Archivio | febbraio, 2020

Karel Jaromir Erben (1811-1870)

17 Feb
Karel Jaromir Erben

Ballate di Karel Jaromír Erben tradotte da Paolo Statuti

Un mazzo di fiori

Morì la madre e fu seppellita,

orfani i figli restarono;

ogni mattina essi venivano

e la mammina cercavano.

Dei bambini la madre ebbe pietà,

e allora il suo cuore ritornò

e, trasformatosi in un fiorellino,

con esso la tomba adornò.

Sentirono la madre dal profumo

i figli e presero a ballare;

e il fiore – loro consolazione,

cuordimamma vollero chiamare.

Cuordimamma! caro alla nostra patria,

voi semplici nostre leggende!

Sopra una vecchia tomba ti ho colto

e ti porterò tra la gente.

Io farò di te un semplice mazzo,

ti metterò un nastro e infine,

ti mostrerò la strada per la terra

dove hai una famiglia affine.

Si troverà una figlia di mamma

che il tuo profumo sentirà?

E si troverà un giorno un figlio

che al suo petto ti stringerà?

Il piccolo colombo

Vicino al cimitero

tra i fossi va la strada;

la percorre piangendo

una vedova leggiadra.

Per il suo consorte

piangeva, si doleva;

all’ultima dimora

triste lo conduceva.

Da una bianca dimora,

lungo un verde prato,

cammina un bel giovane,

ha il cappello piumato.

“Oh, non piangere così,

vedova bella e giovane!

Non sciupare i tuoi occhi,

ascolta la ragione.

No, non piangere così,

vedova, bella rosa!

Tuo marito è morto,

sii ora la mia sposa”.

Un giorno ha singhiozzato

soltanto un momento,

poi il suo dolore

pian piano si è spento.

Dopo una settimana

a lui più non pensava;

appena un anno dopo

nuove nozze aspettava.

Vicino al cimitero

la strada scorre lieta,

i due promessi sposi 

entrano nella chiesa.

Si svolsero le nozze

allegre e chiassose,

la sposa tra le braccia

dello sposo amorose.

Si svolsero le nozze

con musica e canto,

lui la stringeva a sé,

lei rideva soltanto.

Ridi, ridi, o donna!

il riso ti si addice;

il defunto sepolto

non sente e nulla dice!

Abbraccia il tuo amato.

Oh, non devi temere:

la tomba è così buia 

e lui non può vedere!

Bacia, bacia adesso

quelle labbra frementi,

colui che hai tormentato

non torna tra i viventi!

Corre il tempo, corre,

ciò che non era sarà,

tutto col tempo cambia

e ciò che è sparirà!

Corre il tempo, corre,

un anno è un istante;

solo la colpa resta

come pietra pesante.

Tre anni son passati,

da quando il morto giace,

e sopra la sua tomba

l’erba cresce vivace.

Sopra il tumulo l’erba,

una quercia è vicino,

e sulla quercia siede

un colombo piccino.

Siede immobile, siede,

e tuba con tristezza;

si turba chi lo sente,

il suo cuore si spezza.

Ma non si spezza agli altri

come a una donna sola;

i capelli si strappa,

prega col cuore in gola:

“Non ti dolere così,

la tua voce addolora;

il tuo canto crudele

l’anima mi perfora !

Non ti lagnare così,

la testa fai girare;

oppure tuba tanto,

da farmela scoppiare!

Scorre l’acqua e risuona.

L’onda le onde insegue,

e a tratti fra le onde,

una veste si vede.

Ora emerge una gamba

o una pallida mano;

la disperata moglie

cerca la tomba invano!

L’hanno tirata a riva

e sepolta di nascosto,

dove i quieti sentieri

s’incrociano nel bosco.

Né tomba né una croce

in sorte lei tiene:

solo un grande macigno

per sempre il corpo preme.

Ma un masso non schiaccerà

mai la terra, come

la sua tomba è schiacciata

dalla maledizione!

La strega di mezzodì

Vicino al banco il bambino

urlava a squarciagola.

“Smettila una buona volta,

almeno un’ora sola!

Tra poco è mezzogiorno,

papà ritorna ed io

non riesco a cucinare,

sei un castigo di Dio!

Zitto! hai i soldatini –

Gioca! – qui hai il galletto!”

ma ciò che ha sottomano,

getta via con dispetto.

La madre allora esclama:

”Che strazio, basta così!

Adesso ti porterà via

la strega di mezzodì!

Vieni a prenderlo, o strega,

portalo via lontano!”

Ed ecco che nella stanza

la porta s’apre pian piano.

Un fazzoletto in testa,

bassa e di pelle scura,

Le gambe storte e la gruccia –

entra questa figura!

“Dammi il bambino!” – “O Cristo!

Grazia una peccatrice!”

La morte è già nell’aria

e la strega è felice.

La strega come un’ombra

è sempre più vicino;

la madre, terrorizzata,

afferra il suo bambino.

Lo stringe a sé, indietreggia –

oh, guai al bambino, guai!

La strega è vicina al bimbo,

quasi lo tocca ormai.

Già allunga la sua mano,

stringe le braccia la madre:

“Per la passione di Cristo!” –

grida ma sviene e cade.

Ora suona la campana

la dodicesima volta,

la maniglia ha cigolato,

il padre varca la porta.

La madre giace svenuta,

il bimbo al petto è serrato:

la madre riprende i sensi,

ma il bimbo – è soffocato.