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Thomas Stearns Eliot: Gente vuota

20 Dic

 

T.S. Eliot (1888-1965)

T.S. Eliot (1888-1965)

 

 

Gente vuota

da: Wikipedia, l’enciclopedia libera

 

«We are the hollow men                          «Noi gente vuota

We are the stuffed men                            Noi gente impagliata

Leaning together                                       Ci sosteniamo a vicenda

Headpiece filled with straw… »               La testa imbottita di paglia… »

 

   Thomas Stearns Eliot scrisse questa poesia nel 1925 durante un periodo di assenza dal lavoro a causa di un esaurimento nervoso.

Gli uomini vuoti si presentano direttamente attraverso un monologo drammatico: essi non hanno identità, personalità, non riescono a stare in piedi da soli e sussurrano parole vuote As wind in dry grass Or rats’ feet over broken glass (“Come il vento sull’arida erba O i piedi di topo sul vetro in frantumi”). Questi sono il correlativo oggettivo dell’uomo moderno, quegli stessi viventi moribondi che affollavano la “Terra desolata”, “forma senza foggia, ombra incolore, forza paralizzata, gesto immobile”. E’ gente vuota e di paglia. Essa non riesce a sostenere lo sguardo degli occhi degli uomini virtuosi, poiché questi per loro sono come Sunlight on a broken column (“La luce del sole su una colonna spezzata”), sottolineando una morte prematura.

La gente vuota vive in un deserto, in una terra morta, arida come loro sia psicologicamente che religiosamente a causa della mancanza di acqua. In questa terra crescono solo cactus, che danno frutti spinosi, le spine del mondo moderno. Qui hanno costruito immagini di pietra che in realtà sono solo falsi idoli che ricevono The supplication of a dead man’s hand Under the twinkle of a fading star (“La supplica della mano di un morto Nel luccichio di una stella che si spegne”). Poi gli uomini si svegliano soli e innalzano preghiere a quella pietra infranta, sottolineando la mancanza di comunicazione, empatia e condivisione dei sentimenti.

 

Nella vuota valle di stelle morenti, una mascella spezzata di regni perduti (declino del mondo moderno), non ci sono anime, né occhi, la gente brancola insieme senza parlare, riunita sulla spiaggia del fiume ingrossato. Non torneranno ad essere anime a meno di una speranza miracolosa come la Rosa di molte foglie del Paradiso che appare vana. La gente vuota si trova bloccata in questa situazione di inerzia e paralisi, di debolezza della volontà, incapace di affrontare il salto esistenziale di Kierkegaard.

 

«Between the idea                                       «Tra l’idea

And the reality                                              E la realtà

Between the motion                                    Tra il movimento

And the act                                                    E l’azione

Falls the Shadow… »                                    Si posa l’Ombra… »

 

L’ombra rappresenta una life-in-death (vita nella morte) che ha avuto la possibilità di riconoscere  la differenza tra salvezza e dannazione, ma ha rigettato questa possibilità e ha scelto di non scegliere tra le due, e vivrà per sempre in un Limbo. Irrompe così una voce esterna che dice Perché Tuo è il Regno Perché Tuo è La vita è Perché Tuo è il…, ma “il mondo finisce non con un boato ma con un guaito”.

 

Presento qui la mia versione di questa celebre poesia.

 

Gente vuota

 

Mistah Kurtz – he dead.

A penny for the Old Guy

 

I

 

Noi gente vuota

Noi gente impagliata

Ci sosteniamo a vicenda

Le teste imbottite di paglia. Ahimé!

Le nostre aride voci

Quando sussurrano

Sono sommesse e insignificanti

Come il vento sull’arida erba

O i piedi di topo sul vetro in frantumi

Nella nostra arida cantina

 

Forma senza foggia, ombra incolore,

Forza paralizzata, gesto immobile;

 

Quelli che sono entrati guardando dritto

Nell’altro Regno della morte

Ci ricordano – se lo fanno – non come anime

Perse e violente, ma soltanto

Come gente vuota

Gente impagliata.

 

II

 

Non oso incontrare gli occhi nei sogni

Nel regno sognato della morte

Essi non appaiono:

Là, gli occhi sono

La luce del sole su una colonna spezzata

Là, è un albero che ondeggia

E le voci

Quando il vento canta

Sono più distanti e solenni

Di una stella che si spegne.

 

Che io non sia più vicino

Nel regno sognato della morte

Che indossi anch’io

Tali ricercati travestimenti

Pelo di topo, piume di corvo, bastoni incrociati

In un campo

Facendo come fa il vento

Non più vicino –

 

Non l’incontro finale

Nel cupo regno

 

 

III

 

Ecco la terra morta

Ecco la terra dei cactus

Qui le statue di pietra

Sono sorte, qui esse ricevono

La supplica della mano di un morto

Nel luccichio di una stella che si spegne.

 

Ed è così anche

Nell’altro regno della morte?

Ci svegliamo soli

Nell’ora in cui

Tremiamo di tenerezza

Le labbra che vorrebbero baci

Pregano a una pietra spezzata.

 

IV

 

Gli occhi non sono qui

Non ci sono occhi qui

In questa valle di stelle morenti

In questa valle vuota –

Spezzata mascella dei nostri regni perduti

 

In questo ultimo luogo d’incontro

Brancoliamo insieme

Evitiamo di parlare

Riuniti sulla spiaggia del fiume ingrossato

 

Ciechi, se

Gli occhi non riappaiono

Come perenne stella

Rosa di molte foglie

Del cupo regno della morte

La speranza soltanto

Di gente vuota.

 

 

 

V

 

Giriamo intorno al frutto spinoso

Frutto spinoso frutto spinoso

Giriamo intorno al frutto spinoso

Alle cinque del mattino.

 

Tra l’idea

E la realtà

Tra il movimento

E l’azione

Si posa l’Ombra

                                Perché Tuo è il Regno

 

Tra la concezione

E la creazione

Tra l’emozione

E la reazione

Si posa l’Ombra

                                La vita è assai lunga

 

Tra il desiderio

E lo spasimo

Tra la potenzialità

E l’esistenza

Tra l’essenza

E il suo frutto

Si posa l’Ombra

                                   Perché Tuo è il Regno

 

Perché Tuo è

La vita è

Perché Tuo è il

 

In questo modo il mondo finisce

In questo modo il mondo finisce

In questo modo il mondo finisce

Non con un boato ma con un guaito.

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

 

 

(C) by Paolo Statuti