Archivio | giugno, 2022

Ida Moiseevna Nappel’baum

28 Giu

    

Ida Nappel’baum

Moisej Solomonovič Nappel’baum (1869-1956) fu un celebre fotografo-ritrattista. Era un uomo alto e di bell’aspetto, con riccioli ondulati  e una grande barba nera. In tutta la sua figura cercava di mostrare di essere un artista. Indossava ampie giacche di velluto, una pellegrina che ricordava gli antichi mantelli, cravatte annodate con un vistoso fiocco e il berretto. Divenne famoso per aver fotografato le figlie di Nicola II e per questo volevano giustiziarlo dopo la rivoluzione. E invece diventò una enciclopedia dei volti nella Russia prerivoluzionaria e dei volti più famosi dell’Unione Sovietica nella prima metà del XX secolo. Il suo metodo creativo e il suo stile fotografico consentono a professionisti e intenditori di paragonarlo a Rembrandt. Ebbe cinque figli: Ida, Frederika, Lev, Ol’ga e Lilija e trasmise a tutti la sua disinteressata devozione per l’arte. Soprattutto le due figlie maggiori Ida e Frederika aiutavano il padre a sviluppare le fotografie, fotografavano anche loro e scrivevano versi. Ida aveva cominciato a scriverli a 14 anni.

     Ida Nappel’baum, l’ultima poetessa dell’età d’argento, nacque il 13 giugno 1900 a Minsk (Impero russo), dove trascorse tutta l’infanzia. Nel 1913 la famiglia si trasferì a San Pietroburgo e Ida con la sorella Frederika frequentarono il ginnasio femminile privato “V.N. Khitrovo”. Istruzione classica, disciplina severa, preghiera quotidiana, tre lingue: greco, francese e tedesco. La rivoluzione del 1917 sembrò confondere tutto. Alcune ragazze si rivelarono monarchiche, altre – bolsceviche. Il preside del ginnasio fu sostituito dalla poetessa Marija Ljovberg, amica di Blok e di Gumiljov, e così il ”Kipling russo”, come veniva chiamato dai contemporanei Gumiljov o il “conquistatore dalla corazza di ferro”, come si definiva lui stesso, entrò nella vita delle due sorelle.

     Terminato il ginnasio nel 1919, Ida entrò all’Istituto di Storia dell’Arte, mentre Frederika si iscrisse all’Università, Facoltà di Filologia. Entrambe appassionate di poesia però, cominciarono a frequentare i corsi di Gumiljov nello Studio di Poesia da lui creato “La conchiglia sonora”. Negli anni 1920-21 Ida fu anche segretaria di questo Studio. Leggevano le poesie in cerchio, discutevano, criticavano. Vi partecipavano anche alcuni membri della terza Corporazione dei Poeti, anch’essa creata da Gumiljov nel 1920. Dopo la morte di Gumiljov i membri della Corporazione e della “Conchiglia sonora”, che come associazioni avevano cessato di esistere, cominciarono a riunirsi ogni lunedì nell’appartamento dei Nappel’baum nella Prospettiva Nevskij angolo Prospettiva Litejnyj.

     Ricorda Ida: “Non c’erano né tavoli né sedie. Gli ospiti sedevano sui cuscini lungo le pareti o sul tappeto e leggevano le loro poesie in cerchio, iniziando dalla porta. Questa usanza restò immutata nel tempo, finché esistette il nostro Salone, cioè dal 1921 al 1925… In inverno ci sedevamo intorno alla panciuta stufa di ferro con un tubo che usciva dalla finestra. D’estate uscivamo sul balcone che si stendeva lungo la facciata. Si leggevano le poesie, poi veniva servito il tè con pezzi di pane nero… Il fior fiore della letteratura di quel tempo partecipava: Fjodor Sologub, Michail Kuzmin, Michail Lozinskij, Anna Achmatova, Čukovskij padre e figlio, Nikolaj Kljuev, Daniil Kharms. Una volta Sergej Esenin arrivò da Mosca con il poeta Ivan Pribludnyj…Alla fine del 1923 Boris Pasternak lesse da noi le sue poesie. Era la prima volta che lo vedevo e ascoltavo. Fino a quel momento non conoscevo affatto le sue liriche. Stava in piedi vicino al pianoforte in un completo marrone, una cravatta dello stesso colore e un colletto bianchissimo, occhi molto belli, leggeva con entusiasmo e impeto molte poesie di “Mia sorella la vita”. Mi ha colpito e affascinato la rapidità dei suoi ritmi, la lieve e smagliante illustrazione, nonché la novità del suo linguaggio, ricco di vernacoli inaspettati. Anche il suo modo di leggere era del tutto nuovo per noi pietroburghesi, abituati al solenne urlo dell’acmeismo. Certo, ho capito completamente questo poeta molto più tardi, ma da quella sera  ho preso ad amarlo. Devo dire che Pasternak non fece una grande impressione sui presenti. Egli colpì veramente soltanto me e Tichonov, che fu contagiato per un intero decennio dai ritmi di Parternak”.

     Il 3 agosto 1921 Gumiljov fu arrestato. La sua seconda moglie Anna Engelhardt non aveva il coraggio di portargli dei pacchi in prigione e pregò Ida, che venerava e amava il Maestro,  di farlo lei. Lo fece volentieri, portandogli cibo, libri e fiori. Un giorno al finestrino dove lasciava i pacchi le dissero che non c’era più bisogno di portarne altri. Pochi giorni dopo, lei e la sua amica, futura scrittrice e futura moglie di Khodasevič Nina Berberova, restarono allibite leggendo sul muro della casa nella Prospettiva Liteinyj l’elenco di quelli che erano stati uccisi. Tra loro c’era anche Gumiljov.

     Dal 1923 il poeta e traduttore Michail Froman aveva iniziato a partecipare agli incontri dai Nappel’baum. Egli fu subito colpito dal fascino di Ida e nel 1925 la sposò.

     Nel 1924 la poetessa lavorò come segretaria della sezione poetica e teatrale nella filiale pietroburghese dell’Unione degli Scrittori.

     Nel 1927 pubblicò a sue spese la prima raccolta di poesie “La mia casa”.

     Nel 1940 il marito morì in seguito a una operazione non riuscita, e un anno dopo Ida lasciò Leningrado. Trascorse gli anni della guerra a Perm. Terminato il conflitto, tornò nella sua abitazione e si sposò nuovamente con un vecchio amico di famiglia, il giornalista Innokenty Basalaev. Ma la felicità non durò a lungo. Il 9 gennaio 1951 fu arrestata con l’accusa di essere amica dei poeti che avevano lasciato il paese negli anni ’20 e di quelli uccisi negli anni ’20 e ’30. Il motivo principale però fu la delazione di due scrittori “amici di famiglia”, relativa al fatto che nella sua abitazione aveva tenuto un ritratto di Gumiljov, dipinto poco prima della morte del poeta dalla pittrice Nadežda Švede-Radlova. Il ritratto non esisteva più dal 1937, quando il marito, temendo di essere arrestato, lo aveva distrutto. Ma contava il fatto di averlo posseduto. Dopo ben nove mesi di indagini, Ida Nappel’baum fu condannata a dieci anni nel lager di Ozerlag, e destinata al disboscamento e alla produzione di traversine.

     A questo riguardo la poetessa ha ricordato: “Hanno detto di aver visto un ritratto sovversivo del poeta Gumiljov nella mia abitazione. Mi ha sopreso che non abbiano chiesto che fine aveva fatto il ritratto. Non ho negato nulla. Erano interessati alle dimensioni, perfino ai colori. L’ho descritto con piacere, rivivendolo nella memoria. Mi ha colpito soltanto l’assurdità di tutto questo… È bastato avere in casa un ritratto del poeta giustiziato per incolparmi come una criminale”.

     Nel lager scrisse il ciclo di versi “L’oasi di Taišet” e il poema “Conserva per sempre”, più tardi diffusi nel samizdat. Poco dopo la morte di Stalin, nel 1954 fu liberata e completamente riabilitata. Tornò a Leningrado dedicandosi alla traduzione (Jules Verne, André Dotel, Stendhal). Il secondo marito morì nel 1964.

     Nell 1990 pubblicò, di nuovo a proprie spese,  la raccolta poetica “Pago i miei debiti”. Postumo uscì il volume di poesie “Me ne vado” (1993), curato e stampato a spese della figlia, e il meraviglioso libro di ricordi “Angolo di riverbero: Brevi incontri di una lunga vita” (1995), in cui ha parlato dei suoi incontri con Gumiljov, dell’arte fotografica del padre e dei lager che lei stessa sperimentò.

     Ebbe la figlia Ekaterina Michajlowna Zarenkova, nata nel 1932, dal primo marito.

     È morta a San Pietroburgo il 2 novembre 1992 e seppellita nel cimitero “Alla memoria delle vittime”.

     Nel 1989 ha scritto:

Non  farò un passo nel secolo futuro,

Nel ventesimo io devo restare,

Alla sua alba in esso sono entrata

E il suo tramonto voglio gustare.

Poesie di Ida Nappel’baum tradotte da Paolo Statuti

*  *  *

Lasciamoci, amico mio. Felice sono stata,

Anche se per poco, ma come un capinero

Che cresce, grida, pronto a librarsi,

Si lancia in cielo, scende leggero.

Così anch’io. Rotavano i giorni come sfere,

Giorni odoranti di sangue di faggi,

E ondeggiavano sopra i nostri cuori,

Turbinavano in cerchio fuochi selvaggi.

Ma tu sei stanco delle stesse mani,

Delle stesse labbra, e con un sorriso amaro,

Io me ne vado sola, con dolore, mio malgrado.

Guarda è inverno. Lasciamoci, amico caro.

1924

*  *  *

Non bastano le mani, tremanti come fiammelle,

Piantano un gancio in cielo tra le stelle.

La città dorme, la città non sente,

Vicino un’ascia batte incessantemente.

La città non sa, la città è innamorata,

Di sogni e passioni è colmata.

Uno – ha piantato, due – ha rinforzato,

Tre – la fune ha tirato.

La gola nel viscido cappio infilò

La fanciulla – e all’indietro rimbalzò.

Il cielo come cielo, la luna come macchia.

Non più lacrime, né tormenti.

Soltanto sulla Nevà ad una finestra

Un tacco morto battere senti.

1927

*  *  *

Ricordo l’infanzia senza icona,

Senza festività e senza preghiere,

Senza fragranti sabatine candele

Erano così profumate le sere.

Non sono mai stata in una sinagoga,

Né scalza una moschea ho visitata,

Solo con terrore sognavo Dio,

Di angoscia notturna stremata.

E adesso io un tempio non ho,

Delle chiese rifuggo il sagrato,

E il tuo lieto arrivo d’ora in poi

La mia unica Pasqua è diventato.

1927

Commemorazione

Invano nel bosco fangoso andavo,

Invano sul Naso di Volpe cercavo.

Tu non ti sei eretto come colle ignoto

E non sei diventato un gelso fiorito.

Tu nell’antro marino sei entrato come dardo,

Un tremendo tifone su di te ha infierito,

Ha tremato la montagna, ha gridato il gufo,

E il sorbo è caduto in un pianto insanguinato.

– Tu sei scomparso senza colpa alcuna –

E ti ha coperto agli occhi della luna

L’onda del Baltico spumeggiante,

Tutta nei tuoi merletti di Bramante.

La casa sul Fontanka

Non per l’antico stemma del conte,

Non per la recinzione arabescata,

Non per l’eleganza delle sue stanze

Questa casa sarà sempre ricordata.

Ma solo perché qui ha dimorato

La musa russa dagli occhi perlati,

Senza piegarsi al giogo della sorte,

Eredi del suo onore ci ha lasciati.

Un ramo d’acero sbirciava alla finestra,

E lei felice lo fissava di continuo,

E nasceva per esso un canto. E cantava…

Così come dai grappoli nasce il vino.

Sia che la pioggia baltica la sferzi,

Sia che l’avvolga la luce dell’alba, sia

Che il Fontanka si stringa al granito –

La Casa è il tempio della sua Poesia.

1985

La vigilia

In quel giorno a lungo io incantavo,

Di singoli un gruppo creavo

Secondo il canone dell’arte vetusto

E le proporzioni del mio gusto.

Qui sono tutti nel fiore dell’età

E ognuno d’essere poeta crede già.

E tutti sono boriosi, imprevisti –

Gli amici imaginisti.

Ecco chi ieri era in campagna

Sembra un dandy in pompa magna,

È giunto alla fama impetuosamente,

È importante, condiscendente,

E la scarpa laccata ondeggia,

Il pomello del bastone bianco 

Sulla spalla destra troneggia.

Il ritratto è bene realizzato,

Nulla da ridire troverai…

Ma perché il biondino è così quieto,

Così triste e distaccato, perché mai?

1985

*  *  *

                               Senza tenerezza femminile

                               come si può vivere?

                                                          A  N. B.

Tutto ti aspetta, mia Godot,

Sotto la stella di questa città,

Sul ghiaccio crepitante del Ladoga,

Sulle acque della nostra Nevà.

Oltre i ponti, sussurrando preghiere

E con le braccia spalancate,

La cattedrale di Kazan’ regge il cerchio

Dei suoi bracci-colonnate.

E la lunga fila di finestre

Della casa all’angolo, che finisce

Con un ovale, là dove

Nevskij a Mojka si unisce.

E poi? ricordi? il balcone di pietra,

Che sulla facciata si allungava,

Dove ognuno era poeta e innamorato,

E in ciò ogni diletto egli provava.

E sia pure Sodoma, sia pure Gomorra!

Mia Godot io ti aspetto da tanto!

E nelle catacombe degli occhi ardenti

Entro di nuovo, anche se ora soltanto…

1985

*  *  *

No, io ancora non sono del tutto vissuta:

Nella bella Georgia io non sono stata,

Nel TU14 non sono ancora decollata

E commossa l’Acropoli non ho guardata,

Io non ho finito tutti i sogni acquarellati,

La mia Carmen alla Scala non ho cantata,

La Madre di Dio io non ho disegnata

E i trilli degli usignoli non mi sono bastati.

Io i miei versi migliori non ho creati!

Ma il comando del tempo io già sento:

– Sbrigati. La tua rampa scivolosa sta finendo.

1987

*  *  *

Mi piace nei versi la mancanza d’intesa,

Come tra persone un rapporto imperfetto,

Non una geometrica precisione,

Ma solo di idee pensate un pacchetto.

Essa sempre in poesia, in amore è necessaria,

Come ornamento di feriale giornata,

Come uno sconosciuto che cammini

Accanto alla sua propria strada.

Non occorre vedere coi propri occhi,

Sventoli pure lontano lo stendardo!

I versi terminate coi puntini,

E il punto – è solo il fatto rimasto.

1989

Il nodo

Sul pavimento della tonda sala da ballo

Ancora col parquet e come una specchiera,

Le mie ambre, come ghiaccioli, rotolavano

Sotto i tavoli e poi chissà dove ciascuna era.

Allora gli amici poeti in allegria

Sdraiati a terra, le cercavano una ad una,

Come i pescatori di perle misteriose

Sul fondo del mare trovavano la fortuna.

E il nostro amato Maestro s’inginocchiava

E, mescolando poesia e prosa,

Con un sorriso di boria e l’aria fiera

Mi porgeva ogni ambra come una rosa.

Ma poi una seconda terribile visione,

Nella stessa casa, nella splendida galleria,

Ci sconvolse tutti la rivelazione,

Come mazzata, della feroce esecuzione.

Non c’è più il sorriso di boria e l’aria fiera!

Nella casa sul viale Litejnyj essa c’era, c’era,

Nella casa in stile moresco del ricco Muruzi.

Ma anche la seconda è sul Litejnyj,

Nella casa-sarcofago per le anime giustiziate.

E la strega-memoria queste due visioni

Con un nodo forte ed eterno ha legate.

1990

Ode alla vecchiaia

Oh, vecchiaia!

Io non mi lamento e non m’infurio,

Io ti proteggo e ti allevo amando,

Con te come con una spada io mi difendo

Dall’invidia e vendetta di certi tali

E dalle notizie insanguinate dei giornali.

1991

Versi – pane quotidiano

Ancora, ancora scrivo versi,

Essi non sono più come ieri,

Quando in gioventù, come farfalle,

Dalla mia mano volavano leggeri.

Adesso le parole occorrenti

Come una mola rigiro, e frantumo

In sangue la mia anima, ma l’amore

Per lui non mi toglierà nessuno.

Stanca e ferita è la mano,

E tuttavia, ancora versa la nutrice –

Del pane il tormento senza fine.

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

Scorre il tempo e più non incanta,

Ed io ho già due più di novanta.

1992

(C) by Paolo Statuti

Un ricordo di Ida Nappel’baum

10 Giu

 Ida Nappel’baum  

Anna Achmatova

 

Aleksandr Blok

Ida Nappel’baum (1900-1992), poetessa e fotografa russa, era la figlia maggiore del celebre fotografo ritrattista Moisej Nappel’baum (1869-1958), autore di molti famosi ritratti di rivoluzionari, letterati e scienziati. Ho trovato nel sito russo yandex questa sua breve poesia dedicata a Anna Andreevna Achmatova, con un suo bel ricordo della stessa e di Aleksandr Blok, che ho voluto tradurre per il mio blog.

Ida Nappel’baum

*  *  *

                              A. A. A.

Tre carte! Tre carte!

In esse la forza della magia…

Tre segni! Tre segni!

La sorte li ha donati al paese

E con le iniziali ha creato una lira.

Tre mosse, tre scrosci,

Come eco di sala da concerto,

Un trifoglio sullo specchio di uno stagno,

Tre banchi di ghiaccio, tre portali del Reno

La sua triplice A.

     “Nel mese di agosto 1921 è morto Aleksandr Blok. Per noi giovani che iniziavamo allora il nostro cammino, lui non era un Maestro, non era un Patrono e nemmeno un Ideologo. Era Blok – la nota suprema del suono, la luce perpetua di una stella.

     Solo due mesi fa ho salito queste scale per consegnare una fotografia-ritratto, destinata a restare l’ultima immagine del poeta. Mi ha aperto lui stesso. Sono entrata nel suo studio e a lungo, forse troppo a lungo, sono rimasta muta in piedi a guardare i suoi occhi senza fondo.

     Adesso ero venuta di nuovo a salutare il Poeta scomparso. Le scale, tutta la casa erano piene di gente. E poi il lungo, lungo e lento cammino fino al cimitero Smolensk. Seguivo il feretro con a fianco mia sorella Federica. Intorno a noi gli amici – Konstantin Vaginov, Nikolaj Čukovskij con la moglie Marina, Šura Fedorova, Pavel Luknitskij, Valentin Miller. Davanti, sulle spalle degli amici, la bara scoperchiata del Poeta.

     La piccola cappella del cimitero. L’ondata di gente mi ha spinto in fondo, proprio a un passo dalla bara. Vicino ai miei occhi c’era un viso stanco, sofferente, ma bellissimo.

     È iniziata la cerimonia funebre. Il coro ha cantato. Gli occhi di tutti però non erano rivolti all’altare e nemmeno alla bara, ma al punto dove mi trovavo io. Ho

cominciato a guardarmi intorno, cercando di capire il motivo, e ho visto dietro di me la figura alta e snella di Anna Achmatova. Le lacrime le rigavano il pallido viso. Lei non le nascondeva. Tutti piangevano e il coro cantava. Ed io in piedi sussurravo come una preghiera la poesia profetica di Blok”:

La fanciulla cantava nel coro della chiesa…

La fanciulla cantava nel coro della chiesa

Della gente stanca in terra straniera,

Di tutte le navi che erano in altomare,

Di chi non ricordava più la gioia vera.

La sua voce volava fin nella cupola,

E un raggio sulla bianca spalla brillava,

E ognuno dal buio vedeva e sentiva,

Il bianco abito che nel raggio cantava.

E a tutti pareva che la gioia verrà,

Che un quieto golfo le navi hanno trovato,

Che in terra straniera la gente stanca

Una migliore vita ha già iniziato.

E la voce era dolce, e il raggio era tenue,

E solo alla Porta Reale, lassù,

Iniziato ai misteri, – un bambino piangeva

Per chi indietro non tornerà mai più.

(C) by Paolo Statuti

Ivan Vasil’evich Gruzinov

6 Giu

  

Una simpatica foto del poeta con Esenin

Il poeta e critico Ivan Vasil’evič Gruzinov nacque l’8 novembre 1893 nel villaggio di Šebaršino in una famiglia di contadini. Nell’infanzia ascoltava i canti e le fiabe, che erano il passatempo della famiglia. Dopo essersi diplomato alla scuola rurale per insegnanti, seguì le lezioni all’Università “A.L. Šaniavskij”. Dal 1915 fu al fronte e dal 1918 al 1920 lavorò a Mosca nel consiglio distrettuale per l’educazione extrascolastica, poi come poeta e critico nella redazione della Gazzetta rossa di Leningrado, nonché nella casa editrice dell’Unione dei Poeti.

   Cominciò a scrivere versi quando ancora frequentava la scuola rurale e il suo debutto avvenne con una poesia pubblicata dalla rivista Il luppolo nel 1912. Era molto amico di Sergej Esenin e, come altri amici di quest’ultimo, anche lui ha avuto una triste esistenza. Negli ultimi anni di vita di Esenin gli fu particolarmente vicino, tanto da essere soprannominato la sua “bambinaia”.

   Per la pubblicazione della piccola raccolta Serafici ciondoli, giudicata oscena, fu arrestato e processato dal Tribunale della Rivoluzione a Mosca. Una seconda volta fu arrestato per il cosiddetto “caso dei quattro poeti”, cioè Sergej Esenin, Sergej Kličkov, Piotr Orešin e Aleksej Ganin, processati per aver fatto commenti contro gli ebrei in un locale pubblico.

   Nel 1924, insieme a Esenin, annunciò lo scioglimento del gruppo imaginista. Ricordo qui che egli è noto anche come autore del trattato-manifesto L’essenza dell’imaginismo. La terza volta fu arrestato l’11 giugno 1927 nella sua abitazione a Mosca, con l’accusa di “propaganda volta ad aiutare la borghesia internazionale”, e fu esiliato in Siberia per tre anni. Il 16 agosto fu privato del diritto di risiedere in sei città, tra le quali Mosca e Leningrado. Nell’estate del 1931 poté tornare a Mosca. Negli anni 1939-1940 preparò la raccolta finale di poesie, che però non vide mai la luce durante la sua vita. Passò gli ultimi anni a Mosca lavando bottiglie in una farmacia per guadagnare qualcosa. Nel 1942 morì di fame a Kunzevo (oggi un quartiere di Mosca). Della sua tomba non c’è traccia.

   Nel 2016, per la prima volta 75 anni dopo la sua morte, è uscita a Mosca una raccolta delle sue opere, comprendente testi pubblicati su giornali, riviste e antologie, le sue raccolte di poesie stampate negli anni 1915-1926, tra le quali Tamburelli del dolore – una curiosa fusione di futurismo, simbolismo e imaginismo, La Rus’ dei casolari, Lo scialle color cremisi, La trappola delle parole, nonché i suoi ricordi e articoli critici legati, tra gli altri, a Esenin, Majakovskij, Chlebnikov e Pasternak.

   “Gruzinov è un fenomeno al crocevia di diverse correnti letterarie, – ha affermato il nipote del poeta Michail Zenkevič e vicepresidente della Società Gumiljov, Sergej Zenkevič, – peccato che si sia trovato nella condizione del “parente povero”, che consideravano un “intruso” tra gli imaginisti e uno arrivato tardi per potersi unire agli acmeisti”.

   Questo poeta, nella cui creazione un posto notevole è occupato dalla campagna russa, per tanto tempo è rimasto ingiustamente nell’ombra anche in patria. Egli merita, a mio avviso, di essere apprezzato e ricordato, non solo perché fu uno dei più cari amici di Esenin, ma soprattutto perché anche lui ha lasciato le sue preziose gemme nello scrigno della poesia russa. Sono lieto di averlo scoperto e di aver tradotto e pubblicato nel mio blog dieci sue poesie.

Poesie di Ivan Gruzinov tradotte da Paolo Statuti

Nell’ora del tramonto purpureo…

Nell’ora del tramonto purpureo, –

Nell’ora in cui l’oro si offusca,

Si oscurano i bianchi palazzi, –

Mi sembra che gli dei siano vivi.

Mi sembra che entri in lotta

Il dio della luce col dio della notte.

Il dio della luce è stremato.

Il suo sangue sgorga.

Tutto è di porpora. Si offusca l’oro.

Si spengono i palazzi scarlatti.

1911

O poeti…

O poeti,

Affascinati dall’iridescenza della musica,

Voi – visione offuscata del Sesso.

Due fattori

In voi coesistono separatamente –

Maschile e femminile.

E per questo vi sono intimi i bambini e il genio.

Ma la vostra illuminazione, il palpito,

Le vostre visioni turbate

Non sono il presagio – intuizione del Futuro,

Quando in un unico sembiante

Si fonderanno indivisibili i due fattori della vita?

1913

Quando docile e silenzioso ero…

Quando docile e silenzioso ero

Davanti a te, i ginocchi piegati, –

Coperto dal buio dell’abito nero,

Illuminato dal fatidico luccichio

Dei tuoi occhi, – ho sognato le ombre

Dei cristiani un tempo giustiziati…

Alzate le braccia esultanti,

Essi pregavano nell’arena,

Tra i suoni delle trombe vibranti.

E in silenzio si avvicinavano i felini.

Ebbro di vendetta e persecuzione,

Guardava i giochi del giorno di festa

Con il serto e la porpora Nerone.

Settembre 1913

Fragili ghiaccioli dei tetti indorati

Fragili ghiaccioli dei tetti indorati

Il sole del mattino

Pallido

Bruciato da piume paglierine.

S’intrecciano dietro i vetri colorati

Le trecce di fiabesche principesse.

Il sole ha teso gli umidi fili.

Dai tetti di mezzogiorno

Alla neve.

Con la coltre primaverile a rischiarare.

Si sciolgono dietro i vetri colorati

Le trecce delle fiabesche principesse.

Febbraio 1914

Turbinando sul freddo argento…

Turbinando sul freddo argento

Delle ali del lago, rosseggiano i fumi.

E il mattino come un fuoco lento

Brucia i paramenti annebbiati.

La penombra azzurra sui rami seccati

Si è posata come evanescente peluria.

Scorre la folta calura.

E con l’afa il blu tremolante

Tintinna come rete di vespe vetrose,

Agita i favi delle campagne.

Più breve è il moto delle falci bramose.

Sull’erba si china pigro il sole.

E nell’avena raggiante

Lentamente al vecchio villaggio loro

Le falciatrici sotto le ascelle portano

Bracciate di lune-occhi d’oro.

1920

*  *  *

Sull’asfalto ho ricordato garofani e favi,

Piangeva la sega arrugginita,

Brillava e cantava l’ascia, gemevano gli aratri.

Tu eri tutta dal sole indorata,

L’odore della pelle. L’odore delle volpine tane.

Spruzzi di iride sulle ciglia,

Coi palmi bevevamo alla sorgente.

Non scorderò l’azzurro delle sottili dita,

Il neo sull’esile seno avrò sempre in mente.

Come torrida rete ondeggiava il fogliame.

Nei boschi il bromo rosso scuro

Incollava le lingue alla scorza di betulla.

E quando ci giuravamo amore e fedeltà,

Dai tuoi capelli si stendeva, o fanciulla,

Sull’erba, sui ginocchi un’ombra rosata.

                                 2

Il profumo del pino a primavera.

Canta la forcola di acciaio,

Libellule sull’acqua svolazzano?

E più diafana dei sogni degli uccelli

La volta del bosco, l’onda del fiume.

Gli occhi dei pescatori ricurvi

Più chiari del lino la mattina,

Più pallidi del celeste turchese.

Vibrano i muscoli.

Tendi i muscoli più resistenti delle corde.

Verso la riva la pesante poppa.

L’alga impigliata, gli ortaggi, le anatre.

I petti villosi.

Respirano ritmicamente.

Fruscia la ruvida rete.

Il viscido olivello irrita la gola.

Scorrono gli zaffiri delle scaglie, mercurio.

Il pescatore non stima a carati.

Troppo rozze la mani,

Incallite dal remo.

E sono sparse le rosse branchie.

La sabbia in bocca.

E come involucro fumante

Il fuoco dorato delle pupille.

1923

Passeranno centinaia di anni, ma io resterò…

Passeranno centinaia di anni, ma io resterò,

Nel silenzio tombale dei libri a marcire.

Sfiorami, lontano, con le labbra,

China la testa senza nulla dire.

Invano ho atteso l’incontro desiderato,

Tu eri solo un vago sogno che resta.

E, baciando i capelli e le spalle

Delle donne, dicevo: non questa, non questa.

Ogni pagina avvizzita

Risusciterai con la primavera che arriva.

Il cuore senza vita comincerà a battere

Come selvatica campanella boschiva.

2 agosto 1925

Parlami nel modo più semplice che puoi…

Parlami nel modo più semplice che puoi.

La saggezza dei libri non mi dice più nulla.

Ora mi canta il ruscello dietro il boschetto,

Presso il fuoco brilla la scorza di betulla.

Ogni sera il pioppo tremulo sospira –

Cose tremende sembra voler narrare –

Ogni sera dalle nebbie azzurre

Con gli occhi azzurri un’ondina appare.

Di garofani profumano i capelli

E come mela è il suo elastico petto.

Il suo abito a righe rosate

Svolazza leggero e diafano al vento.

Non mi spaventa il demone del bosco.

I colloqui sono brevi. Comprenderai.

Porto spesso con me un coltello rosso.

13 settembre 1925

I cavalli sono annegati nella nebbia…

I cavalli sono annegati nella nebbia.

Nel bosco senza foglie il buio è calato.

Essere triste e cantare non perché

È stato giudicato l’irrevocabile.

Io dico: ciò è stato. –

Falò. Dei primi incontri la frenesia.

Come un soffione dalle lievi ali

Dalle sue braccia lo scialle volava via.

E i rintocchi della campanella,

E lo scalpitio dei morelli non cessa.

E la luna sottile e gibbosa

Volava verso di noi da destra.

Ormai è tardi, tardi. Difficile andare.

Nebbia notturna. Il bosco è scomparso.

Invano, o cuore, metti puntelli

A ciò che è del tutto arso!

16 novembre 1925

Autunno. Boscaglia. Vago senza meta…

Autunno. Boscaglia. Vago senza meta.

Si fa sera. Si spegnerà presto

L’arco giallo del tramonto.

Oltre il burrone si fredda il deserto.

Al di là – i campi arati. Il corpo della terra

Dondola col ventre arrossato.

Fruscia col cupo fogliame

Un vecchio ontano dimenticato.

Odore di resine. Batte ritmica la pala.

Stringendo il cappio cadrò.

Madre-terra! non spunterò come il grano.

Una stellina sul campo non accenderò.

Che m’importa di chi mi segue!

Per loro la pena di vivere non vale.

Ecco soltanto io col fardello terra

All’ultimo funesto cavezzale.

25 dicembre 1925

(C) by Paolo Statuti