Vorrei che i bambini leggessero questa mia fiaba
In una parte di questo mondo viveva un bambino di nome Rinaldo, che frequentava la quinta elementare. Anche lui, al pari di ogni essere umano, aveva il suo lato cattivo e il suo lato buono: un po’ presuntuoso, testardello, irrequieto – difetti questi che non lo aiutavano certo nel difficile mestiere della vita, ma in compenso era intelligente, sincero e a volte anche altruista. Non era comunque uno di quelli che si ammazzano sui libri, anzi a dire il vero la sua maestra, la giovane, brava e saggia signora Teresa, non era molto soddisfatta del suo rendimento e gli ripeteva spesso:
– Tu e la scuola siete come il diavolo e la croce ed è un vero peccato,
perché potresti fare assai di più.
Una mattina Rinaldo si era
alzato di cattivo umore e, tanto per cominciare bene la giornata, aveva fatto
involontariamente cadere un prezioso vaso di cristallo, mandandolo in frantumi
e causando un grosso dispiacere ai genitori. Dopo essersi preso una bella
sgridata, era corso in camera sua e si era avvicinato alla finestra… guardava
accigliato e scontento il paesaggio e pensava… erano pensieri un po’
arruffati, ma più o meno si trattava di questo: secondo il calendario è già
primavera, ma gli alberi non si sono ancora vestiti di foglie… inoltre fa
freddo e il sole non ha la forza di bucare le nuvole… la primavera ha un
sorriso triste, di sicuro si è avvicinata all’inverno sussurrandogli come
sempre sorridente e gentile: «Ora fatti da parte, perché è arrivato il mio
turno», ma il vecchio inverno a quanto pare non ha alcuna voglia di cedere il
passo alla bella e delicata primavera e – come dice sempre papà – «mena il can
per l’aia»… comunque molti uccelli sono già tornati…
Mentre Rinaldo era immerso in
questi pensieri, un tordo – che doveva essere un po’ scapestrato – si posò sul
davanzale della finestra, cinguettando allegramente e a squarciagola, e Rinaldo
interpretò subito quel canto a modo suo:
–
Sono felice perché sono libero mentre tu hai quella faccia da funerale perché
devi sottostare a tanti obblighi… ubbidire studiare fare i compiti… per un
giorno pensa a divertirti non andare a scuola oggi… – e con un sonoro zirlo
volò via.
Rinaldo lo seguì con lo sguardo
e vide che si posava su un ramo, dove lo attendeva impaziente la compagna, e
senza un attimo di indugio i due cominciarono a sfiorarsi coi becchi. Il suo
posto sul davanzale fu preso da una
cornacchia:
– Cra cra cra… buongiorno Rinaldo cra cra cra ha ragione il tordo non
andare a scuola oggi… sai… cra cra cra a Collestorto è arrivato il lunapark
ci sono tanti giochi divertenti va’ a dare un’occhiata su con la vita cra cra
cra muoviti ci vediamo là io ti precedo perché ho un appuntamento con un’amica
cra cra cra – e così gracchiando spiccò
il volo in direzione di Collostorto.
Rinaldo restò un attimo a
meditare, valutò la situazione e quindi decise di marinare la scuola. Finì di
vestirsi, fece colazione, prese la cartella, chiese alla madre i soldi per
comprarsi la merenda e uscì. Giunto alla piazza del paese, anziché andare a
destra verso la scuola, voltò a sinistra prendendo la strada per Collestorto,
che distava quasi cinque chilomentri.
Quando arrivò nei pressi del
villaggio, la cornacchia lo vide e gli andò incontro, poi gli si mise al fianco,
un po’ volando e un po’ saltellando, per indicargli dove si trovava il
lunapark. Tra l’ultima fila di case e il bosco c’era un vasto terreno
pianeggiante e proprio lì gli Zingari avevano sistemato le giostre. A quell’ora
del mattino però, era pressoché deserto e molti giochi erano chiusi. Rinaldo
girò per qualche minuto, sempre accompagnato dalla cornacchia, finché giunse
davanti a un enorme tendone, sul quale faceva spicco una vistosa scritta:
LABIRINTO. Sembrava che non ci fosse nessuno. Rinaldo stava per andarsene,
quando chissà da dove sbucò fuori un uomo robusto coi capelli neri e ricci e
due anellini d’oro agli orecchi. La sua voce risonava come da una caverna senza
fondo e parlando i suoi occhi lampeggiavano:
– Veramente sarebbe chiuso, ma se vuoi fare un giretto accomodati pure,
in via del tutto eccezionale ti faccio entrare gratis, prego, il labirinto è a
tua disposizione, vediamo se sei capace di uscirne…
A quelle parole una strana
inquietudine e una vaga sensazione di pericolo s’impadronirono di Rinaldo, ma
in quell’attimo d’indecisione la cornacchia gli si posò accanto e lo
incoraggiò:
– Cra cra cra entra non aver paura non ti succederà niente di male cra
cra cra vediamo se sei così bravo…
Punto sul vivo e convinto anche
dalla pioggia che cominciò a scrosciare improvvisa, Rinaldo si diresse verso
l’entrata del tendone. Era piuttosto innervosito dalle parole dell’uomo e della
cornacchia, che sembravano non credere molto nelle sue capacità, e stringendo i
pugni dalla rabbia entrò nel labirinto. In quel preciso istante sentì cigolare
la porta alle sue spalle, si voltò e fece appena in tempo a intravedere il
ghigno dell’uomo dietro la porta, che si chiuse con un secco scatto. Era
turbato e incuriosito al tempo stesso. Lì dentro era buio pesto, fece due o tre
passi a tastoni e si fermò di colpo, inchiodato da una voce aspra e cupa
proveniente da un altoparlante – riconobbe la voce dell’uomo:
– Attento Rinaldo, voglio dirti la verità, questo non è un labirinto qualsiasi.
Esso è come una miniatura del mondo, con i suoi sentieri facili e difficili,
con le sue persone amiche e nemiche. È una prova di tenacia e di pazienza.
Riuscire o fallire dipende solo da te e, naturalmente, anche dalla fortuna.
Bada però, se non ce la farai, resterai per sempre con me, ho appunto bisogno
di un aiutante…
– Va’ al diavolo e fammi uscire
subito di qui! – gridò Rinaldo. Ma l’uomo per tutta risposta si fece una risata
e aggiunse:
– Ormai è troppo tardi, nessuno –
neanche io – potrà farti uscire da dove sei entrato, puoi solo andare avanti, camminare,
cambiare direzione, eventualmente tornare indietro, provare di nuovo, senza
avere mai la certezza di riuscire a farcela. Ci rivedremo solo se fallirai,
perciò, nel caso in cui tu riuscissi a venirne fuori, ti dico addio fin da ora
– e con quel saluto accompagnato da una gelida risata la voce tacque e Rinaldo
si sentì accapponare la pelle.
Davanti a lui, come se si fosse
alzato un sipario, apparve una scena inattesa e incredibile. Lunghe file di
persone di tutte le età andavano e venivano percorrendo vicoli stretti simili a
budelli, camminavano a testa bassa, urtandosi a vicenda come file di formiche
che vanno in direzioni opposte. Ogni tanto qualcuno si staccava dalla fila e
proseguiva per conto suo, ma sbatteva contro un ostacolo invisibile –
probabilmente una parete di vetro – come fanno le mosche imprigionate in una
stanza con la finestra chiusa. Rinaldo fermò un ragazzo a caso e gli disse:
– A quanto pare, state cercando tutti di uscire da questo labirinto, è
dunque così difficile?
– Ogni tanto qualcuno riesce
perché ha fortuna o perché riceve un aiuto insperato. Il guaio è che la maggior
parte di noi, anziché aiutarsi l’un l’altro e unire le forze, pensa solo a se
stesso… purtroppo siamo diventati tutti egoisti – rispose il giovane con un
profondo respiro.
– Grazie e buona fortuna,
cercherò di cavarmela da solo – disse Rinaldo, e si diresse lentamente verso
uno dei vicoli meno affollati.
Per non urtare la testa
camminava con le braccia tese in avanti. Sbatté contro una parete di vetro,
tornò indietro, riprovò in un altro punto, di nuovo un ostacolo… Come abbiamo
detto, Rinaldo era ostinato e non si dava facilmente per vinto, ma dopo un’ora
di vani tentativi anche la sua testardaggine si era affievolita, lasciando il
posto allo sconforto e alla paura. Si sedette su uno scalino e si prese la
testa tra le mani, non sapendo più che pesci prendere. A un tratto gli vennero
in mente la sua casa e i suoi genitori. Come un film gli scorrevano davanti
agli occhi immagini consuete e familiari, ma la sua attenzione si concentrò
sulla figura della mamma… ora la vedeva chiaramente, seduta lì accanto a lui,
era triste e preoccupata e lo fissava con aria di rimprovero. Rinaldo le prese
le mani e sussurrò:
– Mamma, di te posso fidarmi, aiutami tu…
La mamma allora lo invitò ad
alzarsi e a seguirla, Rinaldo le andò dietro, fino a una stretta apertura in un
muro, seminascosta da un pergolato.
– Ecco, puoi passare di qui – disse la mamma indicandogli il varco – fa’
attenzione, figlio mio, purtroppo io non potrò starti sempre vicino, le leggi
della vita non me lo permettono, devi imparare ad andare avanti con le tue
forze e, quando ti sentirai in pericolo, ascolta la voce del cuore – essa
t’indicherà le persone che ti vogliono veramente bene, pensa intensamente a
loro ed esse accorreranno in tuo aiuto, devi avere coraggio, pazienza e
fiducia.
– Sì, mamma, grazie – sussurrò
Rinaldo e proseguì oltre.
Ora la scena era cambiata. Si
trovava in una piccola radura circondata da alti alberi e folti cespugli. Il
disco del sole stava pian piano scomparendo sotto l’orizzonte, l’aria si era
fatta umida e fresca, tutto intorno era sonno e silenzio, si udiva solo il ticchettio
della fitta pioggia che cadeva insistente sulle foglie da una nuvola
passeggera: cap cap tuc tuc… cap cap tuc tuc… Rinaldo si mosse con
l’intenzione di attraversare la radura, ma all’improvviso sentì il vuoto sotto
i suoi piedi e si ritrovò in una fossa. Era caduto in una trappola profonda
almeno tre metri e con le pareti lisce come il marmo. Non c’era alcuna
possibilità di uscirne fuori. Pensa e ripensa, Rinaldo si ricordò delle parole
della mamma e la prima persona che gli venne in mente fu il suo compagno di
classe Luigi, al quale era particolarmente attaccato e che ammirava molto per
la sua spavalderia. Sentì un fruscio provenire dalla bocca della fossa e scorse
una testa bionda e ricciuta – era proprio Luigi!
– Luigi, amico mio! Aiutami ad uscire di qui, buttami uno di quei grossi
rami che trovi lì intorno! – gridò Rinaldo.
Ma il compagno lo guardò
maliziosamente e gli rispose soltanto:
– Prova a farcela da solo, in fin dei conti, come dici sempre tu: «È
facile come bere un bicchier d’acqua» – e scomparve.
Rinaldo restò di nuovo solo e
capì di essersi sbagliato sul conto di Luigi. Gli vennero in mente le parole
della maestra: «Guardatevi dalle persone finte e dagli amici interessati». La
seconda persona alla quale pensò, chissà come e perché, fu la sua compagna di classe Luisa,
che lui si divertiva spesso a offendere e a maltrattare, perché era convinto
che «un maschio vale più di dieci femmine». di nuovo sentì un fruscio e questa
volta vide affacciarsi una testolina con due lunghe trecce nere. Era proprio
lei! Rinaldo provò un senso di vergogna e non ebbe il coraggio di chiederle
aiuto. Ma la bambina non aveva bisogno di essere pregata e gli disse:
– Veramente non te lo meriti, ma io non sono capace di negare il mio
aiuto a chi ne ha bisogno – e così dicendo gettò nella buca un grosso ramo.
Rinaldo si arrampicò lesto come
un gatto, raggiungendo in un batter d’occhio il ciglio della fossa. Si guardò
intorno, Luisa era scomparsa e ne provò dispiacere. Riprese a camminare con
cautela, facendo attenzione a dove metteva i piedi, e tutto a un tratto udì un
ruggito, si voltò e a qualche metro di distanza vide un leone con una testa
spaventosa. Rinaldo si sentì gelare il sangue e scappò a gambe levate. Correva
correva e dietro di sé sentiva sempre più vicino il respiro focoso e famelico
della belva. Quando ormai era allo stremo delle forze, inaspettatamente si
trovò davanti un alto muro e si sentì perso, ma con un ultimo sforzo disperato
accelerò la corsa e, un attimo prima di urtare contro l’ostacolo, si gettò a
terra da un lato. Il leone non fece in tempo a frenare il suo slancio e batté
violentemente la testa contro il muro, finendo al suolo tramortito. «Questa
volta – pensò Rinaldo – mi ha aiutato la fortuna» e la ringraziò con tutto il
cuore.
Da un pezzo era già scesa la
notte ma la luna, che sembrava una grossa frittata, spargeva generosamente la
sua luce argentea. Cammina e cammina arrivò a un bivio. Non sapendo da che
parte andare si disse: «Lasciamo fare di nuovo alla fortuna» – quindi prese una
moneta e la lanciò in aria: uscì il sentiero di destra. Proseguì per un po’,
tutto sembrava filare liscio come l’olio, nessun ostacolo, e Rinaldo già si
rallegrava di aver avuto quella bella idea; ma la sua soddisfazione durò poco,
perché di punto in bianco si ritrovò in una fitta inestricabile boscaglia, si
voltò per tornare indietro, ma la strada era misteriosamente finita. In quello
stesso momento finì impigliato in grandi ragnatele che lo immobilizzavano e stavano
per soffocarlo… allora pensò al padre, ed egli gli apparve con un grosso paio
di forbici in mano e cominciò a tagliare furiosamente i fili che avvolgevano il
figlio, finché Rinaldo fu di nuovo libero. Stava per ringraziare il padre, che
però lo precedette dicendogli in tono severo:
– Hai sbagliato ad affidarti alla fortuna, perché essa è capricciosa,
avresti fatto meglio a pensarmi subito. Cerca di non ripetere l’errore, non
serve a niente invocare la fortuna, perché essa è sorda e arriva quando le fa
comodo e quando meno te l’aspetti, come è successo con il leone. Adesso
seguimi.
Rinaldo gli andò dietro per un
breve tratto, poi il padre aggiunse:
– Va’ sempre dritto. Arrivato alla sorgente volta a sinistra e presegui
per circa cento metri, di più non posso dirti. Arrivederci, figlio mio, e sii
prudente!
Rinaldo seguì le indicazioni del
padre e giunse sulla riva di un torrente. Stava già pensando di attraversarlo,
allorché da dietro un albero sbucò un giovane che lo fissava con lo sguardo
allucinato. Fece cenno a Rinaldo di avvicinarsi e gli sibilò in un orecchio:
– Se non vuoi restare per sempre in questo labirinto, mangia un po’ di
quest’erba. È buonissima e ti farà sentire forte e sicuro di te.
Rinaldo la guardava come ipnotizzato
e gli sembrava che bisbigliasse: «Mangiami, mangiami». Si sentiva sempre più
attratto da quell’erba misteriosa e stava quasi per cedere alla tentazione…
proprio in quel momento però gli venne in mente ciò che tante volte aveva
sentito ripetere dai genitori, dalla maestra e alla televisione: «… è una
sostanza che rende schiavi e inganna chi la prova, promette una grande felicità
ma si rivela una trappola mortale. Se l’assaggi non ne puoi più farne a meno,
la vita diventa un inferno e vivi solo per mangiarne ancora, sempre di più,
finché maledici il momento che sei nato, fino al giorno in cui il cuore si
ferma…» Sì, ricordava bene queste parole ed anche il nome di quell’erba: droga.
Rinaldo trovò la forza di
fuggire via. Correva come se avesse le ali ai piedi. Le gambe gli tremavano e
aveva il cuore in gola, e alla fine fu costretto a fermarsi: non ce la faceva
più! Si sdraiò sull’erba per riprendere fiato e nel silenzio della notte, rotto
solo dal suo respiro affannoso, udì un sommesso e confuso coro di lamenti
provenire dalla sua sinistra. Rinaldo aguzzò gli occhi e tese le orecchie.
Doveva scoprire di chi erano quelle voci soffocate… si alzò a fatica e
cominciò ad avanzare in direzione di quel brusio… si trascinava in avanti e
alla fine si rese conto e si sentì rabbrividire: era tornato al punto di
partenza! Allora Rinaldo fu preso dallo spavento e dalla disperazione e cadde
al suolo privo di sensi. Prima di svenire però, aveva fatto in tempo a
rivolgere il suo pensiero alla maestra.
Quando rinvenne, ancora
stordito, tremante di paura e bianco come un cencio lavato, si guardò intorno e
restò stupefatto, non credeva ai propri occhi: i raggi del sole rimbalzavano
sullo specchio di uno stagno e il vento cantava tra le fronde. Sulla riva era
seduta una giovane donna coi capelli che sembravano oro filato. La giovane era
immersa in una nuvola di fiori e il sole le baciava il viso. Guardava Rinaldo
con gli occhi ridenti e luminosi – somigliava tanto alla sua maestra… Si
alzò, si avvicinò a Rinaldo leggera come una piuma, lo prese per mano e lo
condusse dritto all’uscita del labirinto. Quando furono all’aperto disse a
Rinaldo:
– Sono molto contenta di averti aiutato… non ti dico addio, perché ci
rivedremo presto… – e dopo averlo accarezzato sulla testa, scomparve come per
incanto.
Prima di tornarsene al suo
paese, Rinaldo notò che l’uomo del labirinto che aveva incontrato non c’era
più, e al suo posto c’era uno completamente diverso e con una faccia allegra e
gioviale.
Il giorno dopo Rinaldo andò a scuola come
al solito, entrò nell’aula e salutò i compagni, poi si avvicinò a Luisa e le
diede un bacio. Lei gli sorrise e non sembrò affatto sorpresa da quel gesto
così inconsueto per Rinaldo. I compagni invece, e soprattutto Luigi, restarono
di stucco e la loro meraviglia aumentò col passare del tempo, perché Rinaldo
era molto cambiato – naturalmente in meglio.
(Paolo Statuti)
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