K. Rodimov: Ritratto di Dmitrij Kedrin
La vita e la morte di questo poeta russo di grande talento sono parzialmente avvolte nel mistero. Non ebbe mai un proprio nido, dedicava molto tempo al lavoro, riceveva miseri compensi, riponeva nel cassetto le opere che, malgrado i giudizi favorevoli di Bagrickij, Majakovskij, Gor’kij, Vološin e altri, gli editori non volevano pubblicare adducendo vari pretesti. L’unica raccolta uscita quando il poeta era ancora vivo, fu I testimoni (1940): ben tredici volte il manoscritto gli fu restituito per modifiche, e alla fine restarono soltanto 17 poesie.
Dmitrij Borisovič Kedrin nacque il 4 febbraio 1907 nel villaggio di Berestovo-Bogoduchovskij nel Donbas. Suo nonno era un nobile di origine polacca, la cui figlia minore Ol’ga, madre del poeta, mise al mondo il bambino non sposata. Temendo il disonore e la collera del padre, lasciò il figlio nella famiglia della balia. Il piccolo fu poi adottato dal marito della sorella. Nel 1914 il padre adottivo morì e Dmitrij fu affidato alle cure della madre, di una zia e della nonna. «Tre donne nell’infanzia mi cullavano» – ricordò molti anni dopo il poeta. Dell’educazione letteraria di Dmitrij si occupava la nonna Neonilla, una donna molto colta appassionata di poesia. Fu lei a istillare nell’animo del nipote l’amore per essa: da un suo quaderno leggeva Puškin, Lermontov, Nekrasov ed in originale anche Ševčenko e Mickiewicz. La donna diventò anche la prima ascoltatrice delle poesie di Dmitrij.
Nel 1916, all’età di nove anni, iniziò la scuola commerciale. Lungo la strada che percorreva per recarvisi, si fermava sempre nel viale dove si trovava un bronzo di Puškin. «Dal monumento di Puškin ha avuto inizio la mia inclinazione per l’arte» – affermò in seguito il poeta. In questa scuola non raggiunse il necessario grado d’istruzione, e per questo iniziò a studiare come autodidatta. Amava non solo la storia e la letteratura, ma anche la geografia, la botanica e la filosofia. Nello stesso tempo cominciò seriamente a occuparsi di poesia. Nel 1922 fu ammesso all’Istituto Tecnico Ferroviario, ma non lo terminò a causa della sua debole vista. Nel 1924 fu assunto come reporter dalla casa editrice Generazione futura e al tempo stesso cominciò a lavorare nell’associazione letteraria La Giovane Fucina. Le sue poesie cominciarono a essere pubblicate da diverse riviste. Nelle recensioni veniva sottolineato il suo particolare stile e il suo talento. Il suo motto era: «La poesia ha bisogno della totale nudità del cuore». Nel 1929 fu arrestato per non aver svelato che un suo amico era il figlio di un generale dell’esercito di Denikin. Restò in carcere un anno e tre mesi. Questo fatto e il suo rifiuto di diventare un confidente segreto del NKVD (Commissariato Nazionale per gli Affari Interni) furono molto probabilmente la causa dei successivi problemi del poeta relativi alla mancata pubblicazione delle sue opere.
Nel 1931 si sposò e dopo la nascita della figlia nel dicembre del 1934, la famiglia si trasferì nella borgata di Čerkizovo nei dintorni di Mosca, dove per la prima volta il poeta potrà avere il suo “studio” – un bugigattolo dietro una tenda. Le opere scritte negli anni ’40 hanno carattere lirico, psicologico, su temi storici e intimi. Egli esaltava i creatori della bellezza vera e imperitura. All’enfasi della realtà prebellica il poeta era alquanto indifferente, per questo il segretario generale dell’Unione degli Scrittori dell’URSS V. Stavskij criticava duramente Kedrin e, seconto il racconto dei famigliari del poeta, lo minacciava anche. I critici gli consigliavano di evitare i temi storici. Malgrado questa ostilità, nel 1939 fu ammesso nell’Unione degli Scrittori.
I vicini e i conoscenti di Čerkizovo dicevano che Kedrin faceva l’impressione di un pensatore taciturno, assorto e chiuso in se stesso: anche quando passeggiava, non rispondeva ai saluti, non conversava con nessuno. Aveva sempre con sé un taccuino e una matita.
All’inizio della guerra voleva recarsi al fronte come volontario, ma non lo arruolarono per via della vista. Restò a Čerkizovo occupandosi di traduzioni di poesie antifasciste di vari popoli dell’URSS, che venivano pubblicate anche dalla Pravda, e scrivendo due libri di versi, la cui stampa però gli fu negata. Riuscì a recarsi al fronte soltanto a maggio del 1943 come corrispondente del giornale dell’aviazione Il falco della Patria. Durante il suo lavoro al fronte spedì alla moglie Ljudmila 75 numeri dove erano stampate anche molte sue poesie.
Il 15 settembre 1945 sul marciapiede della stazione di Jaroslav alcune persone non identificate per poco non spinsero Kedrin sotto il treno, e soltanto l’intervento dei passeggeri all’ultimo istante gli salvò la vita. Tornato la sera a casa, il poeta in preda a un cupo presentimento disse alla moglie: «Sembrerebbe proprio una persecuzione». Gli restavano ancora tre giorni di vita. Il 18 settembre 1945 morì tragicamente sotto le ruote di un treno suburbano nel pressi di Mosca, tornando a Čerkizovo dalla capitale. Aveva soltanto 38 anni come il suo amato Puškin. Nel 2016 Dmitrij Bykov, scrittore, poeta e giornalista, ricorda che durante il riconoscimento della salma, la vedova di Kedrin notò l’espressione di un “terrore inumano” sul volto del defunto, e ciò secondo lo stesso Bykov farebbe escludere la tesi del suicidio. I documenti del poeta, secondo quanto ricorda la figlia, due settimane dopo furono infilati sotto la porta della sua casa a Čerkizovo. Non ci vuole molto per sospettare che ad uccidere il poeta furono le mani pluriinsanguinate dei servizi segreti dell’URSS, che in vari periodi si sono particolarmente accaniti contro i poeti. Mi chiedo come può la Poesia suscitare tanto odio!…
Tra le opere più rilevanti di Kedrin ricordiamo: il dramma in versi Rembrandt, che negli anni ’70 – ’80 fu rappresentato in diversi teatri russi; l’altro dramma in versi Paraša Žemčukova, famosa attrice e cantante russa del settecento, morta nel 1803 a 34 anni tre settimane dopo il parto; il poema Le nozze, sulla schiacciante forza dell’amore, davanti al quale non ha retto neanche il cuore di Attila, re degli Unni, morto nella notte delle sue nozze, travolto da sentimenti improvvisi e ancora sconosciuti; poesie e ballate dedicate alla storia, agli eroi e ai miti degli antichi popoli. La sua poesia è spesso intrisa di lirismo e di simbolismo. Le parole di Aljona Stariza (la “Giovanna d’Arco” russa) – «Tutti gli animali dormono. Tutti gli uomini dormono. Soltanto gli scrivani condannano», furono scritte al culmine del terrore staliniano e sono citate da tutti gli studiosi della creazione del poeta.
Nel 1942 Kedrin consegnò alla casa editrice Lo scrittore sovietico il manoscritto Poesie russe, ma la raccolta non fu pubblicata a causa dei giudizi negativi dei recensori, uno dei quali lo accusò di «non sentire la parola», un altro di «dipendenza dalle voci altrui», e un altro ancora di «negligenza nelle comparazioni e di confusione del pensiero». Al contrario, un decennio dopo gli storici della letteratura diranno: «la sua poesia degli anni di guerra aveva intonazioni colloquiali, temi storico-epici e profondi stimoli patriottici».
Nel 1944, un anno prima della morte, Kedrin è profondamente amareggiato: «Molti miei amici sono morti in guerra. Il cerchio della solitudine si è chiuso. Presto ne avrò quaranta. Non vedo il mio lettore, non lo sento. E così verso i quaranta anni la vita è bruciata amaramente e assurdamente. Forse è colpa di questa incerta professione che io ho scelto o che ha scelto me: la poesia».
Nel 1967, per il sessantesimo anniversario della nascita del poeta, apparvero numerosi articoli sul suo difficile itinerario creativo. Anche Mondo Nuovo pubblicò sue poesie inedite. Nel 1984, vigilia della perestrojka, per la prima volta fu stampata un’ampia raccolta delle principali opere di Kedrin con una tiratura di 300 mila copie, che andò presto esaurita. A questa seguì nel 1989 un’altra edizione di 200 mila copie, che non restò a lungo nelle librerie.
NB: Per la stesura di questo testo mi sono avvalso di Wikipedia russa.
Poesie di Dmitrij Kedrin tradotte da Paolo Statuti
Dio
Presto, nell’ora gialla del tramonto,
Quando l’azzurro si spegnerà,
Chiuderò gli occhi avidi un tempo,
E così stanchi al momento.
E quando sarò davanti a Dio,
Io senza tremare gli dirò:
«Sai, Dio, ho fatto del male a molti,
E forse del bene a nessuno.
Ma è buffo trovarmi col diavolo,
Perché mi cucini nel calderone:
Non c’è nell’inferno tormento tale,
Che in terra non ce ne sia uno peggiore!»
L’estate di san Martino
Ecco l’estate di san Martino –
Giorni del caldo di commiato.
Riscaldata dal sole tardivo,
La mosca si è rianimata.
O sole! Che c’è di più bello
Dopo un giorno di gelo?..
Una trama di tenui ragnatele
Avvolge un rametto troncato.
Domani pioverà leggermente
Da una nube che coprirà il sole.
Le ragnatele d’argento
Vivranno tre giorni soltanto.
Pietà, autunno! Dacci la luce!
Proteggi dal freddo buio!
Pietà, estate di san Martino:
Le ragnatele siamo noi!
Gelo sui vetri
Sulle finestre coperte di brina
Il gelo di febbraio ha tracciato
Un intreccio di erbe bianco latte
E di rose d’argento assonnato.
Un paesaggio di estate tropicale
Il gelo sui vetri disegna.
Perché le rose? L’inverno, si vede,
La primavera attende e sogna.
La casa
La casa è distrutta. A fiotti l’acqua
Sgorga dalle condutture.
Sul selciato masserizie ammucchiate,
La casa è come un morto sezionato.
La soffitta è bruciata. Come sipario
La facciata si è mossa.
Lungo i piani s’è divisa in tre,
La vita nelle dimore si mostra.
Nella casa ce ne sono tante.
In una più in basso un pianoforte.
Frammenti di note sui ripiani,
La maschera di Liszt a una parete.
In un’altra una veduta diversa:
Parati di colore sgargiante,
Un samovar rovesciato…
Là il cuore della casa, qui l’interno.
E sulle cose – una vecchia smorta
E un giovane non più fresco di lei.
La prima volta che siedono insieme,
Inquilini di piani diversi!
Adesso tutta la loro vita segreta
E’ svelata. Appare ogni peccato…
In ogni caso la bomba è democratica:
Con una sola disgrazia rende tutti uguali!
L’usignolo
Infelice, malato e viziato
Nell’umido giardino vaneggio.
Fischia l’usignolo di mezzanotte
Sotto una finestrella.
Fischia l’uccello maledetto
Nel giardino sotto la finestrella:
«Infelice, viziato e ubriaco,
Quale destino vorresti?
Di sorbo è amaro e di mirtillo
Il trentesimo autunno nel sangue.
Tu stesso la sorte ti sei dato,
Accarezzala ora e campa.
Ricordi quando nell’infanzia lieta
Una stella si fregava gli occhi
E sul giardino il vento era salato,
Come le labbra di bimbo che piange?
Ricordi quando nelle notti afose,
Solitario tra le stelle e le querce,
Io trillando ti profetizzavo
Successo e amore?..»
Taci uccello disumano!
Cupo è il tuo amaro potere:
Di più non si può scendere,
Più in basso non si può cadere.
Di sorbo e di amaro mirtillo
I sentieri sono saturi nel bosco.
Io stesso la mia pena mi sono dato
E solo con essa sarò sepolto.
Ma quando la terra dalla pala
Rotolerà nella fossa, risonando,
Tu diverrai un corvo, maledetto,
Per avermi così burlato!
Io
Molto ho visto e molto ho conosciuto,
Ho conosciuto l’odio e l’amore,
Ho avuto tutto e tutto ho perduto
E tutto nuovamente ho ritrovato.
Ho conosciuto il gusto della Terra
E, di nuovo avido della vita,
Ho posseduto tutto e di nuovo
Di perdere tutto ho temuto.
Il fiore
Sono nato perché un vecchio poeta
Parlasse di me con versi dorati,
Perché Dafni e Cloe a 14 anni
Su di me mescolassero i fiati,
Perché la fidanzata stringendosi a me,
Celasse il rossore della promessa.
Sono nato per fremere a maggio
Nei ricci d’oro di una komsomolka.
Bene accolto a corte o in un capanno,
Dall’erba indorato e bagnato di rugiada…
Se la morte passa in una bara comune,
Frettolosa, su ruote sgangherate,
Gli amici sulla bara porranno una corona,
Perché i petali fremano nello sfacimento.
Chi muore nella tomba non è così solo
E sventurato, finché profumeranno i fiori.
Ornando il letto dove un bambino piange
E le pertiche che cingono la tomba,
Io sono nato per consolare e indorare
L’estasi d’amore e della morte il tormento.
Ecco la sera della vita
Ecco la sera della vita. Tarda sera.
Fa freddo e non c’è fuoco in casa.
La lampada è spenta. Non c’è niente
Per scacciare l’oscurità che aumenta.
O raggio dell’alba, guarda alla mia finestra!
Angelo della notte! Abbi pietà di me:
Voglio ancora una volta vedere il sole –
Il sole della prima metà del Giorno!
La natura
Che fare? Mi siederò su una pietra,
Ascolterò il pianto del rigogolo.
Vedrò le case con le tavole inchiodate,
Abbandonate dagli abitanti.
Ancora non è un anno da quando
Hanno taciuto i loro passi.
Ma sembra che la natura sia felice
Che la gente se ne sia andata.
I vicini di notte furtivamente
Hanno tolto gli steccati per fare legna,
Sui lisci campi di cricket
Cresce verde l’erba.
Dimenticati gli ultimi proprietari,
Tutta la casa s’è inselvatichita,
Sulle pareti, sui tetti, sulle imposte
Il muschio avanza senza fatica.
Dal verde selvatico rampicante
La soglia ormai è ostruita,
Dappertutto imperversa la fragola,
Che prima a crescere non riusciva.
E se prima nei nidi gli stornelli
Si ambientavano a stento,
Adesso i fringuelli di primavera
Fanno un chiassoso concerto!
Sembra che dal nostro secolo
Siano passati secoli di abbrutimento…
Così la natura le tracce dell’uomo
Fa sparire in un momento!
L’amore
Solletico di labbra e frescura di denti,
Fuoco che vaga nei meandri del corpo,
Sudore tra i seni…E questo è l’amore?
Questo è tutto ciò che volevi tanto?
Sì! Passione che acceca la vista!
Ma la notte passa, lieve, come uccello…
E io ho pensato: l’amore è come il vino,
E per sempre puoi ubriacarti con quello!
(C) by Paolo Statuti