Sylvia Plath (1932-1963) e Wacław Iwaniuk (1912-2001)
60 anni fa, l’11 febbraio 1963, un altro bellissimo fiore lasciava per sempre il Giardino della Poesia, unendosi alla folta schiera di poeti uccisi dal proprio genio, o dalla crudeltà del mondo o dal Fato. Il fiore di turno è Sylvia Plath, uccisasi col gas a soli 30 anni.
Spulciando l’antologia poetica polacca in due volumi Da Staff a Wojaczek (1939-1988) ho trovato per caso la poesia intitolata Sylvia Plath di Wacław Iwaniuk. Ho voluto tradurla e pubblicarla nel mio blog insieme con la mia traduzione di Ariel – una delle ultime e più note liriche dell’infelice poetessa americana. Ariel è il nome del cavallo di Sylvia. È una poesia profondamente metaforica, scritta per il suo trentesimo compleanno, pochi mesi prima della morte. Si può intendere come l’ultima precipitosa delirante cavalcata verso il suicidio.
Sylvia Plath
Ariel
Ristagno nel buio.
Poi un blu privo di sostanza
Fusione di colline e distanze.
Lionessa di Dio,
Come unità cresciamo,
Perno di talloni e ginocchi! – Il solco
Divide e passa, fratello
Del bruno collo
Arcuato che stringere non posso,
Bacche – occhi di un Nero
Lanciano scuri
Uncini –
Dolci bocconi di sangue nero,
Ombre.
Qualcos’altro
Mi trascina in aria –
Cosce, capelli;
Scaglie dai miei talloni.
Bianca
Godiva, io mi sbuccio –
Morte mani, morti rigori.
Ed ora sono
Spuma al grano, bagliore di mari.
Il pianto del bambino
Si scioglie nel muro
Ed io
Sono la freccia,
La rugiada che vola
Suicida, con unico impeto
Nel rosso
Occhio , la caldaia del mattino.
27 ottobre 1962
Wacław Iwaniuk
Sylvia Plath
La conoscevo – piccola come diamante –
la luce a corona delle sue parole.
Se la paragono a un bambino,
era ancora più piccola e più pura –
se a un angelo,
vedeva tutto in modo nitido.
Nella sua fantasia il mondo si contraeva,
s’illuminava. I suoi occhi chiari
si mutavano in due candele accese
e spente al tempo stesso –
due ditali di cenere.
È entrata nella gola della terra
come rosa infiammata.
Era la voce che annuncia una battaglia.
Col bocchino di corno dorato alle labbra,
recitava la Madonna nell’omicidio universale –
volando in cielo.
La vedevo a Chicago,
come si guarda a un mattino di giugno.
Un convento della città
insinuava sulla sua fronte giovani catene di timori.
Già allora aveva una saggia avarizia di parole –
la loro dolorosa bellezza,
ossuti marciapiedi,
case sudate nelle strade
e l’onda whitmaniana di una frase ardente.
La conoscevo –
Leggevo di lei.
È morta all’improvvviso –
Il tempo si è accasciato.
E soltanto la Poesia
con un dito sulle labbra
dice sottovoce – si è addormentata.
(C) by Paolo Statuti
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