
Il busto di A. Pushkin che mi fa compagnia nel mio studio
Poesie di Aleksandr Puškin (1799-1837) tradotte da Paolo Statuti
Il cantore
Sentivate voi il notturno cantore
Della propria tristezza e dell’amore?
E nella quiete dei campi al mattino,
Del flauto il suono mesto e cristallino
Lo sentivate voi?
Incontravate nel bosco il cantore
Della propria tristezza e dell’amore?
Vedevate tracce di pianto, un sorriso,
O un dolce sguardo di dolore intriso,
Lo incontravate voi?
Sospiraste voi, ascoltando il cantore
Della propria tristezza e dell’amore?
Quando di un giovane avete scorti
Nei boschi gli sguardi degli occhi smorti,
Sospiraste voi?
1816
Rinascita
(Возрождение)
Un barbaro artista il quadro annerisce
Di un genio con mano indolente,
E il suo disegno iniquo egli traccia
Su quel quadro assurdamente.
Ma, con gli anni, come vecchie scaglie,
Si stacca l’estraneo colore,
E l’opera del genio ci appare
Nel suo primitivo splendore.
Così nell’anima mia travagliata
Scompaiono gli errori compiuti,
E tornano in essa le visioni
Dei limpidi giorni vissuti.
1819
* * *
(Редеет облаков летучая гряда…)
Si dirada di nubi lo strato scorrente.
O stella della sera, stella così dolente,
Il tuo raggio inargenta le pianure sfiorite,
Il golfo che sonnecchia e le rocce annerite.
Amo la tenue luce nell’alto del cielo,
Essa ha tolto ai pensieri il loro greve velo.
Ricordo il tuo spuntare, ogni cosa splendeva
Sul quieto paese, dove tutto al cuore piaceva,
Dove il pioppo nelle valli si levava armonioso,
Dove sonnecchia il mirto e il cipresso tenebroso,
E dolci frusciano l’onde di meridione.
Là un tempo sui monti, il cuore in meditazione,
Trascinavo la mia indolenza taciturna,
Quando sui tetti calava l’ombra notturna
E una fanciulla nella nebbia ti cercava,
E alle amiche il tuo nome pronunciava.
1820
Ruslan e Ludmila – Introduzione
(РусланиЛюдмила – Вступление)
C’è una quercia sulla riva del mare
E attorno ad essa una catena d’oro,
Sulla catena di notte e di giorno
Un gatto colto cammina con decoro.
Va a destra – prende a raccontare,
A sinistra – comincia a cantare.
Là soltanto prodigi conosco:
Fauni e ninfe insieme nel bosco,
Là su ignoti e scuri sentieri
Vedi impronte d’insolite fiere,
E casette su zampe di gallina
Senza porte né finestra alcuna.
Selve e valli piene di visioni,
E all’alba affluiscono i marosi
Sulla riva vuota e sabbiosa,
E trenta stupendi paladini
Emergono dai flutti marini,
E con essi il loro protettore.
Là un principe strada facendo
Un terribile zar ha imprigionato.
Davanti al popolo nelle nubi,
Avendo boschi e mari superato,
Un mago con l’eroe si fa vedere.
In prigione la zarevna patisce
E un lupo bruno le obbedisce.
Là una botte con dentro una strega
Si solleva da sola a fatica.
Là nell’oro Koshciej si consuma,
E l’anima russa e la Rus’ profuma!
Io ero là e il miele ho bevuto,
Ho visto la quercia che frusciava,
Sedevo ai suoi piedi e il gatto colto
Le sue favole mi raccontava.
Una me la ricordo ancora
E al mondo la dirò proprio ora…
1820
Terra e mare
Quando sull’azzurro dei mari,
Zèfiro soffia la sua brezza
Sulle vele dei fieri vascelli
E le barche sull’onde accarezza,
Lasciato il peso dei pensieri,
Nell’inerzia io posso annegare –
Dimentico i canti delle muse,
M’è più caro il mormorio del mare.
Ma quando contro la riva l’onde
Schiumose ruggiscono e fremono,
E il tuono rimbomba nel cielo,
E i lampi nel buio balenano,
Allora i più ospitali querceti
Io ai mari preferisco;
La terra mi sembra più fedele,
E il grave pescatore compatisco:
Vive su una fragile imbarcazione,
Trastullo della cieca corrente,
Mentre io nel silenzio sicuro
Ascolto il fruscio d’un torrente.
1821
Il cangiàr
(Кинжал)
Il dio di Lemno ti ha forgiato
Per le mani di Nèmesi immortale,
Custode della libertà, cangiàr punitore,
D’infamie e di offese ultimo tribunale.
Là dove dorme la spada della legge,
Tu di anatemi e di speranze esecutore,
Tu all’ombra del trono ti celi,
E delle vesti sotto lo splendore.
Come raggio infernale e folgore divina,
Muta lama negli occhi del furfante,
Che si guarda intorno tremante,
In mezzo alla stessa sua gente.
Dappertutto lo troverà il colpo tuo improvviso:
Sul mare, in un tempio, su monti e pianure,
Dietro segrete serrature,
Durante il sonno, nel paterno nido.
Sotto Cesare scroscia l’amato Rubicone,
A Roma la legge ha chinato la testa;
Ma il libero Bruto è insorto:
Tu Cesare hai colpito, e il marmo di Pompeo
Ora egli abbraccia – ormai morto.
Il seme delle rivolte leva un grido rabbioso:
Vile, sanguinario, scellerato,
Sul cadavere della libertà decapitata
Il carnefice brutto è nato.
Apostolo di sciagura, allo stanco Ade
Le vittime con un dito destinò,
Ma il giudice supremo gli mandò
Te e la fanciulla fatale.
O giovane giusto, leale e prescelto,
O Sand, con la scure la tua vita s’è spezzata;
Ma della tua sacrosanta virtù
E’ rimasta la voce nella testa tagliata.
Nella tua Germania sei un’ombra perenne,
Minacciando sventure al potere delittuoso –
E sopra la tua tomba solenne
Un cangiàr senza nome risplende radioso.
1821
La musa
(Муза)
Nella mia infanzia il suo amore mi donò
E un flauto a sette canne mi affidò.
Mi ascoltava sorridendo, quando esitante,
Sui sonori fori della canna vibrante,
Già sonavo con le mie dita delicate
Odi sublimi dagli dei ispirate,
E i placidi canti dei frigi pastori.
All’ombra muta delle querce le lezioni
D’una vergine arcana seguivo compreso,
E, allietandomi con un premio inatteso,
Dalla sua bella fronte un ricciolo scostato,
Dalle mie mani ella prendeva il flauto.
Un alito divino la canna animava
E di sacro incanto il mio cuore colmava.
1821
Il prigioniero
Siedo nella prigione dietro la grata.
Giovane aquila nel servaggio allevata,
La mia triste compagna batte senza tregua
Le ali e becca la sanguinante preda,
Becca, e getta, e guarda alla finestra,
Quasi pensasse: «Una cosa sola resta»
Il suo sguardo chiama e sembra che un grido dia
E voglia dire: «Voliamo via! Voliamo via!
Siamo liberi uccelli, fratello, è ora di andare!
Là, dove azzurreggiano i paesi sul mare,
Là, dietro le nubi, dov’è il monte natio,
Là, dove voliamo soltanto il vento… ed io!..»
1822
L’uccellino
Osservo fedele un’antica usanza
Anche in una terra a me straniera:
Lasciare libero un uccellino
Nella chiara festa di primavera.
Ho provato un grande conforto,
Mio Dio, e una vera felicità,
Quando anche a una sola creatura
Ho potuto donare la libertà!
1823
* * *
Ricordo il magico momento:
Dinanzi a me apparisti tu,
Come fuggevole visione,
Come genio di pura virtù.
Nella disperata tristezza,
Nel tramenio fragoroso,
Sentivo la tenera voce
E sognavo il volto radioso.
Con gli anni il mio impeto inquieto
Ha sperso le visioni passate,
Ho scordato la tua dolce voce,
La tue fattezze incantate.
Nell’eremo remoto e buio,
Son trascorse adagio le mie ore
Senza estro né divinità,
Né pianto, né vita, né amore.
Ma l’anima s’è ridestata
E di nuovo sei apparsa tu,
Come fuggevole visione,
Come genio di pura virtù.
E il cuore batte nell’ebbrezza,
E son risorti con ardore
Il divino e l’ispirazione,
Il pianto, la vita e l’amore.
(1825)
Il profeta
In un cupo deserto io vagavo
Dalla sete dello spirito oppresso,
Ed ecco un serafino con sei ali
Mi apparve ad un tratto da presso.
Lieve come un sogno si avvicinò
E gli occhi stanchi mi sfiorò.
Si aprirono le profetiche pupille
Come alle aquile impaurite.
Poi toccò le mie orecchie,
E di suoni esse furono empite:
E vidi in alto degli angeli il volo
E udii il cielo che fremeva,
E scorsi il moto delle serpi marine
E il vinco delle valli che cresceva.
Poi si accostò alla mia bocca,
Strappò la mia lingua veemente,
Ma frivola, vuota e maligna,
E l’aculeo del saggio serpente
Nella mia bocca agghiacciata
Ficcò con la destra sanguigna.
Poi il petto mi aprì con la spada,
Ne tolse il mio cuore tremante,
E nel petto aperto egli depose
Un carbone ardente e fiammante.
Come salma nel deserto giacevo,
Ma la voce divina intendevo:
«Alzati, guarda e ascolta, o profeta,
Fa’ ciò che ho scritto nella mente,
Percorri terre e mari senza tregua,
Con la parola accendi il cuore della gente».
1826
Le tre fonti
Nella steppa del mondo, triste e sconfinata,
Sgorgarono tre fonti come d’incanto:
Della giovinezza – rapida e ribelle –
Ribolle, corre, brillando e gorgogliando;
La fonte di Castalia che con l’ispirazione
Nella steppa del mondo gli esuli disseta;
L’ultima fonte – la fredda fonte dell’oblio,
Che più di tutte placa la febbre del poeta.
1827
Il poeta
Finché Apollo non sacrifica
Il poeta sul suo altare,
Nelle pene del vano mondo
Egli spaurito deve aspettare.
E’ muta la sua sacra lira,
L’anima freddi sogni assapora,
Dei miseri figli della terra,
Forse egli è più misero ancora.
Ma appena la parola divina
Il sensibile udito toccherà,
Come un’aquila risvegliata,
L’anima del poeta si alzerà.
E’ triste nei trastulli del mondo,
Fugge via dalla gente chiassosa,
Davanti all’idolo delle masse
Non china la testa orgogliosa.
Corre, selvaggio e severo,
Pieno di sgomento e di canti,
Fin sulle onde del deserto,
Nel bosco di querce fruscianti.
1827
Il talismano
Là dove il mare batte senza sosta
Contro le rocce solitarie,
Là dove la luna più calda brilla
Nell’ora della nebbia serale,
Dove, negli harem dilettandosi,
I giorni passa il musulmano,
Là una fata, lusingandomi,
Mi consegnò un talismano.
E, lusingandomi, diceva:
«Custodisci il mio talismano:
In esso c’è una forza segreta!
Ora è qui nella tua mano.
Dalle malattie, dalla tomba,
Nel minaccioso uragano,
La tua testa, amico caro,
Non salverà il mio talismano.
E le ricchezze dell’Oriente
Esso giammai ti donerà,
E gli adoratori del Profeta
Esso non ti sottometterà;
E in grembo agli amici più cari,
Da un triste paese lontano,
Nella tua terra non ti porterà
Questo mio talismano.
Ma quando dei perfidi occhi
Ti vorranno affascinare,
O una bocca nella buia notte
Ti bacerà senza amare –
Da nuove ferite del cuore,
Da ogni desiderio insano,
Dal tradimento e dall’oblio
Ti salverà il mio talismano»
1827
L’ antiàride
(L’albero del veleno)
Nel deserto così arido e avaro,
Sul suolo nella calura immerso,
L’antiàride come torvo guardiano,
Sta – solo in tutto l’universo.
La natura delle steppe assetate
In un giorno d’ira l’ha generato,
E il verde smorto dei suoi rami,
E le radici di veleno ha impregnato.
Il veleno sprizza dalla scorza,
Si fonde sotto il sole ardente,
E si rappiglia poi verso sera
In una resina trasparente.
L’uccello e la tigre lo fuggono,
Soltanto un vento infernale
L’albero della morte colpisce –
E vola oltre, quando è già ferale.
E se una nube irrora, errando,
Le sue foglie, già avvelenata
Dai suoi rami la pioggia scorre
Giù nella sabbia infocata.
Ma l’uomo un altro uomo
All’antiàride imperioso mandò,
E quello partì ubbidiente
E al mattino col veleno tornò.
Portò egli la resina mortale
Sparsa sulle vizze fronde,
E il sudore colava freddo a fiumi
Dalla sua pallida fronte.
La portò – e già debole si stese
Nel capanno, il derelitto,
E morì povero schiavo ai piedi
Del suo sovrano mai sconfitto.
E il re, di quel veleno intrise
Tutte le frecce a lui fedeli,
E con esse portò la sventura
Alle genti sotto altri cieli.
1828
Il ricordo
Quando per un mortale il fragore
Del giorno cessa e sulla muta città
L’ombra traslucida della notte
E il sonno che ristora scende già,
Allora per me s’insinua nel silenzio
Il tempo del penoso vegliare:
E nell’inerzia notturna, della serpe
Del cuore sento i morsi bruciare.
I sogni fervono e da gravi pensieri
E’ oppressa allora la mia mente.
Il tacito ricordo davanti a me
Il suo lungo rotolo distende,
E con disgusto leggendo la mia vita,
Amaramente piango e mi deprimo,
Amaramente tremo e maledico,
Ma i tristi versi non sopprimo.
1828
* * *
Sia ch’io vaghi nelle strade chiassose,
Sia che entri in un tempio affollato,
Sia che sieda tra giovani folli,
Ai miei sogni sarò sempre legato.
Io dico: gli anni voleranno in fretta,
E quanti di noi sono già scomparsi,
Noi tutti andremo sotto l’eterna volta –
E alcuni l’ora vedono appressarsi.
Se io guardo la quercia solitaria,
Penso: dei boschi il patriarca fronzuto
Sopravviverà al mio secolo obliato,
Come ai padri è già sopravvissuto.
Se un bambino accarezzo con affetto,
Penso già: addio! Ora tu vivrai,
Il mio tempo è ormai putrefatto,
Al mio posto ora tu fiorirai.
Ogni giorno, ogni ora, ogni momento
Sono solito col pensiero seguire,
Il tempo della futura morte
Tra essi cercando di predire.
E dove la morte la mia sorte ha scritto?
In battaglia, in cammino, tra i marosi?
Oppure da questa vicina vallata
Saranno accolti i miei resti corrosi?
E benché ai corpi non importa
Dove cenere saran diventati,
Io vorrei tuttavia riposare
Più vicino ai luoghi tanto amati.
E che all’ingresso del mio secolcro
Giochi pure una giovane vita,
E impassibile la natura risplenda
Di bellezza eternamente fiorita.
1829
Il Caucaso
Il Caucaso ai miei piedi. Sopra le nevi
Sto solo sul ciglio di un’alta vetta,
E un’aquila da una cima lontana,
Si libra immobile alla mia altezza.
Da qui vedo la nascita dei torrenti
E delle frane i primi movimenti.
Qui le umili nuvole scorrono,
E al di là scrosciano le cascate.
In basso la nuda vastità rocciosa,
L’avaro muschio e le fronde seccate,
E dei boschetti le penombre verdi,
Dove gli uccelli cantano e saltano i cervi.
E là sui monti la gente già s’annida,
Sui dirupi brucano le pecore mansuete
E il pastore scende nelle valli amene,
Dove scorre l’Aragvi tra le rive scoscese;
E un povero cavaliere si cela nella forra,
Dove il Terek gioca con feroce gioia.
Gioca e ulula, come giovane belva
Che ha visto il cibo dietro l’inferriata,
E batte sulla riva con inutile rabbia
E lecca le rocce con l’onda affamata…
Invano! Per lui non c’è né cibo né felicità:
Minacciosa e muta lo preme la vastità.
1829
* * *
(2 novembre)
Inverno. Che fare in campagna? La mattina
Il domestico con la solita tazzina
Di tè. Chiedo: fa caldo? la bufera è finita?
Nevica ancora? si può lasciare l’imbottita
Per la sella, o meglio prima di pranzare
Le vecchie riviste del vicino sfogliare?
Neve fresca. Ci alziamo, a cavallo all’istante,
E al trotto all’alba nel campo biancheggiante.
Il frustino in mano, i cani dietro contenti,
Guardiamo la pallida neve con occhi attenti,
Vaghiamo, giriamo a lungo, ma è già ora,
Due lepri scappate, torniamo alla dimora.
Dove sei allegria? E’ sera: fuori tùrbina,
La candela arde cupa. Il cuore si turba.
Mando giù il veleno del tedio così mesto.
Voglio leggere. Gli occhi scorrono sul testo,
Ma la mente è lontana…Il libro chiudendo,
Cerco la penna, mi siedo e pretendo
Dalla musa assonnata parole senza senso.
Al suono il suono non giunge…Perdo consenso
Con la rima, con la mia strana ispiratrice:
Il verso indolente si trascina infelice.
Stanco, con la lira sospendo la tenzone,
Vado in salotto; là sento una discussione
Sullo zuccherificio, su elezioni non lontane.
La padrona cupa come il tempo invernale,
I ferri da calza agita con stizza,
O sul conto del re di cuori profetizza.
Così giorno segue giorno in romitaggio!
Ma se verso sera in questo triste villaggio,
Quando in un angolo siedo giocando a dama,
Su di un carro da una località lontana,
Vengono inattese una vecchietta e due sorelle
(Due bionde fanciulle, leggiadre e snelle), –
Come si anima quel villaggio di pena!
Come la vita, mio Dio, ridiventa piena!
All’inizio sguardi sghembi e indiretti,
Poi qualche parola, poi dialoghi diletti,
E canti di sera, e risate generali,
E valzer vivaci, e sussurri gioviali,
E languidi sguardi, e motti spensierati,
E sulla stretta scala incontri prolungati.
E una fanciulla sul terrazzo si affaccia:
Scoperti il collo, il petto e la bufera in faccia!
Ma la bufera un rosa russa non offende.
Com’è caldo nel gelo un bacio ardente!
Com’è fresca nella neve una fanciulla russa!
1829
L’addio
Il tuo volto una volta ancora
Con la mente oso carezzare,
In sogno con la forza del cuore,
Con diletto triste esitante,
Il tuo amore per me ricordare.
Il nostro tempo fugge via
Tutto muta e porta via con sé,
Per il tuo poeta, diletta mia,
Di tenebra tu sei già vestita,
E anche il poeta è morto per te.
Accogli dunque, amica lontana,
L’addio del mio cuore attristato.
Come sposa che vedova rimane,
Come amico che abbraccia in silenzio
Un amico che viene esiliato.
1830
Sonetto
L’austero Dante non sdegnava il sonetto;
Petrarca in esso versava il suo amore;
Amava giocarci il creatore di Macbeth;
Con esso Camöes cantava il dolore.
Ancora oggi il poeta incanta:
Wordsworth a strumento lo sceglieva,
Quando dal vano mondo lontano
La natura e il suo ideale descriveva.
All’ombra dei Tauridi distante
Il vate lituano i sogni all’istante
Nella sua stretta cornice imprigionava.
Da noi era ancora ignoto alle dame,
Quando per esso già Del’vig lasciava
Dell’esametro l’arie consacrate.
1830
* * *
Per le sponde della patria lontana
Tu hai lasciato il paese straniero;
Per un tempo triste, non obliato,
Io a lungo per te piangevo.
Le mie mani diventavano fredde
Cercando di non lasciarti andare;
Il mio gemito il tremendo tormento
Pregava di non cessare.
Ma tu dall’amaro bacio
Le tue labbra hai distaccato;
Dal paese del cupo esilio
Tu in un altro paese m’hai chiamato.
Tu dicevi: «Nell’ora dell’incontro
Sotto il cielo eternamente sereno,
All’ombra degli ulivi, del bacio d’amore,
Noi, mio caro, ci riuniremo».
Ma là, ahimé, dove la volta del cielo
Brilla nell’azzurro sfolgorio,
Dove sotto le rocce sonnecchia l’acqua,
Ti sei assopita per l’ultimo addio.
La tua beltà, le tue sofferenze
Sono scomparse nell’urna cineraria –
E con esse il nostro bacio dell’incontro…
Ma lo aspetto, esso ti segue, mia cara…
1830
* * *
Exegi monumentum
Mi sono eretto un monumento non di opera umana,
Non s’infesterà il sentiero che ad esso avvicina,
Con la testa indocile s’è innalzato più alto
Della colonna alessandrina.
No, non morirò del tutto – l’anima nella diletta lira
Sfuggirà le ceneri, la putrefazione certamente –
E sarò famoso, finché nel mondo sublunare
Anche un solo poeta sarà presente.
Parleranno di me in tutta la grande Rus’,
E mi nomineranno nei loro propri linguaggi,
Il fiero nipote degli Slavi, il Finlandese, il Tunguso
E il Calmucco, figlio delle steppe selvagge.
E a lungo al mio popolo io sarò caro,
Che in un tempo crudele ho lodato la Libertà,
Che ho acceso i buoni sentimenti con la lira
E verso i caduti ho invitato alla pietà.
Ascolta, o Musa, il comando divino,
Non temendo le offese, non chiedendo corone,
L’elogio e la calunnia accogli indifferente
E con gli sciocchi non entrare in discussione.
1836
Se la vita t’inganna…
Se la vita t’inganna di continuo,
Non rattristarti ogni volta!
Se lo sconforto ti assale, sopporta:
Il giorno dell’allegria è vicino.
Il cuore è nella vita futura;
Se in esso oggi provi tristezza:
E’ solo un attimo, niente dura;
Tutto passerà, la gioia ti aspetta.
(C) by Paolo Statuti
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