dodici” sono mirabilmente amalgamate le emozioni ed i presentimenti dell’imminente lotta sociale. Nei giorni in cui lavorava a questo poema, il poeta incontrò alcuni noti esponenti del partito comunista e così si espresse: “A voi interessa la politica, il partito, mentre noi poeti cerchiamo l’anima della rivoluzione. Essa è stupenda, e qui siamo tutti con voi”.

   A confermare il carattere “sacro” della rivoluzione appare in chiusura l’immagine del Cristo, quasi in contraddizione con tutto il contenuto del poema. Cristo che avanza davanti alle dodici guardie rosse, simboleggianti gli apostoli, è un puro simbolo poetico che sta ad esprimere la benedizione etico-religiosa della rivoluzione da parte del poeta. Tutto il poema è in movimento continuo, movimento irrefrenabile che ha un’unica direzione: “Avanti!”. La ricchissima gamma di contrasti lessicali, la sequela di immagini come lampi al magnesio, le dissonanze, gli elementi polifonici che si fondono in un’armonia superiore, tutto ciò concorre a creare quel ritmo incalzante, terribile, continuo e che si fa particolarmente solenne nelle strofe finali. In questa creazione il genio musicale e pittorico di Blok raggiunge il vertice.

   In seguito, passato l’ardente entusiasmo dei primi mesi della rivoluzione, oppresso e deluso dall’arido e pedantesco apparato burocratico che lo circondava, avvilito da difficoltà ed incomprensioni, il poeta si abbandonò ad un cupo pessimismo. Stanco e isolato si spense il 7 agosto del 1921.

I dodici

(Traduzione di Paolo Statuti)

1

Buia sera.

Neve bianca.

Vento,vento!

Le gambe sfianca.

Che bufera –

Sulla terra intera!

Di neve e vento

Un girotondo.

Ghiaccio è il fondo.

Bufera maledetta!

Ogni passante

Scivola – ah, poveretta!

Tra due case

Una fune è tesa.

Sulla fune – un cartello:

“Tutto il potere alla Costituente!”

Una vecchia piange – ahimé,

Non capirà mai cos’è,

Perché quel cartello.

Che spreco quel telo –

Quante pezze con quello

Per i piedi dei ragazzi vedo…

La vecchia, come una gallina,

Salta un mucchio di neve.

– Oh, Benedetta Madonnina!

– Coi bolscevichi la vita è breve!

Punge il vento!

Gelo maledetto!

Un borghese al crocevia

Cela il naso nel colletto.

E quello chi è? – Ha i capelli lunghi

E parla sottovoce:

– Traditori!

– Va la Russia al Creatore! –

Forse un letterato –

Un oratore…

E là con la zimarra –

In disparte vi tenete…

Passata è l’allegria,

Compagno – prete?

Ricordi com’era?

Sulla pancia sporgente

La croce splendeva

Per la gente…

Là una dama con l’astracàn

Ad un’altra s’è rivolta:

– Ah, che pianti, che pianti…

Ma è scivolata

Paff – che sederata!

Ahi, ahi!

Tiratemi su!

Vento allegro,

Tormenta e scherza.

Rivolta i lembi,

I passanti sferza,

Sbatte e strappa

Il grande cartello:

“Tutto il potere alla Costituente”…

E le parole porta:

…Abbiamo fatto una riunione…

…In questa costruzione…

…Abbiam discusso –

Abbiam deciso:

Dieci – per un’ora, venticinque – per la notte…

…Di meno – non accettare…

…Andiamo a riposare…

Tarda sera.

La strada è vuota.

Un vagabondo

Ha la schiena a ruota,

E sibila il vento…

Ehi, poveraccio!

Vieni qua –

Baciamoci…

Pane!

Chi va là?

Passa!

Cielo, nero cielo.

Rabbia, triste rabbia

Bolle in petto…

Nera rabbia, santa rabbia…

Compagno, sta’

In guardia!

2

Passeggia il vento, svolazza la bufera.

Va dei dodici la schiera.

Armati vanno avanti,

Intorno – fuochi, così tanti…

Berretto sgualcito, tra i denti – un mozzicone,

Sembran fuggiti dalla prigione!

Libertà, libertà,

E la croce via di qua!

Tra-ta-ta!

Compagni, che freddo cane!

– Vanja e Katja sono insieme…

– Nella calza i soldi tiene!

– Ricco Vanja è diventato…

– Era con noi e adesso è soldato!

– Vanja, figlio di puttana, suvvia,

Prova a baciare la mia!

Libertà, libertà,

E la croce via di qua!

Katja con Vanja è occupata –

Occupata a far cosa?..

Tra-ta-ta!

Intorno – fuochi, così tanti…

Avanti, sempre avanti…

Il passo sia rivoluzione!

Il nemico è pronto all’azione!

Compagno, coraggio, il fucile agguanta!

Spariamo sulla Russia Santa –

La Russia-icona,

Delle isbe,

Culona!

E la croce via di qua!

3

Oh, partirono i ragazzi,

Per servir la guardia rossa –

Per servir la guardia rossa –

E finire in una fossa!

Ah tu, amarezza,

Vita gentile!

Lacero il cappotto,

Austriaco il fucile!

Per la sorte dei borghesi

Mille fuochi sono accesi,

Fuoco, sangue e furore –

Oh, proteggici, Signore!

4

Neve. Grida il vetturino,

Vanja con Katja vicino –

La luce del fanale

Sulle stanghe…

Ah, ah, crepa!…

Nel cappotto militare

Un balordo egli pare,

Arriccia, arriccia

il baffo nero

E scherza a cuor leggero…

Vanja è così – forte e tenace!

Vanja è così – assai loquace!

La sciocca Katja abbraccia,

E a parlare attacca…

Getta indietro la testolina,

Denti come perline…

Oh, Katja, m’è sempre piaciuta

La tua faccia paffuta…

5

Sul tuo collo, Katja,

Lo sfregio d’un coltello.

Sotto il petto, Katja,

Hai un graffio novello!

Balla un po’, amore mio!

Che gambe, santo Dio!

Biancheria di pizzo portavi –

Portala ancora!

Con gli ufficiali trescavi –

Tresca, tresca anche ora!

Eh, eh, tresca adesso!

Il cuore salta in petto!

L’ufficiale, Katja, rammenti –

Non evitò una coltellata…

L’hai scordato, accidenti?

La memoria s’è offuscata?

Eh, eh, non negare,

A letto ti voglio portare!

Ghette cenere avevi,

Solo dolci raffinati,

Tra i cadetti tu sceglievi –

Ora  scegli tra i soldati?

Eh, eh, pecca allora, dai!

Più leggero il cuore avrai!

6

…Di nuovo passa come furia,

Il vetturino vola, urla, ingiuria…

Fermo! Andrjej, da’ una mano!

Corri dietro a quel marrano!…

Tra-tarara-ta-ta-ta-ta!

Quanta neve s’è levata!…

Scappa Vanja – il bellimbusto…

Alza il cane! Mira giusto!…

Tra-tarara! Or vedrai…

……………………………….

Le donne altrui più non avrai!…

E’ scappato! Aspetta, carogna,

Finirai in una fogna!

E Katja dov’è? – Morta ammazzata!

Ha la testa crivellata!

Katja, sei contenta? – Tu taci…

Come una bestia giaci!…

Il passo sia rivoluzione!

Il nemico è pronto all’azione!

7

 Va dei dodici la schiera,

Con passo deciso.

Il povero assassino

Si nasconde il viso…

Più veloce, senza fiato

Corre come un ossesso.

Lo scialle sul collo annodato –

Mai più sarà se stesso…

– Oh, compagno, sei afflitto?

– Hai la faccia smarrita!

– Pjetja, sembri un relitto,

Vorresti Katja in vita?

– Oh, compagni, ricordate,

Quella pupa io l’amavo…

Notti buie, ubriache

Con la pupa io passavo…

– Per lo sguardo audace

Dei suoi occhi di fuoco,

Per quel neo procace

Sulla spalla destra,

Io, balordo non poco,

Ahimé, ho perso la testa!

– Cane, vuoi sonare l’organetto,

Pjetja, sei forse una donnetta?

– O forse vuoi sputare

Tutto ciò che hai nel petto?

– Controllati, fai pena,

– Raddrizza la schiena!

– Nessuno ormai con te

Il suo tempo perderà!

Oggi più grave è il fardello

Che ciascuno porterà!

E Pjetja ha rallentato,

Or più non s’affretta…

La testa ha sollevato,

Or di nuovo lieto sembra…

Eh, ah!

Godere non è peccato!

Serrate ben le porte,

Verranno saccheggi e morte!

Aprite la botte –

Gli straccioni vanno a frotte!

8

Ah tu, amarezza!

Noia mesta,

Funesta!

Il tempo

Passerò, passerò…

La testa

Gratterò, gratterò…

Le sementi

Sguscerò, sguscerò…

Col mio coltello

Scannerò, scannerò!..

Vola, passerotto borghese!

Il sangue voglio bere

Per la mia bella,

Per le sue ciglia nere…

Pace, Signore, per l’anima della tua schiava…

Noia!

9

Tace la voce della città,

Il gendarme più non cammina,

Tace la torre sulla Nevà –

Non c’è più vino in cantina!

Il borghese al crocevia

Cela il naso nel colletto.

Un pelo irsuto lo strofina –

E’ un mite cane reietto.

Come il cane è affamato,

Tace, non fa domande.

Come il cane, il vecchio mondo

Ha la coda tra le gambe.

10

E’ scoppiata la tempesta,

Ovunque sconquasso!

Non vedi più una testa

A distanza d’un passo!

Di neve un grande anello,

Di neve un mulinello…

– Gesù, che bufera!

– Pjetja, sii sincero!

Da cosa t’ha protetto

Quel santume benedetto?

Svegliati finalmente,

Rischiara la tua mente –

Il sangue ti ha macchiato

Di Katja che hai amato!

– Il passo sia rivoluzione!

Il nemico è pronto all’azione!

Avanti, avanti ancora,

Chi lavora!

11

…E vanno senza nome di santo

Dodici fanti.

Decisi sono a tutto,

Senza rimpianti…

D’acciaio i fucili

Per il nemico nell’ombra…

I vicoli la bufera

Di neve inonda…

Nel soffice manto –

Lo stivale affonda…

Negli occhi è scossa

La bandiera rossa.

Lungo e invariato

E’ il passo cadenzato.

Si desterà

Il feroce nemico…

La tormenta li inghiotte

Giorno e notte

Senza tregua…

Avanti ancora,

Chi lavora!

12

…Vanno con passo gagliardo…

– Esci dalla tua tana! –

Davanti – il rosso stendardo,

Infuria la tramontana…

Davanti – un cumulo gelato,

– Chi va là? Fuori, carogna!…

E’ solo un cane affamato

Che si gratta la rogna…

– Via dai piedi, cane immondo,

O proverai la baionetta!

E a te, vecchio mondo,

La stessa fine spetta!

…Mostri i denti per la fame,

La tua coda nascondi,

Solo al mondo, senza pane…

– Chi va là? Ehi, rispondi!

– Chi è che regge lo stendardo?

– Oh, il cielo com’è scuro!

– S’ode un passo codardo,

Si cela dietro un muro.

– Fuggire or che vale?

Meglio vivo restare!

– Ehi, compagno, finirai male,

Mi costringi a sparare!

Tra-ta-ta! – L’eco soltanto

Dalle case risponde…

La bufera ride intanto

Tra le candide sponde…

Tra-ta-ta!

Tra-ta-ta…

…E vanno con passo gagliardo,

Dietro – un cane affamato,

Davanti – con lo stendardo

Di sangue imbrattato,

Dai proietti risparmiato,

Con passo dolce e lieve

Tra mille perle di neve,

Il capo ornato di cisto –

Chi li guida? – Gesù Cristo.

Abbandonatomi alla tormenta…

Abbandonatomi alla tormenta,

Nei tuoi occhi annego;

Nella fredda, stellata sfera

Siamo in bianchi sogni al gelo.

In una culla alata

Addormentati tra le nevi;

La melodia della bufera

Nelle mie strofe afferra.

Afferra la forza dell’invito

Dei vincenti giorni dell’inverno, –

Concediti alla tormenta,

In essa col cuore languendo!

1906-1907

(C) by Paolo Statuti.

Una poesia di Volodja Serebrennikov tradotta da Paolo Statuti

9 Ago

* * *

Con la luna, confusa nella melma,

attraverso il bosco, quasi celato,

scorreva il fiume come sonno di deserto,

di sabbia e calura colmato,

e la luce, come albero, dondolava

nell’acqua, semilatente,

girava, correva, non si fermava

e in nessun luogo era presente,

dietro il buio, come dietro una tenda,

mi tagliava il cammino

e si dileguava, come incallito

contrabbandiere e clandestino.

Il vento improvviso, come un calpestio,

ed era Dio non voglia –

credere all’esperienza e sapere

che era gialla ogni foglia.

(C) by Paolo Statuti