Jerzy Zagórski

23 Feb

     Poeta, saggista e traduttore polacco, nato a Kiev il 13 dicembre 1907. Terminò il ginnasio “Jan Zamojski” a Varsavia. Studiò Diritto all’Università di Vilno. Con Teodor Bujnicki e Czesław Miłosz fu uno dei principali membri del gruppo Żagary, creato a Vilnonel 1931, e la cui nota fondamentale fu il catastrofismo. L’arrivo del nemico, pubblicato nel 1934, è un poema che mozza il fiato. Il poeta descrive una cupa visione apocalittica di sterminio. Potenti eserciti giungono dal Caucaso, nelle smisurate steppe asiatiche turbinano masse umane, nasce l’uomo mostro, l’Anticristo, che si cimenta con Dio. Negli anni ’50 l’autore dirà: “Era un’opera con una trama abbastanza confusa, nella poetica del surrealismo. Cercavo nella poesia anche i modi di uscire dalla disperazione. I miei versi successivi, durante e dopo la guerra, delineano già l’uomo in lotta con le disgrazie, col destino.

     Dopo la guerra fu addetto culturale presso l’Ambasciata polacca a Parigi. Dal 1957 visse stabilmente a Varsavia. Il 31 gennaio 1976 firmò il cosiddetto Memorial 101, che fu la prima decisa presa di posizione degli intellettuali polacchi contro il governo comunista. I firmatari protestavano per le modifiche apportate alla costituzione, che sancivano il ruolo guida del partito e l’alleanza duratura e inviolabile con l’URSS.

     Nel 1979 sia lui che la moglie Marina, traduttrice, ricevettero la medaglia “Giusti tra le Nazioni”, data a coloro che contribuirono a salvare gli ebrei negli anni dello sterminio nazista.

     Żaneta Nalewajk nellapostfazione alla raccolta di poesie di Zagórski Versi scelti, da lei curata, scrive: “La sua poesia è altamente ricettiva, influiscono infatti su di essa molte tradizioni: biblica e antica, romantica e simbolista, nonché estetiche contemporanee al poeta: surrealismo tra le due guerre, nonché linguismo nella prima metà degli anni ’70 del XX secolo”.

     Il suo lirismo ha avuto una peculiare evoluzione. Dal catastrofismo passò alla poesia classicheggiante, rinnovò generi dimenticati, tra l’altro il poema descrittivo e digressivo e il genere grottesco.

     Di Jerzy Zagórski lo storico, critico letterario e saggista Kazimierz Wyka scrive:

“Elementi narrativi si intrecciano nella lirica di Zagórski con la riflessione poetica sull’uomo contemporaneo di fronte alla mutevolezza e durabilità della natura, della storia e della cultura, e il punto di partenza di queste riflessioni sono, oltre agli eventi personali e ai fatti della vita quotidiana, anche motivi storici, fiabeschi e leggendari della cultura nativa e straniera, principalmente mediterranea e del Mar Nero (Crimea e Georgia)”.

     Dopo la guerra,  nelle sue dichiarazioni rilasciate alla Radio Polacca, dedicò ampio spazio alla sua nuova poetica. Dichiarò tra l’altro: “Sono un patito del contenuto, considero la forma come strumento di espressione. Non voglio essere schiavo della strofa e, se il tema lo richiede, mi discosto dal regolare andamento del verso. Inoltre la radio ci ha ricordato che la poesia è un’arte per le persone che reagiscono al suono, per questo nel verso sono così importanti i mezzi di espressione sonori”,

     Jerzy Zagórski, oltre a 19 raccolte poetiche, scrisse anche drammi, saggi e reportage, e tradusse opere letterarie dal russo, georgiano e francese.

     Morì a Varsavia il 5 agosto 1984

Poesie di Jerzy Zagórski tradotte da Paolo Statuti

Invocazione

Dai tessuti dorati del giorno

dalle fibre stellate della notte

ho coltivato un frutto.

È sul mio palmo

caldo al tatto

vermiglio dal sangue

aspro dal pianto.

Solo accostare le labbra

e consumare

fino a mordere coi denti

il nero nòcciolo della solitudine.

1933

Motivo

Una sera argenteoazzurra non è una sera, ma un trapezio di cielo

cala sugli occhi col crepuscolo, quando si arrampica in alto:

com’è facile rivangare nella memoria,

ma com’è difficile forgiare una statua o una tempesta minacciosa.

1933

*  *  *

Abiterai una casa di legno e ci starai bene.

Una scatola di travi di pino. Di nodi tramata.

La foresta lambirà la veranda, alla tua portata.

Abiterai una casa di legno e ci starai bene.

Come fumo fluisce all’alba la nebbia dal prato.

Il mondo è una piana negli occhi di vetro offuscato.

Di giorno l’iride sul bosco. Non ti verrà vicino,

se ne andrà oltre il sipario degli alberi di pino.

Da tutto ciò ch’è più prossimo e che si può abbracciare,

è nata l’idea di patria, e poiché ci sono cose

più distanti, sono nate altre idee più tristi e preziose,

che quanto è più buio tra noi, tanto più sembrano brillare.

Nebbia. Fumi. Nuvole. O notte, quando serena appari,

forse allora ci sorvola la densità delle galassie,

affinché guardando, e credendo a quelle limpide masse,

della tua profondità si resti sempre ignari?

Quel che di giorno è un prato, di notte un nero abisso diventa,

sul quale non sai cosa splenda: deserto, sogno o tormenta.

Dagli alberi cresce il fruscìo dei pipistrelli, e tra la gente

c’è l’amore oscuro – e dal timore proprio lui difende.

Amore rapace e tenero. Invano per nome lo chiami,

invano in forma di bulbi e d’animali lo scolpirai,

perché lui ci lega a sé, ma lo spirito non s’unirà mai,

benché spirito e amore siano sparsi nel fumo e negli astri lontani.

1937

O acqua!

– O acqua, acqua azzurra,

Chi vedevi in quelle ore?

– Vedevo giovani che morivano

E delle madri il dolore.

– Ricordo tre bianche betulle,

Ho veduti

Cimiteri devastati,

Boschi abbattuti,

– La terra delle tigri, degli sciacalli

Dalle bombe scavata,

La gente che passava

Con la faccia celata.

– Il cielo, il soffitto ribollente,

Portoni come ombre,

Come folgore mi gridavano,

Sarà un’ecatombe.

1942

Salmo

(frammento)

Città diletta, città scarnita,

Strade dalla lotta divelte…

Sempre una nuova ferita

L’occhio sulle vostre pietre legge.

Presso piazza Krasiński rabbiosi

I cannoni colpivano il ghetto.

Guizzavano le creste dei fuochi

Da ogni muro, da ogni tetto.

Uomini induriti e spietati

Gelidamente guardano intorno –

I cuori da tempo gelati

E immersi in un buio profondo.

Fluisce degli spari il chiasso

Assieme al fumo da Muranów:

Come grigiastra nebbia in basso,

Come gialla nube lontano.

O sole dei bambini sgozzati

E gettati nel fuoco orrendo,

Sei una macchia di sangue rappreso

Nel fumo bruno dello spavento.

La Madonnina masoviana

Pallida in volto e disperata

Come trepida popolana

Guarda dall’angolo della strada.

Sta lì dietro il vetro della nicchia

Di fronte al bagliore crescente:

Mostra le mani inerme e afflitta –

Non ha più fulmini…non ha più niente.

1943

Poetica

Il  mio nome è freschezza. Io, quando tocco con la parola,

È come se tu mettessi in mano l’archetto a un violinista,

E le belle operaie ballassero come regine

Al ritmo di una mia nuova canzone imprevista.

Come la Musa nell’Onegin adattato da Kotlarczyk*

Sorrido, guardo attraverso un giallastro nebbione,

Procedo come i cavalli di notte nel sogno di Alcmena,

Al teatro Marigny di Parigi nell’Anfitrione.

Ma sono anche nella soffice polvere

Che pàtina degli stanchi soldati il cappotto,

Perché non soltanto al manuale di Bach-organista,

Ma anche alle mazze dei minatori l’amore è rivolto.

Sorella di bronzo della moda, figlia della fantasia,

Duratura come pantera nella pietra scolpita,

E tanto volubile come nuvoletta tigrata, quando

A un tratto nell’ombra lunare è sparita.

1951

*Mieczysław Kotlarczyk  (1908-1978), regista teatrale, attore, drammaturgo, critico letterario e teatrale polacco, nel 1948 mise in scena un adattamento dell’Oneghin di Pushkin, il cui successo lo salvò dalla repressione comunista.

*  *  *

Solo la cupa umana disperazione

Del nostro secolo sarà la dimostrazione?

Dai secoli violati dalla stizza

Giungerà la colomba della giustizia?

La parola aperta non falsificata

Prenderà il posto della menzogna odiata?

Se tali domande ampliare vuoi,

Forse la risposta spetta a noi?

1955

Imprudenti

Fidanzata e fidanzato

Non vadano in due direzioni

Perché i treni scorrono sulla terra

Abitata da una stirpe corteggiatrice.

Lungo il tragitto ci sono stazioni e fermate,

Ci sono sere, notti e mattine.

Il treno a volte ferma in un campo,

A volte qualcosa lo trattiene nel bosco.

Nel campo la sosta può essere diversa,

E nel bosco l’eco si diffonde

E lentamente comincia a crescere

La crepa riempita di spazio.

Due persone ricordino

Quando iniziano un lungo viaggio:

Il solco cresce nelle auto, sulle navi

Ed è un muro per gli aerei in una nube,

E non sempre ritrovano la strada

Di quegli attimi perduti nello spazio,

Divisi dal giro delle eliche

O dalle scie del carburante bruciato.

Ma c’è anche un altro modo

Di viaggiare, che non allontana

Due persone immerse in loro stesse

Come onda doppiamente gonfia.

È un mistero lunatico­:

Imbrigliare un raggio d’argento,

Riflettere dal disco lunare

Un sogno inviato.

Ci sono sguardi più lunghi di una caccia

Di luci che sprofondano fra le oscurità,

Solo che il biglietto è molto caro:

Giornate di veglia, angoscia dell’eternità.

1957

La speranza

                                              A Marina

È appeso il mondo a una ragnatela,

Smisurato è il suo peso,

Per questo il filo può assottigliarsi,

La materia mutarsi in deserto.

Si spezzerà la trama biancastra,

Quando ci smarriremo nel bosco del ragno,

Dove il calpestio negli echi della risata risuona

Come nel Trono di sangue di Kurosawa?

Una stella verrà in aiuto?

Aldebaran cercherà di rinforzare

L’esile nastro col raggio,

Finché il deserto non si coprirà di luce?

Dove la vista le visioni non raggiunge,

Le funi delle altalene ondeggeranno,

Il filo della speranza è teso –

Una delle tre forze di attrazione.

1965

Perché ah perché?

Perché dopo la notte all’alba

Arriva del padre morto

Un amico proprio come vivo?

Perché il suo cognome non riesco

A dire correttamente?

Perché quella birra sulla tavola

Nei boccali non riempiti?

Chi così l’ha lasciata?

È una processione non un funerale

È un funerale non una processione?

Perché quei neri stendardi

Che come punti esclamativi

Dividono il corteo?

Chi ha dato l’ordine

Di uccidere i traduttori­?

Forse perché si vogliono

Rafforzare le divisioni tra i popoli?

Di sicuro l’alveare si frantumerà

Quando si spezzeranno le pareti di cera

E il miele sul muco dorato

Porterà le crisalidi indifese?

Ascolta quei passeri che

Nei rami dei carpini e dei viscioli

Non tacciono malgrado il fragore

Della macchina che macina i rifiuti

Come lo sbattere di secchi di metallo

Che ogni mattina nel sonno crea sgomento.

1973

(C) by Paolo Statuti

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