Józef Czechowicz nacque a Lublino il 15 marzo 1903. Scrittore, drammaturgo, critico, traduttore e soprattutto poeta di avanguardia nel ventennio tra le due guerre, co-fondatore del gruppo poetico Reflektor e della omonima rivista, dove nel 1927 apparve la prima raccolta delle sue poesie Pietra, accolta assai favorevolmente dalla critica. Nel 1920 partecipò come volontario alla guerra polacco-bolscevica. Negli anni ’30 riunì intorno a sé un cospicuo numero di poeti della seconda avanguardia (tra i quali Stanisław Piętak, Bronisław Ludwik Michalski, Józef Łobodowski). Redattore di molte riviste letterarie e per l’infanzia, collaborò anche con la Radio Polacca scrivendo radiodrammi. Nel maggio del 1932 il poeta insieme con Franciszka Arnsztajnowa fondò l’Unione dei Letterati di Lublino.
Józef Czechowicz è uno dei poeti più originali del suo tempo. Nei suoi primi versi egli crea un’atmosfera onirica e di serenità. Tutte le sue poesie provocano una forte suggestione ipnotica. Descrive il paesaggio della campagna, in cui un ruolo determinante è svolto dalla natura che circonda l’uomo da ogni lato. Il soggetto lirico vede il fiume, il campo, la segala, il bestiame che torna dal pascolo. Perfino il sogno profuma di fieno. Il poeta con descrizioni metaforiche agisce sui sensi – si serve dei colori, dei suoni, degli odori.
Ma alla vigilia della seconda guerra mondiale l’ammirazione della natura nella creazione di Czechowicz lascia lentamente il campo al catastrofismo. Nelle sue visioni profetiche si avvertono l’inquietudine e i timori per le sorti del mondo e dell’uomo. Appaiono motivi e simboli apocalittici ripresi dalla Bibbia: fumo, incendio, diluvio. Cresce il senso di solitudine.
Nella sua ultima raccolta Nota umana troviamo il presentimento della morte, riconosciuto poi come profetico. Czechowicz infatti morì il 9 settembre 1939, a soli 36 anni, nella sua città natale durante un bombardamento. La sua poesia è straordinariamente musicale. Egli si considerava un “virtuoso della musicalità”. Il mondo poetico di Czechowicz è rappresentato soprattutto dalla campagna e dal villaggio e le principali tonalità psichiche sono la moderazione, la tenerezza e l’insicurezza. Il timbro affettivo dominante è il rammarico, l’elegia e la principale ossessione è la morte. Arcadia e Catastrofe coesistono e si incrementano a vicenda.
Nel 1955 i poeti Seweryn Pollak e Jan Śpiewak, dando alle stampe una raccolta di poesie scelte di Józef Czechowicz, scrissero: “gli amanti della poesia leggono e leggeranno i suoi versi con autentica commozione. Si avverte in essi un soffio di onestà, una toccante nota profondamente umana”.
Forse soprattutto per questo il poeta Józef Czechowicz mi è particolarmente caro.
P.S.
Poesie di Józef Czechowicz tradotte da Paolo Statuti
Nel paesaggio
il fruscio dei castagni in basso il canto marino
si spengono al crepuscolo le candele degli alberi in fiore
la strada nel bosco in faccia al sole s’indora doppiamente
di fruscio e di sera scuriscono i recessi
dondolandosi come erba rigogliosa
le ragazze snelle sui cavalli
un colle all’incrocio dei viottoli
là una cappellina fresca come corallo
nella penombra una croce là un angelo
gli ex voto abbandonati dei pescatori
una stagione dimenticata da tempo
in un vaso spezzato è ammuffita la morte dei papaveri
il mare mormora i castagni
i cavalli con gli zoccoli intorbidano l’oro sull’acqua
di quelle che vanno una ha alzato la mano
e dà il segnale movendolo in aria come remo
perché è rimasto presso la cappella un puledro smarrito
ha guardato dentro ha toccato col morbido labbro la porta
ha nitrito puerilmente in alto non si sa che cosa
1932
Preludio
1
all’alba sono esplosi gli uccelli dei terreni di ottone
una donna snella ha portato il chiarore sulla testa
2
campane insaziabili culle musicali
ricordare ricordare dimenticare
3
o soffio rosato come viso di bambino
o fiammella che recide l’erba bassa
con lo scuro fiore di papavero farò un cenno
l’immobile profumo mi colpirà e morirò
4
un cervo sta presso la fonte il ruscello sussurra ave
Via Szeroka
La banderuola sul tetto canta.
Striscia il ragno della prima stella.
Le lanterne nei neri alberi,
dondolandosi,
luccicano.
Un caldo aroma fluisce dai forni,
e il silenzio dai portoni chiusi.
Se un cane nel lontano sobborgo non abbaiasse,
saresti solo – come mai.
Solo, forse ancora col fiumicello,
che non si sente,
benché forse in questa chiara notte d’azzurro
anch’esso – amante dei cieli –
dal crepuscolo al mattino
di sicuro sospira
tra le mura.
La musica di via Złota
Il cielo cambia, benché la sera non si sia quietata,
il vento bisbiglia ancora, prima di assopirsi.
Il vento fruscia di violetto.
Il vento – non più vento – un sorriso.
Dalla via Domenicana il canto di un coro;
le fanciulle lodano Maria.
Dall’arcidiaconato per accompagnamento
arie di un solitario violino.
Silenzio musicale delle case
congiunte con l’arco dell’iride,
sulla fronte della chiesa un raggio
ricade come ciocca.
E adesso qualcuno ha teso il silenzio,
batte in esso col pugno di bronzo
la campana serale
grondando di forza del metallo
prende a sonare sotto la croce della chiesa:
uno – due – tre – – – –
1934
Attraverso i confini
con monotonia il cavallo solleva la testa
la criniera ritmicamente ogni istante ricade
ruote ruote
erbe
tintinna l’assonnata semivita
lungo un viottolo erboso del bosco
in basso in basso
nel campo
al crepuscolo nella stoppia inciampa
la luna rossa e scura
io grido
dorata focaccia
non c’è niente neanche il sonno solo lo stridio delle ruote
la notte nebbiosa lunga veglia
io grido focaccia dorata
io grido le ruote in basso nel campo focaccia dorata
1932
In campagna
Il fieno profuma di sogno
il fieno profumava nei vecchi sogni
i pomeriggi in campagna riscaldano di segala
il sole suona il fiume di balenanti lamiere
vita – campi – trama di fili dorati
Di sera attraverso il cielo una passerella
la sera e il vespro
le mucche da latte tornano alle fattorie
a ruminare nel trogolo colmo di crepuscolo
Di notte sotto i bracci delle croci nei bivi
si spande l’azzurra tarlatura delle stelle
nuvolette siedono davanti alla soglia del prato
sono sfere di bianca peluria
un soffione
la luna si reca a lavare fazzoletti argentei
i grillini stridono nelle biche
non c’è di che aver paura
Il fieno profuma di sogno
celata è in esso una melodia religiosa
mi accosta guance infantili
protegge dal male
1927
Sogno idilliaco
dal soffitto della notte che pende
attraverso il fruscio di ranuncoli e artemisie
il gorgoglio della pioggia sbufferebbe come incubo
ma sono note le parole di scongiuro zolfo
lanute criniere di cavalle
la Vergine Maria camminava tra le stelle
leniva la Vergine Maria il bruciore delle anime sofferenti
ed io sto nel tuono temo la mezzanotte
perché restate con chi dorme e con i sogni
non tormentate andate via dove volete
corvi lupi orsi cervi
amen
o tenebra così limpida adesso
ha brillato sulla veranda il tuo pettine d’argento
questo quieto parlare nel fosso
è il calamo
annuncia la confessione d’acqua
le stelle mariane terge con le dita
e a noi come parlare quando dietro il vetro – il frutteto
e più lontano arnie terreni di aneto e di carote
purificaci chiunque e ovunque tu sia
andate via da noi opere di uomini e animali
per questo ci inginocchiamo nella paglia come morti
da innumerevoli anni
1939
Cervello di anni 12
nembi più in alto più in basso le note
sguazzano sciolte nell’azzurro
sguazzano anche le mie scarpe
in un rivo di vento d’estate
le nicchie coi san giovanni
in una coroncina di erba appassita
raggiunte da una nube
inattesa di farfalle
più oltre lungo la strada verso il prato
su una collina d’argilla
va al ferrovia
il convolvolo ha superato i binari
fino al prato il sentiero s’incurva
giù dal terrapieno
calpestando l’erba del fiume
un ragazzino nudo spumeggia
là dove i pini finiscono
coprendo la città
getta cento esili piccole mani
il cervello di anni 12
tra gocce di fiordaliso
sulle scaglie dell’onda
svolazza il vivace capriccio
di uno snello torso-spirale
un grido o mezzodì o torrente
bocca e pugni pieni del grido
nell’estasi del sole come motore
brucia il cervello di anni 12
guardo il giorno va oltre il mezzodì già asimmetrico
presto la sera si stenderà come montagna
il vento ha mosso l’erba ma non i camini della fabbrica
l’oro del fiume diventerà grigio
ragazzo ragazzo domani o dopodomani
la nuda gioia che non è lievito di vita
si chiuderà per sempre come a chiave
nel 1936 guarderai il fiume da sotto l’elmo
1930
Rimpianto
la testa che imbianca e splende come doppiere
quando trasvolano i nastri argentei dei venti
porto nei fondi delle stradine
le rondini garriscono sul fiume
è poco va’
andare guardare sogni festini scene
di sinagoghe i vetri in frantumi
la fiamma che ingoia le grosse gomene
la fiamma d’amore
la nudità
ascoltare dei popoli affamati il ruggito
che è voce diversa dal pianto degli affamati
cala la sera di questo mondo
le narici fiutano la rossa mungitura
dal bruciante diluvio
ci chiediamo a vicenda chi sei
in tutti noi mirabilmente moltiplicato
sparerò a me stesso e morirò più volte
io nel solco con l’aratro
io tra i codici giurista
dal grido gas soffocato
io assopita tra i ranuncoli
e bambino torcia umana
in chiesa da una bomba colpito
e impiccato incendiario
io nera crocetta nelle lettere
o mietiture di rombi e di lampi
riuscirà il fiume a togliersi la ruggine di sangue fraterno
prima che i pilastri delle città si risolleveranno
giungerà allora un turbine di rondini
sibilerà sulla testa un’ala attraverso un’oscurità d’uccelli
va’ va’ oltre
1939
Nei pressi della stazione centrale di Varsavia
dalle finestre bagliori
nel nichel il buffet regnava
la fontanina dei fiori
verso il soffitto sprizzava
ondeggiano là le tendine
sfondo all’ombra dei grassoni
nell’alba avvolta di brine
e nell’ora dei lampioni
alcolica sinfonia
fughe di verdure e pane
sonate nell’agonia
serpeggia una viva fame
una fame latra sputa
un’altra spezza le dita
una terza cosa fiuta
nell’androne intimorita
facce della fame irsute
dai molti occhi diversi
son le lune decadute
di abbandonati universi
tossiscono sopra il pelo
di una sciarpa logorata
per esse io vi rivelo
Gerico sarà annientata
1939
(C) by Paolo Statuti
Poesie di cose parlanti per sé, nel breve spazio la vista acuta dell’osservatore ricco di sensibilità,
/ le nicchie coi san giovanni/ in una coroncina di erba appassita/ raggiunte da una nube inattesa di farfalle/
più oltre lungo la strada verso il prato/su una collina d’argilla/va la ferrovia/il convolvolo ha superato i binari…/
Mio padre era capostazione in una linea ferroviaria a scartamento ridotto. La stazione è stata la mia casa e la ferrovia “con il convolvolo (che) ha superato i binari…/ “era il mio giovanile punto di osservazione. Resto inebriato dai ricordi sollevati da questa bella poesia di Józef Czechowicz. Poi, come arriva il “1939, “nei pressi della stazione centrale di Varsavia,” ben più imponente rispetto alla mia stazioncina trovo, oltre alla dolce musicalità dei versi:
“facce della fame irsute/ dai molti occhi diversi/ son le lune decadute/di abbandonati universi/
l’orrendo spettro della guerra che ho fatto in tempo a conoscere anch’io quando la mia stazione fu presa di mira dai bombardamenti aerei.
Ti ringrazio vivamente caro Paolo, per gli autori favolosi che poni alla mia attenzione, Ubaldo
Grazie, caro Ubaldo, è proprio il commento che mi aspettavo, perché è un poeta che amo molto.
Grazie, caro Paolo, per averci fatto conoscere, ancora una volta, un grande poeta.C’è un verso che, da solo, mi dice tutta la magia della sua arte. “Il vento fruscia di violetto”: il suono si fa colore,perchè suono e colore sono un tutto unico, nella semplice meraviglia della natura.Un caro saluto, Anna Ventura
Date: Tue, 1 Mar 2016 05:51:38 +0000
To: annaventura36@hotmail.com
Grazie Anna, e un caro saluto anche a te. Paolo
grazie!
Grazie anche a lei e soprattutto a Czechowicz!