Mieczysława Buczkówna
La famiglia Jastrun negli anni ’60
Poetessa, saggista, traduttrice e scrittrice di libri per bambini. E’ nata a Biała (oggi Bielsko-Biała) il 12 dicembre 1924 ed è morta a Varsavia il 3 maggio 2015. Durante l’occupazione nazista, studiò presso le suore orsoline che offrivano l’insegnamento clandestino superiore nel loro ginnasio e liceo pedagogico. Nello stesso periodo fece parte del gruppo di poeti legati al mensile Arte e Nazione, e del quale Andrzej Trzebiński e Tadeusz Gajcy erano i principali rappresentanti. Durante l’insurrezione di Varsavia prestò il suo aiuto nell’ospedale degli insorti.
Al termine della guerra si trasferì a Łódź, dove nel 1949 si laureò in filologia polacca presso la locale Università. Debuttò nel 1945 sulla rivista La campagna con le poesie Settembre e Soffio d’autunno, mentre la sua prima raccolta poetica Separazioni uscì nel 1949. Nel 1950 sposò Mieczysław Jastrun (1903-1983), poeta, saggista e traduttore, una delle figure più importanti nel panorama culturale del dopoguerra polacco. Abitavano a Varsavia, in un edificio dove gli organizzatori staliniani della vita letteraria, avevano dato un alloggio soltanto agli scrittori. Sotto lo stesso tetto vivevano tra gli altri: Artur Sandauer, Juliusz Żułaski, Bohdan Czeszko, Marian e Kazimierz Brandys, Adolf Rudnicki, Seweryn Pollak, Paweł Hertz. Il loro figlio Tomasz Jastrun (v. nel mio blog), poeta, prosatore e pubblicista, nato nel 1950, nella sua introduzione al Diario 1955-1981 del padre scrive: “Nel paese distrutto agli scrittori veniva assegnato un appartamento senza difficoltà, ma non era un gesto disinteressato. Ben presto tuttavia i generosi proprietari della Polonia Popolare si resero conto che molti degli scrittori da loro protetti, li tradivano e avevano iniziato a lottare per la libertà di parola”.
Dal 1965 Mieczysława Buczkówna diresse per 10 anni la sezione poesia dell’omonimo mensile. Ha pubblicato 15 raccolte di versi, l’ultima delle quali Amore è del 1990, e 2 di racconti, in parte basati sui ricordi. Ricordiamo anche i suoi saggi, tra i quali quelli dedicati alla poesia di Maria Pawlikowska-Jasnorzewska, Kazimiera Iłłakowiczówna, Cyprian Kamil Norwid e un ampio studio sulla creazione del poeta svedese Tomas Tranströmer, morto anche lui l’anno scorso.
Di Mieczysława Buczkówna il critico Ryszard Matuszewski ha scritto: “Pratica una lirica riflessiva e suggestiva con delicati mezzi espressivi e con uno stile epigrammatico, una lirica che registra osservazioni e sensazioni fuggevoli, soprattutto amorose, insite nella realtà di ogni giorno”. In particolare è stata messa in evidenza l’intimità della sua poesia, la raffinatezza, la tendenza al paradosso e alla contraddizione, l’atmosfera fiabesca, nonché il motivo del disfacimento, e il caratteristico ritmo di cadute e risollevamenti.
Tradusse la poesia francese, svedese e russa (tra gli altri: Anna Achmatova e Osip Mandel’stam). Della sua poesia scrisse:
Nero e bianco
Un tempo – scrivevo
Con la nera sfiducia
Sul bianco foglio della speranza
Oggi – scrivo
Con la bianca speranza
Sul foglio nero della sfiducia
E della poesia in generale afferma: “Forse la poesia è un oggetto creato dal nulla, più esattamente: dalla nostra immaginazione. Un oggetto la cui materia prima sono le parole, così come nella scultura lo è il marmo, il legno, il metallo – e oggi tutto in realtà. Basta vedere le mostre di arte contemporanea. Lo stesso riguarda la pittura, che non è certo la fotografia – ad esempio i ritratti di Rembrandt…La poesia non è una lettera, un diario – benché possa contenere elementi biografici dell’autore. Non è nemmeno un gioco verbale – come avveniva e avviene in alcuni versi. Non è una moltiplicazione di significati – una luce scura. Non è un gioco del computer, non è un divertimento grafico…Oh, è più facile dire cosa essa non è, anziché cosa è! Aveva ragione un giovane poeta malato, ipersensibile, che si accomiatò dal mondo dicendo: “tutto è poesia”… Ma aveva ragione anche il grande poeta Leśmian, quando affermava: „tutto ciò che si dirà della poesia, non è vero…”
Ma cosa è vero? – si chiede la poetessa.
Poesie di Mieczysława Buczkówna tradotte da Paolo Statuti
Lo sguardo
Fuochi d’artificio lampioncini musica
La notte – sfera di un mago
La notte – conchiglia colma di musica
E io sola qui io con nessuno
Ballano bevono vanno a braccetto
Sfavillano le fiammelle di vino nel cristallo
E io siedo con un piccolo bicchiere d’acqua
Fumo lunghe sigarette
Uno scoppio di risa balena come razzo
L’anello d’oro rotola sulla tavola
La parete di musica rovescio al suolo –
Sei tu – mi hai guardata negli occhi
1947
Introduzione all’amore
* * *
Si spegne l’acqua
Spuntano gli usignoli
Nell’oscuro silenzio
La rosa se ne va nel viale del profumo
Le tue dita
Fioriscono nella mia mano
* * *
Questa parola tra di noi
Levigata come pietra
In tante mani scomparse
Con le spine che crescono di nuovo
Rimpianta con tanti sorrisi
Più veloce del pensiero
Strisciante nel folto dei sospetti
Così limpida – che solo la morte biancheggia
sul fondo
Perché si possano con dolore rifrangere
I raggi degli sguardi
Il cielo dei disperati
Grande come il fazzoletto di Desdemona
1955
* * *
alla memoria di Anna Achmatova
Un sordo fragore del mio cuore di notte svegliata
Ricordo Anna allibita – il cuore – il tamburo
Prima dell’esecuzione…sciogliere la benda
– L’unica mia colpa – il tradimento…dell’amore
Sono pronta sparate – un bagliore
Hiroshima e Nagasaki – un calpestio nelle tempie
Il galoppo – g r a z i a t a – troppo tardi!
Io lo amavo
La telefonata
Gli occhi come incontrandosi per la prima volta
Le bocche come se non si conoscessero ancora
Ammutolirono le quattro pareti
Il tempo trattenne il respiro
Quando
Il telefono squillò
Come sbattere di finestra aperta
Come un colpo di proiettile
– C’è – è in casa? –
Ma io non dirò se c’è
La cornetta nera soffocai nella stretta
Come serpe velenosa
L’ultima confessione
Il vuoto dopo la scomparsa di Dio
Senza tregua dentro di me risuona
Già da mezzo secolo
Coi peccati gravi dei miei sedici anni
Ero in ginocchio – sentivo il freddo mortale della chiesa
Il cattivo odore del confessionale il fiato del vecchio prete
Quando non capendo ancora chiedevo chiedevo
Balzò su gridando
Basta con queste domande – non c’è assoluzione
In te ci sono due satani!
Con frastuono lungo la chiesa vuota
Con gli zoccoli militari scappavo
trascinando a fatica i corpi dei miei ragazzi fucilati
Varsavia 1941-1991
Luminoso silenzio
Come dichiarare il loro amore
Quando loro stessi hanno chiarito col silenzio
Ciò che vieta di dire
Il diritto non scritto
Non scritto?
Eppure è scritto
Nella lingua nota perfino ai fiori analfabeti
Il rosso della rosa
S’inchina all’ora serale
E si confida con un sussurro
E un lieve soffio subito diffonde
La confessione del profumo
Così forte che nella notte più scura brilla
Leggibile e chiaro da lontano
Ciò che le labbra innamorate
Tradiscono con l’emozione
Così sempre ti troverò
Alla cieca
Anche in una parola oscura
Mio luminoso silenzio
Anche se dovessi arrancare
Nella neve fino ai ginocchi
La rosa bianca
Alla memoria di Mieczysław
Dio
Nell’insondabile silenzio del suo tempo
Dura l’incompiuto Requiem di Mozart
Egli completa la partitura – Lacrimosa
E il terribile crescendo svolge verso di sé
Prende nella misericordiosa Eterna Luce
Nel suo oscuro spazio
Egli legge i tuoi Monologhi silenziosi
Ti dà la «chiave dell’abisso»
E la «stella che apre il cielo»
Adesso la stessa Eternità dell’Universo è aperta
Per entrambi – senza nome né cognome
Nella fossa comune sepolti
In qualche Buco Nero
Poso su di esso una rosa bianca
L’amore e la chimica
A Marta Tomaszewska
E già cara Marta
Allora davanti al vino rosso
(mezza bottiglia a testa – quindi stordimento
certo) – era del più e del meno
– Psicoterapia con ansia e insonnia poi
Del libro di Hopking – se vale o non vale la pena
– Sui valori si può un intero trattato –
Delle unioni (non soltanto chimiche) tutte
Com’è noto effimere
Perché cos’è che dura qui?
E ammesso pure – come?
La notte di maggio era nei lillà e l’usignolo
Dietro la finestra parlava di sé alla luna e noi – del vino
E del perdono e se vivere ancora – come
Dell’inizio e della fine – del morire
E che ognuno ha paura – anche se nel tunnel c’è la luce
E già
Obory, 25 maggio 1991
Sotto flebo
Anziché l’amore
Le portava i fiori – gerbere rose fresie
Ciò non aveva importanza
Perché tanto non capiva la lingua dei fiori
Tutto non durava più
Di un sospiro di sollievo
Quando si chiudeva la porta
Ed era come il lungo sogno d’una vita infiorata
Non doleva nemmeno tanto
E quasi nessuno si risentiva
Il distacco avvenne con apparente intesa
Eppure
Poi a lungo esso si estingueva
Sotto la flebo dei ricordi
Il mare
Ritirandosi mi porta via te
Sulla fredda sabbia del tuo silenzio
Si spengono le meduse delle illusioni le pietre delle parole
Conchiglie vuote
Sibila in esse il tempo che fugge
Nel silenzio di tomba
Di nuovo di noi non sappiamo nulla
E ormai quasi non ci siamo più
Ma mi svegliano i delicati baci
Dell’onda che torna
E di nuovo mi prendi con la tua
Onda alta – di nuovo placata credo
Che non moriremo mai
Ma lo so – comincerà il riflusso
Rimarranno soltanto
Le impronte divergenti dei nostri piedi
Sulla sabbia bagnata
(C) by Paolo Statuti
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