Archivio | giugno, 2012

Miron Bialoszewski

28 Giu


Miron Bialoszewski


   Poeta, prosatore e drammaturgo, una delle figure più rappresentative della letteratura polacca del XX secolo. Nacque a Varsavia il 30 giugno 1922. Durante la guerra studiò filologia polacca presso l’Università clandestina di Varsavia. Debuttò nel 1956 all’età di 34 anni con la raccolta di poesie “Obroty rzeczy” (Circolazione delle cose), curata dal noto critico Artur Sandauer. Fu subito accolta come una delle opere più importanti in quegli anni di svolta politica e letteraria. Essa rivelò infatti un poeta maturo e originale, affascinato dalla vita corrente, dal grigiore quotidiano, dalle semplici consuete cose. E’ l’opera più significativa di Miron Białoszewski, assieme a “Mylne wzruszenia” (Ingannevoli emozioni) e al “Diario dell’Insurrezione di Varsavia” (1970), scritto in prosa dove, 23 anni dopo quello storico e drammatico evento, egli descrive la sua esperienza di insorto.

   Un avvenimento importante nella vita del poeta fu la creazione nel 1955 del teatro sperimentale “Teatr na Tarczyńskiej, con Ludwik Hering e Ludmiła Murawska, dove egli rappresentava i suoi testi teatrali e si esibiva anche come attore. Questo teatro cambiò poi il suo nome in “Teatro a sé stante” e operò fino al 1963.

   Insieme con Tymoteusz Karpowicz (1921-2005), Zbigniew Bieńkowski (1913-1994) e Witold Wirpsza (1918-1985), Białoszewski è considerato il creatore della cosiddetta “poesia linguistica”, nella quale la lingua agisce come strumento di comunicazione ad ogni livello, allo scopo di attirare l’attenzione del lettore sulla pluralità del senso delle parole e sulla loro  combinazione, creando nuovi sorprendenti significati.

   Lo attiravano fenomeni quali il linguaggio deviato, alterato dall’errore, la chiacchiera balbettante, i lapsus, le coincidenze linguistiche accidentali, l’inerzia e l’automatismo. Si richiamava alla lingua parlata, corrente e infantile, verificando incessantemente i limiti del sistema linguistico. I giochi di parole nella sua creazione non sono fine a se stessi, ma rappresentano sempre la ricerca di un modo di descrivere appropriatamente la realtà.

   La sua poesia suscitava stupore. Alcuni lo ammiravano, altri lo criticavano. Figura controversa ed eccentrica, viveva “di tè e pasticche”, nichilista, sregolato, satanista della lingua, tossicomane che per scrivere aveva bisogno di stupefacenti – ecco alcuni degli epiteti usati nei suoi confronti. Il suo linguaggio è semplice, quasi di strada. Le finestre dell’appartamento sono coperte da un panno nero, per non far filtrare la luce del giorno. Non c’è il frigorifero, né la lavatrice, né il telefono, solo le cose più necessarie: un tavolo, una sedia, un armadio, il letto e un giradischi. Adorava la musica ed essa gli fu compagna per tutta la vita. Socievole, ma anche capace di scomparire senza traccia per settimane intere, per poi bussare inaspettatamente alla porta di un amico nel cuore della notte. Artista scomodo che non si adattava ai canoni. Aveva le sue idee sulla letteratura, che coerentemente realizzava. Non si curava dei soldi, anche se a volte gli bastavano appena per un piatto di riso e un bicchiere di latte. Diceva che quello era il prezzo della libertà. Non permetteva a nessuno di leggere le sue annotazioni intime. Soltanto oggi, dopo quasi 30 anni dalla sua morte, è stato pubblicato il suo “Diario segreto” – uno specchio fedele e suggestivo del poeta che con la sua creazione superò la sua epoca di alcune decine di anni.

   Morì d’infarto a Varsavia il 17 giugno 1983.

 

 

 

5 poesie di Miron Białoszewski tradotte da Paolo Statuti

 

Autoritratto sentito

Mi guardano,

dunque forse ho un volto.

Dei volti conosciuti

meno di tutti ricordo il proprio.

Spesso le mie mani

vivono completamente a parte.

Meglio allora non includerle in me stesso?

–  –  –

Dove sono i miei confini?

–  –  –

Eppure sono ricoperto

di movimento o di semivita.

Sempre però

striscia in me

piena o anche non piena,

ma pur sempre l’esistenza.

Porto in me stesso

un qualche mio proprio

posto.

Quando lo perderò,

significherà che non ci sono.

–  –  –

Non ci sono,

dunque non dubito.

 

 

Bussato con un dito

Sul fondo delle pentole

scorrazzano

i ramarri delle vecchie mani.

I cornicioni degli chignon

sotto i cornicioni degli armadi.

I boccioni delle finestre

turati coi tappi dei volti.

Le pietre

guardano

porosamente

dalle diverse rughe

sopra al mento violaceo.

Nella terra –

l’ammonite delle bare.

           –   –

Le rose dei flussi sanguigni

s’inerpicano per le scale

fino al tetto

sulle antenne del gotico.

Le mosche

attorno ai fondali delle lampade

e quelli che verso l’orizzonte

si allontanano

e autunneggiano

nei rametti d’un bozzetto.

 

 

 

 

Studio della chiave

La chiave

ha

l’odore dell’acqua chiodosa

il gusto dell’elettricità

e come frutto

   essa è acerba

   non matura

   essendo in sé tutta

   nocciolo.

 

Ragionamento dell’io sono

sono me stesso

sono stupido

che devo fare

e che devo fare

come posso sapere

e che so forse

cosa sono

so che sono

come sono

ma forse soltanto perché so

che ognuno per se stesso è il più importante

perché anche se non accetta se stesso

lo stesso è come è

 

 

 

 

 

   E’ fatta

   guardo Janek col tubo dell’ossigeno

si addormenta

   che sarà?

   ancora ancora

   penso

   quando sarà

   arrivo

   guardo col tubo dell’ossigeno

si addormenta

   quando sarà

   ancora ancora

   vado via per un attimo

   tornerò ancora

   chiedo al telefono

   – come va Janek?

è fatta

 

(C) by Paolo Statuti

Ewa Lipska

25 Giu

Ewa Lipska


 

   Poetessa e pubblicista, è nata a Cracovia il 10 ottobre 1945. Nella stessa città si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti. Dal 1970 al 1980 responsabile del settore poesia della casa editrice Wydawnictwo Literackie. Dal 1995 al 1997 direttrice dell’Istituto Polacco di Vienna. Cofondatrice e redattrice di diverse riviste letterarie, tra cui il mensile “Pismo”. Vicepresidente del PEN Club polacco. Ha ricevuto diversi importanti premi per la sua creazione letteraria. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue. Autrice di numerose raccolte poetiche, tra le ultime: “Ja” (Io, 2004), “Pogłos” (Rimbombo, 2010), per la quale ha ricevuto il premio “Gdynia”, e “Droga pani Schubert…” (Cara signora Schubert…, 2012).

   Per il suo anno di nascita e per quello del debutto, avvenuto nel 1967 con il volume “Wiersze” (Poesie), Ewa Lipska appartiene al gruppo di poeti della “Nowa Fala”, in polacco “nuova ondata” o “nouvelle vague”, o detta anche “generazione ‘68”, vale a dire gli autori nati intorno alla metà degli anni ’40, come: Stanisław Barańczak, Adam Zagajewski, Ryszard Krynicki, Julian Kornhauser e Krzysztof Karasek (nato nel 1937).

   La poetessa tuttavia rifiuta ogni appartenenza a qualsivoglia gruppo  e da anni manifesta coerentemente la propria individualità creativa, sempre peculiare, come peculiari ed espressivi sono la sua dizione poetica, le metafore, la densità di significato, il paradosso. Qualcuno a tale proposito ha detto che la creazione di Ewa Lipska è nella poesia polacca contemporanea, quello che l’ablativo assoluto è nella sintassi latina, cioè un sintagma a sé stante.

   La sua poesia si concentra sui sentimenti della sofferenza e della paura, sulla fragilità dell’esistenza condannata a morire. Piotr Matywiecki, poeta, critico letterario e saggista scrive: “La poesia di Ewa Lipska si distingue per la sua immaginazione insolitamente vivace. Con sorprendente disinvoltura nel suo mondo si può paragonare una classe scolastica alla storia dell’umanità, il traffico stradale al moto della mente, una malattia a un avvenimento pubblico. (Questo è anche il “metodo” poetico della Szymborska). Si avrebbe voglia di dire la Lipska è una poetessa sociale nel senso che non c’è per lei niente di intimo che non sia al tempo stesso quotidiano, formulabile sociologicamente”.

   Di Ewa Lipska, che è indubbiamente una delle più importanti poetesse polacche contemporanee, vogliate ora leggere alcune sue poesie nella mia versione.

Ewa Lipska tradotta da Paolo Statuti

 

L’esame

L’esame per il posto di re

andò a meraviglia.

Si presentarono alcuni re

e un apprendista re.

Fu scelto re un certo re

che doveva essere re.

Ottenne punti extra per le origini

l’educazione spartana

e per il sorriso

che prese tutti alla gola.

In storia rivelò

notevoli capacità di sorvolare.

La lingua obbligatoria

risultò la sua madrelingua.

Quando toccò il tema dell’arte

avvinse il cuore della commissione.

Uno dei membri della commissione

avvinse un po’ troppo forte.

quello era davvero un re.

Il presidente della commissione

corse a chiamare il popolo

per consegnarlo solennemente

al re.

Il popolo

era rilegato

in pelle.

 

A due voci

– Non sarò più tua moglie.

– Non sarò più tuo marito.

– I bambini non capiranno cos’è accaduto.

– Bisogna mandarli al cinema.

– I segugi dei miei pensieri hanno fiutato

la separazione.

– Una grossa cicatrice dopo questo amore

resterà.

– Lo seppelliremo visto che è giunto

così insensato.

– Le sentinelle dei ricordi metteremo

 presso la bara.

– Quanto si può tenere un cadavere

in casa?

– Quanto si può tenere un cadavere

nel cuore?

– Faremo brevi discorsi.

– Gli augureremo ogni bene.

– Affinché non ritorni.

– Forse ancora una volta…

– Non ci troverà in casa. Andiamo in tintoria.

– Troppo incauti siamo stati con noi stessi.

Prima dell’alluvione fuggivamo verso il fiume.

– Prima della siccità fuggivamo verso il sole.

Eternamente stanchi abusavamo della farmacia.

– Coprivamo le orecchie quando l’orologio ci minacciava

sonando l’allarme sonando l’allarme.

– Ci separavamo per ulteriori incontri

su una funivia. Fissando il baratro

sceglievamo l’amore che ci occorreva.

– Eravamo atterriti dalla profondità del destino.

– Soli come il deserto che non spera più nel cielo.

– E soltanto del nostro amore ancora

la camicetta di seta. Del nostro amore

il pettine.

– E le labbra

che impediscono l’accesso alla parola.

– La sera fa già fresco.

Prendiamo i cappotti dei bambini.

– E andiamogli incontro.

Il cinema è lontano.

 

Il giorno dei Vivi

Nel giorno dei Vivi

i morti giungono alle loro tombe

– accendono le luci al neon

e piantano i crisantemi delle antenne

sui tetti dei multipiani sepolcri

a riscaldamento centralizzato.

Poi

scendono con gli ascensori

verso il quotidiano lavoro:

la morte.

 

Mia sorella

Mia sorella ancora non sa

che il mondo è condannato all’atlante.

E l’atlante è un enorme piatto eternamente affamato.

E’ un giornale di paesi-modelli ritagliati. A volte fuori moda.

Che all’improvviso tutto è chiaro quando si esce dal cinema.

Che le idee aderiscono perfettamente ai manichini.

Che non c’è morte che serva di esempio.

Che la morte è soltanto di natura.

Che volendo guardare il cielo bisogna

portarlo prima alla censura.

Che il più alto sapere è nella biblioteca dello spazio.

Che l’amore è amore. E l’amore è un giardino.

Che in questo giardino bisogna sfuggire l’autunno.

Che in un giardino non si può sfuggire l’autunno.

Che nessuno impedirà più la divisione delle cellule.

Che la vita è finita quando comincia.

Che Isolda è vecchia. Soffre di reumatismi.

Che la storia è una grande pattumiera.

Serve a far sparire le date e a spaventare i bambini.

Che quando la notte per un attimo gli occhi ci adombra

si risvegliano in noi gli uccelli gridando: Terra! Terra!

E allora scopriamo un nuovo continente: l’Uomo

che sulle palpebre la calda mano ci posa…

Ma mia sorella sa già

Che A come Ada.

 

*  *  *

Non mi ha salvata l’alluvione

benché giacessi già sul fondo.

Non mi ha salvata l‘incendio

benché bruciassi per molti anni.

Non mi hanno salvata le disgrazie

benché mi investissero treni e automobili.

Non mi hanno salvata gli aerei

che sono esplosi con me nell’aria.

Si sono abbattute su di me

le mura di grandi città.

Non mi hanno salvata i funghi velenosi

né i precisi tiri dei plotoni d’esecuzione.

Non mi ha salvata la fine del mondo

perché non ne ha avuto il tempo.

Nulla mi ha salvata.

VIVO.

 

Certificato di garanzia

La nostra macchina da matrimonio

si è inceppata all’improvviso.

E benché continuiamo

a pelare i pomodori

a tagliare sottilmente l’aglio

a infarcire la serata

di parole sul sesso

e a mangiare ricordo

dopo ricordo

cerchiamo nervosamente

il certificato di garanzia

che mantiene la parola.

 

 

 

Nessuno

Sono d’accordo su questo paesaggio

che non esiste.

Mio padre regge nella mano il violino.

I bambini leccano il suono.

La corrente d’aria

investe i petali delle rose.

Poi la guerra. Ci perdiamo di vista.

A frasi intere si celano le parole.

La stanza vuota

parcheggiata nell’oscurità

dell’edificio.

Prego lasciare un biglietto

dice nessuno.

 

Natura morta

La natura morta comincia a guastarsi.

Arrugginiscono le viti dei giaggioli. Dalla frutta

di Chardin Courbet Cézanne

si leva un odore nauseante.

La tela perde la vista.

Nel bicchiere una pietra di vino.

Insopportabile il nero.

Profetiche visioni

dei dittatori della moda:

si approssima l’epoca dei lampi.

Piante terrestri anfibi e mammiferi

soffierà via il corno.

Il tempo accadrà sempre più raramente.

Sarà sempre più breve. Sempre di meno.

Dunque togli dalla borsetta il nostro amore.

E affrettati. Un brandello di oltremare

annuncia che faremo in tempo a ridere.

 

Amore

L’amore è un indovino.

Prevede se stesso te e me.

E’ del popolo eletto

e usa una lingua

ad alta tensione.

Nella Biblioteca Nazionale

macchia perfino

i libri poco letti.

In una valanga di cori

scopre un’eco

di euforia e di morte.

E quando ti raggiungerà

cerca di essere in casa.

O qualcosa del genere.

Pur di incontrarvi.

 

 

Sogno

Il sogno mi dava quindici possibilità.

Tre vie d’uscita da una situazione alquanto difficile.

In una di esse bisognava usare la chiave

che tenevo in mano.

Nel sogno proiettavano un film sulla fine del mondo.

Nessuno dei presenti in sala ha chiesto: e dopo?

Le poesie scritte nel sogno erano molto buone.

Quelle non scritte affatto – non erano peggiori.

Il tempo era come doveva essere.

Bisognava con tutto questo andare verso la veglia.

Mi ha sorpassata un gruppo di atleti

che correvano oltre il tempo.

Una vecchietta ha preso un sonnifero

ed è tornata indietro.

La veglia è sopraggiunta inattesa.

Le ho comunicato soltanto il dolore alla testa

posata male sul bianco cuscino.

Forse

Forse ancora mi resterà

sbiadita come inutile verso

una fotografia. L’ultima separazione

il cielo con la pioggia svolgerà su tamburi.

E il giorno verrà il giorno verrà il giorno verrà

nel tuo grigio stinto vestito

nella fotografia così piccola così concisa

che è possibile stringere in una mano.

E più non so più non so più non so

se tu eri o sei o sarai

forse guardi e di rimpianto è il grigiore

forse soltanto con noncuranza gioisci

forse pensi che la vecchiaia già vecchiaia

adesso da me con impeto si affretti.

Tu ti sei fermata e aspetti. Io sono in cammino.

Tu negli occhi aperti ti sei fermata.

Ed io guardare non posso non posso.

Perciò guardo mortalmente ostinata.

 Vetri

Che pena guardare quei vetri oblunghi.

Donne assonnate si tolgono il trucco dal volto.

E accanto cupi passano i viaggiatori.

Dietro di loro c‘è il paesaggio. La truppa marcia.

Nel paesaggio ci sono i tavoli. Sui tavoli c’è il vino.

A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il sorriso.

E nel sorriso c’è la tristezza. E tutto è come al cinema

in quei vetri oblunghi. Nella ragazza c’è il sorriso.

 

Fa pena guardare. Donne assonnate.

Nelle donne c’è l’amore. Nell’amore c’è la fine.

E poi ci sono solo vetri oblunghi

e la tristezza. Viaggiatori. Nell’amore c’è la fine.

 

Nei viaggiatori c’è il treno. Battono in essi le ruote.

E nelle ruote c’è l’eternità. Nell’eternità c’è la paura.

E nella paura c’è il silenzio. E nel silenzio il più silenzioso.

Nei viaggiatori c’è il treno. E il continuo gioco delle ruote.

 

Che pena guardare. La truppa marcia.

Nel soldato c’è la pallottola. E nella pallottola c’è la morte.

E nella morte c’è tutto e nulla c’è nella morte.

E nel sorriso c’è la tristezza. Nell’amore c’è la fine.

 

A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il cuore.

E nel cuore c’è un soltato. Nel soldato c’è la pallottola.

E piange la ragazza. Passano i viaggiatori.

La fresca notte si specchia nei vetri oblunghi.

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

 

 

 

 

 

 

 

Le poesie di Paolo Statuti

4 Giu

Vecchi tram

Vecchi tram

nella vecchia stazione

fuori  uso,

qua e là bucati,

corrosi, sbiaditi.

Vecchi tram

voi m’invitate:

“Perché non sali?”

 

Un brivido, un sorriso

e un lungo cigolìo

mi danno il benvenuto…

“Avanti c’è posto!

Scusi, scende?

Vietato fumare.

Fermata a richiesta.

E  guarda dove metti i piedi!”

E ancora parole…

Vecchi tram –

vecchine

truccate di ruggine e polvere.

 

Primavera

Nostalgia di primavera:

il cielo solcato da nere ali,

nei campi le ultime

macchie bianche,

il verde forte, veemente,

e le perle delle pratoline,

timide nel mare di smeraldo.

Intorno il bisbiglio degli alberi –

il primo dopo il lungo silenzio.

 

 

 

Silenzio

La luce si stende

sui corpi di marmo

degli antichi eroi

una vecchietta prega

i santi sonnecchiano

fuori il vento

accarezza i capelli

dei campi

 

Mini intervista

 

Dica, Paolo,

cosa fa Lei in Polonia?

Cosa faccio?…

Scrivo…

dipingo…

traduco…

ascolto la musica

guardo gli alberi alti

colgo i fiori di campo

seguo le nuvole che scorrono

conto le stelle che brillano

nella corona dell’eternità –

come disse Tagore.

Che cosa ancora?

Ah, sì:

cerco di capire

cosa pensa il mio gatto

che deve sapere molte cose

cerco gli occhiali

o le chiavi di casa…

E altre cose ancora…

E’ poco? E’ molto?

A me basta.

 

 

 

Il gufo

Solchi i flutti della notte

senza gorgheggi senza frulli

scivoli via silenzioso

sovrano del buio

i tuoi occhi – una corona

di topazi e smeraldi.

Come vorrei potermi celare

nelle tue soffici piume

e accarezzare con te

il velluto della notte!

 

A Masečín

Il gallo chicchiriava  presto

la mattina,

ma non m’infastidiva,

anzi mi rallegrava.

Schiamazzavano le galline

e ognuna credeva

d’essere la favorita.

Scrosciava la pioggia

e scorreva via,

scorreva via

come la vita.

 

Die Kunst der Fuge

Bach si siede:

davanti a lui si spalanca il cielo,

dietro – il silenzio

e il respiro dell’umanità.

All’improvviso dodici note esplodono

dalla tastiera:

 potenti, profonde, maestose…

Bach sorride, è felice,

sa che è la voce di Dio.

Le note irrompono, si ripetono,

si rincorrono

tra le canne dell’organo,

si allontanano e ritornano

come eco di sfere celesti.

Seduto nella mia stanza

ascolto un disco:

Bach è con me,

Dio è con lui.

Le dodici note mi danno pace

e conforto,

di tanto in tanto mi chiedono:

senti anche tu la Mia Voce?

Rispondo come in sogno:

Ti ringrazio, mio Dio.

 

Essere

Essere

come foglia al vento

come fiume scintillante

come sussurro di abete

come soffice nube bianca

come l’alba nei tuoi occhi…

sarei felice

come uccello

che solca lo spazio

con le sue piccole ali.

 

Senzatetto

Ho dato qualcosa a un senzatetto,

mi ha sorriso e ringraziato:

grazie tante, signore…

vede, io sono schiavo

della mia povertà,

ma sono felice

della mia libertà.

Poi se n’è andato.

Lo guardavo allontanarsi:

lasciava sul terreno

le sue enormi impronte

di umanità.

 

 

Ritorni

A volte tornano immagini dimenticate

come nuovo stupore

a volte tornano parole dimenticate

come nuova scoperta

a volte tornano persone dimenticate

come nuova amicizia o nuovo amore

e ogni anno torna

il fresco odore della primavera

e il dorato sorriso dell’autunno

e ogni volta

l’anima ringiovanisce un po’

eppure è sempre più vecchia.

 

Giewont

Guardando il Giewont

ogni cosa intorno

si fa più piccola

solo l’anima cresce:

si dibatte

nel suo stretto

involucro

e aspira

alla Vetta.

 

La lettera

Il fruscio delle foglie secche

punge il corpo

come vespa invisibile

sbatte una finestra

con monotona perfidia

oggi anche il sole fa il broncio

sbocconcellato da una grigia trina

che puzza di pioggia

se tu almeno fossi qui

mi diresti

che il fruscio delle foglie

è uno scherzo di Chopin

che la finestra che sbatte

è una tachicardia

e che una lettera non scritta

non è poi la fine del mondo.

 

Ho visto un uomo…

Ho visto un uomo

con un buco  nella scarpa

Il vestito mostrava

il lungo sfregamento

contro il tempo

Si è avvicinato  al banco

dei liquori

la vodka nei suoi occhi

sgorgava dalla roccia

saltellava allegra

tra i ciottoli

la fissava pensando

com’è fresca

com’è limpida

peccato…

Mansueto mi ha sorriso

e se n’è andato

come Adamo –

cacciato dal paradiso

Ho visto un uomo

con un buco nella scarpa

 

Il quinto elemento

Per trovare la terra

fa’  una passeggiata

Per trovare l’aria

spalanca la finestra

Per trovare il fuoco

accendi un fiammifero

Per trovare  l’acqua

apri il rubinetto

Per trovare l’uomo

prendi uno specchio

Lo riconosci subito

ha testa braccia e gambe

cammina in posizione eretta

vede sente parla

come robot è inodore

come uomo spesso si lava

eppure quando passa

si lascia dietro

una scia selvatica

accumulata dai tempi

della pelle e della clava.

 

L’aspirina

Bisogna essere malati

e stare in letto

per vedere le crepe nel soffitto –

come i segnacci sul quaderno

per scoprire

che i fiori nel vaso

sono già appassiti

come le mani della nonna

che i libri sono impolverati

come quella strada di campagna

che il gatto nella cartolina

somiglia tanto a Mustafà

che il pavimento

è di color nocciola

come i gelati di Romolo

davanti alla scuola

che un profilo sul muro

sembra quello

del Corsaro Nero…

– A cosa stai pensando,

hai preso l’aspirina?…

Cara vecchia pasticca –

come una calda carezza

in un inverno lontano.

 

 

Morte di un amico polacco

Caro Zbyszek,

qui dove frusciano i ricordi

e il sasso geme

sotto il piede amico,

improvviso sei giunto

e subito cortese, esitante,

hai chiesto d’unirti

al coro dei silenzi,

ma immaginarti silenzio

io non posso:

troppo umana e schietta

era la tua voce.

Continuità

L’abito chiaro dell’alba

gli occhi spenti delle case

il pizzicato degli uccelli

il brontolio delle caffettiere

il viavai  nei bagni

i saluti plastificati

il grugnito delle vetture

L’abito scuro della sera

gli occhi accesi delle case

le avide occhiate

il clic degli interruttori

il cigolio delle reti

i sogni i ronfi

le coscienze archiviate

 

Roma

Roma, ogni notte

ti getti nei vortici

del tuo amante

e scorrete insieme

finché la draga dell’alba

non ti ripesca

grondante di luce

e di amore.

 

Erotico

Taci. Non dire niente,

ascolto il tuo respiro

come canto di uccello

all’alba,

come adagio di ruscello

montano.

Nella stanza buia

a un tratto i fari d’una macchina

e il lampo dei tuoi seni –

come due coppe dorate.

Taci. Non dire niente,

non senti anche tu?..

– il cielo sempre più vicino,

il mondo sempre più lontano…

 

Le stelle

Perché tutte quelle stelle

quello spreco di argento e cobalto

a chi serve tutto quello sfavillio

perché quei miliardi di sguardi

puntati sulla nostra piccola trottola

che gira tranquilla per i fatti suoi

Forse sono lì per ricordare

che dopo il giorno viene la notte

forse sono solo un ornamento

per la gioia degli occhi

o forse – più probabile –

sono lì per sbalordire

per impressionare

per mettere a disagio

davanti a una nudità

così sfrontata e provocante

Una strada buia

in montagna

camminando a testa in su

pensando

ora la Terra è inerme

sotto il fuoco incrociato

del Cielo

Stelle leggiadre e superbe

sprofondate nel baratro dell’infinito

sembrano sapere qualcosa

e di tanto in tanto strizzano l’occhio.

 

Betulla

Albero – angelo

albero – ricamo

albero buono

albero pietoso

albero piangente

albero – croci

sei così bianco

che ti vedo da lontano

e subito penso:

compagna amorosa

consolante rifugio

bellezza serena.

 

Ascoltando Bach

Mio caro, diletto Bach,

lascia ch’io ti ringrazi

per la tua musica.

Essa è una dolce visione,

dove cherubini e serafini

cantano in coro

la quiete dell’anima

e la gioia di essere.

Nel fluire delle note

il cuore torna sereno,

le pietre che lo schiacciano

diventano piume,

le catene che lo legano –

ghirlande di fiori.

Le note penetrano

sempre più a fondo,

là dove si ha più bisogno

di conforto e di amore.

Il tuo sorriso

è il sorriso che Dio

ti ha rivolto

quando morendo

gli hai portato in dono

le tue armonie…

le Sue armonie!

La pioggia

Senti?

sul davanzale della finestra

la pioggia esegue

il suo balletto:

passo semplice, passo doppio,

vivace, allegro, smorzando…

Le foglie degli alberi

applaudono in silenzio

per non disturbare la musica

che scende dal cielo.

Sui vetri gli occhi delle gocce

osservano la danza

vibrando di gioia

e di commozione.

 

La cantina dei ricordi

A volte scendo

nella cantina dei ricordi

prendo una bottiglia

d’una buona annata

tolgo con cura la muffa

e levo il tappo

Già pregusto un sorso

di giovinezza –

il primo segreto

la prima promessa…

ma inatteso un topo

mi passa accanto

e da lontano mi osserva

Nei suoi occhi imploranti

leggo una coltre

di calda soffice peluria

che protegge i ricordi

dalla paura

 

Gli alberi

Vanno tenendosi per mano

e guardandosi negli occhi

gli alberi –

i milleocchi della terra –

essi guardano soltanto

gli alberi non hanno orecchie –

come potrebbero resistere

al chiasso degli uccelli?

gli alberi non hanno la bocca –

cosa potrebbero rispondere

alla prepotenza del vento?

gli alberi sono felici

senza sentire

gli alberi sono saggi

senza parlare

gli alberi muoiono in silenzio

e il loro ultimo desiderio

è leggere ancora una pagina

di cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

La vita

Torno dal lavoro

cammino e penso

un’altra vite in meno

nell’ossatura dell’esistenza

Sento alle spalle

la vita che mi pungola

che ha fretta

Non le interessa

l’uomo che vende le mele

del suo giardino

il bimbo che addenta

una pagnotta

ancora calda e fragrante

la ragazza che scivola via

bella nel suo tailleur

color pesca e leggera

come un alito di vento

la vecchietta che racconta

qualcosa al suo bassotto curioso…

Le interessa soltanto

che io arrivi a casa presto

mi sdrai in poltrona

e osservi come essa

si esibisce alla televisione.

 

Esortazione

Dove correte!

Fermatevi un istante,

o indaffarati,

spogliatevi dell’abito che ormai

ha il peso della notte,

quando le palpebre

vacillano ubriache,

quando la mente

sta per annegare.

Tutta la vita –

come accendere una sigaretta?

Tutta la gioia –

come premere il pedale?

Sappiate!

Ancora non è spenta

la luce che ignorate e seppellite

ogni giorno nell’asfalto,

luce antica e perenne –

Poesia:

vuoi aspra, vuoi dolce,

vuoi lieta o disperata,

ma sempre ardente,

e mai famelica,

 mai spietata.

 

Natale

 

Di nuovo è Natale:

sulla grotta brilla la cometa,

dal cielo scende un canto di pace.

La dolce Mamma

culla suo Figlio e tace.

Lo Sposo li guarda con amore

e sussurra:

– Maria, ha gli stessi tuoi occhi,

com’è bello!

Ma il Piccolo trema,

ha bisogno di calore,

allora un bue e un asinello

gli offrono il loro fiato buono.

Il Bambinello sorride,

ringrazia per quel dono,

poi rivolge ai genitori,

agli animali, ai pastori,

al mondo intero

queste sante parole:

– E’ Natale,

da oggi amatevi,

non fatevi del male!

 

 

 

 

Alba

 

La betulla si veste di rosa,

gli uccelli accorrono e gridano:

– Come sei bella!

Nell’erba il grillo sbadiglia

e accorda il violino.

Il contadino riprende

la via dei campi,

l’impiegato la via dell’ufficio,

il prete la via della sua chiesa,

ed io riprendo la via dei miei sogni,

sempre così vivi e colorati

sempre così sinceri e…irreali.

 

 

In memoria di A.M.R

 

Dopo tanto sfolgorìo

Dopo tanto logorìo

O incantato esploratore

Delle lettere slave

Instancabile cesellatore

Di fantasiosi accenti

Hai serrato per sempre

La tua bottega di portenti

E hai tolto l’insegna:

U zlaté studnĕ.

La Praga di Jaroslaw

La Mosca di Anna e Marina

La Pietroburgo di Aleksandr

Ti chiamano al Gran Festino…

Va’ non tardare

Sei tu l’ospite d’onore –

Angelo Maria Ripellino.

 

 

 

 

 

Invito alla Vergine

 

Vergine Santa,

sei libera stasera?

Ascolta, ho un’idea…

 

Per un istante voglio toglierTi

all’angoscia del Golgota,

voglio veder scomparire

le lacrime che rigano

il tuo volto dolente.

In una chiesetta di legno

annerita dagli anni

e immersa nelle betulle,

c’è un vecchio organo

che tace da tempo,

ma stasera

lo soneranno per Te

i tuoi celebri cantori:

Vivaldi, Bach, Schubert

e altri ancora.

Potrai chiedere anche

tutti i bis che vorrai,

essi non Te li negheranno.

Poi alla fine del concerto

ci saluterai felice sulla soglia

e ognuno Ti ringrazierà

e porterà a casa

le tue dolci sembianze

nel cuore.

 

Vergine Santa,

sei libera stasera?

Ascolta, ho un’idea…

 

 

 

 

 

 

Pasqua

Tre giorni al buio

e nel silenzio del Sepolcro,

poi esplodono la luce

e le trombe degli angeli.

In pochi secondi

la Risurrezione!

La profezia si avvera,

Cristo vola verso la sommità

dell’universo

e lancia al mondo la sua promessa:

un giorno tornerò…

La Croce cui era inchiodato

è diventata il trono

dell’Eterno Amore.

 

 

 

 

Tramonto

 

Le case paonazze

si coprono gli occhi

coi verdi palmi

delle persiane

Un cane scodinzola

spargendo

aghi di sole ramati

Il mare

contagiato dallo sbadiglio

dei pesci

rimbocca le onde

preparando il giaciglio

alla notte.

 

 

 

 

 

 

Passeggiata

 

17.00. Ti parlo,

ma non è la mia voce,

essa tace,

ti parla la voce del bosco.

19.00. Ti guardo,

ma non coi miei occhi,

essi sono offuscati,

ti guardano gli occhi delle stelle.

20.00. Ti sorrido,

ma tu non mi vedi,

ti accecano le fiamme del tramonto.

Ora scenderà dal cielo un angelo

e le spegnerà

sotto una coltre di cobalto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Preghiera

 

Mio Dio,

sapienza eterna e infinita,

signore dell’universo,

creatore della vita,

essa è labile come filo d’erba

ma assai ricca di tuoi portenti.

Ascolta la mia preghiera:

dammi la forza di amare,

la saggezza per ben operare,

la speranza per non soccombere,

la fede per credere fermamente

che Tu sei il mio buon Padre,

che mi ami e mi proteggi

in ogni istante.

Lo so, tante volte ho peccato,

ma per la tua pietà

oso sperare, mio Dio,

che mi perdonerai

e mi sorriderai

nell’ora del supremo addio

alla vita mortale.

Amen.

 

Ascoltando Strauss

 

Trin…trin…trin…

tum…tum…tum…

zing…zing…zing…

zannnnnnnn!

sussurrano le note tra loro

rimbalzano sulle spalle nude

si rincorrono tra le vesti-campane

si riflettono sugli alamari d’oro

sulle scarpe-specchi

i violini accarezzano l’aria

i flauti sorridono

i tamburi esultano

i lampadari impazziscono di luce

un fiume scorre

un pipistrello fischia

un bosco racconta

donne vino canto…

caro Strauss,

dovevi essere tremendamente felice

o anche tremendamente triste.

Solitudine

Solitudine

dell’ultimo fiore

che muore nel giardino,

del nido tra i rami

d’un albero spoglio,

della cassetta della posta

eternamente vuota.

Solitudine

d’un cane abbandonato

e d’un uomo

al suo ultimo respiro.

In treno

Torno a Varsavia

il treno scivola via

sui pattini-rotaie

tempo e spazio

racchiusi nel vagone.

Nel campo una mucca

suona il fagotto

e concede bis

che nessuno richiede.

 

Ritorno dalla Russia

 

Ho fumato l’ultima Stoličnaja,

ho bevuto l’ultimo goccio di vodka,

ma rimangono i ricordi

rimane la nostalgia…

Sante chiese di Russia,

incanto di tombe – altari:

tomba di Lev , bella e  solenne,

tomba a Peredelkino , come un’icona,

candele a Peredelkino, fragili e vibranti,

alla vostra luce religiosa

io dico spasibo

e ripeterò spasibo

ormai per sempre.

 

Don Chisciotte

 

Cavaliere della Mancia,

ti vedo alle prese coi giganti.

Dulcinea come sempre

ti è accanto e ammira

il tuo coraggio,

sicuramente ti ama.

Anche Sancio a modo suo

ti ama e ti dà consigli,

ma tu giustamente

non lo ascolti.

Ecco ora sei partito

a lancia bassa,

ma…che succede…?

Dei maligni stregoni

hanno trasformato i giganti

in mulini a vento

e una pala ti ha colpito in pieno.

Ora Sancio si ubriacherà

dal dispiacere.

Ronzinante farà un nitrito

di plauso,

scoprendo i denti gialli

e cariati.

E la dama del Toboso

ti bacerà ,

facendoti arrossire.

Don Chisciotte,

patrono dei poeti,

ogni notte in cielo

 

vedo la tua stella,

non posso sbagliare,

perché è l’unica stella errante.

 

Dipingendo l’autunno

 

Siedo

i colori attendono

e si chiedono:

quale sarà il mio posto?

Guardo:

il verde mi consola

il giallo mi illumina

il rosso mi rallegra

l’azzurro del cielo mi ispira

i colori attendono

e sanno

che troveranno un posto

sulla tela

e pazienti mi guardano…

 

Autunno

 

La pioggia

dietro i vetri

le foglie piangono

lacrime – cristalli.

Leggo un libro

 a tratti guardo

e penso:

vorrei dissolvermi

nel tuo umido tepore

e lambire le tue labbra

o Autunno – Amore.

 

Necrologio

 

Sai, è morto…

Ma no! Davvero?

Un coro di elogi

sospiri e pianti.

Ma perché?

Là di sicuro egli è felice,

la sua tomba

sguazza nell’erba,

ascolta un concerto di allodole,

un terso ruscello lo disseta

e in esso

come un chiassoso corale –

russano le rane.

 

Il sorriso della rosa

                                                Ad Olga

Quando la rosa si schiude

sorride

e dai petali affiora l’anima,

come dal viso della Gioconda.

Il suo colore non conta,

la rosa è sempre bella,

e sorride…sorride

fino all’ultimo sospiro.

Le spine sono il suo destino,

il suo ornamento ingiunto,

la lieve malinconia

del suo sorriso.        

 

Sainte-Victoire

 

                                            A Catherine

 

Sainte-Victoire,

che tanto hai dato

e ricevuto

da Cézanne,

e sei stata compagna

delle sue gioie

e dei suoi timori,

nei ritratti che ti ha fatto

si leggono

le vostre due anime

unite,

e si sentono

le note della tua sinfonia.

Adesso siedo davanti a te

con i miei colori

e ti guardo incredulo,

provando anch’io

gioia e timore.

Perdona la mia ambizione,

credimi:

è un mio vecchio sogno

che solo oggi si avvera.

 

 

Amore

                                            A Rosy e a Claudio

 

Amore, oggi pensavo…

quante belle parole scritte su di te,

che riempiono più la bocca

che il cuore.

Quante facce ti hanno dato,

quante volte ti hanno visto:

nell’uccello che imbecca i suoi piccoli,

in un pane dato a chi ha fame,

nella cura di un lebbroso,

nel pianto di una vedova

e in quello degli orfani,

nella gioia dell’amore corrisposto

e nel dolore di quello respinto…

Quante volte ti hanno letto:

nelle poesie e nei quadri,

nella lettera di san Paolo,

nelle lettere di un soldato dal fronte…

Quante volte ti hanno sentito

nella musica di Chopin…

Anch’io ti ho incontrato tante volte

e ho creduto

di capire il tuo segreto,

eppure mi sei sempre così lontano…

 

E pensando,

a un tratto mi è venuto in mente

l’amore mercenario

della Maddalena

e le parole di Cristo:

– Io ti perdono, va’ e non peccare più!

Dimmi dunque, amore,

è questo il tuo volto più vero?

E’ questo il tuo segreto?

 

Musica

 

E’ l’alba. La luce

bacia le tenebre

e il silenzio del cielo

accoglie il risveglio

della terra,

i suoni ritornano,

le voci umane

si fondono e coprono

il pianto di chi nasce

e il gemito di chi lentamente

si spegne,

come le note di un accordo.

Il sospiro del vento

accompagna

la marcia dei pellegrini

e i rintocchi della campana

portano sollievo,

come fresca mano

su una fronte ardente.

 

Giulietta

 

A Verona

c’è un balcone

scoperto da un poeta

guidato dall’amore.

Quando cala la sera,

sotto la luna,

diventa il salone

dove Giulietta

ballava con Romeo.

Chiunque può salirci,

incontrare Giulietta

e dirle: ti amo.

Un giorno lo feci anch’io,

sorrise e rispose,

lo sguardo fisso lontano:

– Conosci la mia storia,

io sono morta con lui…

Romeo…Romeo…

forse solo il suo amore

era vero…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Natale polacco

 

                                             A Marek Baterowicz

 

Caro Zbyszek,

neppure a Prima Porta

riposi in pace.

Sognavi una Vigilia

di gioia serena,

ma di colpo

è cambiata la scena:

fischia un vento gelido

che scuote la Grotta,

in ginocchio nel fango

la Madonna trema,

sparano ai pastori,

la neve si arrossa.

Inoltre piange a dirotto

e mancano gli ombrelli

della rassegnazione.

Sognavi il Natale,

ed è la Passione.

 

                                         Roma,  Natale 1981

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La finestra della vita

 

Sul muro del convento

c’è una piccola nicchia

chiusa da una finestrella.

Qualunque madre può aprirla

e deporvi il “frutto del suo seno”.

Tu inizi così il tuo cammino:

da una parte respinto,

da un’altra accolto da un sorriso.

Tu ancora non capisci

le vicende della vita,

guardi tua madre

che si allontana furtiva

e aspetti che torni…

A un tratto senti un campanello

e il grido di gioia

della suora che ti ha visto,

ma tu ti spaventi

e scoppi a piangere:

no, non è tua madre,

lei aveva gli occhi chiari…

 

(Paolo Statuti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Poesia

 

Se non sai cos’è la poesia,

immagina d’esser sordo

e udire scendere

dal cielo un accordo…

immagina d’esser cieco

e vedere accendersi

il fuoco del tramonto…

immagina d’esser muto

e poter dire:

tu piccola stella

risplendi, tremando

d’infinito…

 

(Paolo Statuti)

 

 

Riflessione di Capodanno

 

Mio Dio,

sono stanco:

stanco di vedere le ossa sporgenti

e gli occhi spenti

dei bambini che muoiono di fame,

stanco di vedere i vecchi

tristi e abbandonati,

stanco di guerre, violenze,

intolleranza, incomprensione, 

tradimenti, ipocrisie, disprezzo e odio,

stanco perché nella vita

mi hai concesso di fare molto.

Tu hai creato la Terra e l’uomo,

ma gli hai dato la possibilità

di fare il male.

Perché? Perché l’hai fatto?

Certo, hai creato anche il bene,

ma quanto è difficile

incontrare questo sfuggevole compagno,

guardarlo negli occhi,

piangere di gioia e sussurrare:

finalmente ti ho trovato,

d’ora in poi cammineremo insieme…

In questo fine anno

auguro a tutti questo luminoso e felice incontro.

Mio Dio,

perdonami questo sfogo

e sorridimi…

sono stanco, tanto stanco.

Quando mi chiamerai?

Quando potrò riposare?

 

(Paolo Statuti)             2009

 

 

Amore

 

Amore che incanti e tradisci

che infiammi e ferisci

che illudi

che ami, che uccidi…

Quante volte ti ho chiesto:

dimmi, in realtà chi sei –

il buon samaritano

o l’eterno ciarlatano?

E  in risposta ho sempre visto

sul tuo dolce viso

un ironico sorriso.

 

(Paolo Statuti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il vecchio albero e il fiore

 

Vedi, cara?

La mia corteccia è già crepata

come argilla arsa dal sole,

il sole che ho tanto amato

pur essendomi così lontano…

Nella mia lunga vita

ho visto tanti fiori

intorno a me,

ma non tutti mi apprezzavano,

non tutti mi amavano,

e nessuno era come te

che senti tra i rami

il mio cuore pulsare

e vedi con le foglie

i miei versi vibrare.

Ti ringrazio,

come la vela ringrazia il vento

che ancora la spinge sull’onda

verso l’ultima sponda.

 

(Paolo Statuti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sherazade

 

Sei ancora a Bagdad,

il tuo abito è sempre lo stesso:

tulle, seta, ricami dorati,

gioielli alle dita,

un diadema sui capelli sciolti,

cammini agile e leggera,

quasi danzando.

Sì, sei sempre la stessa,

ma adesso nei tuoi occhi ambrati

leggo fiabe diverse

di rovine e morte.

Sei sempre a Bagdad

ma soltanto io ti vedo,

nessuno ti riconosce

e forse neanche ti ricorda.

Ti chiamo, ti chiedo

di fermarti un istante,

ma tu non mi vedi,

non mi senti e prosegui

alla ricerca

del tuo mondo incantato

 e delle tue notti inebrianti.

Addio, Sherazade!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pittura all’aperto

 

Siedi davanti alla natura:

guarda, concentrati, sii umile

e pronto a sentire

i suoi fremiti e sussurri,

il suono dei suoi colori.

Essa guiderà la tua mano,

affinché nel tuo quadro

ci sia un soffio

della sua immensa anima

e almeno una piccola ombra

del suo immenso amore.

 

 

10 aprile 2010

 

prima silenzio

poi un rombo

uno schianto

uno scoppio…

poi di nuovo silenzio

nel bosco di Smolensk

e in milioni di cuori

polacchi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foglie d’autunno

 

Chi dice che l’oro non arrugginisce?

Guarda le foglie d’autunno

che muoiono smentendo la Natura…

Prendine una che già adorna il suolo,

accarezzala con lo sguardo

e posala tra le pagine d’un libro…

Un giorno ti servirà per ricordare:

l’oro – i momenti più belli,

la ruggine – che sei mortale,

e quando sarà giunta l’ora

restituiscila all’aria, alla pioggia,

al vento, al sole, alla terra,

alle tante compagne care

che l’hanno preceduta,

come aprendo la gabbia a un uccello

che ancora canta e scuote le ali,

ma che ormai non sa più volare.

 

 

Dalla mia finestra

 

I rami oscillano,

le foglie tremano,

il cuore ricorda

un motivo antico:

forse una ninnananna,

forse una barcarola;

intorno lo spazio riempito

di soffi colorati,

come in un paesaggio

di  Cézanne.

 

 

 

 

 

 

 

 

La nostra Terra

 

Su questo granello dell’Universo

c’è chi odia anziché essere indulgente

chi uccide anziché amare

chi vuole la guerra anziché la pace

chi distrugge anziché proteggere

chi arraffa anziché elargire

chi delira anziché ragionare…

e i saggi animali guardano increduli

e non riescono a capire

mentre l’occhio di Dio

che tutto vede

aspetta tollerante

che l’Uomo ritrovi il senno

finalmente

su questa nostra Terra

così inerme e tuttavia

così arrogante.

 

(2010)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vecchio violoncello

 

Vecchio violoncello

annerito dal tempo

e accantonato

come una cosa inutile

ora sei come un fiume

di voci imprigionate

di carezze represse

sei come un nido abbandonato…

Ricordo il nonno

che ti stringeva a sé

per eseguire “il Cigno”

tutta la casa allora si fermava

per ascoltare

e anche gli uccelli tacevano

solo le tende vibravano

la sala si mutava in un lago

e il cigno scivolava via

fiero della sua bellezza

e del suo soffice candore

e noi lo seguivamo…

Com’è irreale

ora il tuo silenzio

rotto soltanto

dai rumori della strada

che non cessano mai…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

HAIKU

 

Pittore – autunno

con l’ultimo colore

indora il bosco

 

Il lago indossa

il cappotto di ghiaccio

e si addormenta

 

La foglia cade

e con le labbra arse

bacia la terra

 

L’arpa del fiume

e gli zufoli – uccelli

danno un concerto

 

Quiete di neve

qua e là interrotta

dalle cornacchie

 

Coi mille occhi

gli alberi leggono

brani di cielo

 

Sereno il grano

attende il carnefice:

la falciatrice

 

La vela gonfia

scortata dai gabbiani

gioca col vento

 

La formichina

trascina il suo fardello

ha il fiato grosso

 

 

 

Cigola il carro

lontano gli risponde

una campana

 

La mia Musa

Non so dove vive la mia Musa:

forse in una conchiglia

in fondo al mare

in un soffione dissolto dal vento

in un fiocco di neve

o anche in un tenero bacio

in un mite sorriso

in un pianto sommesso

in un grido disperato

forse vive in tutto questo

e in altro ancora…

La mia Musa è parca e modesta

non mi lusinga non mi vizia

anzi mi visita di rado

appare sempre all’improvviso

con un lampo di gioia

si avvicina sfiora

le mie docili corde

col suo magico archetto

e mi sussurra:

adesso ascolta e scrivi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domani

 

Domani di nuovo

il chiarore dell’alba mi sveglierà

con un respiro di sollievo

con un soffio di speranza

Domani di nuovo

le ore passeranno veloci

come antilopi in fuga

Domani di nuovo

cercherò risposte

ad astruse domande

e di nuovo ascolterò

il lieto canto della Natura

e le chiacchiere della gente

Domani di nuovo

spegnerò la luce

e mi addormenterò

nella gioia del silenzio.

 

L’ultimo desiderio

 

Morire solo

all’improvviso

senza un commiato

senza un sorriso

tendendo le braccia

come estremo saluto

al mondo perduto

ed entrare nel nuovo

serenamente

senza pretese

senza chiedere niente

solo di poter volare

nell’infinito

leggero e contento

come foglia al vento

 

 

Riflessione di Capodanno II

 

Vedo un ragno che tesse la tela,

la falena pazza di luce,

l’onda che rincorre l’onda,

il sole che sorge e tramonta,

l’iride che fende il cielo,

vedo un sorriso, un fiore…

di questo – grazie, o Signore!

 

Sento le note di un corale,

il fischio di un uccello,

le carezze del bosco,

la pioggia sul tetto,

la voce del mare,

il battito del cuore…

anche di questo –

grazie, o Signore!

 

E guardo la volta celeste

in una notte serena

e vedo miliardi di stelle,

e Ti chiedo: perché?

Perché hai creato

questo firmamento

misterioso e infinito,

che nel mio mondo

mi fa sentire

inerme e smarrito,

e come in bilico

su uno strapiombo?

Perché?

 

Tendo l’orecchio ad una spiegazione

e dall’alto mi giunge la Tua voce:

– E’ così com’è e non c’è una ragione!

 

(Paolo Statuti)     2011

 

 

Il terremoto

 

Quando la terra comincia a tremare

all’improvviso

in un’ora qualunque

del giorno o della notte,

il cuore si stringe,

il sangue si gela,

negli occhi leggi la paura,

un istante sembra un’eternità.

Non sai quanto durerà ancora…

Che fare?

Sai soltanto che devi scappare,

scappare prima che il tetto –

tuo rifugio finora –

diventi la tua tomba.

E intanto la terra romba

e senti solo boati e schianti,

e grida e pianti,

e intanto qualcuno muore…

Ti guardi intorno:

la strada è deserta e spaccata,

le case sventrate,

le chiese crollate

e in mezzo al polverone

tra le macerie,

un cane cerca il suo padrone…

 

(Paolo Statuti, 2012)

 

 

La mia ultima preghiera

 

Mio Dio,

quando mi chiamerai,

accoglimi con un sorriso

per come sono,

per quello che ho fatto

e non fatto nel bene e nel male,

non essere un giudice severo,

sii misericordioso,

ma con tutto il cuore t’imploro,

non farmi tornare mai più

su questo Pianeta:

potrei essere un corrotto

o un terrorista,

un padre senza lavoro

oppure un analfabeta,

un mafioso o un camorrista,

un bambino che muore di fame,

un clandestino annegato,

una donna violentata,

una pianta malata tra i rifiuti,

un pesce soffocato dalla plastica,

un uccello avvelenato

dall’aria inquinata.

Se devo rinascere, mio Dio,

trovami un luogo

nell’immenso universo,

lontano dall’uomo

e vicino ai saggi animali,

e se mi vedrai triste e solo

mandami un Tuo angelo

con tre ali,

sì, un angelo poeta,

musicista e pittore,

con una poesia da tradurre,

una cantata da ascoltare

e una tela da dipingere insieme.

Grazie, mio Dio e adesso –

l’ultimo favore –

che la mia anima

sia per sempre preda

del Tuo Infinito Amore!

 

Canto amaro

 

Tre soldati sopra un carro,

tre come tanti altri.

– Che fai?! E’ disarmato!

– Fermo! E’ un ragazzo!

– E con questo? Lo stendo io!

– Perché lo hai fatto?!

Quando il sole cala

perché non riposi?

Non profanare il silenzio,

nascondi il fucile,

taci, dunque!

Le tue vane parole

offendono la notte.

Quanti torti, mio Dio!

Quanto sangue e pianto,

le lacrime sono cristalli

che brillano invano,

lo so, ma il riso è infame.

Ascolta! Qualcuno chiede:

– Vuoi morire?

Non temere,

un cieco non vede,

un sordo non sente.

Quei soldati sul carro

li conosco da tanto:

uno mi difenderà,

uno mi libererà

e uno mi ucciderà.

E così finirò

tra le mummie del passato

accanto a un fiore che nasce

per milioni di affamati,

per milioni di condannati

all’odio eterno.

Sventola un vessillo bugiardo

e il vento è suo complice,

c’è scritto: “Pace e libertà”.

Ma quando sarà?

Ride il vento e mi risponde:

– Non lo saprai mai.

Triste presagio…

Cammino lentamente

lungo un sentiero erboso,

mentre la luna

lascia a malincuore

un filo d’erba, un fiore,

l’impronta dei miei passi

al primo sole.

Un cane abbaia,

forse cerca una compagna,

passa un vecchio e mi guarda

indifferente,

sembra chiedermi:

– Dove vai?

Tanti anni ho trascorso

e nessuno mi conosce…

Cosa pensi? Che vuoi fare?

Passa una vecchia

in abito nero,

la faccia bianca,

lo sguardo amaro…

Barcolla e sputa

sulle verdi foglie

coperte di rugiada.

Mi grida: – Hai sbagliato strada!

Il sentiero è chiuso,

ci sono i soldati

che non lasciano passare.

Mi annoia la sua voce roca:

– Ci sono i soldati, ti spareranno,

torna indietro,

oltre quel sentiero

non c’è amore,

non c’è speranza.

Mi guardo intorno e ascolto:

silenzio e solitudine.

Mi nascondo, sento uno sparo,

il sole all’improvviso

non riscalda più il mio corpo,

ho paura,

ma perché…

se già sono morto?

1969

Quando me ne andrò…

Quando me ne andrò

resteranno le medicine

che prendevo mattina e sera

(se mi ricordavo)

i vestiti le scarpe

che forse andranno

a un immigrato

peccato che non vedrò

come gli stanno

resterà un calzino bucato

che mia moglie

voleva rammendare

un mucchio di carte e di libri

che poi bruceranno…

una poesia non tradotta

una tela non dipinta

un corale non ascoltato

un “ti amo” non detto

un sorriso non fatto…

e una macchia di caffè

sulla scrivania

che per quanto abbia fatto

non è mai andata via.

Quando me ne andrò

Resterà tutto questo.

27.1.2015

Lampedusa 

L’Italia! Lampedusa!

Sono arrivati

sfiniti affamati

ma felici

si abbracciano

sorridono

piangono di gioia

vogliono lavorare

vogliono vivere!

Sognano un’officina

un cantiere

una pizzeria

un supermercato

sono in tanti

su quel barcone sgangherato

e tutti vogliono

la stessa cosa:

un sorso d’acqua

un po’ di pane

ora la terra

è a portata dei sogni

è così vicina

incredibilmente vicina

eppure…no…

è lontana

ancora lontana

troppo lontana

inaspettatamente lontana…

lontaaa…looonnn…

looooo…

lll…aaa…!

4.10.2013

Il pianoforte

Pianoforte di casa mia,

pieno di tarli e di nostalgia,

che bel suono un tempo avevi,

quanti applausi ricevevi!

Ora sei solo con le corde antiche –

le tue mute care amiche.

Ricordo che cantavo con te

Fior di giaggiolo: eravamo in tre

con la mamma che accompagnava,

mentre Beethoven ci guardava.

Vicino a te pende ancora il diploma

che la mamma prese a Roma.

Ora vivi solo di ricordi

di tante note, di tanti accordi.

Chopin ti ha lasciato la sua impronta

e quando fuori la pioggia gronda,

risuona il preludio della goccia,

che batte e ribatte sulla roccia…

Vecchio pianoforte così scordato,

Pieno di acciacchi e così forato,

La polvere che copre la tua armonia

è la cipria del tempo che vola via.

2015

 

La Festa dei Morti

 

Oggi i Morti sono assai indaffarati:

all’alba sono già svegli

si fanno gli auguri a vicenda

si baciano e si abbracciano

si presentano ai nuovi abitanti

poi si preparano ad accogliere

con gioia chi li viene a visitare

coi fiori in mano

e il passo incerto

Oggi i Morti rivivono con noi:

ascoltano i nostri sospiri

leggono i nostri desideri

asciugano le nostre lacrime

o fotografano i nostri sorrisi…

pregano con noi

Poi quando ce ne andiamo

e il silenzio torna ad avvolgere

i marmi le fronde e i lumini accesi

ancora per un po’ ci pensano

poi si riaddormentano felici

cullati dai nostri ricordi.

(2015)

I colori dell’Amore

L’Amore è giallo

come l’oro

l’Amore è verde

come il prato

l’Amore è azzurro

come il cielo

l’Amore è rosso

come il fuoco

l’Amore è nero

come una notte

senza luna

e senza stelle.

Una dolce nostalgia

Ricordo avevi dieci anni

e sorridevi felice

di essere mia figlia.

La musica disegnava

un cerchio che ci univa

e ci cullava.

Come due uccelli senza ali

volavamo alti

nel cielo di Jeddah.

Faceva molto caldo,

ma nei nostri cuori

regnava una fresca e dolce

primavera…

 

Il terremoto – una poesia di Paolo Statuti

3 Giu

Dedico questa mia poesia a tutti i terremotati di ieri e di oggi

Il terremoto

Quando la terra comincia a tremare

all’improvviso

in un’ora qualunque

del giorno o della notte,

il cuore si stringe,

il sangue si gela,

negli occhi leggi la paura,

un istante sembra un’eternità.

Non sai quanto durerà ancora…

Che fare?

Sai soltanto che devi scappare,

scappare prima che il tetto –

tuo rifugio finora –

diventi la tua tomba.

E intanto la terra romba

e senti solo boati e schianti,

e grida e pianti,

e intanto qualcuno muore…

Ti guardi intorno:

la strada è deserta e spaccata,

le case sventrate,

le chiese crollate

e in mezzo al polverone

tra le macerie,

un cane cerca il suo padrone…

(C) by Paolo Statuti