Archivio | agosto, 2022

Finlandia – Questo è il mio canto

7 Ago

     Nel 1934  il poeta californiano Lloyd Stone (1912-1993) scrisse la poesia Questo è il mio canto basata sul sesto movimento del poema sinfonico Finlandia di Jean Sibelius (1865-1957). È un inno di pace e di speranza così attuale e necessario in questi tempi tenebrosi. Ecco la mia traduzione libera, che purtroppo non segue la melodia. Fornisco anche il testo inglese che potrete canticchiare con la celebre e suggestiva musica del poema. Nel 1941 il poeta finlandese Veikko Antero Koskenniemi compose un nuovo testo poetico, tuttavia non più come canto di pace, ma come esortazione patriottica al risveglio della dignità nazionale.

This Is My Song

 by Lloyd Stone

This is my song, O God of all the nations,
a song of peace for lands afar and mine.
This is my home, the country where my heart is;
here are my hopes, my dreams, my holy shrine;
But other hearts in other lands are beating
with hopes and dreams as true and high as mine.

My country’s skies are bluer than the ocean,
and sunlight beams on cloverleaf and pine;
But other lands have sunlight, too, and clover,
and skies are everywhere as blue as mine.
O hear my song, O God of all the nations,
a song of peace for their land and for mine.

Questo è il mio canto

Questo è il mio canto, o Dio di tutte le genti,

per noi e i fratelli in terre lontane è il mio canto.

Questa è la mia casa, il paese dove batte il mio cuore,

qui sono le mie speranze, qui è il mio altare santo.

Ma altri cuori, in altre terre, sono tormentati,

hanno desideri e sogni come i miei, ma calpestati.

I cieli del mio paese sono più blu del mare,

e la luce del sole brilla sul trifoglio, mio Dio.

Anche altre terre hanno il trifoglio e la luce del sole,

e il cielo è dappertutto blu come lo è il mio.

Oh, ascolta la mia preghiera, o Dio di ogni gente,

Per la loro pace e per la nostra io ti prego umilmente.

(C) by Paolo Statuti

Vadim Gabrielevich Shershenevich

3 Ago

    

Nacque a Kazan’ il 25 gennaio 1893. Dal 1907 visse a Mosca, dove studiò nel ginnasio privato fondato da L.I. Polivanov (vi studiarono anche V. Brjusov, A. Belyj e S. Solov’jov). Poi fu uno studente dell’Università di Mosca, prima in campo matematico e in seguito nelle facoltà di storia e filologia. Per qualche tempo si formò anche all’Università di Monaco.

     Iniziò a scrivere poesie negli anni del ginnasio, provando maniere diverse. Nelle prime raccolte Macchie verdi di primavera (1911), Carmina (1913) si sente l’influenza dei maestri del simbolismo Bal’mont, Brjusov e Blok. Le successive Cipria romantica e Flaconi stravaganti (entrambe del 1913), avvicinano invece Šeršenevič agli egofuturisti. Nel 1913 insieme con Lev Zak organizzò il gruppo futurista Mezzanino di poesia. A metà degli anni ’10 pubblicò l’opera teorica Futurismo senza maschera e tradusse i manifesti letterari di F. Marinetti. Ha curato la Prima rivista dei futuristi russi, provocando critiche da parte degli oppositori, tra il quali il gruppo Centrifuga. Allora ne faceva parte Boris Pasternak, il quale sferrò un aspro attacco a Šeršenevič con il suo articolo Reazione Wasserman (come è noto, è un test diagnostico per l’accertamento della sifilide).

     Durante la prima guerra mondiale fu al fronte come volontario. In questo periodo il poeta trovò il suo stile, espresso dalla raccolta Passo di automobile e dal dramma monologo Veloce (entrambi del 1916). Nel 1918 pubblicò una delle sue opere più significative: il poema d’amore Crematorio, quale sorta di risposta alla Nuvola in calzoni di Majakovskij. Nel 1919 fondò il gruppo degli imaginisti con S. Esenin, A. Mariengof e A. Kusikov. All’inizio degli anni ’20 pubblicò il suo libro di poesie più famoso Il cavallo come cavallo, la raccolta Cooperative di allegria, la tragedia L’eterno ebreo, e la commedia Una totale assurdità. Leggeva poesie dal palcoscenico, godendo di un’enorme popolarità tra il pubblico di Mosca. La rivalità tra lui e Majakovskij continuò senza tregua. Nel 1919 fu presidente della filiale di Mosca dell’Unione dei poeti di tutta la Russia.

     Il suo ultimo libro di poesie Dunque – Insomma è del 1926. Una parte importante dell’opera di Šeršenevič è legata al cinema e al teatro, tra parentesi ebbe tre mogli, tutte attrici. Oltre che poeta e drammaturgo, fu regista, critico, sceneggiatore e traduttore. Negli anni ’20-’30 tradusse le commedie di W. Shakespeare, P. Corneille, V. Sardou, poesie tedesche: R.M. Rilke, D. Lilienkron, e francesi, compresa la traduzione completa dei Fiori del male di Baudelaire. Le opere di Šeršenevič di grande interesse degli anni ’30 sono state pubblicate per la prima volta nel 1990. La traduzione dei Fiori del male nel 2007.

     Nell’autunno del ’41 fu evacuato ad Altaj. Morì di tisi galoppante il 18 maggio 1942.

     Il poeta ebbe un’influenza notevole sul mondo lirico del suo tempo. Nelle sue poesie troviamo spesso rime dissonanti e la tecnica di accenti elaborata nello stesso periodo di Majakovskij. Predilige i temi dell’amore sensuale tragico, la stravaganza basata, come nei primi futuristi, sulla estetizzazione di motivi scandalosi, immagini burlesche. L’interesse per la pagliacciata è un punto fermo nella sua biografia. Era attratto dalle metafore urbane, che usava spesso per creare una particolare atmosfera. Tutti questi aspetti hanno formato il suo stile decisamente unico, che distingue questo poeta da altri simili a lui.   

     Qualcuno ha detto: “Secondo me, Šeršenevič non può lasciare indifferenti: o lo ami o non l’accetti. Io lo amo. Le sue immagini sono a volte complesse, fino all’assurdo, e non le comprendi immediatamente. Ma vale la pena vedere, capire – e avviene il miracolo”. È la stessa impressione che ho avuto anche io traducendo con grande interesse e piacere questo illustre poeta dell’età d’argento.

     Nella compilazione di questo testo mi sono servito di Wikipedia.

Poesie di Vadim Šeršenevič tradotte da Paolo Statuti

Le maschere

Maschere dappertutto, maschere allegre,

Dalle fessure degli occhi guardano astute;

Dove sono io? In una vecchia dolce fiaba?

Ma per cosa le lacrime cadute?

Maschere fatue, maschere allegre,

Mi fa cenno, mi chiama la vostra danza.

Ecco un guizzo di occhi innamorati;

Strane maschere, in che avete speranza?

Abiti senza gusto, parole ritmiche;

Volano in danze insensate

Braccia, petti e spalle invitanti;

Maschere allegre, maschere fatue.

Coprirò le lacrime con una maschera sorda,

Metterò la mia maschera ridendo ah ah!

Maschere fatue! Seguitemi,

Udite: io canto un inno alla trivialità.

Maschere dappertutto, maschere allegre,

Dalle fessure degli occhi guardano astute;

Dove sono io? In una vecchia dolce fiaba?

Ma per cosa le lacrime cadute?

1910

A M.S.

Se solo sapessero quanta pena

Nella mia lieta risata è nascosta!

Come morto striscio dalla pietra tombale,

Come salma, nel sudario della notte avvolta.

Io non oso essere me stesso,

Ed essere un altro non vagheggio!

Coprendomi di buio notturno ,

Sorrido a un raggio.

Se solo sapessero quanta pena è nascosta

Nella chiara maschera del mio volto!

Pesanti premono le lastre di marmo,

E il mio amore è solo il sogno di un morto.

Vi prego: non rimproveratemi per il sorriso,

Lasciate tutto ciò che terreno non era!

Se potete – capite:

Non essere se stessi è una fatica vera,

1911

Il cuore ritornello di preghiere

                                                        A Ja.Bljumkin

A chi servono fama, posate d’argento,

A chi molte lacrime versate, –

A me basta un briciolo d’amore,

E un po’ di sigarette fumate.

A me basta un briciolo d’amore,

Senza isterismi, senza giurare,

Perché io possa una qualche Olečka

Dalla testa ai piedi succhiare.

In realtà non serve l’infelice immortalità,

La questione del mondo risolvo con successo, –

Se credo in qualcosa – è nei tessuti di lana,

Se so – è non più di quanto Cristo sapesse.

Ed ecco dietro l’anima, quasi goffamente

A larghe linee e senza perplessità,

Maggio viene rubicondo, festeggiando

Con le chiacchiere dei passeri – la vastità.

Prego di andare modestamente in fumo,

Di non lasciare orfani – né bambini, né versi;

E quando morirò il mio corpo spalluto lavate

Nell’acqua dolce dei feuilleton.

Assaggiate il mio nome, mettetelo nella Bibbia.

Viveva, sembra, un tale comico santo,

E tutta la vita cercò un soldo d’amore,

La pace amore chiamando.

Ed è buffo chi in Dante ereditò l’amare

E dalla testa ai piedi si rattristava,

Il suo corpo di notte per otto rubli

Alle allegre ragazze confessava.

Sulle tempie anziché vene, aveva gigli,

Se piangeva nel fazzoletto c’era sangue,

Era l’ultimo nell’unico amore

Del cognome Agasferov già esangue.

Ma ancora non sono morto, prendendo un raffreddore,

Dipende tutto se Cristo passerà per l’Arbat, –

A me basta un briciolo d’amore

E un po’ di sigarette fumate.

1918

Percento sul dolore

Dai canti russi ereditata la tristezza e

Il dolore, da cui la patria è ferita,

I poeti la moneta sonante della passione

Non sono liberi di spendere nella vita.

E con l’avarizia ospiziale delle vecchiette

Della fame la nostra vita è preda,

Calcolando, come ultimo centesimo,

Una gioia o una malattia spesa.

Noi prodighi con invidia amiamo tutto,

I giorni a chi vive affrettiamo,

Comprimiamo con un misero bilancio

Ciò che ogni giorno per l’anima spendiamo.

E tutto, dal pianto alle lettere d’amore,

Controllato con le proprie entrate,

Tutto ciò che rimane va concretamente

Sul conto corrente delle poesie create.

E così dalla giovinezza alla morte,

A once misuriamo la nostra storia,

Come percento sul dolore investito,

I versi ci rendono un centesimo di gloria.

Tutto affinché il nostro casuale erede,

Il lettore, preso in mano un canto esclami:

– Quale ricchezza possedeva il defunto –

E ha tormentato la vita con la fame!

1923

Solitudine

Sono triste in una bettola di periferia,

Il vino non allieva il tormento,

E la bufera argentea punge

Dalla finestra rotta dal vento.

Una scia grigio-azzurra di makhorka

Nell’isbà semioscura si stende spessa.

– Ah! Guarda, balena dalla bufera,

Tu, delle nevi mia principessa!

Dai prati, dalle folte foreste,

Dai lontani campi perlati,

Mostrati a me sulle ali d’argento

Dei cigni di neve azzurrati.

Mostrati sulla strada senza luna,

Dalla nebbia un attimo esci fuori,

E con la mano triste e severa

I miei occhi infiammati sfiora!

Devo davvero sopportare da solo

Questo mio dolore-sorte?

O coricarmi solo in una isbà

Di cedro fragrante di morte?

Nessuno! Io solo in periferia

Di pesante vino prendo una cotta,

E l’argentea bufera punge

E gioca con la finestra rotta.

1925

Per questo è così facile vivere al mondo…

Per questo è così facile vivere al mondo,

Perché non sottrae l’ultima pace

E perché siamo ancora un po’ bambini,

Solo con una testa assai sagace.

Ci sono toccati soltanto svaghi

E baldoria negli spazi esistenziali,

Soltanto amiche credulone

E amici del tutto sleali.

Fingendo che l’inganno non è eterno,

Noi a un tratto ci sorprendiamo,

Che dopo una così amichevole serata

Solo sogni dolorosi sogniamo.

Questa tristezza, giunta da prima,

Come eredità dobbiamo conservare,

Perché non c’è posto per la speranza,

Perché la sorte non possiamo cambiare.

Si può vivere solo di malanni,

Così la vita è chiara fino alla semplicità.

L’autunno con l’inganno porterà via tutto

Ciò che la falsa primavera prometterà.

Poiché siamo un po’ bambini

Con una testa che tanto vale,

Ci è  quasi facile soffrire nel mondo,

Dove l’esito è la pietra tombale.

1929

Addio

Sei cambiata come moglie,

Ebbene, calunnia pure, tormenta la vita,

O mia misera patria

Di ricchezza infinita!

Tu diventi più bella ogni giorno

Così salato e brutale, e noi figli,

Incantati, brindiamo

Agli anni vermigli.

Tu per sempre hai dimenticato,

Tu  fermamente, o patria, hai dimenticato

Quegli anni arruffati,

Quando mi hai tanto amato!

Oh, sei tu quella? O io non solo quello?

Ma dopo l’addio è chiaro,

Che le tue parole non cantano

Come il mio silenzio amaro…

Accetta l’addio per sempre,

Fa’ presto, non arrossire, per favore,

Ma ridi e metti l’urna con le ceneri

In una sala del museo migliore.

Ancora non tutto è morto

Nella tua anima involontariamente

Fraterna, mi hai avuto come amante fedele,

Stupido e commovente!

1931

Guarda: sui tetti il passo spezzando…

                                   Un poema non vale mai

                              Quanto un sorriso di labbra voluttuose…

  1. Puškin

Guarda: sui tetti il passo spezzando,

La notte in fretta si nasconde al giorno.

Oh, quanto vento, quanto maggio

Nel tuo sussurro ascolto!

Tra il possibile e la chimera

Un confine non s’è mai messo,

E come in una fede inaudita,

Nel tuo amore io mi riverso.

Ad alta voce mi rallegro,

E in versi di gelsomino insegni,

Che tu, primavera, in inverno ed estate

In grande fretta regni!

E con tremendo fastidio confondi

Dei destini tracciati il letto.

E il cuore è diventato un occhio azzurro,

Di tutta l’anatomia a dispetto.

Che nelle generazioni future

Osino pure rimproverarmi e dire,

Che in tanti mirabili sogni

Io la mia vita ho saputo dormire,

Che non sapevo sussurrare più piano

Della piena nel sangue,

Che la migliore strofa è più futile

Di un amoroso istante.

E il cuore con andamento insolito

A stabilire è obbligato:

Tutto l’irrilevante è necessario,

Perché il rilevante sia salvato.

1933

Due citazioni

     Non perché mi sono spicciolato in cento monetine, o perché invece che dell’anima mi accontento di un semolino di rubli, – io per la centesima volta descrivo il colore delle pupille e le carezze della mia amata.

     Un poeta è quel pazzo che siede in un grattacielo in fiamme e tempera con calma le sue matite colorate per disegnare il fuoco. Aiutando a spegnere l’incendio, diventa cittadino e cessa di essere un poeta.

(C) by Paolo Statuti