
Nikolaj Gumiljov
Il sesto senso, inserita nella raccolta Il pilastro di fuoco (1921), è l’ultima poesia di Nikolaj Gumiljov e una delle più belle. Oltre ai 5 sensi che sono gli organi biologici, all’uomo è necessario un sesto senso per lo spirito: il senso del bello, del sublime, dell’ideale. Esso non ci è dato dalla nascita, ma origina dalla sofferenza. L’uomo è come una creatura viscida e impotente, il corpo lo tormenta, ma sa che gli cresceranno le ali per elevarsi spiritualmente. Sta a lui usarle o meno. Occorre tempo e il contributo del creato e dell’arte. Il poeta sollecita questo momento, si rivolge al Signore pregandolo di accelerarlo. E’ una poesia profetica di Gumiljov. Nella seconda strofa “l’alba rosata” è la sua ispirazione poetica, i “cieli che si gelano” – il tramonto della sua creazione. Poco dopo averla scritta, venne accusato di attività antirivoluzionaria e il 26 agosto 1921 fu fucilato a San Pietroburgo. Aveva 35 anni.
Il sesto senso
Amiamo il vino che beviamo
E il buon pane che nel forno aspetta,
E la donna dalla sorte data,
Che pur se affligge, poi ci diletta.
Ma che fare dell’alba rosata
Lassù in alto nei cieli gelati.
Dov’è il silenzio e la celeste quiete,
Che fare dei versi immortalati?
Non da mangiare, da bere, da baciare.
L’attimo fugge via con rimpianto.
Ci torciamo le mani, ma di nuovo
Passiamo sempre accanto, accanto.
Come un bambino, lasciato il suo gioco,
Segue una fanciulla al bagno,
E, non sapendo nulla dell’amore,
Prova di segreta voglia un travaglio;
Come una volta nel folto equiseto
Gemeva per la sua impotenza
Una creatura viscida, che delle ali
Non sentiva ancora la presenza;
Così per secoli – sarà presto, Signore? –
Sotto lo scalpello dell’arte e del creato
Grida il nostro spirito, la carne si sfibra,
E l’organo del sesto senso è nato.
1921
Nikolaj Gumiljov
Roma
Lupa con le fauci sanguinose
Sulla bianca, bianca colonna,
Ave, eterna lode a te,
Incoronata dalla gloria.
Con te, con le bocche tese ai seni,
I due fratelli bambini.
Non uomini, ma piccoli lupi,
Vestiti di mantelli ferini.
Allo stesso modo tu li amavi,
Da piccoli e da grandi, è vero? –
Quando bruciavano le città,
Ruggendo d’impeto guerriero.
Quando nel regno della quiete
Essi entrarono, come un soffio,
Tu, terribilmente ululando,
Per voi tre scavasti la fossa.
O lupa la tua città gloriosa
E’ la stessa del veloce fiume.
Il marmo delle alte logge,
Delle sue colonne le volute,
E il dolce volto delle Madonne,
E la basilica vaticana,
Saranno qui per sempre,
Finché esisterà la tua tana,
Finché le ruvide erbacce
Cresceranno tra pietre millenarie,
E la luna guarderà sanguigna
Il ferro delle notti romane?!
E la città dei divi cesari,
Dei grandi papi e dei santi,
E’ forte dell’orma delle zampe –
Irsute, ferine, invitanti.
I fondatori
Romolo e Remo salirono sul monte,
Dinanzi a loro un aspro e muto colle.
Romolo disse: “Qui sorgerà la città”.
Rispose Remo: “Bella come il sole”.
Romolo disse: “Per volere degli astri
Il nostro onore abbiamo ritrovato”.
Remo replicò: “Guarderemo avanti,
Dimenticando il passato”.
“Qui sorgerà il circo, – affermò Romolo, –
Qui la nostra casa, aperta a tutti”.
Rispose Remo: “E ci saranno accanto
Le cripte dei nostri defunti”.
1908
Manlio
Manlio buttato giù. La gloria di Roma,
Il potere – sempre quello che era,
E nei secoli incrollabile,
Come la rupe Tarpea.
Roma, come il mare, si agitava,
Le urla solcavano la ressa,
Ma tranquillo sorrideva
Chi veniva gettato ad essa.
Per cosa da una nube a mezzodì,
Da un raggio illuminato,
Appare il cupo Mario
Col brando insanguinato?
1908
(Versione di Paolo Statuti)
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