Archivio | luglio, 2021

Doppie traduzioni di Paolo Statuti

13 Lug

     A volte, forse per il lento inevitabile offuscamento della mia materia grigia, a distanza di qualche anno, dimentico di aver già tradotto una determinata poesia, e così dalla mia testa esce una nuova versione. Se non erro è successo “solo” per due poesie di Fjodor Tjutčev, una poesia di Anna Achmatova e una di Bella Achmadulina. Ho pensato di proporre ai miei lettori queste mie “distrazioni”, perché può essere interessante constatare come lo stesso traduttore, non volendo, possa tradurre la medesima poesia in modo diverso.

Fjodor Tjutčev

Silentium!

Taci e nascondi se puoi
I sentimenti e i sogni tuoi!
Che dal fondo del tuo cuore
Essi spuntino con splendore,
Come di notte le stelle:
Taci e ammirali come perle.
Come a un cuore ti puoi scoprire?
Come un altro ti può capire?
Capirà come vivi davvero?
Il pensiero detto non è più vero.
Scavando offuschi le fonti:
Cibati e il pensiero nascondi!
In te stesso vivi da solo!
Nell’animo hai tutto un mondo
Di occulti e incantati pensieri;
Li soffoca il chiasso esteriore,
La luce del giorno li acceca:
Ascolta il loro canto e taci.

Silentium!

Taci, cèlati e nascondi

I tuoi sentimenti più profondi,

Che nel fondo del tuo cuore

Brillano e fuggono alle prime ore,

Silenti, come stellari faci –

Sappi ammirarli e taci.

Come il tuo animo si mostrerà?

Come ad un altro si svelerà?

Di che tu vivi saprà capire?

Pensiero espresso è già mentire.

Sappi le fonti pure mantenere,

Sappi nutrirti di esse e tacere.

Sappi vivere solo in te stesso!

In te c’è un intero universo

Di pensieri magici e arcani

Che il rumore esterno rende vani,

Che la luce del giorno non fa vedere –

Sappi ascoltarne il canto e tacere!..

1830

Sera autunnale

C’è nella luce delle sere autunnali
Un amorevole, misterioso addio…
Un sinistro bagliore, degli alberi le tinte.
Delle foglie porporine il lieve fruscio;
L’azzurro velato e silenzioso
Sulla terra orfana tristemente,
E, come presagio di vicine tempeste,
A volte un vento freddo e veemente;
Languore, spossatezza, e su tutto
Quel dolce sorriso dell’appassimento,
Che in un essere ragionevole si chiama
Il nobile pudore del patimento.

Sera d’autunno

Nel chiarore delle sere autunnali
C’è un dolce misterioso incanto:
Il tetro brillìo degli alberi screziati,
Il mesto fruscìo delle foglie amaranto.
L’azzurro offuscato e silenzioso,
Sulla terra che orfana diventa,
E, come presagio di vicine bufere,
A volte un freddo impetuoso vento.
Stanchezza, sfinimento – e su tutto
Il mite sorriso dell’appassire,
Che in un essere ragionevole si chiama
Il nobile pudore del soffrire.

1830

Anna Achmatova

Ascoltando la musica

Di nuovo mi giunge la polonése di Chopin,

O mio Dio! – quanti ventagli

E occhi abbassati e dolci volti,

Ma è vicina e fruscia l’infedeltà.

L’ombra della musica è balenata

Ma non ha turbato il verde lunare.

Oh, quante volte qui mi sono sentita gelare

E qualcuno terribile alla finestra mi salutava.

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

E’ pauroso lo sguardo delle statue senza nasi,

Ma lasciami e per me non lottare

E non pregarmi così amaramente.

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

E una voce dell’anno tredici

Di nuovo grida: sono qui, di nuovo tuo…

A me non serve la fama e la libertà,

Troppe cose conosco…ma tace la natura

E aleggiò una tombale umidità.

Con la musica

La polonése di Chopin di nuovo sta passando,

O mio Dio! – quanti ventagli

E tenere labbra e sguardi chinati,

Ma è vicino e fruscia il tradimento.

L’ombra della musica alla parete è balenata,

Ma il verde lunare non ha turbato.

Oh, quante volte io qui mi freddavo

E qualcuno orrendo alla finestra mi salutava.

……………………………………………….

E’ orribile lo sguardo di statue senza nasi,

Ma vattene e non lottare per me,

Non pregare per me così amaramente.

……………………………………………….

E la voce del tredicesimo anno

Di nuovo grida: sono qui, di nuovo tuo…

Non m’importa la libertà, né la gloria,

Troppo io so… ma tace la natura

E ha soffiato l’umidità sepolcrale.

1957 Komarovo

Bella Achmadulina

La mazurca di Chopin

Quale sorte ci aspettava,

che fortuna ci è toccata,

quando il disco rotante

solo lui ci separava!

All’inizio con sibilo, esilmente,

come biscia tolta alle pietre,

ma il viso di Chopin mostrava

sempre più evidente.

Ed esile come provetta

che contiene acqua azzurra

era lì la fanciulla-mazurca

e scoteva la testa.

Ma come così fragile e perché,

con quel bianco visino polacco,

lei comprese le mie tristezze

e le prese tutte su di sé?

Tendeva le braccia e lontano

scompariva lasciando

concentrati quei suoni

nel disco rigato dall’ago.

La mazurca di Chopin

Quale sorte ci è capitata,

che fortuna ci riservava,

quando niente ci divideva,

tranne il disco che girava!

Dapprima un lieve sibilo,

come biacco dai sassi respinto,

ma il viso di Chopin

era sempre più distinto.

E sottile come una buretta,

immersa in un liquido amaranto,

c’era la fanciulla-mazurca,

la testolina dondolando.

come poteva con quelle spallucce

e la bianca faccetta dimessa,

apprendere i miei tormenti

e prenderli su di essa?

Mi ha teso le braccia

e poi mi ha lasciato,

avendo concentrato i suoni

nel cerchio dall’ago tracciato.

(C) by Paolo Statuti