Tag Archives: Jan Kasprowicz

Jan Kasprowicz (1860-1926)

14 Lug
Jacek Malczewski: ritratto di Jan Kasprowicz

Jacek Malczewski: ritratto di Jan Kasprowicz

Jan Kasprowicz (1860-1926), poeta, drammaturgo, critico, traduttore, uno dei principali rappresentanti del neoromanticismo polacco, noto sotto il nome di Młoda Polska (Giovane Polonia).

Nelle sue prime opere si avverte l’influenza del romanticismo inglese e della filosofia tedesca, ad esempio nel poema Giordano Bruno (1884), successivamente fu vicino al naturalismo, affrontando la tematica contadina, come nel ciclo di poesie Dal casolare (1887): 40 sonetti, scritti nella prigione di Wrocław, ove era stato rinchiuso per la sua partecipazione a organizzazioni giovanili clandestine socialiste. Ricordiamo anche le opere filosofico-religiose, quali Cristo (1890) e Anima lachrymans (1894). Dal 1891 Kasprowicz aderì al modernismo, tra l’altro con le raccolte Amore (1895) e Il cespo di rosa canina (1898), considerata uno dei capolavori di questa corrente, che fa di Kasprowicz il principale rappresentante del simbolismo letterario polacco. Il periodo successivo è l’espressionismo, evidente negli inni Al mondo che perisce (1902), Salve Regina (1902), nonché nel poema drammatico Il banchetto di Erodiade (1905) e nel volume di prosa poetica Il valoroso cavallo e la casa che crolla (1906). In questa fase della creazione di Kasprowicz è significativa l’influenza del folclore e del primitivismo popolare, come ad esempio nella Ballata del girasole (1908), e in seguito del francescanesimo, come negli Istanti (1911) e Il libro dei poveri (1916).

Nella mia versione pubblico qui i 4 sonetti che danno il titolo alla raccolta Il cespo di rosa canina. Da notare come quest’opera di Kasprowicz sia intrisa di simbolismo e di impressionismo. Quest’ultimo è evidente soprattutto nella descrizione del paesaggio in diverse ore del giorno, nonché nel gioco dei colori e della luce. Viene in mente il ciclo di quadri di Claude Monet La cattedrale di Rouen, dipinta in varie ore del giorno.

I poeti della Giovane Polonia cercavano spesso ispirazione nella natura. Le loro descrizioni diventavano simboli delle sensazioni interiori o delle loro riflessioni. I 4 sonetti in questione non sono quindi soltanto poesia del paesaggio, ma soprattutto una rappresentazione simbolica della lotta per la sopravvivenza. La rosa sopravvive, malgrado l’aridità del terreno e le condizioni atmosferiche avverse dei monti Tatra, dove il cespo cresce. La rosa è una allegoria dell’uomo, che nonostante le avversità del destino lotta per sopravvivere. Ad essa è contrapposto il cembro che giace tarlato e coperto di muffa – simbolo del trascorrere del tempo e della ineluttabile fine. Kasprowicz si serve della natura dei monti per illustrare la dualità del destino umano, il dilemma della vita e della morte, del bene e del male, della speranza e della disperazione. La rosa simboleggia l’amore e la vitalità, è sola, pensierosa, assonnata, è consapevole della sua fragilità, teme la bufera e per questo cerca riparo stringendosi alla fredda roccia, alla fine si addormenta coperta dalla rugiada. Il cembro che le giace accanto è il secondo protagonista di questi sonetti. Tarlato, ammuffito, abbattuto dal vento durante la bufera, è il simbolo della vecchiaia, della morte, del disfacimento – la sconfitta dell’uomo ad opera delle ineluttabili leggi di natura. La fine dell’esistenza del grande e forte cembro e la resistenza della rosa sopravvissuta alla tempesta, suggeriscono una interpretazione filosofica: condizione per sconfiggere le avversità del destino non è la forza fisica, ma la forza spirituale, la consapevolezza della fragilità dell’esistenza e la gioia di vivere ogni momento.

 

 4 sonetti “Il cespo di rosa canina” di Jan Kasprowicz tradotti da Paolo Statuti

 

                        I

Tra scuri ammassi di detriti,

Un cespo di rosa canina

I grigi macigni arrossa,

Là, tra gli stagni insonnoliti.

Ai suoi piedi un rigoglio erboso,

Un groviglio di pini nani

Fa da bordo ai grandi massi,

Di fianco a un picco scivoloso.

Pensoso, assonnato, solitario,

Della fredda parete al riparo,

Il cespo sa d’essere indifeso.

Silenzio… Anche il vento è fermo,

Soltanto un cembro si corrode

Accanto alla rosa disteso.

                     II

 

Il sole nell’aria cristallina

Illumina le rocce di granito,

Il bosco scuro è avvolto

Da una lieve nebbiolina.

Scroscia sulle rocce il torrente,

Corre come cintura argentata,

Attraverso la nebbia e l’azzurro

Come un sospirar si sente.

Negli anfratti, nel quieto riparo,

Tra le creste al sole arde chiaro

Il cespo di rosa nel frusciare…

Si stringe alla rupe timoroso,

E il cembro dalla muffa è roso,

Steso dal soffio del temporale.

                      III

 

Paure! Sospiri! Amarezze

Pervadono l’inconsapevole

Immensità dell’aria!… Lassù,

Alla luce e all’ombra delle vette

Un branco di camosci bruca;

Avido di voli ultraterreni

Un uccello spiega le sue ali.

La marmotta fischia in una buca.

Tra erbacce e rami abbattuti,

Rimpianti, diletti perduti,

Si stringe il cespo della rosa.

Accanto, vittima del fato –

Il cembro a terra rovesciato

Dalla bufera furiosa.

                        IV

 

O lamenti! O sospiri dolorosi!

O strani, arcani timori!…

Un fresco profumo di erbe

Dai campi tra i monti rocciosi.

Echi di suoni nell’aria,

Quasi fossero d’altri mondi,

Scorrono sulla rugiada

Che il velluto dei campi ripara.

Il cielo si tinge di giada,

L’umido bianco della rugiada

Brilla sui fiori del cespo.

E un quieto soffio le gocce

Fa scendere lente sul cembro,

Che giace corroso e riverso…

(C) by Paolo Statuti

 

 

Il Santo Natale nella poesia polacca

4 Dic

images (20) 

 

 

 

   La notte della Vigilia, nel bagliore della grotta di Betlemme, è nato il Figlio di Dio. “E il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi, pieno di grazie e di verità” – come leggiamo nel Vangelo di san Giovanni. Il mistero dell’Incarnazione e della Nascita è diventato fonte di ispirazione artistica per i poeti dal medioevo fino ai nostri giorni. In Polonia il Natale ha sempre trovato nell’anima popolare la sua espressione più spontanea e commovente, come del resto dimostrano le bellissime “kolende”, ovvero canti di Natale , così densi di tenerezza e di serenità, così lirici, mistici, pieni di religiosa meditazione. In questo mio articolo desidero parlare della poesia polacca legata appunto alla festa più bella dell’anno, la festa che risveglia i sentimenti più preziosi e più profondi dell’uomo.

   Natale è il tempo dell’attesa e della gioia. Silenzio e incanto e “all’improvviso purezza, luminosità e calore” – scrive il poeta Jan Twardowski (v. articolo a lui dedicato in questo blog). La stella di Betlemme brilla alta nel cielo. Affrettiamoci dunque con esultanza e fiducia e prendiamo parte alla comunità famigliare. Un’antichissima consuetudine polacca è quella di lasciare un posto vuoto a tavola per un viandante sperduto, per un amico o parente lontano, per un pellegrino “che dalla falsa strada, invisibilmente ci rende visita…condotto dalla potenza divina” – sono parole del poeta Stanisław Miłaszewski. Jan Kasprowicz ricorda invece che “c’è anche l’amore nei nostri cuori, perché questo giorno gioioso è concepito nell’amore”. Dunque attesa, il sussurro della preghiera, l’ostia benedetta, gli auguri…Ecco la Vigilia, così sentita, così vicina al cuore di ogni uomo. La sua immagine ritorna continuamente nelle confessioni liriche dei poeti – come ricordo dell’infanzia lontana o come sogno irreale. L’accompagna un’atmosfera di mistero, straordinaria, purificante. “Il Dio-Uomo è nato per gli uomini, dunque svegliamo coloro che sonnecchiano, coloro che hanno il cuore indurito, che si plachi la collera…” – esorta il poeta Tadeusz Chrzanowski. Nel silenzio della notte risuona un canto di adorazione. In quell’attimo tra gli uomini è sceso il Maestro-Eterno. Le visioni poetiche della Notte della Vigilia si ricollegano alla kolende. In esse si avverte anzitutto una grande gioia – perché è nato Colui che cambierà il volto della Terra. La Natività è innalzata al rango più alto – come evento che influisce sulla storia dell’universo. I poeti rendono quindi omaggio a Cristo, creano strofe di lode e venerazione. Sulla Terra è giunto il Dio-Uomo per donare agli uomini il sentimento dell’uguaglianza e della giustizia, perché regnino l’Amore, la Saggezza, la Fede e la Speranza. Nella poesia “Natale” del poeta del ‘600 Jan Andrzej Morsztyn, leggiamo: “Notte felice, nella quale nasce per noi un Giorno Luminoso, la Luce per tutto il creato…”

   Questa Notte Divina dovrebbe essere sempre silenziosa, santa e serena, eppure non sempre il Santo Natale è stato gioioso. Durante il periodo delle spartizioni, quando seduti alla tavola della Vigilia si aspettava invano un padre, un fratello, un figlio, il cuore delle donne polacche era spezzato dalla disperazione. Nelle immagini poetiche di quegli anni accanto ai motivi della stella, della grotta e della mangiatoia erano presenti anche simboli patriottici. In seguito venne la triste Betlemme polacca dell’occupazione nazista. Le confessioni dei poeti in quel travagliato periodo rendono omaggio alla notte santa, ma al tempo stesso tragica, oscura e sanguinosa. “Nel silenzio della notte ansima insonne la città nel terrore, la città nel sangue di neve” – scrive la poetessa Jadwiga Gamska-Łempicka. Per il Bambinello non c’era posto sulla Terra così crudele, così odiosa. Non c’era posto per Lui nei cuori travagliati degli uomini. Perché “i cuori si sono trasformati in tenebre” – afferma Krzysztof Kamil Baczyński (ibidem), morto a soli 23 anni durante l’Insurrezione di Varsavia; e gli faceva eco Maciej Józef Kononowicz: “Nei nostri petti battono i pugni – Il cuore? Questo era tanto tempo fa…” Eppure questi versi di terrore e di morte sono illuminati dalla speranza. Che cosa ci si attendeva dal Bambinello? “Ridacci gli occhi dell’infanzia, il sorriso e la fede nella vita. Ridacci le mani delle madri, ridacci le labbra delle mogli e il cinguettio dei bambini e la casa” – scriveva Maciej Józef Kononowicz  In un campo di concentramento in Germania.

   E arrivò anche il gelido inverno del 1981, lo stato di guerra che arrestava brutalmente il progresso verso la sospirata libertà. In quel periodo mi trovavo a Roma e con le lacrime agli occhi scrissi questa breve poesia che fu pubblicata da “il Messaggero”. In essa mi rivolgo a Zbigniew Chotkowski, un mio carissimo collega polacco sepolto a Prima Porta.

 

Natale polacco

Caro Zbyszek,

neppure a Prima Porta

riposi in pace.

Sognavi una Vigilia

di gioia serena,

ma di colpo

è cambiata la scena:

fischia un vento gelido

che scuote la Grotta,

in ginocchio nel fango

la Madonna trema,

sparano ai pastori,

la neve si arrossa.

Inoltre piange a dirotto

e mancano gli ombrelli

della rassegnazione.

Sognavi il Natale,

ed è la Passione.

     

 (Roma, Natale 1981)

 

   Natale. Tempo di grande fede, tempo di serietà e felicità. “Ecco la stella conduce come latteo ruscello di pietà alla Città della Grande Speranza – alla mistica Betlemme” – così si esprime il poeta Mikołaj Bieszczadowski.

   La civiltà contemporanea porta nelle composizioni poetiche motivi nuovi. Accanto ai contenuti religiosi appaiono riflessioni profondamente filosofiche, metafisiche, esistenziali: sulla morte, sulle tenebre, su ciò che trascorre, sul senso della vita umana. Zbigniew Dolecki si chiede: “Tu che sei nato secoli fa – dimmi in questa notte…i nostri cari trasformati in polvere un giorno ci parleranno ancora?”

   Ed ecco che oggi si recano a Betlemme “i poveri che mangiano il pane quotidiano, coloro che si sciolgono in lacrime, coloro che sono soli, impazziti dal dolore, che non hanno il sorriso, e sono piccoli, viventi nel timore e storditi dalla sofferenza – perché una luce immensa diventi la loro casa”. Queste struggenti parole sono del poeta Ernest Bryll (ibidem).

   Affascinati dall’evento, ricolmi di fede e di speranza – entriamo in un Nuovo Anno del Signore.  “Tremiamo di spavento, anche se siamo felici” – dice Roman Brandstaetter (ibidem). Gesù Bambino ci ha donato la luce che – come afferma il papa-poeta Karol Wojtyła (ibidem) – “entra nei cuori e rischiara le tenebre delle generazioni, penetra nelle debolezze”.

 

                                                                                       (Paolo Statuti)

 

Fotografia: Altare di Wit Stwosz (particolare). Chiesa Mariana a Cracovia.

(C) by Paolo Statuti