Scrive lo stesso Borszewicz:
“La prima volta sono nato nell’autunno del 1956. La seconda volta sono venuto al mondo a giugno del 1978, quando ho vinto il concorso per il miglior debutto dell’anno. La terza volta sono nato a giugno del 1980, quando ubriaco ho superato gli esami di ammissione alla Scuola Statale Superiore di Cinematografia e Teatro a Łódź, e poi – sobrio e lucido – mi sono innamorato della più bella ragazza nella storia di questa scuola. La quarta volta sono nato lunedì 14 dicembre 1981 – il primo giorno lavorativo dello stato di guerra, quando la casa editrice di Łódź mi consegnò la prima copia del volumetto del mio debutto poetico Duetto strabico. Ancora ricordo come quel giorno mi sembravano piccoli e innocui di fronte ai miei versi i carri armati che mi passavano accanto. La quinta volta sono nato nel 1985, quando ho avuto l’inconfutabile prova che Dio non esiste. La sesta volta sono nato nel 1987, quando ho avuto l’inconfutabile prova che dio esiste. La settima volta sono nato nel 1998, quando ho venduto la mia cinquantesima sceneggiatura cinematografica e ho ricevuto il premio straordinario per la mia creazione cinematografica e letteraria, e mi sono permesso una vacanza di quindici anni dalla letteratura. L’ottava volta sono nato nel 2015, quando il mio romanzo del debutto (o più precisamente il mio romanzo poetico) Oscurità é riapparso in una veste, quale – per vari motivi – non poté indossare nel 1983.”
E’ difficile classificare questo romanzo: prosa letteraria, volume di poesia o anche romanzo dalla cupa trama…Ma forse non c’è bisogno di farlo, perché l’insolita forma letteraria di questo libro continua ancora oggi a far discutere sul senso dell’esistenza, e dopo tanti anni ha superato brillantemente la prova del tempo. Il lettore si lascia subito trasportare dall’intricato racconto, il cui vero protagonista è la morte. Il narratore lotta con la sua solitudine, con la mortalità sua e dei suoi, e cerca tuttavia di trovare la speranza nell’amore e nell’amicizia.
Poesie di Jarosław Borszewicz tradotte da Paolo Statuti
* * *
Meno male che se qui,
perché ieri di nuovo mi doleva il cuore,
e ancora non ho un’idea per la vita.
Devi aiutarmi,
perché da sedici giorni piove
e la vita pian piano mi si disfa.
Dovevo andare dal dentista,
ma mi si è appiccicata una poesia per te,
e non so a chi lasciarla in casa.
Meno male che sei qui,
perché ieri da “Fukier” (1)
di nuovo la morte ha chiesto di me al guardaroba.
Oggi ti ho telefonato,
ma la cornetta mi ha morso la mano
e la ferita non guarirà tanto presto.
Devi aiutarmi,
perché sono stanco come Dio,
che ha faticato una settimana –
e non ha creato il mondo…
- Noto ristorante di Varsavia
* * *
solo accanto a te
posso stendermi su un letto di legno
e non pensare
– com’è simile a una bara
solo accanto a te
sono un ruscello
che non soffre di amnesia
solo accanto a te
il mondo non si disintegra
in ventitré parti
solo accanto a te
ci sono tali quarti d’ora
durante i quali non penso alla morte
solo accanto a te
muoio più lentamente
più sottovoce
– umanamente
* * *
mi addolorano gli amori
che non ho vissuto
mi spaventano le morti
cui non ho partecipato
ho paura dei mondi
in cui non dimoro
temo me stesso
che non conosco
* * *
sempre più spesso
mi servono
quattro pareti di una stanza vuota
sempre più spesso
le gambe mi portano
(con piacere)
sui marciapiedi deserti
di città superpopolate
sempre più spesso
quelli che non ho trovato
e quelli che non mi hanno trovato
non reclamano
sempre più spesso
nella casa vuota
trovo
me stesso
* * *
Dicono
che la paura ha gli occhi grandi.
E io dico
che la paura
non ha affatto gli occhi.
Perché se li avesse
io stesso
le caverei quegli occhi
con le mie mani.
Ma essa non li ha.
Non ha nessun occhio.
* * *
cerco un mondo
dove una rondine
fa primavera
dove una gatta
non fa la morta
dove quando ti vedono
salutano
cerco un mondo
dove homo homini
homo
* * *
Fra tutti i viaggi
in particolare amo
le lunghe gite
in me stesso
perché il diavolo sa
dove si va
e non si sa dov’è
l’ultima stazione
amo questi viaggi
perché
posso intraprenderli stando
in tram
al lavoro
sulla strada
amo questi viaggi
perché
tanti paesaggi sconosciuti
tanti luoghi ancora non scoperti
amo questi viaggi
che faccio senza biglietto
e da cui torno
con così tanti bagagli
* * *
Vorrei
capire l’uomo
che salta dal sedicesimo piano
e cadendo grida:
– La morte non esiste!
Vorrei
capire l’albero
che nel cuore dell’estate
si tarla.
Vorrei
capire l’assassino
che s’inginocchia accanto alla vittima
e piange.
Vorrei
capire Einstein
che sul letto di morte dice:
– Muoio
e non so cos’è il vento.
Vorrei
capire l’uomo
che sulla cima dell’Everest
dice:
Adesso
non so come scendere.
Vorrei
capire la goccia di rugiada
che dice:
– Ho paura della pioggia.
Vorrei
capire il re
che il giorno dell’incoronazione dice:
– Ecco, così
si perde la libertà.
Vorrei
capire il ragazzo
che si è tagliato le vene
sull’autoemoteca.
Vorrei
capire l’amico
che è morto due anni fa
e ancora non è tornato.
Vorrei
capire uno
che si guarda allo specchio e dice:
– Questo non sono io.
Colloquio con l’Assente
non andartene
tutt’al più prenderai il corpo
ma il Resto
in ogni caso
rimarrà con me
1
hai lasciato te stessa
o Assente
in ogni luogo dove non ci sei
ho anche troppo di te
2
credimi
o Assente
che
dovevo andarmene
dovevo andarmene
per
convincermi che eri
la più saggia
la più bella
la più necessaria
perdonami
ma se non me ne fossi andato
non lo avrei mai saputo
3
o Assente
chiamami ogni tanto
sono curioso di sapere
dove e con chi adesso
stai morendo
* * *
c’è in me
il portone dell’ospedale psichiatrico
che chiude dietro di sé
come il passato
e ci sono in me
le maniglie delle porte grigio chiare
la cui assenza
sogno ancora oggi
ci sono in me
le mani maldestre di un vecchio
che con le lunghe unghie
lacerava la nebbia inesistente
e ci sono in me
gli occhi della giovane dottoressa
nei quali vidi
la donna moribonda Alina Szapocznikow (2)
c’è in me
l’alba vista
attraverso la finestra coperta della mia stanza
quando non sono certo
se ciò che brilla
non è per caso
il primo e ultimo
fulmine
c’è in me
il piccolo pianeta
che tra poco cadrà nelle braccia del cosmo
c’è in me questa poverina
piccolina
questa briciola
c’è in me –
la più fedele delle madri
c’è in me
quella che ha generato dio
e quella
che lo ha ucciso
c’è in me
la pozzanghera dove
nell’infanzia
mi si affondò l’intera flotta di navi di carta
che non risusciteranno mai più
c’è in me
una certa città
dove tutte le persone normali
già da tempo si sono suicidate
c’è in me
la lettera di Agnieszka
(nella busta chiusa con cura
un foglio di carta in bianco
con il graffio di un’unghia tagliente)
c’è in me
un libro
che ho paura di scrivere
perché guardandomi negli occhi
non mi salti alla gola
c’è in me
la morte
e c’è in me
la vita
tutto è in me
e niente è in me
(2) Scultrice polacca (1926-1973)
(C) by Paolo Statuti
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