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„Il porto di Vanino” era uno dei canti più popolari tra i detenuti dei gulag. E’ noto anche col nome di “Kolyma”, chiamata il “lager della morte”. Non si conosce l’autore, forse il poeta Boris Ruč’jov (1913-1973), che nel 1937 fu arrestato e trascorse dieci anni nei lager staliniani, per essere poi riabilitato nel 1956. Non si conosce neanche la data esatta in cui il canto fu creato. Il porto di Vanino, nella Siberia orientale, era il punto di transito per i detenuti diretti a Kolyma. In questo porto si svolgeva il trasbordo dai convogli ai vaporetti che proseguivano per i gulag di destinazione. Di questo canto esistono molte versioni. Questa da me tradotta è una di esse. Chissà se anche Mandelstam la cantava?
Il porto di Vanino
Ricordo il porto di Vanino,
E la cupa vista della nave,
E noi che scendevamo la scala
Nella stiva buia e glaciale.
Sull’acqua la nebbia scendeva,
Ruggiva la furia del mare,
Ruggiva di fronte a Magadan –
Di Kolyma la capitale.
Non un canto, ma un lamento
Da ogni petto si levava.
“Addio per sempre terra natia” –
La nave struggente gracchiava.
Noi reclusi soffrivamo il rollio,
Come fratelli ci abbracciavamo,
E solo a volte dalle lingue
Sorde imprecazioni lanciavamo.
Maledetta sei tu Kolyma,
Chiamata pianeta – meraviglia.
Per la scala scendevi là,
Da dove ritorno non c’era.
Trecento miglia di taigà,
Dove vivono belve soltanto.
Dove i veicoli non vanno,
E si trascinano i cervi inciampando.
Io so che tu non mi aspetti,
Le mie lettere non leggi nemmeno.
Tu non verrai a incontrarmi,
O verrai senza riconoscermi,
Io temo.
(Versione di Paolo Statuti)