Archivio | giugno, 2014

Amedeo Modigliani

17 Giu
Amedeo Modigliani

Amedeo Modigliani

Jeanne Hébuterne

Jeanne Hébuterne

Il pittore maledetto – Amedeo Modigliani (1884-1920)

Dal sito web polacco “Tu Stolica i Okolica” (“Qui la Capitale e Dintorni) – Kontakt 24, ho tradotto per i miei lettori questo articolo di Maria Cholewczyńska, apprezzata e nota filologa che collabora con molte riviste culturali polacche.

Se “ogni vita è un romanzo”, allora la vita di Modigliani, così creativa e conclusasi così presto, può essere definita la “leggenda delle leggende”. L’uomo, la cui condotta e la cui figura sono sinonimi di disordine, in realtà era ossessionato dalla perfezione. Voleva raggiungere la maestria, e grazie a un lavoro sfibrante e al grande talento, infranse barriere insormontabili per altri – è questa l’essenza della complessa personalità di Amedeo Modigliani, eccentrico individualista dotato di un talento straordinario e invischiato nel dramma della propria vita.
Per nessun artista del XX secolo la leggenda fu tanto benevola e al tempo stesso ingrata. Bello come un adone, adorato dalle donne, noto col vezzeggiativo di Modì, che riassume la sua personalità e significa in un gioco di parole francese peintre maudit: Modì le maudit, cioè uno di quei pittori infelici e condannati alla perdizione. L’apocope del cognome Modigliani sarà strettamente legata al suo destino, mentre per ironia della sorte Amedeo significa “il prediletto di Dio”.
Forse era nato sotto una cattiva stella? Diciamo piuttosto sotto la stella della creazione e di un tragico fato. Spirito aristocratico, principe dell’arte dell’eleganza, arguto, intelligente, maestro di declamazione della poesia di Dante, di temperamento litigioso. Scultore per passione, si realizzò principalmente nella pittura di ritratti e nudi. Classico esempio della tesi: l’amore è l’arte, l’arte è l’amore. Amedeo – esule solitario, nomade alato, proveniente da Livorno, viveva i suoi rari slanci e le frequenti cadute artistiche e amorose a Parigi, condividendole con gli amici più intimi, tra i quali i pittori Chaim Soutine e Utrillo, il mercante d’arte Leopold Zborowski e il poeta Max Jakob. Il cammino artistico di Modì s’incrociò con quello di Picasso, ma i due si discostarono manifestando avversione l’uno per l’altro. Picasso ben presto si arricchì grazie alla sua fama. Modigliani conosceva il valore del suo talento, in modo ossessivo desiderava il consenso e l’immortalità per le sue opere, ma in vita non riuscì a raggiungere la fama che sognava. Avvilito dal mancato acquisto dei suoi quadri e disegni, spesso li distruggeva, li gettava via o li cedeva a un prezzo irrisorio. Si isolò dagli “ismi” di moda (cubismo, espressionismo, futurismo) e dalla “cricca di Picasso”. Si lasciò guidare dalla sua individuale melodiosa linea e grazia, dal caratteristico arabesco, dal serpeggiante andamento dell’ovale del viso, dai colli allungati, dagli occhi senza occhi. Amedeo – “artista dell’abisso”, secondo il giudizio di M. Dale, creava i suoi quadri come “versetti che descrivono la paura, la sofferenza, la morbosa sensibilità dei suoi modelli”. I. Erenburg paragonò i suoi ritratti a “bambini offesi”.
Modigliani – costante scandalo per il borghese parigino, ebbe diverse avventure amorose con le sue modelle, ma come Živago cercava la sua donna, come Dante cercava e trovò la sua Beatrice, anche Modì scoprì di amare di un amore puro la pittrice Jeanne Hébuterne – ragazza taciturna, eterea, slanciata come la cattedrale gotica di Chartres, dai “capelli color cocco”, chiamata per questo “Noix de Coco”, che si suiciderà il giorno successivo la morte di Modigliani.
Alla diletta Jeanne che chiedeva a Modì, perché non dipingesse i suoi occhi, egli rispose che li avrebbe trovati nel quadro, quando egli sarebbe arrivato alla sua anima. Mantenne la parola. Per il bellissimo ritratto di Jeanne incinta l’artista fu premiato in un concorso di pittura, ma purtroppo soltanto in punto di morte; i suoi occhi non avrebbero più visto gli artisti che lo applaudivano, compreso Picasso.
Modigliani fu un artista nemico di se stesso. Sciupò prematuramente il grande talento disperdendolo. Lasciava nel suoi quadri lettere, segni, aforismi vicini alla sfera esoterica e alla tradizione cabalistica.
L’artista visse soltanto 36 anni. Concordo con chi sostiene che fu una personalità “non adatta all’ipocrisia del mondo e al cinismo della gente”.
I preziosi schizzi di Amedeo si trasformarono in oro troppo tardi per lui. Subito dopo la morte i suoi quadri raggiunsero prezzi astronomici. Ma il “miracolo” della fama non poté essere goduto da colui che fino all’ultimo restò fedele a se stesso, al suo talento, che creò con passione secondo il principio: “Creare come un dio, governare come un re, lavorare come uno schiavo”, lavorare non dando retta a nessuno e raggiungere la maestria. E’ triste e amara una civiltà che non apprezza al momento opportuno il genio. Oggi Modigliani figura nel Libro d’Oro delle Celebrità – “oggi, quando tutto è imbellettato, drammatizzato, e siamo saltati oltre la vita, quando tutto è sopravvalutato, surrealistico, e certe espressioni hanno perso il loro significato” (C. Brancusi).

Maria Cholewczyńska

Alcuni quadri di Amedeo Modigliani

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Riproduzione a matita di Paolo Statuti

Riproduzione a matita di Paolo Statuti

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(C) by Paolo Statuti

La Messa solenne in re maggiore di Ludwig van Beethoven

11 Giu

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Il 20 novembre 1942 l’XI Stagione sinfonica dell’Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, fondato nel 1927 e operante fino al 1944) fu inaugurata con l’esecuzione della Messa solenne in re maggiore di Ludwig van Beethoven diretta da Victor de Sabata. Interpreti: il soprano Alba Anzellotti, il mezzosoprano Ebe Stignani, il tenore Francesco Albanese, il basso Duilio Baronti, maestro del coro: Bruno Erminero.
Tra i libri di casa mia c’è una vecchia edizione del volume Beethoven di Riccardo Specht, stampato nel 1938 da Fratelli Treves Editori Milano. Tra le pagine di questo libro ho trovato un ritaglio di giornale del 1942, con un ispirato e vibrante articolo della musicologa Bianca Becherini, scritto per l’occasione. Lo propongo oggi con vero piacere ai lettori del mio blog.

Fra i grandi capolavori dell’arte musicale splende quest’opera che il Maestro di Bonn, dedicandola all’amico arciduca Rodolfo, avrebbe voluto vedere compiuta nel giorno della consacrazione di questi ad arcivescovo di Olmütz. Ma la realizzazione gli presentò gravi difficoltà. Incominciata nel 1818, la Messa non era finita nemmeno nel ’20, sì che fu potuta presentare all’arciduca Rodolfo solo nel marzo del ’23, a tre anni di distanza dall’avvento all’episcopato.
Che cos’era avvenuto? Partito dalla semplicità del testo liturgico, Beethoven -a differenza di numerosi altri compositori – aveva sentito che questo non era una trama per rianimare vecchie e stereotipate formule, ma un fondamento per dar vita alle concezioni ideali che sempre fremevano nel suo spirito. Non che potesse riattaccarsi a Bach, ossia all’epoca che aveva saputo cantare con vero rapimento religioso l’abbandono nella misericordia divina; ma lontano da chi ammirava senza fervore le immagini dei testi sacri o da chi li riduceva a preghiere ripetute senza commozione interiore, cantava le sue proprie aspirazioni, che nell’appassionato linguaggio biblico incontravano singolare vitalità. Nella nuova creazione si concretava un mondo vissuto e superato, trasformato dal genio in espressioni di sublime bellezza. Tutta la vita spirituale di Beethoven si animava nelle grandi pagine della Messa: i colloqui con Dio, sì disperatamente invocato nei lunghi anni dell’angoscia; la fede nella virtù, anteposta sempre ad ogni interesse; l’amore per l’arte, per la giustizia, per il buono e per il bello che la vita offre ad ognuno e che dev’essere guadagnato e religiosamente conservato. Seguendo il proprio temperamento l’autore cantava un’epopea, che abbracciando il cielo e la terra dava vita ad una titanica concezione, ad un’opera d’arte, davanti alla quale la posterità avrebbe sostato commossa.
La sua stessa vita cambiò durante la preparazione della Missa solemnis. Narra lo Schindler che gli scatti del suo carattere divennero meno violenti, e che spesso rimaneva assorto in un rapimento spirituale, straniandosi da tutto ciò che lo circondava. Si chiudeva in se stesso. Più lunghe divenivano le sue passeggiate attraverso la campagna solitaria e le corse notturne per le vie di Vienna, ove una volta fu incontrato ad ora tardissima, gesticolante sotto la pioggia, senza cappello, mentre lo sguardo cercava un’immagine invisibile, un fuggitivo pensiero musicale…
La Missa solemnis segue la liturgia; è divisa nelle parti stabilite dal culto. Le prime due, il Kyrie e il Gloria, sono quelle pervase da un più alto spirito di cristianità; aderiscono all’espressione del testo liturgico mantenendosi in un’atmosfera musicale superiore, senza drammaticità di contrasti, senza varietà di effetti. Fin dalle prima parole del Kyrie – ripetute tre volte fra coro e solisti – la musica delinea alte immagini; superiori nella loro arcana bellezza, non turbata da nessun avvenimento umano. Il Gloria si apre con un potente grido di giubilo, che ripetuto di voce in voce, si solleva fino alla maestà di Dio, invocando la pace per gli uomini, e seguendo – con accenti vibrati e commossi – una ininterrotta linea ascendente che, fino alle ultime parole del testo, insiste a celebrare la gloria dell’Eterno.
Ma la parte in cui Beethoven mostra più viva la sua personalità, è il Credo. Sarebbe azzardato dire – come alcuni critici – che egli ha tentato di dar vita ad un suo particolare Credo. Per una composizione musicale che segue un determinato testo, è difficile affermare i criteri morali, filosofici o allegorici che l’autore intende seguire, quando, per di più, egli non dice niente in proposito; ma il testo liturgico non è seguito passivamente nel Credo beethoveniano. La composizione raggiunge una forza veramente epica; l’autore scalpella ancora una volta la figura dell’eroe, che invece di compiere le sue gesta sulla terra, le allarga fino al cielo, divenendo un impulso che anima il visibile e l’invisibile , che dà vita ad ogni creatura e ad ogni opera buona.
Delle altre parti, sensibilissimo è il Benedictus, con la dolce melodia mormorata dal violino sull’esile accompagnamento dei flauti; e l’Agnus Dei, ove alla domanda della pace è aggiunta la didascalia: «Preghiera per la pace interna e per quella esterna». Esso riassume tutte le aspirazioni del grande musicista, sbattuto da asprissime lotte e animato da superiori idealità.
La forma della grande opera è la sinfonico-corale. Nelle varie parti il coro si alterna al quartetto dei solisti, gli assolo sono rari e privi di virtuosismi. La polifonia domina sovrana, estendendosi dalla semplice omoritmia fino alle fughe più elaborate. L’espressione è elevatissima; le parole intese nella più alta significazione, il dramma nella sua più profonda complessità.
Bianca Becherini

Aleksandr Blok (1880-1921) – Gli Sciti

7 Giu
Konstantin Somov (1869-1939): Ritratto di Aleksandr Blok

Konstantin Somov (1869-1939): Ritratto di Aleksandr Blok

Gli Sciti
(Traduzione di Paolo Statuti)

Panmongolismo! Benché suoni selvaggio,
Mi lusinga l’udito.
Vladimir Solov’ëv

Voi – milioni. Noi – nugoli agguerriti.
Fateci guerra, o ardimentosi!
Sì, noi – gli asiatici! Sì, noi – gli Sciti,
Con gli occhi a mandorla e bramosi!

Noi – solo un’ora, voi secoli aveste.
Noi, servi docili e ubbidienti,
Fummo lo scudo tra le razze avverse
Dell’Europa e delle barbare genti!

Il vostro martello i secoli forgiava,
Coprendo il rimbombo della lavina,
E per voi una fiaba diventava
La distruzione di Lisbona e Messina!

Voi per centenni guardavate a Oriente,
Ammassando e fondendo i nostri ori,
E aspettavate il momento conveniente
Per puntarci contro i vostri cannoni!

E’ ora. Batte le ali la sventura,
E ogni giorno aumenta l’offesa,
E il momento verrà in cui nessuna
Traccia di Paestum resterà illesa!

O vecchio mondo! Finché non perirai,
Finché proverai un tormento amaro,
Rifletti, sii saggio, come Edipo vai
Davanti alla Sfinge col mistero arcano!

La Russia è la Sfinge. Esultante e afflitta,
Pur piangendo nero sangue con furore,
Essa ti guarda, ti guarda, ti fissa,
Con tutto il suo odio e tutto il suo amore!…

Amare come il nostro sangue sa fare,
Ognuno di voi da tempo ha scordato!
L’amore c’è e si può sempre trovare,
L’amore che brucia e ha desolato!

Noi amiamo il calore della scienza,
E il dono della divina visione,
Ci è nota l’acuta gallica sapienza,
E la cupa germanica nazione…

Di Parigi le strade infernali
Ricordiamo, la frescura veneziana,
Dei limoneti gli aromi lontani,
E i fumosi caseggiati di Colonia…

Amiamo la carne – il gusto e l’aspetto,
Il suo odore mortale e soffocante…
Non ci incolpate se il vostro scheletro
Scricchierà in forti e tenere zampe!

Siamo avvezzi ad ammansire i cavalli,
Spezzando loro le groppe pesanti,
Quando scorrazzano tra i campi,
E a domare le schiave riluttanti…

Unisciti a noi! Via dalla guerra,
Vieni nelle nostre pacifiche braccia!
Sei ancora in tempo – la spada sotterra,
Compagno! Fratello, ti abbraccio!

Ma se la nostra offerta sarà vana,
Anche noi conosciamo la slealtà!
La vostra progenie sarà malsana
E per secoli interi vi maledirà!

Per boscaglie e boschi ci scanseremo
Davanti all’Europa bella e distinta,
E rivolti ad essa noi mostreremo
Il nostro sorriso e l’asiatica grinta!

Andate, andate pure negli Urali!
Noi lasceremo il campo di battaglia,
Là dove respira l’integrale,
Dove colpisce la mongola marmaglia!

Ma d’ora in poi non saremo più un baluardo,
D’ora in poi alla lotta non costretti,
La lotta seguiremo con lo sguardo,
Coi nostri occhi sghembi e stretti.

Noi non ci muoveremo quando gli empi
Unni i cadaveri deruberanno,
Bruceranno le città e i templi,
E la carne dei bianchi arrostiranno!…

L’ultima volta – vecchio mondo t’invito!
Al banchetto della pace e del lavoro,
L’ultima volta al fraterno convito
Ti chiama il barbarico coro!

30 gennaio 1918

(C) by Paolo Statuti

Bogusława Latawiec

4 Giu

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Di questa poetessa polacca nel 2011 la Lithos Editrice ha pubblicato una scelta di poesie in un volumetto della collana est/ovest diretta da Luigi Marinelli. Questa edizione comprende anche poesie di Edward Balcerzan, marito di Bogusława Latawiec. Di quest’ultima presento nel mio blog 5 poesie nella mia versione.

Bogusława Latawiec tradotta da Paolo Statuti

* * *
Dovresti venire dal mare
da dietro quei castagni
tra i quali volano i gabbiani
e si dibatte il vento
Fin qui mi giunge il fruscio del fogliame
come se qualcuno balbettasse
contro un’ondata d’aria
come se fuggisse le parole
Dovresti venire da dietro gli alberi
chinato appena
col vento alle spalle
e allora l’intero calore
delle castagne non ancora sgusciate
sarebbe qui con noi
in questa fredda stanza da cui si vede il mare

Sopot, ottobre 1988

Bach e la lepre

Dietro la filarmonica
di Filderstadt
cresce un cavolo
In esso una lepre
Alle spalle ha il bosco – la sua parete di musica
Accorda le orecchie
secondo il vento e la terra, secondo una foglia
e la strada
che batte i tamburi delle gomme
Al crepuscolo Bach uscì d’impeto
dalla finestra
Batté il pugno sul campo
E allora quello nelle orecchie
e nelle zampe tutto
gridando
colpì l’aria
come archetto di fuoco
e suonò

Filderstadt, Poznań, novembre 1994

A mia madre

Riuscirò ancora a vederti
in questa fotografia color seppia
di decenni orsono
come semplice ragazza
che corre tra i fiordalisi
e non stelo curvato
che cresce nell’afa
nel grande fuoco
col mio nervo denudato?

Chiedo a te che non ci sei
benché sempre china
ostinata culli un vuoto nero
credendo che sia sempre io:
La tua propria
la più luminosa
luce
apparsa nella vita

Ci incrociamo sempre lontane
sia nell’aria che sulla terra

Krajkowo, agosto 2004

“La chiave dei campi” di Renè Magritte

Una quercia dal campo
calda come il tuo respiro
sul mio collo
ha frantumato il vetro, ha fatto irruzione
Sul pavimento grondando aghi vetrosi
riverberi, riflessi
cambia secondo i casi del vento
le sue vecchie e nuove foglie
credendo che la magia del vetro, l’improvvisa presanellafinestra
moltiplicherà il suo verde
lo libererà dalle radici
e dal nero terrore della terra

Poznań, febbraio 2007

Sotto il piede

La vita inciampa nella terra
nel ponticello
sulla sorgente

Coloro che sanno
dove la memoria finisce
e di quali aghi si coprono i boschi
quale cucitura là si svolge
non da ricucire – tacciono

Il tempo si culla di barca in barca
un filo, una traccia, la rete gettata
ma quando con essa si pesca
soltanto una luce esangue
anziché la carne del pesce
resta nelle mani

E in basso il ponticello da percorrere (sempre lo stesso)
sopra la sorgente (che non c’è)
benché la senta e risenta
sotto il piede

Krajkowo, luglio 2012

(C)by Paolo Statuti