Andrzej Juliusz Sarwa, scrittore, poeta, traduttore e giornalista polacco, è nato a Sandomierz il 12 aprile 1953. Ha debuttato nel 1976 con la poesia Il mio figliolo sull’almanacco Primo comunicato. E’ autore di più di 150 libri e centinaia di articoli di vario argomento, tra i quali spiccano quelli di carattere escatologico e demoniaco. Alcuni di essi costituiscono testi di lettura per gli studenti di teologia di diverse importanti università polacche. Tra le opere più apprezzate dai critici e studiosi di letteratura, va menzionata la trilogia dal titolo Il segreto del casato dei Semberk, un thriller teologico la cui azione inizia nel XVII secolo e termina nel 2006. In essa affiorano elementi riconducibili, tra gli altri, ad Edgar Allan Poe, Franz Kafka e Umberto Eco. Nel 2015 Andrzej Sarwa ha ricevuto dal Ministro della Cultura la medaglia al merito per il suo contributo nel campo della cultura polacca. Le poesie che ho tradotto e pubblico oggi nel mio blog, provengono tutte dal suo libro Poesie scelte, uscito nel 2015.
Poesie di Andrzej Juliusz Sarwa tradotte da Paolo Statuti
Vita quotidiana
1.
ci segnano con la copiativa
come i conti nei negozi statali
ci producono in serie
ci distinguiamo soltanto
per il valore che diamo
al denaro
2.
quando beviamo un goccio di vodca
siamo poeti
quando ne beviamo di più
siamo rivoluzionari
e chi siamo
dopo averne bevuta troppa?
neanche il gelo sentiamo
3.
invidio agli schizofrenici
la schizofrenia
ai santi la santità
denudato del mio gusto per la mistificazione
misterioso nel mio denudamento
Vita quotidiana 2
1.
di ragnatela è tessuta la nostra vita
non scorgendo la bellezza
contiamo i passi verso l’eternità
ogni giorno
più poveri di un giorno
2.
il lillà selvatico
cresciuto sulle tombe
gli occhi dei morti
stregati dalla brama della risurrezione
e noi
indifferenti al tempo
che succhia da noi la rugiada
dei mattini che di nuovo
si risvegliano
Vita quotidiana 3
il giorno
nell’esofago l’amarezza
negli occhi l’amarezza
una donna anziana aspetta l’autobus
della corsa lei – da nessuna parte
(il cielo è azzurro come mai
e il prato è giallo di calte)
un tale nervosamente conta
le piastrelle del marciapiede
a una bella ragazza
il vento arruffa i capelli
nell’immensità del cielo
i fiori degli alberi spumeggiano
vuoto…
La morte di san Francesco di Assisi
il pallone dorato – fratello sole
pende come morto respiro
sul deserto della vita quotidiana
un contadino ingobbito
con le mani nodose
strappa le viscere dell’erbaccia
e una cicala ubriaca
vomita con sonoro argento
la vigna sonnolenta
addolcisce l’umido
dei grappoli che maturano
si spengono gli occhi ciechi
accendendo con le ultime scintille
l’inno della creazione
* * *
sono te all’inverosimile
ricolmo
lacerato dalla reticenza
che dondola sulle labbra semiaperte
assaporo le parole
che non giunsero mai
leggo i gesti
che non significano niente
il mio affetto
ha il colore del tuo rossetto
* * *
E da oggi non sarò più quello
che ti canterà
una canzone d’amore.
Non sarò quello
che seduce
col soave sorriso di Budda.
Non sarò quello
che vorrà violentarti con le cantate di Bach.
Non sarò quello
che oserà dire
che senza di te
è così difficile vivere.
E non aspetterò più un tuo sorriso…
* * *
tu sai come profumano
le foglie cadute dell’acero
che vestono
il vialetto del parco
che frusciano sotto i piedi?
Se non lo sai
non andare oltre
la tua strada non ha senso
come trappole tese
a una visione sognata
che mai
si sognerà
fino in fondo…
* * *
Eppure verrà
quell’istante
in cui un uccello ferito
di nuovo si alzerà in volo
e impigliato
in gomitoli di nubi
volerà là
dove un tempo
balenò la speranza…
* * *
Il tempo cade
goccia dopo goccia
Sai chi può
condurti là
dove porta
il sentiero dimenticato.
Non vuole conoscerti.
Tu stesso lottando
con l’eccesso
di luce,
chiedi se vale la pena
di aggrapparsi alla vita.
Da nessuna parte
giunge la risposta.
* * *
la pioggia sferza i vetri appannati
il vecchio Omero accovacciato
sulle scale
di continuo si scansa
per far passare chi sale
e chi scende
gli occhi ciechi velati
dalla cateratta
neanche provano
a distinguere gli intrusi
oggi chirurgicamente
gli toglierebbero l’albugine
e anziché dettare
l’Iliade e l’Odissea
aprirebbe una boutique
o un negozio di alimentari
dove
– ovviamente! –
si può comprare anche la birra…
* * *
C’è il tempo dell’aratro
e il tempo della semina.
C’è il tempo dei germogli
e il tempo della crescita.
C’è il tempo della maturazione
e il tempo della falciatura.
C’è il tempo della trebbiatura.
E poi i mulini macinano,
finemente e lentamente.
Di chi sono le mani?
Di Dio? O di Satana?
Plasmano di noi una pasta
di chicchi tritati?
Le mani di chi fanno da questa pasta
il pane mal cotto che s’incolla alla gola?
Le sere non portano che vuoto.
Le mattine ci svegliano per la solitudine.
Una folla di gente estranea
ci passa accanto con indifferenza.
Il tempo della nostra semina
è già trascorso da un pezzo?…
* * *
il rondò in la minore di Mozart
è come un merletto del Brabante
un filo di ragnatela
una goccia di rugiada
satura di calda
luce solare
è tutto
è tutto?!!!
(C) by Paolo Statuti
Sono molto interessanti queste poesie, stimolano una riflessione guardando il quodìtidiano con distanza per imparare a cogliere i frammenti della vita seminati negli anni che non ritornano più.
Buona serata
Francesco