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Bogdan Jaremin

13 Ago
Bogdan Jaremin

Bogdan Jaremin

 

 

Il poeta polacco Bogdan Jaremin è nato a Lwów nel 1942. Terminato il liceo a Elbląg e affascinato dalla poesia di Jan Kochanowski, pensò d’intraprendere gli studi di filologia polacca, ma scelse medicina, laureandosi a Gdańsk. Come medico ha viaggiato molto, lavorando anche sulle navi e nei paesi tropicali. Ha insegnato presso l’Università di Medicina di Gdańsk. Nel 1998 è uscita la sua prima raccolta di poesie dal titolo La risata nel fazzoletto nero. Ha pubblicato 11 raccolte, tra cui Qua e là: didascalie a margine (2013) e Il laboratorio del tempo (2013), nelle quali sono inseriti i testi da me tradotti. Nella poesia di Bogdan Jaremin la sensualità della percezione del mondo e della sua materia si intreccia con la percezione metafisica dell’inafferrabilità e fugacità dell’essenza della vita. Nella sua lirica l’amore è non solo la più potente forza causante, ma anche la strada per conoscere il senso dell’esistenza. Anche quando ci delude, finisce, viene tolto, esso non è perduto del tutto e per sempre.

Poesie di Bogdan Jaremin tradotte da Paolo Statuti

 

Dalla raccolta: Il laboratorio del tempo

 

Il vangelo

                                         da Baudelaire

Fratelli e sorelle nell’ipocrisia –

vi porto la buona novella, il Vangelo

secondo san Charles.

Amate e maledite il mondo.

siate ubriachi della sua bruttezza.

Tale è la sua bellezza e niente dovete cambiare

di forma e contenuto, essi  sempre torneranno

cresciuti con le parole. siate ubriachi

di Bene e di Male, essi si sono giurati

eterno legame

e non c’è divorzio tra spirito e materia.

siate ubriachi di Luce e di Tenebra

esse scorrono dai ghiacciai del cuore

e da un torrente di vene recise.

siate ubriachi di Amore e di Sogni

perché essi hanno unito il quotidiano

e l’eternità con un vincolo duraturo.

E non chiedete alla Vita, perché

fiorisce così rigogliosa, quando la Morte

danza sui prati di maggio.

siate ubriachi. E felici

per così tante domande nelle nuvole

e nessuna risposta nel vento.

Che altro vorreste sapere

immersi nella Vita divina

sul Paradiso e sull’Inferno che avete dentro di voi?

L’ora felice

A Miłosz

Niente sfugge. L’ oscurità che recede, il caldo concentrato.

Mi hanno svegliato i merli. Nel loro canto la primavera e i nidi.

Gli alberi erano già alzati. Le nuvole lottavano con lo spazio.

Stavo al centro dell’incerto. La bellezza del mondo

e la vita andavano in una direzione ignota.

Indipendenti l’uno dall’altra, non ci disturbavamo

nello sgusciare l’attimo. Attraverso la porta schiusa del reale

il mattino mi portava a una incomprensibile gioia di esistere.

La lentezza del destarsi, l’instancabile battito dei mulini del cuore

la fiducia che il Mondo?, Dio? – sappiano cosa occorre fare.

Cos’è

A Różewicz

 

Sai? – dice – non so cos’è un verso

imita la vita, ma un’intervista con esso non è autorizzata.

Nega che in qualche modo sia nato da sé, spontaneamente.

Il mondo è oscurità generalizzata e chiarezza dettagliata

– disse Dio, creandolo – ciò fu semplice.

Il difficile lasciamolo agli uomini, che crescano come un albero.

A volte piove, è grigio, l’anima respira con mille foglie,

guardando in alto e arrampicandosi

lungo la corda del silenzio, quasi volesse raggiungere il cielo.

Verso ciò che è, e noi impotenti nel chiamare con la parola.

Sì, lo so, l’albero non cresce all’infinito. Le foglie,

le ghiande sanno forse di più sulla caduta e sulla crescita?

Forse il verso deve maturare fino all’ineluttabile?

Mio zio guardia forestale

 

Sempre volevo essere come lui, prima che morisse di vodca.

Querce, pini, abeti, faggi. Stavano dalla sua parte

lo rispettavano e non chiedevano i motivi della sua caduta.

Gli uomini non sanno guardare alla morte come loro.

Al capriolo in trappola, quando i suoi occhi scuri

si abituano alla fangosità del buio. Alla muscosità dei ricordi

dei tronchi abbattuti nel lungo viaggio verso la luce.

Al paziente silenzio della nebbia, che non svela la paura

alzandosi davanti al successivo mattino.

E la felce che sa di trovarci solo

nel sogno, dove fioriscono le parole. Soltanto il bosco è

la vera vita, con un passato senza sconforto

e senza colpa. Con la voce che si oppone alla tempesta,

cresce nel freddo e nella pioggia senza perdere la forza.

Non era una guida, un traduttore,

neppure un educatore penitenziario. Era tornato da Workuta (1)

Era uno degli alberi liberi, un vaso di memoria

che conduceva un ragazzo attraverso il vecchio bosco della vita.

(1) Città-lager dove l’inverno dura 9 mesi e la notte polare 6 mesi. Ricca

di carbone estratto per decenni da migliaia di prigionieri, tra cui anche

molti Polacchi. Le guardie del NKWD accoglievano i nuovi arrivati con le

parole: “Lavorerete finché non creperete”.

Il senzatetto divide

 

Be’, si prende ciò che capita, l’aria non manca

le nuvole sono gratis, e all’erba non serve un tetto.

In qualche modo si resiste, si cresce – dentro un pelame di parole

per le giornate fredde, ma non bisogna mentire agli alberi.

Non capisco perché si bruciano le erbacce

anche loro hanno i propri diritti. Forse aprirò un’agenzia

per la difesa delle cose inutili o un locale dove bere il tempo.

Per ora divido con lei la panchina e le parole.

Alcune sono forti come una tirata di sigaretta

o come dare il senso, senza filtro. Forse la vita

è dislettica, ma anche la nullità fai suoi sgorbi.

Mi presta un sorriso? Glielo restituirò, stia tranquillo.

Dalla raccolta: Didascalie a margine

 

*

che piccolo mondo! – la minaccia entra in una goccia di sudore

in una scheggia sotto l’unghia, in un brivido della pelle, in una pupilla

la paura, bella belva con la palpebra aperta, vigile, non dorme

*

entra, ti aspettavo, scopriti o parola adeguata

prima che invecchino i mobili di casa, i miei migliori ascoltatori

fatti sentire, o sorda infanzia: con l’argano del pozzo

con l’eco ferroso del secchio, con l’umido rivestimento del fondo

*

il vento di primavera ha l’orecchio assoluto, sente

come le nuvole si affidano la cura della pioggia randagia

come le foglie indicano agli uccelli dove dormire gratuitamente

*

 

conta solo su te stesso – disse l’imprevedibile

cavatela come puoi – disse l’impotenza

non fidarti troppo di me – disse la trasparenza

*

la simmetria dei contrari, il livello del mare e le verticali delle rocce

il mesto isolamento delle isole, la folla dell’agora delle spiagge

gli strumenti di precisione del vento, macinano i grani dei secoli

o Grecia, tu penetri in me come una lisca

Indirizzi di musica della signora Ishizu

 

La giapponese Ishizu non conosceva il tuo indirizzo.

Scriveva: Gould, Toronto, sentiva i suoni della mezzanotte.

E si apriva senza resistenza

il chiarore della musica

che ci attira dalla parte del bene comune

l’oscurità della musica

che giustifica il cammino verso l’ignoto

la preghiera della musica

che implora la pietà di Dio per ogni creatura

la fede della musica

che promette il seme al grembo chtonico della donna

la dispensa della musica

che nutre i sogni dei solitari oppressi dallo sconforto

la profondità della musica

da cui emerge un’isola sotto i piedi che affondano

Apritevi porte delle orecchie, apriti pietra del cuore

sollevati ferrea palpebra della notte,

svelati indirizzo del senzatempo.

2015

grandi domande
dicono che ci siamo inutilmente incatenati ad esse
se non ci sono grandi domande, non è perché esse manchino
per carenza di punti interrogativi, segnali di avvertimento
segni diacritici o d’interpunzione
sono stati recisi troppi roveri, faggi, frassini, abeti
e il silenzio ha bisogno degli alberi per fare al cielo
le trepide, elevate domande delle foglie
adesso il vento cerca risposte
ma tacciono i nidi delle parole
i chiassosi tagliaboschi mangiano e bevono
2018

(C) by Paolo Statuti