Prosatore e poeta polacco legato al gruppo letterario Quadriga, uno dei primi e principali rappresentanti del surrealismo in Polonia. Traduttore di Anatole France, Paul Eluard e dello scrittore svizzero Charles-Ferdinand Ramuz. Studiò filosofia alla Facoltà di Umanistica dell’Università di Varsavia e al tempo stesso diritto. Debuttò nel 1927 sulla rivista “Quadriga”. La sua prima raccolta di poesie – Il sole nella fatica giornaliera uscì nel 1929. La sua creazione era vicina all’Avanguardia di Cracovia. Nel periodo in cui Tadeusz Peiper e Julian Przyboś, tendevano ad esprimere l’eternità nelle immagini del tempo presente e della vita quotidiana, Flukowski al contrario, con la metafora dell’eternità esprimeva la ciclicità del presente. Il poeta si opponeva anche alla innovazione della forma, postulando la semplicità della lingua. La sua poesia manifestava l’apoteosi del lavoro come valore fondamentale del mondo. Motivo costante della sua creazione era il quadro del lavoro quotidiano dell’uomo, come compimento della creazione divina.
Le sue opere possono essere viste come rappresentazione del moderno prospettivismo. Le sue tecniche più caratteristiche sono le variazioni del punto di vista narrativo, le giustapposizioni di pareri e attitudini, l’esposizione della complessità inerente ai caratteri e alle situazioni, e la collisione di differenti lingue, allo scopo di scorgere sprazzi di realtà oltre la lingua. Poiché molti di questi espedienti si possono trovare sia nei drammi, che nella poesia e narrativa di Flukowski, si può concludere che la sua produzione letteraria lo colloca in una indistinta linea di confine tra l’avanguardia e il modernismo.
Ha scritto sei raccolte di poesie, sei drammi, racconti, le biografie di Słowacki e Norwid e il romanzo grottesco Le vacanze del nostromo Jan Kłębuch, che diversi anni fa il mio amico poeta Marian Grześczak (1934-2010) mi consigliò di tradurre. Desideravo farlo ma non trovai un editore interessato. Uscì poco prima dello scoppio della guerra e fu confiscato e bruciato dagli hitleriani. Per i suoi valori artistici e per la problematica intellettuale e morale in esso toccata, questo romanzo – notevole esempio di prosa sperimentale nel periodo tra le due guerre, non ha perso la sua attualità e può essere raccomandata ai lettori dei nostri giorni. Flukowski in questa sua opera affronta il problema del mito: del suo sorgere, delle sue conseguenze, del suo contrasto col pensiero razionale. Attorno a questo tema si svolgono tutte le altre costruzioni narrative e filosofiche di questo interessante romanzo, saturo di uno straordinario simbolismo. Forse si troverà finalmente in Italia un traduttore e una casa editrice interessati a pubblicarlo.
P.S.
Di Stefan Flukowski ho tradotto questo poema:
Johann Sebastian organista
Al dottor Franciszek Łukaszczyk
Il “pianoforte ben temperato”,
nero, di lacca lucida,
si muove nello spazio come pianeta
con moto regolare, preciso,
ubbidiente alle proprie leggi
dell’armonia assoluta.
Ci vorranno cento anni,
perché diventi un sole
e accenda il fuoco in ciascuno.
Una nube con la chiave d’ebano
scorre sui campi di grano,
un’allodola si alza in volo, vola, vola
e in questa chiave
canta allegra un madrigale.
*
Da tre giorni il giovane cammina,
tre giorni diretto a Lubecca
dove vive Buxtehude,
organista assai provetto
e compositore illustre.
Vuole imparare da lui,
desidera apprendere
come quattro o sei torrenti
tramutare in un fiume solo,
e di esso fare un mare
coronato da un orizzonte
di cadenze, code, finali…
Il giovane andando a Lubecca
spesso sotto un albero passa le notti.
Non può assopirsi…
Si costruisce un organo
in cima a un tiglio, un olmo, un carpine,
suona.
Comincia con un vecchio ricercare.
L’ha trovato oggi sulla strada,
un bel manoscritto, caduto
dal finestrino di una carrozza italiana,
che l’ha superato a una svolta.
Era vuota, non c’era neanche il cocchiere,
ma correva a meraviglia
tra due filari di olmi e pioppi.
E man mano che si allontanava
era simile a Venezia –
oro e azzurro.
Ha già trovato il tema, già lo possiede,
conduce al tempo stesso quattro voci –
tema quinta risposta
pedale manuale, poi insieme,
dalle semiminime passa alle crome,
dalle crome alle semicrome.
La fuga si svolge ininterrotta,
raddoppia, aggiunge nuove forze:
da forte a fortissimo. presto, presto,
e a un tratto piomba nel paese
del sogno, dell’oblio
insieme con l’organo in cima agli alberi.
Dorme adesso, respiro regolare,
fili d’erba nei capelli,
un coleottero imprigionato nell’orecchio
stride con le quattro zampette a coppia –
tutto intorno rispondono i grilli.
Cammina già da cinque, sei giorni,
è giunto alla strada maestra per Lubecca,
va dal maestro Buxtehude
a studiare composizione,
a penetrare i segreti dell’esecuzione,
il meccanismo dello strumento.
Calura, ma prosegue sempre,
la parrucca infilata nel bastone,
accanto al fagottello col pane.
E non sa nemmeno
che è più alto dei pioppi.
Nelle calze bianche i grossi polpacci
più grossi dei più grossi tronchi,
la parrucca è una nuvola.
*
L’organista
con le calze bianche
obeso e incantato
corre là dove ci sono
quattro pianoforti,
e ad essi si siede.
Suona
un concerto per quattro pianoforti.
È solo… nessuno lo ascolta…
Solo gli uccelli sono ammutiti
e la pioggia ha smesso di cadere.
Il pubblico verrà il seguente
secolo diciannovesimo
negli abiti Luigi Filippo.
Senza sosta sarà scoperta la tastiera
ed egli guizzerà come scòrfano sul palco,
sibilerà un proiettile,
brillerà una baionetta,
prenderà con foga il foglio con le note,
… passa al tono piano…
poi di nuovo con gli accordi
comincia coi cannoni.
Johann Sebastian, organista
– parrucca con cura incipriata –
corre all’interno dell’organo,
salta da un registro all’altro,
incalza con il contrappunto,
insegue con le fughe
Johann Sebastian, organista Johann…
E da tutto questo
dritta in cielo
la melodia più pura.
Sulle strade
a un tratto
la bufera infuria –
strappa i cappelli ai passanti,
li posa sui tetti,
sposta le case solide come roccia,
lacera i dialoghi nelle tragedie,
pesta i cristalli dell’aria
e lancia intermezzi che parlano di sé.
Qualcuno corre sulla strada
inseguendo un cavallo
trasformato in vento,
in uragano, in tornado,
in fattore di velocità.
E possono resistere solo gli alberi
che hanno il più alto indice
di elasticità.
Volano le pietre miliari,
i cappelli e
i portali delle chiese,
vola la gente,
che in un giorno di mercato
i corali di Johann Sebastian
hanno rapito.
*
Johann Sebastian, organista,
siede a tavola con la famiglia.
Dietro la finestra il bel tempo
indossa gli abiti domenicali,
con un fiore di visciolo sulla fronte
invita gli uccelli a posarsi sui rami.
Dalla finestra
un solerte zeffiro
sospinge
i profumi dei prati e del frutteto,
rinfresca le fronti,
i ragni dagli angoli scaccia.
A tavola un Oceano –
otto figli a destra,
otto figlie a sinistra –
da una scala di otto toni costruisce
il pianoforte ben temperato.
*
Nell’organo arieggiato
un angelo ha perso una piuma,
verrà l’organista
e la piuma soffierà via
attraverso la canna di stagno
sopra la chiesa
in un gaio mattino domenicale.
Quando la chiesa è vuota
e l’organista
a casa dopo pranzo riposa,
gli angeli coi diavoli
scherzano insieme:
ora giocano a nascondino
dietro l’altare,
ora a chiapparella nell’organo.
Allora può succedere
che premeranno il registro più grave
o tutti i toni insieme.
L’organo rimbomberà
come nel giudizio universale,
e in un altro momento si lagnerà
con l’armonia di Johann Sebastian.
Nella canna più grossa
siedono il diavolo e il becchino.
Da tre giorni bevono birra,
cantano canzoni scurrili e
mangiano arrosto di montone,
e bevono, e cantano,
mangiano
e bevono
nella canna più grossa
il diavolo e il becchino.
È arrivato l’organista
da un ruscello di cristallo
e con un corale a quattro voci
il canto, la birra e il diavolo,
il becchino e l’arrosto
ha soffiato via sotto la volta,
e tutti
hanno visto solo due pipistrelli.
Nell’organo arieggiato
la sera
un angelo dorme profondamente –
ma la mattina
arriverà l’organista
e comincerà a svegliarlo.
L’angelo destato
sui registri dei toni
salterà fuori dall’organo
e sbatterà contro il soffitto,
respinto dal soffitto
si schiaccerà contro la vetrata,
in estasi si condenserà…
E allora
un novello raggio di sole
gli ridarà un bel colorito
e lo riscalderà.
Un vecchio manticere
con una donna viveva nel peccato,
si ubriacava e truffava,
rubò una stella a un angelo,
che si era appisolato in un boccale
e la nascose nel mantice.
Johann Sebastian
le toccate, le fughe e i corali
a modo suo rafforzò,
la stella schizzò via
lontano oltre la luna.
*
Appena sorto il sole,
l’organista Johann Sebastian
corre nell’enorme organo,
salta da un registro all’altro,
insegue tema con tema.
Tuonano le fughe, le toccate,
si accavallano messe e corali.
Non vede nemmeno
che su di lui c’è già un altro sole:
l’Opera Omnia di Johann Sebastian.
(C) by Paolo Statuti