Jerzy Harasymowicz

9 Lug

Jerzy Harasymowicz – Un poeta che amava le vecchie icone e i sentieri di montagna

Wislawa Szymborska e Jerzy Harasymowicz

 

   Jerzy Harasymowicz nacque il 24 luglio 1933 a Puławy e morì il 21 agosto 1999 a Cracovia. Nel 1953 terminò il liceo forestale a Limanowa e debuttò nel 1956 con la raccolta di versi “Meraviglie”. Cominciò quindi la sua attività letteraria contemporaneamente a poeti quali: Białoszewski, Grochowiak e Herbert, e le sue poesie – assieme a quelle di questi ultimi – furono subito accolte come un lieto segno di rinascita della lirica polacca, dopo alcuni “anni di magra” per gli amanti della poesia.

   I critici e i lettori restarono incantati dalla immediatezza dei sentimenti, nonché dall’immaginazione figurativa del poeta, sotto la cui penna la realtà assumeva tratti fantastico-fiabeschi. Nei suoi versi, pieni di humor e di grazia, fu visto un ritorno alle più autentiche, originarie fonti della poesia, scorte con lo sguardo fresco e ingenuo di un bambino o di un artista popolare. Ecco cosa scrisse il poeta e critico Mieczysław Jastrun, dopo aver letto i versi giovanili di Harasymowicz: “…Nei componimenti del giovane Harasymowicz mi ha colpito l’autenticità dell’immaginazione, la freschezza dei colori del mondo…Spesso i versi giovanili, perfino di grandi poeti, risultano deboli e convenzionali. Harasymowicz è subito montato in sella, e non una sella qualsiasi, ma quella splendente dell’oro puro della poesia. Qualunque cosa egli tocchi, sia che parli dell’infanzia, di una partita a scacchi, dell’amore, dell’inverno o di gatti, tutto nelle sue parole comincia a risplendere. Proprio da questo riconosciamo un poeta…”

   L’elemento che in particolar modo contraddistingue la lirica di Harasymowicz è lo scenario poetico che fa da sfondo alle sue opere e che mostra la bellezza dell’antica cultura. Tale scenario è formato anzitutto dal paesaggio delle regioni predilette dal poeta: i Beskidy di Nowy Sącz, la valli del fiume Poprad, Muszyna e Krynica. I monti Beskidy e i boschi, l’arte popolare legata a questo paesaggio, le chiesette ortodosse nei villaggi abitati un tempo dai Rusnaki d’Ucraina, le piccole cappelle e le nicchie coi santi lungo le strade,, madonne medioevali intagliate nel legno (che poi costituiranno il tema di un distinto ciclo di versi intitolato “Madonne polacche”), icone bizantine annerite – ecco i motivi che il poeta ravviva con la sua fantasia, trasforma, dà loro foggia di fiaba con tutte le caratteristiche di questo genere: straordinarietà e prodigiosità, animazione dei fenomeni naturali e attribuzione ad essi di tratti umani.

   Il clima della poesia di Harasymowicz, benché fondamentalmente assai omogeneo, nelle sue singole raccolte ha subito certi cambiamenti. All’inizio l’insieme dei motivi del mondo della natura e dell’arte cantati dal poeta, si compongono in un modello idilliaco di paese della felicità, di un’ Arcadia che protegge il poeta dalla molesta prosa della vita. Ciò è soprattutto evidente nella seconda raccolta dal titolo significativo “Ritorno al mite paese”. Nella raccolta successiva – “La torre della malinconia” –  il poeta sembra sostituire l’estasi beata con il timore, lo sgomento, le visioni minacciose di sogni agitati. Ma è soltanto una breve parentesi, perché il substrato principale della sua immaginazione è formato non dai miraggi dei sogni, ma dalla veglia, dal mondo della natura e dal mondo umano, dall’area culturale in cui il poeta è profondamente inserito. In quest’area – accanto alla natura dei Beskidy e al mondo dell’arte popolare – rientra anche Cracovia, la città in cui Harasymowicz vive e che costituisce uno dei temi più frequenti dei suoi versi.

   Ha scritto una trentina di raccolte di poesie, talvolta pubblicandone anche più di una all’anno. A questo poeta che ha definito la poesia “la bolletta della luce dell’anima”, una volta un critico chiese: “Dove prende la forza per questo straordinario ritmo lavorativo?” E Harasymowicz rispose: “E’ semplicemente un nostro dovere”. Vengono in mente le parole di Apollinaire: “Il dovere non è una parola vuota, è la base stessa della vita sociale, senza di esso gli uomini diventano amorali. Non bisogna amare il dovere a metà; o tutto o niente, siamo creati per amarlo interamente, ma in libertà e con piacere, con interesse e senza costrizione”.

   Dopo un periodo di calorosa approvazione da parte dei critici più illustri (ad esempio Kazimierz Wyka, morto nel 1975, e Jerzy Kwiatkowski) che hanno sottolineato gli alti valori dell’immaginazione poetica di Harasymowicz, la sua creazione a volte è stata accolta freddamente. Gli è stata imputata l’omissione dei più importanti problemi della vita contemporanea, la mancanza di approfondimento intellettuale, il sentimentalismo e l’adescamento dei lettori con i facili effetti dello stile. “Vale comunque la pena di rilevare – scrive il critico Ryszard Matuszewski – che spesso simili addebiti vengono rivolti (specialmente nei circoli specialistici) alla poesia i cui valori consentono di ottenere una vasta popolarità. Essi non vennero risparmiati neanche al poeta K.I. Gałczyński, al quale Harasymowicz viene spesso paragonato”.

   Sorprende e suscita rispetto  la coerenza del poeta che non abbandona la sua strada, benché si renda conto che su di essa lo aspetta la solitudine, perché non è la strada maestra della contemporaneità. Ma egli ha consapevolmente scelto i poco frequentati sentieri di montagna, volendo lasciarsi alle spalle tutti i conflitti, le lotte, le mode, le illusioni e i timori della nostra epoca. Forse anche da questo deriva la popolarità del poeta, forse proprio per questo le persone stanche della civiltà leggono così volentieri le sue poesie, nelle quali trovano parole e immagini ristoratrici, come una sorgente nel bosco, durante la canicola.

 

5 poesie di Jerzy Harasymowicz tradotte da Paolo Statuti

 

Mochnaczka (1)

Arrivo III ottobre ‘77

 

Il larice dorato nel buio

m’indicava la strada per giungere a Te

con la spada fiammante dell’autunno

– adesso

mi guarda soltanto

e nulla dicono le Sue maniche

corrugate dallo stupore

Non dice una parola

la Sua camicetta ricamata

col paesaggio del luogo

Con la ricamata

rosa selvatica

del cuore

E’ tranquilla

ed è un normale

giorno pieno di arnesi

E stiamo

faccia a faccia senza parlare

sulla stretta passerella

– del pavimento

sotto il quale fruscia

la nostra vita selvaggia

E vedo

nei suoi occhi riflesse

due chiese

colme di lacrime

E lei vede

i miei capelli

coperti di brina

Per i quali un giorno

si tolse di dosso senza parlare

il giorno dei suoi vent’anni

 

(1) Campagna nel voivodato di Nowy Sącz.

 

Somigliante a una Zingara

Così piccola

che potrebbe

abitare in un verso

Somigliante a una Zingara

ricoperta

dell’oro puro

della giovinezza

con i tratti d’Ucraina

neri come selva

Con la gonna nera

tutta a fiori

di questo mattino

Tre giorni ha volato

vicino alla mia mano

come farfalla

Non credendo a nessuna

delle mie parole

 

Il bosco

I funghi velenosi

ad ogni costo

vogliono essere colti

Il sempreverde

taglia le mani

come rasoio

Gli acquitrini cercano

di vendere a ciascuno

i loro tappeti

Nella radura

è nero dal tanto veleno

Ti sorridono

la cicuta e il veratro

Il bosco è silenzioso

e mite

 

 

Dalla veranda

Dalla veranda riconosco il bosco

Livido d’inizio primavera

Sul tavolo batte la pioggia

Consacra i primi anemoni

Dalla veranda riconosco il Poprad

Che lava lo sporco dell’inverno

Tra le betulle la luna nitrisce

Come un roano grigio

E il mondo riconosce me

Quello che viene con la parola

Quello che i blocchi di ghiaccio

Spezza a metà come un ferro di cavallo…

 

I gatti

Che facciamo la mattina? Già, la mattina dormiamo,

sempre che qualcuno non ci tiri per la coda all’improvviso.

Eh sì, perché noi allora soniamo la sirena dei pompieri.

E nel pomeriggio? Nel pomeriggio, noi gatti, come Colombo

andiamo chissà dove lungo il recinto, lontano,

pensando profondamente ai topi e al latte.

E la sera?

La sera saltiamo giù chissà dove. Attraverso lucenti scodelle-

                                                                                               lune

mordiamo i baffi e tiriamo fuori le sciabole

prima di scendere nelle silenziose cantine.

(C) by Paolo Statuti

 

 

 

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