
Moisej Solomonovič Nappel’baum (1869-1956) fu un celebre fotografo-ritrattista. Era un uomo alto e di bell’aspetto, con riccioli ondulati e una grande barba nera. In tutta la sua figura cercava di mostrare di essere un artista. Indossava ampie giacche di velluto, una pellegrina che ricordava gli antichi mantelli, cravatte annodate con un vistoso fiocco e il berretto. Divenne famoso per aver fotografato le figlie di Nicola II e per questo volevano giustiziarlo dopo la rivoluzione. E invece diventò una enciclopedia dei volti nella Russia prerivoluzionaria e dei volti più famosi dell’Unione Sovietica nella prima metà del XX secolo. Il suo metodo creativo e il suo stile fotografico consentono a professionisti e intenditori di paragonarlo a Rembrandt. Ebbe cinque figli: Ida, Frederika, Lev, Ol’ga e Lilija e trasmise a tutti la sua disinteressata devozione per l’arte. Soprattutto le due figlie maggiori Ida e Frederika aiutavano il padre a sviluppare le fotografie, fotografavano anche loro e scrivevano versi. Ida aveva cominciato a scriverli a 14 anni.
Ida Nappel’baum, l’ultima poetessa dell’età d’argento, nacque il 13 giugno 1900 a Minsk (Impero russo), dove trascorse tutta l’infanzia. Nel 1913 la famiglia si trasferì a San Pietroburgo e Ida con la sorella Frederika frequentarono il ginnasio femminile privato “V.N. Khitrovo”. Istruzione classica, disciplina severa, preghiera quotidiana, tre lingue: greco, francese e tedesco. La rivoluzione del 1917 sembrò confondere tutto. Alcune ragazze si rivelarono monarchiche, altre – bolsceviche. Il preside del ginnasio fu sostituito dalla poetessa Marija Ljovberg, amica di Blok e di Gumiljov, e così il ”Kipling russo”, come veniva chiamato dai contemporanei Gumiljov o il “conquistatore dalla corazza di ferro”, come si definiva lui stesso, entrò nella vita delle due sorelle.
Terminato il ginnasio nel 1919, Ida entrò all’Istituto di Storia dell’Arte, mentre Frederika si iscrisse all’Università, Facoltà di Filologia. Entrambe appassionate di poesia però, cominciarono a frequentare i corsi di Gumiljov nello Studio di Poesia da lui creato “La conchiglia sonora”. Negli anni 1920-21 Ida fu anche segretaria di questo Studio. Leggevano le poesie in cerchio, discutevano, criticavano. Vi partecipavano anche alcuni membri della terza Corporazione dei Poeti, anch’essa creata da Gumiljov nel 1920. Dopo la morte di Gumiljov i membri della Corporazione e della “Conchiglia sonora”, che come associazioni avevano cessato di esistere, cominciarono a riunirsi ogni lunedì nell’appartamento dei Nappel’baum nella Prospettiva Nevskij angolo Prospettiva Litejnyj.
Ricorda Ida: “Non c’erano né tavoli né sedie. Gli ospiti sedevano sui cuscini lungo le pareti o sul tappeto e leggevano le loro poesie in cerchio, iniziando dalla porta. Questa usanza restò immutata nel tempo, finché esistette il nostro Salone, cioè dal 1921 al 1925… In inverno ci sedevamo intorno alla panciuta stufa di ferro con un tubo che usciva dalla finestra. D’estate uscivamo sul balcone che si stendeva lungo la facciata. Si leggevano le poesie, poi veniva servito il tè con pezzi di pane nero… Il fior fiore della letteratura di quel tempo partecipava: Fjodor Sologub, Michail Kuzmin, Michail Lozinskij, Anna Achmatova, Čukovskij padre e figlio, Nikolaj Kljuev, Daniil Kharms. Una volta Sergej Esenin arrivò da Mosca con il poeta Ivan Pribludnyj…Alla fine del 1923 Boris Pasternak lesse da noi le sue poesie. Era la prima volta che lo vedevo e ascoltavo. Fino a quel momento non conoscevo affatto le sue liriche. Stava in piedi vicino al pianoforte in un completo marrone, una cravatta dello stesso colore e un colletto bianchissimo, occhi molto belli, leggeva con entusiasmo e impeto molte poesie di “Mia sorella la vita”. Mi ha colpito e affascinato la rapidità dei suoi ritmi, la lieve e smagliante illustrazione, nonché la novità del suo linguaggio, ricco di vernacoli inaspettati. Anche il suo modo di leggere era del tutto nuovo per noi pietroburghesi, abituati al solenne urlo dell’acmeismo. Certo, ho capito completamente questo poeta molto più tardi, ma da quella sera ho preso ad amarlo. Devo dire che Pasternak non fece una grande impressione sui presenti. Egli colpì veramente soltanto me e Tichonov, che fu contagiato per un intero decennio dai ritmi di Parternak”.
Il 3 agosto 1921 Gumiljov fu arrestato. La sua seconda moglie Anna Engelhardt non aveva il coraggio di portargli dei pacchi in prigione e pregò Ida, che venerava e amava il Maestro, di farlo lei. Lo fece volentieri, portandogli cibo, libri e fiori. Un giorno al finestrino dove lasciava i pacchi le dissero che non c’era più bisogno di portarne altri. Pochi giorni dopo, lei e la sua amica, futura scrittrice e futura moglie di Khodasevič Nina Berberova, restarono allibite leggendo sul muro della casa nella Prospettiva Liteinyj l’elenco di quelli che erano stati uccisi. Tra loro c’era anche Gumiljov.
Dal 1923 il poeta e traduttore Michail Froman aveva iniziato a partecipare agli incontri dai Nappel’baum. Egli fu subito colpito dal fascino di Ida e nel 1925 la sposò.
Nel 1924 la poetessa lavorò come segretaria della sezione poetica e teatrale nella filiale pietroburghese dell’Unione degli Scrittori.
Nel 1927 pubblicò a sue spese la prima raccolta di poesie “La mia casa”.
Nel 1940 il marito morì in seguito a una operazione non riuscita, e un anno dopo Ida lasciò Leningrado. Trascorse gli anni della guerra a Perm. Terminato il conflitto, tornò nella sua abitazione e si sposò nuovamente con un vecchio amico di famiglia, il giornalista Innokenty Basalaev. Ma la felicità non durò a lungo. Il 9 gennaio 1951 fu arrestata con l’accusa di essere amica dei poeti che avevano lasciato il paese negli anni ’20 e di quelli uccisi negli anni ’20 e ’30. Il motivo principale però fu la delazione di due scrittori “amici di famiglia”, relativa al fatto che nella sua abitazione aveva tenuto un ritratto di Gumiljov, dipinto poco prima della morte del poeta dalla pittrice Nadežda Švede-Radlova. Il ritratto non esisteva più dal 1937, quando il marito, temendo di essere arrestato, lo aveva distrutto. Ma contava il fatto di averlo posseduto. Dopo ben nove mesi di indagini, Ida Nappel’baum fu condannata a dieci anni nel lager di Ozerlag, e destinata al disboscamento e alla produzione di traversine.
A questo riguardo la poetessa ha ricordato: “Hanno detto di aver visto un ritratto sovversivo del poeta Gumiljov nella mia abitazione. Mi ha sopreso che non abbiano chiesto che fine aveva fatto il ritratto. Non ho negato nulla. Erano interessati alle dimensioni, perfino ai colori. L’ho descritto con piacere, rivivendolo nella memoria. Mi ha colpito soltanto l’assurdità di tutto questo… È bastato avere in casa un ritratto del poeta giustiziato per incolparmi come una criminale”.
Nel lager scrisse il ciclo di versi “L’oasi di Taišet” e il poema “Conserva per sempre”, più tardi diffusi nel samizdat. Poco dopo la morte di Stalin, nel 1954 fu liberata e completamente riabilitata. Tornò a Leningrado dedicandosi alla traduzione (Jules Verne, André Dotel, Stendhal). Il secondo marito morì nel 1964.
Nell 1990 pubblicò, di nuovo a proprie spese, la raccolta poetica “Pago i miei debiti”. Postumo uscì il volume di poesie “Me ne vado” (1993), curato e stampato a spese della figlia, e il meraviglioso libro di ricordi “Angolo di riverbero: Brevi incontri di una lunga vita” (1995), in cui ha parlato dei suoi incontri con Gumiljov, dell’arte fotografica del padre e dei lager che lei stessa sperimentò.
Ebbe la figlia Ekaterina Michajlowna Zarenkova, nata nel 1932, dal primo marito.
È morta a San Pietroburgo il 2 novembre 1992 e seppellita nel cimitero “Alla memoria delle vittime”.
Nel 1989 ha scritto:
Non farò un passo nel secolo futuro,
Nel ventesimo io devo restare,
Alla sua alba in esso sono entrata
E il suo tramonto voglio gustare.
Poesie di Ida Nappel’baum tradotte da Paolo Statuti
* * *
Lasciamoci, amico mio. Felice sono stata,
Anche se per poco, ma come un capinero
Che cresce, grida, pronto a librarsi,
Si lancia in cielo, scende leggero.
Così anch’io. Rotavano i giorni come sfere,
Giorni odoranti di sangue di faggi,
E ondeggiavano sopra i nostri cuori,
Turbinavano in cerchio fuochi selvaggi.
Ma tu sei stanco delle stesse mani,
Delle stesse labbra, e con un sorriso amaro,
Io me ne vado sola, con dolore, mio malgrado.
Guarda è inverno. Lasciamoci, amico caro.
1924
* * *
Non bastano le mani, tremanti come fiammelle,
Piantano un gancio in cielo tra le stelle.
La città dorme, la città non sente,
Vicino un’ascia batte incessantemente.
La città non sa, la città è innamorata,
Di sogni e passioni è colmata.
Uno – ha piantato, due – ha rinforzato,
Tre – la fune ha tirato.
La gola nel viscido cappio infilò
La fanciulla – e all’indietro rimbalzò.
Il cielo come cielo, la luna come macchia.
Non più lacrime, né tormenti.
Soltanto sulla Nevà ad una finestra
Un tacco morto battere senti.
1927
* * *
Ricordo l’infanzia senza icona,
Senza festività e senza preghiere,
Senza fragranti sabatine candele
Erano così profumate le sere.
Non sono mai stata in una sinagoga,
Né scalza una moschea ho visitata,
Solo con terrore sognavo Dio,
Di angoscia notturna stremata.
E adesso io un tempio non ho,
Delle chiese rifuggo il sagrato,
E il tuo lieto arrivo d’ora in poi
La mia unica Pasqua è diventato.
1927
Commemorazione
Invano nel bosco fangoso andavo,
Invano sul Naso di Volpe cercavo.
Tu non ti sei eretto come colle ignoto
E non sei diventato un gelso fiorito.
Tu nell’antro marino sei entrato come dardo,
Un tremendo tifone su di te ha infierito,
Ha tremato la montagna, ha gridato il gufo,
E il sorbo è caduto in un pianto insanguinato.
– Tu sei scomparso senza colpa alcuna –
E ti ha coperto agli occhi della luna
L’onda del Baltico spumeggiante,
Tutta nei tuoi merletti di Bramante.
La casa sul Fontanka
Non per l’antico stemma del conte,
Non per la recinzione arabescata,
Non per l’eleganza delle sue stanze
Questa casa sarà sempre ricordata.
Ma solo perché qui ha dimorato
La musa russa dagli occhi perlati,
Senza piegarsi al giogo della sorte,
Eredi del suo onore ci ha lasciati.
Un ramo d’acero sbirciava alla finestra,
E lei felice lo fissava di continuo,
E nasceva per esso un canto. E cantava…
Così come dai grappoli nasce il vino.
Sia che la pioggia baltica la sferzi,
Sia che l’avvolga la luce dell’alba, sia
Che il Fontanka si stringa al granito –
La Casa è il tempio della sua Poesia.
1985
La vigilia
In quel giorno a lungo io incantavo,
Di singoli un gruppo creavo
Secondo il canone dell’arte vetusto
E le proporzioni del mio gusto.
Qui sono tutti nel fiore dell’età
E ognuno d’essere poeta crede già.
E tutti sono boriosi, imprevisti –
Gli amici imaginisti.
Ecco chi ieri era in campagna
Sembra un dandy in pompa magna,
È giunto alla fama impetuosamente,
È importante, condiscendente,
E la scarpa laccata ondeggia,
Il pomello del bastone bianco
Sulla spalla destra troneggia.
Il ritratto è bene realizzato,
Nulla da ridire troverai…
Ma perché il biondino è così quieto,
Così triste e distaccato, perché mai?
1985
* * *
Senza tenerezza femminile
come si può vivere?
A N. B.
Tutto ti aspetta, mia Godot,
Sotto la stella di questa città,
Sul ghiaccio crepitante del Ladoga,
Sulle acque della nostra Nevà.
Oltre i ponti, sussurrando preghiere
E con le braccia spalancate,
La cattedrale di Kazan’ regge il cerchio
Dei suoi bracci-colonnate.
E la lunga fila di finestre
Della casa all’angolo, che finisce
Con un ovale, là dove
Nevskij a Mojka si unisce.
E poi? ricordi? il balcone di pietra,
Che sulla facciata si allungava,
Dove ognuno era poeta e innamorato,
E in ciò ogni diletto egli provava.
E sia pure Sodoma, sia pure Gomorra!
Mia Godot io ti aspetto da tanto!
E nelle catacombe degli occhi ardenti
Entro di nuovo, anche se ora soltanto…
1985
* * *
No, io ancora non sono del tutto vissuta:
Nella bella Georgia io non sono stata,
Nel TU14 non sono ancora decollata
E commossa l’Acropoli non ho guardata,
Io non ho finito tutti i sogni acquarellati,
La mia Carmen alla Scala non ho cantata,
La Madre di Dio io non ho disegnata
E i trilli degli usignoli non mi sono bastati.
Io i miei versi migliori non ho creati!
Ma il comando del tempo io già sento:
– Sbrigati. La tua rampa scivolosa sta finendo.
1987
* * *
Mi piace nei versi la mancanza d’intesa,
Come tra persone un rapporto imperfetto,
Non una geometrica precisione,
Ma solo di idee pensate un pacchetto.
Essa sempre in poesia, in amore è necessaria,
Come ornamento di feriale giornata,
Come uno sconosciuto che cammini
Accanto alla sua propria strada.
Non occorre vedere coi propri occhi,
Sventoli pure lontano lo stendardo!
I versi terminate coi puntini,
E il punto – è solo il fatto rimasto.
1989
Il nodo
Sul pavimento della tonda sala da ballo
Ancora col parquet e come una specchiera,
Le mie ambre, come ghiaccioli, rotolavano
Sotto i tavoli e poi chissà dove ciascuna era.
Allora gli amici poeti in allegria
Sdraiati a terra, le cercavano una ad una,
Come i pescatori di perle misteriose
Sul fondo del mare trovavano la fortuna.
E il nostro amato Maestro s’inginocchiava
E, mescolando poesia e prosa,
Con un sorriso di boria e l’aria fiera
Mi porgeva ogni ambra come una rosa.
Ma poi una seconda terribile visione,
Nella stessa casa, nella splendida galleria,
Ci sconvolse tutti la rivelazione,
Come mazzata, della feroce esecuzione.
Non c’è più il sorriso di boria e l’aria fiera!
Nella casa sul viale Litejnyj essa c’era, c’era,
Nella casa in stile moresco del ricco Muruzi.
Ma anche la seconda è sul Litejnyj,
Nella casa-sarcofago per le anime giustiziate.
E la strega-memoria queste due visioni
Con un nodo forte ed eterno ha legate.
1990
Ode alla vecchiaia
Oh, vecchiaia!
Io non mi lamento e non m’infurio,
Io ti proteggo e ti allevo amando,
Con te come con una spada io mi difendo
Dall’invidia e vendetta di certi tali
E dalle notizie insanguinate dei giornali.
1991
Versi – pane quotidiano
Ancora, ancora scrivo versi,
Essi non sono più come ieri,
Quando in gioventù, come farfalle,
Dalla mia mano volavano leggeri.
Adesso le parole occorrenti
Come una mola rigiro, e frantumo
In sangue la mia anima, ma l’amore
Per lui non mi toglierà nessuno.
Stanca e ferita è la mano,
E tuttavia, ancora versa la nutrice –
Del pane il tormento senza fine.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Scorre il tempo e più non incanta,
Ed io ho già due più di novanta.
1992
(C) by Paolo Statuti
Caro Paolo,
resto attonito davanti a questa testimoniainza che di certo entrerà in qualche nota nel corso di AMR su Pasternàk. E anche dei versi di ida non posso che dire che sono più rari e preziosi per quel che dicono… come Lei era a noi vicino e noi che sapevamo così poco di Lei! Noi contemporanei suoi ancora nel 1992 ! Il tempo è davvero relativo e bon ha Tempo!
Sono Stanco, domani spero scriverò di più-
Grazie Alberto
Caro Alberto,
conoscendo il Tuo amore e interesse per l’età d’argento, ero certo che questo mio lavoro ti sarebbe piaciuto. Grazie anche a Te per i Tuoi preziosi commenti! Paolo