Archivio | settembre, 2014

Adam Ważyk (1905-1982): Poema per gli adulti

28 Set

Il celebre “Poema per gli adulti” di Adam Ważyk uscì il 21 agosto 1955 sul settimanale “Nuova cultura”. Esso fu subito condannato dal partito che lo definì una “provocazione”. La sua pubblicazione provocò un burrascoso dibattito ad alto livello, proteste di operai e di giornalisti. Esso rappresentò una svolta improvvisa nell’atteggiamento del poeta, il quale ancora pochi anni prima elogiava i cambiamenti avvenuti in Polonia e la bellezza di Varsavia ricostruita, nonché di Nowa Huta. Di questi stessi luoghi Ważyk nel “Poema per gli adulti” scrive con amarezza, sarcasmo e sdegno, evidenziando lo stato di abbandono e la depravazione.
L’opera si compone di 15 parti, a volte più vicine al genere pubblicistico, che alla rappresentazione poetica. Esso è soprattutto un’aspra critica dello stalinismo imperante in Polonia in quegli anni, e colpisce punti essenziali e nevralgici della realtà comunista: la povertà diffusa e gli armamenti, la menzogna dottrinale e di costume, la missione della classe operaia, la bruttezza di Varsavia ricostruita con grande fatica. Anche se viene rimproverata a Ważyk una mancanza di coerenza nella sua critica del sistema, in quanto egli contestò soltanto le deformazioni della dottrina marxista, e non l’intera ideologia, invocando peraltro l’azione del partito nell’ultimo verso, egli nel suo coraggioso poema rivelò i conflitti che i politici cercavano di nascondere, e pose una pietra miliare nella cosiddetta letteratura del disgelo.
Ecco il “Poema per gli adulti” nella versione di Paolo Statuti
1.
Quando saltai sull’autobus sbagliato,
la gente sedeva come sempre, tornava dal lavoro.
L’autobus percorreva una via sconosciuta,
tu via della Santa Croce non sei più Santa Croce,
dove sono i tuoi antiquari, le librerie e gli studenti?
Dove siete, morti?
Il ricordo di voi scompare.

In quel momento l’autobus si fermò
in una piazzetta piena di scavi.
Il vecchio dorso d’una casa di quattro piani
aspettava il verdetto del destino.

Scesi proprio lì,
in un quartiere di operai,
dove i muri grigi s’inargentano di ricordi.
La gente correva a casa.
Non osavo chiedere dove fossi.
Non è qui che da bambino andavo in farmacia?

Tornai a casa,
come uno che andò a comprare una medicina,
e tornò vent’anni dopo.

Mia moglie mi chiese, dove sei stato.
I figli chiesero, dove sei stato.
Io tacevo tutto sudato.

2.

Le piazze si torcono come cobra,
le case si gonfiano come pavoni,
datemi una vecchia pietruzza,
che a Varsavia io mi ritrovi.

Sto come un pilastro insensato
sulla piazza sotto un candelabro,
lodo, ammiro, insulto
il cobra, l’abracadabra.

Mi spingo come un eroe
sotto splendide colonne,
non mi curo dei pupazzi di Gallux
pitturati per la bara!

Qui i giovani mangiano il gelato!
Ah, tutti qui sono di giovane età,
con la memoria arrivano ai ruderi,
la ragazza presto partorirà.

Ciò che s’è impietrito, durerà:
il patos e la robaccia a braccetto,
qui imparerai l’ABC,
o futuro poeta di Varsavia.

Ama ciò è affatto normale,
io altre pietre ho amato,
grigie e davvero sublimi,
risonanti di ricordi.

Le piazze si torcono come cobra,
le case si gonfiano come pavoni,
datemi una vecchia pietruzza,
che a Varsavia io mi ritrovi.

3.

“Oggi il nostro cielo non è vuoto”
(da un discorso politico)

Era l’alba, sentivo il sibilo dei caccia
assai costoso, ma tuttavia dobbiamo…
Quando non si vuole parlare della terra,
basta dire: il cielo non è vuoto.

Qui camminano alla meno peggio, nelle tute,
da noi le donne invecchiano presto…
Quando non si vuole parlare della terra,
basta dire: il cielo non è vuoto.

Oltreoceano nelle nuvole si addensa
l’apocalisse, qui un passante s’inginocchia…
Quando non si vuole parlare della terra,
chi s’inginocchia dice: il cielo non è vuoto.

Qui uno stuolo di ragazzi lascia liberi i colombi,
una ragazza l’azzurro foulard annoda…
Quando non si vuole parlare della terra,
basta dire: il cielo non è vuoto.

4.

Dai paesi, da ogni parte, vagoni pieni vanno
a costruire l’acciaieria e una città,
a estrarre dal suolo un nuovo Eldorado,
come un’armata di pionieri, la folla raccolta
si accalca in fienili, baracche, alberghi,
ciabattano e fischiano nelle strade fangose:
la grande migrazione, arruffata ambizione,
al collo la croce di Częstochowa,
tre piani d’insulti, un cuscinetto di piume,
una scrofa di vodca e la voglia di donne,
l’anima sospettosa, ai campi strappata,
semidesta e semiforsennata,
che non pronuncia parole, ma canta canzoni,
estratta all’improvviso dal buio medievale
una massa errante, la Polonia abbrutita,
che ulula di noia nelle sere invernali…
Nelle ceste dei rifiuti, sulla corda pendente,
i ragazzi volano come gatti sul muro,
negli alberghi per donne, questi laici conventi,
crepita la fregola, e poi le contessine
si sbarazzano del feto – qui la Vistola scorre.

La grande migrazione che costruisce l’industria
sconosciuta alla Polonia, ma nota alla storia,
nutrita di grandi parole vuote, che vive
in modo selvaggio malgrado le prediche –
nel puzzo del carbone, in una lenta tortura,
da questo si forma la classe operaia futura.
Molti i rifiuti. E per ora confusione.

5.

Anche questo succede: come scura colonna
il fumo si leva dalla miniera incendiata,
la galleria è isolata, del sotterraneo tormento
nessuno parlerà, la nera galleria è una bara,
il sabotatore ha sangue, ossa, mani,
cento, duecento famiglie piangono,
scrivono sui giornali o non scrivono affatto
e soltanto fumi arruffati sospesi qua e là.

6.

Alla stazione ferroviaria
la signorina Jadzia al banco
così bella, quando sbadiglia,
così bella, quando versa…
ATTENZIONE! IL NEMICO TI OFFRE LA VODCA!
Qui sarai avvelenato di sicuro,
la signorina Jadzia ti toglierà le scarpe,
così bella, quando sbadiglia,
così bella, quando versa…
ATTENZIONE! IL NEMICO TI OFFRE LA VODCA!
Non andare, ragazzo mio, a Nowa Huta,
o sarai avvelenato strada facendo,
ti avverta il perfido manifesto
e il merluzzo nazionale nello stomaco:
ATTENZIONE! IL NEMICO TI OFFRE LA VODCA!

7.

Non crederò, mio caro, che il leone è un agnello,
non crederò, mio caro, che l’agnello è un leone!
Non crederò, mio caro, alle formule magiche,
non crederò alle ragioni tenute sottovetro,
ma io credo che un tavolo ha quattro gambe,
ma io credo che la quinta gamba è una chimera,
e quando le chimere si sommano, mio caro,
allora si muore lentamente di cuore.

8.

E’ vero,
quando le trombe della noia
soverchiano il grande fine educativo,
e gli avvoltoi dell’astrazione ci mangiano il cervello,
e si rinchiudono gli allievi in manuali senza finestre,
quando si riduce la lingua a trenta scongiuri,
quando si spegne la lampada della fantasia,
quando la buona gente dalla luna
ci rifiuta il diritto al gusto,
è vero, in tal caso rischiamo l’ottusità.

9.

Hanno estratto dalla Vistola un annegato.
Gli hanno trovato in tasca un biglietto:
“La mia manica è corretta,
il mio bottone è sbagliato,
il mio colletto è sbagliato,
ma la mia cinta è corretta.”
L’hanno sepolto sotto un salice.

10.

In una strada appena intonacata di nuove case
la polvere di calce aleggia, in cielo vola una nuvola.
I rulli passati sul selciato pressano il fondo,
i castagni trapiantati verdeggiano, frusciano di sera.
Sotto i castagni bambini grandi e piccoli corrono,
dai ponteggi semismontati prendono legna per la cucina.

Le scale risuonano di nomi femminili melodiosi,
puttanelle quindicenni sulle tavole scendono in cantina,
hanno il sorriso come di calce, odorano di calce,
nei pressi una radio suona una danza d’oltretomba,
giunge la notte, i teppisti giocano a fare i teppisti.
E’ difficile nell’infanzia dormire nel fruscio dei castagni.

Sparite nel buio, o dissonanze! Volevo godermi la novità,
volevo parlarvi di una giovane strada, ma non di questa!
Mi è mancato il dono della vista, o di una comoda cecità?
Mi è rimasto un breve appunto, le poesie d’una nuova pena.

11.

Gli speculatori la rinchiusero nel quieto inferno
d’una villa fuori città – lei scappò.
Girò ubriaca la notte intera,
dormì sul cemento fino all’aurora.

La cacciarono dalla scuola d’arte
per carenza di moralità socialista.

Si avvelenò una volta – la salvarono.
Si avvelenò di nuovo – la seppellirono.

Qui tutto è vecchio. Vecchi sono i furfanti
della moralità socialista.

12.

Il sognatore Fourier amabilmente annunciava
che nei mari scorrerà la limonata.
E non scorre forse?

Bevono acqua marina,
gridando –
limonata!
Tornano a casa di soppiatto
per vomitare!
per vomitare!

13.

Accorsero, gridavano:
un comunista non muore.
Non è successo ancora che uno non sia morto.
Solo il ricordo rimane.
Quanto più uno vale,
tanto più viene rimpianto.

Accorsero, gridavano:
nel socialismo
un dito ferito non duole.

Si ferirono a un dito.
Provarono dolore.
Dubitarono.

14.

Imprecavano contro i metodici.
Istruivano i metodici.
Illuminavano i metodici.
Svergognavano i metodici.
Chiamavano in aiuto la letteratura,
una mocciosa di cinque anni,
che bisogna educare,
che dovrebbe educare.
Il metodico è un nemico?
Il metodico non è un nemico,
il metodico bisogna istruirlo,
il metodico bisogna illuminarlo,
il metodico bisogna svergognarlo,
il metodico bisogna convincerlo.
Bisogna educare.

Hanno mutato le persone in balie.

Ho sentito una saggia conferenza:
“Senza incentivi economici giustamente divisi
non avremo il progresso tecnico.”
Ecco le parole di un marxista.
Ecco chi conosce le leggi reali,
fine dell’utopia.

Non ci saranno romanzi sui metodici,
ma ci saranno sui guai degli inventori,
sulle angosce che tutti vivono.

Ecco una poesia nuda,
prima che diventerà
ansie, colori e odori della terra.

15.

C’è gente sfinita dal lavoro,
c’è la gente di Nowa Huta,
che non è mai stata a teatro,
ci sono mele polacche negate ai bambini,
ci sono bambini respinti da medici criminali,
ci sono ragazzi costretti a mentire,
ci sono ragazze costrette a mentire,
ci sono vecchie mogli cacciate di casa dai mariti,
ci sono persone sfinite, che muoiono d’infarto,
c’è gente denigrata, infangata,
derubata sulle strade
da furfanti, per i quali si cercano termini giuridici,

c’è gente in attesa di un pezzo di carta,
c’è gente che aspetta giustizia,
c’è gente che aspetta da tanto tempo.

Ci appelliamo su questa terra
per conto delle persone sfinite,
per avere chiavi adatte alle porte,
stanze con le finestre,
pareti senza muffa,
per il disprezzo delle carte,
per il sacro tempo umano,
per un sicuro ritorno a casa,
per la semplice distinzione tra il dire e il fare.

Ci appelliamo su questa terra,
che non abbiamo vinto ai dadi,
per la quale milioni sono morti lottando,
per la chiara verità, per il grano della libertà,
per un ardente intelletto,
per un ardente intelletto,
ci appelliamo ogni giorno,
ci appelliamo al Partito.

(C) by Paolo Statuti

Johann Sebastian Bach: Il clavicembalo ben temperato

25 Set

Ritratto di J.S. Bach, eseguito a carboncino da Paolo Statuti

Ritratto di J.S. Bach, eseguito a carboncino da Paolo Statuti


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J.S. Bach in famiglia

Tra i libri di musica di mia madre buonanima, diplomata a pieni voti in pianoforte nel 1933 presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, ho trovato un libro straordinario: Il clavicembalo ben temperato del compositore, pianista e scrittore di musica Luigi Perrachio (1883-1966). Da questo volume, edito nel 1926 dalla casa editrice “Bottega di Poesia” di Milano, ho tratto alcuni brani che propongo ora ai miei lettori in cerca di sollievo e di gioia per l’anima, con la speranza di suscitare o accrescere in loro l’amore per Johann Sebastian Bach: il compositore che trascrisse fedelmente e con umiltà ciò che gli suggerì il Cielo.

Non è un lavoro per i dotti…Il mio è un lavoro semplice.
Ed è scritto per i semplici. Che son poi quelli che sentono meglio e con più amore e in silenzio la bellezza delle cose belle. E sentono davvero ed hanno orrore delle grandi chiacchiere e di quel gran dottrinare, che è una maschera buttata sulla più incurabile delle insensibilità: la insensibilità della musica…
Se la mia fatica varrà ad invogliare qualcuno ad accostarsi alla grande creazione, o a fare più intenso il suo intenso amore, mi si tenga conto di questo. E valga a farmi perdonare le inevitabili manchevolezze di un piccolo lavoro che è ai piedi di una grande creazione…
Molte cose si ignorano intorno al clavicembalo ben temperato di Giovanni Sebastiano Bach. Questo libro che si dovrebbe leggere tutti i giorni, che Chopin ha detto – non so più quando né dove – d’aver avuto sempre sul pianoforte, è ancora per molti un mistero… E’ triste pensare ad esempio che vi siano musici o uomini che si occupano di musica che considerino il clavicembalo ben temperato come una raccolta di esercizi per educare le mani, o come una tortura per guadagnare un diploma. E’ triste pensare che vi siano uomini che passino accanto alla bellezza alla grandiosità alla poesia alla umanità di questa concezione senza avvedersene. Che passino sulla soglia di questo tempio senza desiderare d’entrarvi o senza sapervi entrare.
Se lo saprò fare, voglio essere utile a costoro.
Non spalancherò la porta del tempio: non farò tutta la luce. Ma socchiuderò un poco l’uscio, perché ciascuno se l’apra e si faccia la luce da sé…
Bach fu uomo sereno amabile e gioviale, quantunque di carattere pronto e un poco anche cocciuto – informino le controversie con Ernesti, il rettore della scuola di San Tommaso -. Fu uomo pio, profondamente e illuminatamente pio. Ebbe una vasta cultura: gli studi che aveva fatto a Lüneburg gli offrirono una base solida a quegli studi che fece da sé, per quanto la creazione e le occupazioni glielo permettevano, e che si diressero preferibilmente alla filosofia e alla teologia.
Dotato di una robustezza non comune – non fu mai ammalato gravemente – trascorse tutta la sua vita con la famiglia e per la famiglia, modestamente. Tuttavia ogni anno si concedeva il piacere di un viaggetto – per lo più a scopo di concerti – o di qualche scappata a Dresda – a udirvi l’opera italiana, che gli piaceva -. Rimase vedovo della prima moglie a Cöthen nel 1720, mentre si trovava a Carlsbad col principe Leopoldo: al suo ritorno non ebbe altro conforto che quello di piangere sulla tomba della sua compagna. Provò un dolore disperato e profondo, come attesta il figlio Filippo Emanuele. Nel 1721 passò a seconde nozze con Anna Maddalena Wülken – Anna Maddalena: dolce nome, una risonanza nella creazione di Bach…-. Fu padre di ventun figli: di questi, otto soli erano vivi alla morte di lui, quattro maschi e quattro femmine. I quattro maschi furono musicisti: non giunsero all’altezza del padre, ma furono musicisti di valore: Friedemann – quegli nel quale il padre aveva molto sperato e che finì male – Filippo Emanuele – assai noto – Giovanni Cristoforo e Giovanni Cristiano – che fu organista al Duomo di Milano nel 1754 -.
L’ultima figlia di Bach, Regina Susanna – come già la madre Anna Maddalena nel 1760 – morì in completa miseria nel 1809. Poco prima un gentiluomo aveva iniziato una sottoscrizione a favore dell’ultimo discendente di Bach: il primo a sottoscrivere era stato Beethoven…
Bach non conobbe la gloria: non ebbe la rinomanza di Händel, sepolto in Westminster come un pari d’Inghilterra. Ebbe però amici ed ammiratori, segnatamente in Germania, che – se si eccettua qualche critico acerbo come lo Scheibe – seppero apprezzare la sua opera.
La ragione di questa freddezza va ricercata in parte nella poca diffusione che ebbe la sua musica, e in parte nel fatto che, in fondo, l’arte di Bach fu estranea ai gusti del tempo, fu fuori del suo tempo. I suoi contemporanei inclinarono verso un’arte minuta, molle, se non addirittura smidollata e dolciastra: il suo pensiero sano largo robusto puro non trovò echi, non ebbe risonanze. Lui morto, la sua creazione scomparve.
Occorsero quasi ottant’anni prima che egli tornasse dal suo silenzio. Fu nel 1829, quando a Berlino Felice Mendelssohn – Bartholdy eseguì la Passione secondo San Matteo.
Il clavicembalo ben temperato fu composto da Bach con scopi, dirò, pratici: li vedremo con qualche precisione tra poco. Quello che ora desidero far notare è un lato singolare del carattere di Bach musicista: Bach ebbe la passione dell’insegnamento ed a questo fine scrisse non poca musica, specialmente per il cembalo. Questo tratto parrà singolare in un uomo di genio, l’uomo di genio essendo per noi un essere tutto assorto nel suo concepire, tutto chiuso nel lavorio immenso del sentire e dell’esprimere, staccato dalle cose di quaggiù, che per lui non sono che apparenze ed occasioni.
Tuttavia sarà bene non dimenticare che la maggior parte dei lavori a fine didattico egli compose per i suoi – la moglie e i figli – che ebbero una così bella e grande parte nella sua vita. E che ancora Bach fu uomo mite modesto portato all’affetto altrui, e non può meravigliare se egli non trascurò occasioni per fare altrui cosa utile e grata. Quel che può meravigliare, se mai, è che egli, prendendo occasioni e – direi – punti di partenza così modesti, sia arrivato ad altezze superbe ed abbia creato dei capolavori…
I due libri del clavicembalo ben temperato non sono stati composti nello stesso tempo: sono stati anzi creati in epoche assai lontane. Il primo libro è del 1722 ed è stato composto a Cöthen o – come si dice – durante un viaggio: il secondo libro ha la data del 1744, è stato composto a Lipsia ed è apparso sotto il titolo di ventiquattro nuovi preludi e fughe. Ma queste date non hanno un valore assoluto. Bach aveva l’abitudine di riprendere di ritoccare di rifare i suoi lavori, molti dei quali ebbero tre e perfino quattro versioni. Questa sorte toccò anche a molte pagine del clavicembalo: undici preludi del primo libro si trovano nel Klavierbüchlein per Friedemann – ancorché sotto un’altra veste – e non v’è dubbio che alcune pagine del secondo libro non siano anteriori anche al primo libro, che siano cioè dell’epoca di Weimar.
Bach non pubblicò che pochi dei suoi lavori: non volle far rumore intorno al suo nome… Pubblicò il primo lavoro quando aveva quarantun anni!
Ebbe l’abitudine di copiarli o di farli copiare – dalla moglie, dai figli, dagli allievi, dai copisti -. Non sempre le copie dei copisti erano perfette, perché per lo più erano copie di altre copie che il Maestro non vedeva neppure. Avevano errori di sbadataggine: ma avevano anche delle semplificazioni! Vi erano dei copisti che trovavano che certi passi erano troppo difficili e complicati e li modificavano… Questa è la ragione per cui non pochi passi di non poche composizioni – clavicembalo compreso – hanno versioni diverse.
I manoscritti di Bach, alla sua morte, furono divisi tra i figli, che in quella circostanza e dopo si mostrarono animati da un affetto filiale assai discutibile. I manoscritti che toccarono a Friedemann andarono in gran parte perduti. E Filippo Emanuele permetteva che si consultassero i suoi dietro pagamento di una somma di danaro…
La prima edizione del clavicembalo è del 1800, per opera di Nägeli di Zurigo, secondo altri per opera di Kollmann a Londra, cui seguì subito quella di Richault a Parigi. Se ne fecero in seguito parecchie edizioni. La più sicura è quella della società Bach del 1864.
Il clavicembalo ben temperato contiene 48 preludi e fughe: 24 per ciascun libro. Nel primo libro vi sono 1 fuga a 2 voci, 11 fughe a 3 voci, 10 a 4 voci e 2 a 5; nel secondo libro 15 a 3 voci e 9 a 4…
…………………………………………………………………………………………………………..
Giunto al termine del mio lavoro, lo studioso potrebbe voler sapere se vi sono relazioni e, quali sono, tra il clavicembalo e le altre creazioni di Bach. In quale punto della creazione totale di Bach si trovi il clavicembalo.
Relazioni con le passioni, con gli oratori, con le cantate, con le creazioni religiose insomma, non possono essere che generiche. Quelle relazioni infine che sono fra le creazioni di uno stesso creatore, che sono i diversi aspetti di una figura: i molti rami che escono dal ceppo unico. Ciascuno ha il suo tratto singolare, ma tutti rivelano la comune origine.
Che Bach abbia trattato ciascun gruppo di creazioni con intendimenti singolari, con procedimenti caratteristici per ogni gruppo è chiaro e nessuno che io sappia può negarlo.
Che Bach abbia pensato a cancellare l’impronta della comune origine e quell’aria di famiglia che è in tutte le sue creazioni è inammissibile. Non potendosi ammettere che Bach cercasse di distruggere se stesso, ché sarebbe stata incoscienza o vuoto eclettismo.
Le relazioni con le cantate e le passioni sono generiche e lontane anche per una ragione di sostanza e di indirizzo.
Di sostanza in quanto quelle creazioni hanno una delimitazione chiara e finita, determinata dalla natura dei testi sui quali poggiano, che nel clavicembalo manca, essendo esso musica pura e libera…
Di indirizzo in quanto quelle creazioni sono state composte a solennizzare ricorrenze per lo più religiose ed erano indirizzate a moltitudini di uomini. Mentre il clavicembalo – non dimentichiamolo mai – è composto per l’intimità dolce e silenziosa della casa, e quanto a caratteri ha, sì, qualche espressione di fede profonda, ma ne ha molte altre ancora ed è come un piccolo grande specchio della nostra anima…
Le relazioni sono generiche e assai lontane anche fra il clavicembalo ben temperato e la creazione per organo. La vivacità di linee, la mobilità nell’intreccio delle voci e quello spostare temi e frammenti che son propri del clavicembalo non si trovano nella creazione per organo.
Le minuzie, le finezze dei particolari, le delicatezze di sfumature che sono nel clavicembalo dovunque e, in genere, nella creazione clavicembalistica, non si vedono nella musica per organo, che va sempre a grandi linee, a episodi larghissimi, a masse di suono maestose, a volumi ampi…L’organo inoltre si trova quasi esclusivamente nei grandi e vasti ambienti, nelle chiese, in cui corrono grandi distanze fra lo strumento e gli uditori. Dove sono ampie risonanze e riflessi di risonanze e spesso anche risonanze non felici che portano alla confusione e non consentono le finezze, le combinazioni e quella mobilità e ricchezza tonale che stanno perfettamente in un piccolo ambiente.
E le relazioni tra il clavicembalo e la musica per strumenti quali il violino, la viola da gamba, il flauto? Mostrerei mancanza di sensibilità se negassi che ci siano interferenze fra la maniera di disegnare nel clavicembalo e quella di questi strumenti. Soprattutto fra la maniera cembalistica e violinistica… Va notato che queste interferenze sono più frequenti nel primo libro del clavicembalo che non nel secondo. Dove si direbbe che Bach poco a poco si stacchi dagli strumenti per appartarsi in una regione superiore dove il suono s’immagina infinitamente bello e puro, espressione di un pensiero non più umano e terrestre…
Dove si sente soprattutto la vicinanza del clavicembalo è soprattutto nelle cosiddette invenzioni: che sono state composte poco prima e poco dopo, probabilmente insieme col primo libro.
E’ soprattutto lo stile che pone queste piccole perfette creazioni attorno e presso il clavicembalo.
Lo stile polifonico, ad imitazioni, fugato.
E non lo stile polifonico in genere, che si ritrova in quasi tutta la creazione di Bach, ma questo stile polifonico, questa maniera di condurre le parti e di combinarle per farne un tessuto chiaro puro e trasparente infinitamente melodioso, dove tutto parla, tutto canta, dove tutti i particolari sono curati con infinito amore, dove non ci sono pleonasmi inutilità freddezze, dove ogni applicazione tematica è foce e sorgente d’un pensiero, dove il linguaggio giunge ad una ricchezza e varietà d’espressioni illimitata.
Le invenzioni non sono così profonde e così vaste come il clavicembalo…ma la loro varietà è bellissima. Ciascuna è un quadretto preciso e chiaro, senza richiami e senza somiglianze con gli altri. Ciascuna è una creazione compiuta e perfetta…
Tuttavia, nonostante le relazioni più o meno lontane con le altre creazioni, nonostante la vicinanza delle invenzioni, il clavicembalo ben temperato non cessa di occupare una posizione singolare e unica nella creazione di Bach.
Mirabile per l’immensità della forza creativa, per l’indefinito rinnovare del pensiero, della sensibilità, della concezione: per la vivacità e la freschezza delle scene e delle pitture: per quel comporre che è sempre nuovo e diverso…
Creazione grande come le più grandi di Bach, delle quali ha tutte le bellezze d’espressione e le profondità…Bellissima fra le bellissime per la poesia che vi spira, per gli affetti nobili e puri, per il dolore e per la gioia, per la vastità e le finezze, per la spiritualità e l’interiorità pensosa… Immagine viva del buon creatore che sereno creò fra dolori e tristezze, nel sordo agitare delle vicende e delle ambizioni umane, figura alta e maestosa che si leva con altre poche sulla immensità grigia dolorante e sconfortata delle moltitudini, di cui seppe e disse le aspirazioni sublimi, i sentimenti più puri: la fede sconfinata, l’amore del bello, la dolce bontà paterna.
Luigi Perrachio

Propongo l’ascolto del Preludio e Fuga 1 in do maggiore (com’è noto il preludio fu adattato da Charles Gounod per la sua celebre Ave Maria), eseguito da Friedrich Gulda nel 1972, presso MPS – Tonstudio, Vilingen, Germania.

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CCQQtwIwAA&url=http%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3D0KQW2YnCUrE&ei=sRskVM_iJovhywOOkoDQBQ&usg=AFQjCNEKcVenEOYkvoAwWpVPwVXRKOAbvQ

Arie celebri per celebri soprani

23 Set

5 grandi soprani in 5 celebri arie operistiche scelte da Paolo Statuti

La Wally, opera lirica in 4 atti di Alfredo Catalani, musicata su libretto di Luigi Illica. Andò in scena il 20 gennaio 1892 al Teatro alla Scala di Milano. Arturo Toscanini, sincero ammiratore di Catalani, diresse più volte l’opera e diede a una della proprie figlie il nome di Wally. Vincenzo Gellner, innamorato di Wally, la chiede in moglie al padre della ragazza Stromminger, ma Wally è innamorata di Hagenbach, nemico di suo padre, e pertanto dichiara che non ama e non amerà mai Gellner; il padre vorrebbe da lei ubbidienza, ma Wally rimane ostinata nella sua posizione e il padre allora la caccia di casa. Di qui l’aria “Ebben? Ne andrò lontana…”, dal I Atto. Eccola nella stupenda interpretazione di Renata Tebaldi (1922 – 2004).

Rusalka, opera in 3 atti di Antonín Dvořák e libretto in ceco di Jaroslav Kvapil. Rappresentata per la prima volta al Teatro Nazionale di Praga il 31 marzo 1901. Rusalka è uno spirito dei laghi e dei fiumi. Una notte nel lago di un bosco appare l’ondina, la quale parlando con lo Spirito delle acque, suo padre, gli confessa di voler prendere sembianze umane, per tentare di sposare un principe del quale è follemente innamorata. Cercato invano di dissuaderla, lo spirito le indica la capanna della strega Ježibaba che può aiutarla. Rusalka rimane sola e prima di incontrare la strega, si rivolge alla luna, pregandola di dire al suo amato che lei lo ama e che lo sta aspettando. Aria dal I Atto: “Měsíčku na nebí hlubokém” (“Piccola luna nel cielo profondo…”). Ve la propongo nella bellissima interpretazione del soprano slovacco Gabriela Beňačkowá, nata il 25 marzo 1947.

Norma, opera lirica in 2 atti di Vincenzo Bellini, su libretto di Felice Romani. Debuttò al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre 1831. Davanti al desiderio dei Galli di ribellarsi al giogo romano, Norma – sacerdotessa e veggente gallica, cerca di placare gli animi, dato che è scritto nel cielo che Roma dovrà cadere, ma non al momento e né per mano dei Galli. Ella rivolge la sua preghiera alla luna (“Casta Diva”), affinché porti la pace sulla terra. Quest’aria è legata alla unica e indimenticabile voce di Maria Callas (1923 – 1977).

Vedi il video in YouTube

Il franco cacciatore, opera in 3 atti di Carl Maria von Weber, su libretto di Johann Friedrich Kind, rappresentata per la prima volta al Teatro Schauspielhaus di Berlino il 18 giugno 1821. Atto terzo. Nella sua camera Agathe, vestita da sposa, prega e dichiara la sua fede in Dio: “Und ob die Wolke sie verhülle” (“Pur se le nubi oscurano il cielo…”). Per questa aria ho scelto il soprano tedesco Elisabeth Grümmer (1911 – 1986), dotata di una voce angelica e di eccezionale bellezza.
Ecco il testo della cavatina nella mia versione:

Pur se le nubi oscurano il cielo,
il sole resta, anche se velato;
tutto domina un santo volere,
il mondo non è retto dal fato.
Un occhio puro in eterno vedrà,
e anche di me esso cura avrà.

Il Padre mio mi ama e mi protegge,
in Lui la mente e il cuore mio riposa,
e fosse anche la mia ultima ora,
a una sola sua parola sarò sposa:
il suo occhio puro in eterno vedrà,
e anche di me esso cura avrà.

Cavalleria rusticana, opera in un unico atto di Pietro Mascagni, su libretto di Giovanni Targioni – Tozzetti e Guido Menasci, andata in scena per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890. Santuzza svela a Lucia, madre di Turiddu, la relazione tra quest’ultimo e Lola. Turiddu ormai l’ha disonorata per ripicca contro Lola, alla quale prima di andare soldato aveva giurato fedeltà eterna, e che ora continua a frequentare, malgrado sia sposata con Alfio. Ecco la celebre aria “Voi lo sapete, o mamma…”, nella stupenda interpretazione del soprano spagnolo catalano Montserrat Caballé, nata a Barcellona il 12 aprile 1933.

Fiodor Ivanovich Tjutcev 1803-1873)

21 Set
Fiodor Ivanovich Tjutcev

Fiodor Ivanovich Tjutcev

Poesie di Fiodor Tjutčev, poeta e diplomatico, precursore dei simbolisti russi, tradotte da Paolo Statuti

Temporale di primavera
Amo il temporale all’inizio di maggio,
Quando il primo tuono di primavera,
Come folleggiando e giocando,
Rimbomba forte nell’atmosfera.

Ecco il primo spruzzo di pioggia.
Risuonano i novelli boati.
La pioggia è appesa come perle,
E il sole i fili ha indorati.

Dal monte scorre lesto il torrente,
Nel bosco non cessa il cinguettio,
Né il chiasso del bosco si attenua –
Tutto risponde ai tuoni in allegria.

Tu dirai: la frivola Ebe,
L’aquila di Giove nutrendo,
Una coppa di tuoni dal cielo,
Sulla terra ha versato, ridendo.

1828

Silentium!

Taci e nascondi se puoi
I sentimenti e i sogni tuoi!
Che dal fondo del tuo cuore
Essi spuntino con splendore,
Come di notte le stelle:
Taci e ammirali come perle.
Come a un cuore ti puoi scoprire?
Come un altro ti può capire?
Capirà come vivi davvero?
Il pensiero detto non è più vero.
Scavando offuschi le fonti:
Cibati e il pensiero nascondi!
In te stesso vivi da solo!
Nell’animo hai tutto un mondo
Di occulti e incantati pensieri;
Li soffoca il chiasso esteriore,
La luce del giorno li acceca:
Ascolta il loro canto e taci.

Silentium!

Taci, cèlati e nascondi

I tuoi sentimenti più profondi,

Che nel fondo del tuo cuore

Brillano e fuggono alle prime ore,

Silenti, come stellari faci –

Sappi ammirarli e taci.

Come il tuo animo si mostrerà?

Come ad un altro si svelerà?

Di che tu vivi saprà capire?

Pensiero espresso è già mentire.

Sappi le fonti pure mantenere,

Sappi nutrirti di esse e tacere.

Sappi vivere solo in te stesso!

In te c’è un intero universo

Di pensieri magici e arcani

Che il rumore esterno rende vani,

Che la luce del giorno non fa vedere –

Sappi ascoltarne il canto e tacere!..

1830

Sera autunnale

C’è nella luce delle sere autunnali
Un amorevole, misterioso addio…
Un sinistro bagliore, degli alberi le tinte.
Delle foglie porporine il lieve fruscio;
L’azzurro velato e silenzioso
Sulla terra orfana tristemente,
E, come presagio di vicine tempeste,
A volte un vento freddo e veemente;
Languore, spossatezza, e su tutto
Quel dolce sorriso dell’appassimento,
Che in un essere ragionevole si chiama
Il nobile pudore del patimento.

Sera d’autunno

Nel chiarore delle sere autunnali
C’è un dolce misterioso incanto:
Il tetro brillìo degli alberi screziati,
Il mesto fruscìo delle foglie amaranto.
L’azzurro offuscato e silenzioso,
Sulla terra che orfana diventa,
E, come presagio di vicine bufere,
A volte un freddo impetuoso vento.
Stanchezza, sfinimento – e su tutto
Il mite sorriso dell’appassire,
Che in un essere ragionevole si chiama
Il nobile pudore del soffrire.

1830

* * *

Non disputare, non darti pena!..
Il folle cerca, lo stolto giudicherà;
Le pene del giorno cura col sonno,
E domani sarà quel che sarà.

Vivendo, sappi provare tutto:
Tristezza, gioia e oblio.
Cosa desiderare e piangere?
Il giorno è trascorso – grazie a Dio!

1850

Roma di notte

 

Nella notte azzurra Roma s’è addormentata.

E’ sorta la luna e l’ha conquistata,

E la città dormente deserta – maestosa,

Ha colmato della sua gloria silenziosa…

Com’è dolce per Roma nei suoi raggi riposare!

Come ad essa le rovine di Roma son care!…

Come se il mondo lunare e la città che fu –

Fossero lo stesso magico mondo, che non c’è più!…

1850

* * *

Manda, o Signore, il tuo conforto
A chi non possiede niente,
E che nell’afa dell’estate
Si trascina sul selciato rovente.

Egli sospira dallo steccato
Guardando gli alberi frondosi,
E il fresco che non può godersi
Dei prati ameni e luminosi.

Non per lui l’ombra ospitale
Gli alberi hanno preparato,
Non per lui, come sbuffo di fumo,
La fontana ha zampillato.

Una grotta azzurra indistinta,
Invano il suo sguardo adesca,
E il pulviscolo della fontana
La sua testa non rinfresca.

Manda, o Signore, il tuo conforto
A chi nella vita non ha niente,
E che nell’afa dell’estate
Si trascina sul selciato rovente.

1850

L’ultimo amore

Oh, come al tramonto degli anni
Amiamo con superstizione!..
Brilla, brilla luce dell’addio
All’alba serale, all’ultimo amore!

Metà cielo già immerso nell’ombra,
Soltanto a ovest uno splendore –
Indugia, indugia giorno serale,
Dura, dura, o incanto d’amore!

Sminuisca il sangue nelle vene,
Ma al cuore resti la soavità…
Oh tu, tu ultimo amore!
Tu sei sconforto e felicità.

1853

* * *

Est in arundineis modulatio musica ripis

C’è una melodia nell’onde del mare,
Un’armonia negli elementi in lotta,
E scorre nelle canne ondeggianti
Un dolce fruscio musicale.

Un ordine immutabile vediamo,
La natura in piena consonanza, –
Solo nella nostra illusoria libertà
In discordia con essa noi viviamo.

Perché? Quando la discordia è nata?
Perché mai nel coro universale
L’anima non canta ciò che canta il mare,
E si lamenta la canna piegata?

1865

(C) by Paolo Statuti

Roman Jasiński: Il giovane Skrjabin

14 Set
Aleksandr Skrjabin

Aleksandr Skrjabin

Di Roman Jasiński (1900-1987) ho già pubblicato nel mio blog il feuilleton “Storia abbastanza curiosa del Concerto per violino di Robert Schumann”, tratto dal suo volume Spigolature musicali. Da questo stesso libro ho tradotto ora il feuilleton “Il giovane Skrjabin”, che ho il piacere di proporre ai miei lettori. Con l’occasione ricordo cosa disse Boris Pasternak su questo compositore: “Più di tutto al mondo ho amato la musica, più di tutti in essa – Skrjabin”.

Dotato non solo di un talento straordinario, ma anche di una eccezionale intelligenza e sensibilità, il giovane Skrjabin suscitava dovunque apparisse un generale interesse e una grande simpatia. Perfino i suoi professori del Conservatorio di Mosca, persone di regola austere ed esigenti, come ad esempio Safonov o Taniejev, erano soggiogati dal sorprendente talento del giovane, e facevano di tutto per aiutarlo nel suo cammino musicale così promettente.
Soltanto Arenskij non apprezzava il suo geniale allievo, mentre il celebre Bielajev, il milionario mercante di legname, mecenate dei musicisti e fondatore di una grande casa editrice di musica russa a Lipsia, era addirittura infatuato di Skrjabin. Non solo pubblicava tutte le sue compasizioni, ma lo presentava nei più noti centri musicali europei, organizzandogli costosi concerti. In tali occasioni Bielajev rivelava una curiosa debolezza: durante le esecuzioni di Skrjabin sedeva accanto al pianoforte, su un seggiolino appositamente predisposto per lui. Per i soldi che spendeva, voleva almeno mostrare in modo così ostentato e insolito il suo ruolo di munifico mecenate.
Il giovane Skrjabin era di natura delicata e sognatrice, come la sua musica di quel periodo, ora affascinante per la sua dolcezza, ora singolare per il suo impeto giovanile e appassionato, e spesso esprimente un intenso lamento amoroso o una dolorosa confessione. Come il giovane Chopin, che egli del resto adorava, anche Skrjabin aveva la sua Musa, il suo Ideale. Era la giovane e graziosa Nataša Siekierina. Quando la conobbe egli aveva soltanto quindici anni, mentre lei era di quattro anni più giovane. Nataša frequentava il ginnasio, prendendo contemporaneamente lezioni private di musica dal professor Zvieriev, il bizzarro vegliardo che aveva tra i suoi allievi a pensione da lui, anche i giovanissimi Skrjabin e Rachmaninov.
Egli si innamorò di Nataša con tutta la forza del suo primo sentimento amoroso giovanile. Era il momento della maturazione e della formazione del suo talento. Scriveva molto e un gran mumero di composizioni di quel periodo nacquero proprio da quel sentimento. Egli stesso era solito dire che “le migliori idee musicali gli venivano in mente di solito dopo gli incontri con Nataša”. Creava perfino quando erano insieme. Ecco cosa scrive a tale proposito nei suoi preziosi ricordi di Skrjabin la sorella di Nataša, Olga:
“Una sera, tornando a casa tardi, trovai Aleksandr Nikolajevič seduto al tavolo vicino al pianoforte. Davanti a lui un foglio pentagrammato sul quale scriveva qualcosa, provandolo subito al piano e fornendo al tempo stesso a mia sorella alcuni chiarimenti. Alla mia domanda: “Quali mai fantasie state creando?” – rispose: “Nataša Valerianovna crea l’atmosfera, mentre io creo una Sonata”.
“Aleksandr Nikolajevič raccontava – continua Olga Siekierina – che spesso le idee musicali nascevano nella sua mente all’improvviso, in una forma così chiara e perfetta, che riportarle subito sulla carta era una necessità assoluta. Probabilmente anche quella volta era avvenuta una cosa simile, perché un paio di giorni dopo egli portò il manoscritto della sua Sonata-Fantasia, trascritta su una bella carta da musica, ed ogni pagina era ornata di ghirlande di fiori”.
Era probabilmente uno schizzo del primo tempo della Sonata-Fantasia op. 19, che compose, elaborò e terminò nel corso di cinque anni, dal 1892 al 1897. Proprio il primo tempo Andante, pervaso di un tono lirico delicato e toccante, similmente alla Romanza: Larghetto del Concerto in mi minore di Chopin, è il più fedele specchio di quel sentimento giovanile, nonché degli umori, dei desideri e dei sogni di quella fase della sua vita.
L’amore per Nataša durò dal 1891 al 1895. La conobbe che era ancora un allievo del Conservatorio e, quando si separarono, cominciava già ad essere famoso. Lei aveva appena terminato il ginnasio, aveva diciannove anni e sembrava che nulla avrebbe potuto ostacolare la loro reciproca felicità. Dunque perché si separarono? Per molto tempo ciò è rimasto un mistero. A distanza di anni fu pubblicata per la prima volta una lettera di Nataša Siekierina, che rivela la triste fine del loro lungo amore:
“Ora che l’uomo da me amato giace da molto tempo nella tomba, e i nostri capelli sono bianchi come la neve al mattino, voglio dire ciò che non ho mai detto ancora a nessuno. Tra me e Skrjabin in realtà non ci fu una vera e propria rottura, ma egli cominciò a frequentarci sempre più di rado, dopo aver avuto con lui un colloquio molto serio che mi provocò una profonda crisi nervosa.
Un giorno, quando tornavamo da Nina, Aleksandr Nikolajevič mi chiese nuovamente di diventare sua moglie. Gli risposi: Non sono degna di sposarti, mi sembra di amarti meno di un tempo. Egli accolse le mie parole tranquillo e in silenzio, ed io tornai a casa con il cuore lacerato e i pensieri a tratti paralizzati. A nessuno ho mai detto di quel colloquio, perché non si pensasse che a Skrjabin era stata rifiutata la mia mano. Ma fu davvero una conclusione? Semplicemente fu il timore che non sarei riuscita a rendere felice l’uomo che amavo. E che moglie potevo essere di un tale genio? Adesso penso che allora il mio subcosciente mi suggerì la giusta strada”.
Più o meno nel periodo del suo amore per Nataša, il compositore creò il Preludio e il Notturno per sola mano sinistra. Non fu un caso che Skrjabin scrivesse per la mano sinistra queste composizioni, ma piuttosto la conseguenza di una determinata circostanza. Dopo aver sforzato la mano destra con esercizi pianistici troppo intensi, Skrjabin voleva creare qualcosa adeguato alle sue possibilità di esecuzione temporaneamente limitate. Ciò accadde durante i suoi studi al Conservatorio di Mosca, nella classe di Safonov, studi che terminò nel 1892 con l’assegnazione della medaglia d’oro. Della malaugurata sforzatura della mano si legge nei ricordi del pianista Pressman, compagno di Skrjabin:
“Nella classe del professor Safonov c’era con noi il pianista Josif Levin – un vero fenomeno dal punto di vista delle capacità tecniche, il quale già come allievo del conservatorio aveva stupito con la sua tecnica i nostri professori, tra i quali c’erano virtuosi del calibro di Siloti e Pabst. (…) Levin sonava allora in modo splendido Islameya di Balakiriev e la Fantasia dal Don Giovanni di Liszt.
Skrjabin si propose di brillare a tutti i costi come Levin nell’arte pianistica e in segreto, di nascosto al professor Safonov, durante le vacanze estive cominciò ad imparare la difficilissima Fantasia di Liszt dall’opera Don Giovanni. (…) Tuttavia non disponendo di notevoli e innate capacità virtuosistiche, così facendo sforzò la mano destra. Quando Safonov lo vide ridotto così, restò allibito!”
Aggiungiamo che soltanto una lunga cura e la prudente esecuzione di speciali esercizi, riportarono le sue mani ad uno stato relativamente normale. Relativamente – perché per tutta la vita egli risentì degli effetti di quella sforzatura.