Tomasz Jastrun, poeta, prosatore, saggista, pubblicista, critico letterario, autore di libri per bambini, è nato a Varsavia il 15 settembre 1950. Figlio di due noti poeti: Mieczysław Jastrun (1903-1983, v. nel mio blog) e Mieczysława Buczkówna (1924-2015). Da molti anni figura di spicco nel panorama letterario e giornalistico polacco. Mi fece visita a Varsavia nel lontano 1983 e in quella occasione mi regalò una copia del suo debutto poetico Senza giustificazione (1978). Ricordo ancora che era in tenuta da tennis, e a tale proposito cito una sua confessione: “Vivo di scrittura e per la scrittura. La mia passione è dare testimonianza al mondo attraverso la parola in differenti forme letterarie e giornalistiche, un’altra mia passione è il tennis…”
Nel 1974 si laureò in Filologia Polacca all’Università di Varsavia. Nel periodo comunista fu legato alla opposizione democratica e partecipò attivamente alle lotte di Solidarność, pubblicando anche sulla stampa clandestina. Negli anni 1990-1994 è stato direttore dell’Istituto Polacco a Stoccolma e addetto culturale in Svezia. Negli anni 1994-1995 ha condotto il programma culturale televisivo Pegaz.
Ha collaborato e collabora tuttora con molte riviste di prestigio, tra le quali Kultura di Parigi, uscita fino all’anno 2000. Più volte premiato per la sua creazione, ha al suo attivo dieci raccolte di poesie, due romanzi e moltissimi feuilleton e reportage.
Nel 2012 ha pubblicato sulla rivista femminile Lo specchio un articolo intitolato Igiene intima della mente. Eccone un frammento: “Mi affascina l’autobiografia che ognuno di noi scrive con le briciole della memoria. Mi piace chiedere alle persone quali sono i loro primi ricordi. C’è in essi qualcosa di delicato, di intimo, ma anche insicurezza di sé. E c’è sempre una commozione interiore…Nel corso degli anni accumuliamo tanti ricordi da crearne dei magazzini. Che fare perché non prevalgano pensieri e ricordi cupi? In ciò aiuta certamente la meditazione, lo yoga, l’atteggiamento ottimistico verso il mondo. Io, purtroppo, ho un magazzino di fatti imbarazzanti e da far vergogna. Nessuno li sorveglia. Mi visitano in situazioni inattese…Per fortuna sono riuscito a costruire un museo di pensieri sereni e lieti. E’ stato per me un evento importante la creazione di questo intimo ministero che amministra i buoni pensieri. Vi fanno parte insoliti paesaggi, esperienze e ricordi toccanti. Dunque i ricordi si possono accumulare e gestire con affetto…”
Poesie di Tomasz Jastrun tradotte da Paolo Statuti
Le mucche
Chi non ha mai avuto l’impressione
Che un villaggio visto per la prima volta
Nei vapori della nebbia – sia stato già visto
Con gli stessi occhi – in un’altra veglia
In colloqui vibranti di gravità
Ricordiamo questo fatto – l’uomo – diciamo
Ha diverse vite prima e dopo…
L’anima di sicuro non muore
Il corpo sì – ma l’anima dura in eterno
E accanto
Le mucche sui prati della verde esistenza
Ruminano ulteriori giorni
E più avanti – le mucche con poppe fatiscenti
Condotte al macello
Muggiscono tristemente – il latte non muore
Il latte dura in eterno
Commiato
Cosa posso scrivere di questo
Niente e niente non si accordano
Tanto scriveva e parlava della morte
Ed è morto non sapendo che moriva
Poi qualcuno ha gettato il suo nome
Nella fogna di un giornale
Non è andato lontano
Poi alcune persone hanno scavato una fossa
E hanno ricoperto la fossa
Alcune persone del tutto sconosciute
Niente e niente non si accordano
E soltanto i versi spuntano da dietro la morte
Come ali di uccelli
Che non sono riusciti a ripararsi dalla tempesta
Ancora una volta l’affetto
Tutto sparirà
Il colore degli occhi fuggirà via da sotto le ciglia
E andrà a vivere in un altro bosco
I baci appassiranno
Il vento perderà forza e odore
Quello stesso vento
Che ti arruffava i capelli
Si salverà il nostro affetto
Un ciottolo con l’occhio chiaro
Rigirato dalle onde
Avanti e indietro
I semi
Non amo le poesie lunghe
La poesia breve è come un sasso
Si può scagliare
Gettare in aria come una palla
O inghiottire prima di addormentarsi
Le poesie lunghe sono come strade
Con macchine parcheggiate ai lati
E la folla oziosa che guarda le vetrine
La poesia breve entrerà in un solo
Respiro
In un palmo aperto o chiuso
In un solo sospiro e lamento
Le poesie lunghe oggi
non sono pratiche
E’ difficile concentrarsi in esse
In un continuo balbettio di fatti
La poesia breve è il segno dei nostri
Tempi
Il seme che aspetta la sua stagione
Le ciglia
Ho toccato
Col labbro screpolato
La sua bocca
E niente è successo
Non mi ha colpito in viso
I suoi occhi non hanno cambiato colore
Soltanto le ciglia
Si sono alzate come ali di uccello
Che non sa
Se restare
O volare via
La frontiera
I giorni che ci separano
Sono come le scale
Che salirò di corsa
In un fresco pomeriggio d’estate
A casa di lei
Mi sederò al tavolo
Dirimpetto
E berremo il dorato tè
Da due affettuosi bicchieri
E dopo proverò
Se avrò abbastanza coraggio
A varcare la frontiera verde
Dei suoi occhi e arrivare
Fino alle labbra
Con le mie labbra
Nella stanza dov’è in agguato l’orologio
La camicia di suo marito
E’ appesa crocifissa alla sedia
E crescono senza fruscio i fiori
Che ci guardano
Con gli occhi sgranati
Figlio e padre
Non mi piace qui
Mi guarda con rimprovero
E io che devo fare
Non mi scuserò di certo
Taccio soltanto eloquentemente
E lui si stringe a me
Come se capisse
Che dobbiamo resistere insieme
E vivere in armonia
Perché non abbiamo niente
Oltre a noi stessi
E un attimo dopo
Ci mettiamo entrambi al lavoro
Lui colleziona
Vecchi biglietti d’autobus
E io parole
Dalle quali ricavo
Bastoni e stampelle
Il vecchio poeta sta in ascolto
Turbina la cenere sull’erba bruciata
Saltano neri grilli
E c’è un tale silenzio
Che si sente
Come lavorano i cuori
Dei versi
Il mio angelo morente
E’ arrivato l’Angelo Custode
Non l’ha spaventato la mia età
Neanche un sorriso scettico
Si è seduto dirimpetto con aria cupa
E ho visto che era senza ali
Respirava con affanno
Puzzava di vodca e di sigarette
Era vecchio e mi stupii che fosse ancora vivo
Sedeva dirimpetto e taceva
Ma io capii tutto
Dietro la finestra il cielo era vuoto
E si sentiva come lavoravano le stelle
Morte api dell’universo
L’invidia
L’invidia non è un fiume
E nemmeno un mare agitato
Il più delle volte è una mano aperta
Su questa mano ci sono fiumi
E mari
E una stretta che non guarda negli occhi
L’invidia ha un sesso
Una bocca e ciglia aggrottate
Sulle quali si sono posati
Due stanchi avvoltoi
(C) by Paolo Statuti