Pubblico nel mio blog tre ballate e due romanze da me tradotte successivamente all’uscita del mio volume “10 Ballate”, pubblicato nel 2020. In tal modo completo la prima edizione delle Ballate e Romanze di Adam Mickiewicz, stampata esattamente 200 anni fa nel 1822.
AGLI AMICI
Inviando loro la ballata “Mi piace”
Kowno, 27 dicembre
Uno, due, tre… è già mezzanotte,
Intorno un silenzio arcano,
Soffia il vento sui muri del convento
E i cani abbaiano lontano.
Il cero già finisce di bruciare,
A tratti la fiamma si attenua,
Poi si rafforza e di nuovo languisce,
Balena, si smorza e balena.
Non era così tremenda quest’ora,
Quando il cielo mi era clemente:
Quanti dolci ricordi mi riporta!
Ma a che serve ora? a niente!
Ora cerco la gioia in questo libro,
Ma il libro mi annoia, ahimé;
La mente a cari temi mi conduce,
Ora sogno, ora torno in me.
A volte quando l’estasi illude,
Chi amo e i fratelli vedo;
Salto su, guardo, ma sulla parete
Solo la mia ombra intravedo.
Prendo la penna allora e nel silenzio,
Nei miei pensieri mi smarrisco,
Scrivo qualcosa per gli amici,
Scrivo, ma non so se finisco.
Forse una poesia sulla primavera
O forse una invernale;
Scriverò di amore e di spavento,
Di Maryla e del mondo spettrale.
Se cerca la sua fama nel pennello,
Le faccia il ritratto, un pittore,
Il vate con la rima immortale
Decanti i pregi del cuore.
Benché il mio intelletto sia cosciente,
Non la gloria cerco, ma il sollievo;
Io vi dirò, purché lo rammenti,
Quali gioie con lei avevo.
Lei non pronunciava frasi amorose,
Maryla non ne era capace;
Pur dicendole cento volte ti amo,
Non diceva nemmeno mi piace.
E allora a Ruta a mezzanotte,
Quando tutti vanno a dormire,
Con questa ballata, come un addio,
Io l’ho voluta impaurire.
1819
IL GUANTO
(da Schiller)
Davanti all’arena di corte,
Dove le belve aspetta la morte,
Siede il re tra i grandi del regno.
Tutti aspettano un suo segno;
Sui balconi agghindate
Siedono le dame emozionate.
Il re fa un gesto con la mano,
Una gabbia si apre e pian piano
Un leone imponente
Avanza,
Alza la fronte fiera,
Lo sguardo intorno gira,
Scuote la criniera,
Sbadiglia annoiato,
A lungo si stira
E a terra è già sdraiato.
Il re fa un gesto di nuovo,
Di nuovo si alza una grata,
A rapidi passi, avida di caccia
Una tigre si affaccia,
Guarda da lontano
E lampeggiano i denti bianchi,
Allunga la lingua,
Batte la coda sui fianchi
E gira intorno al leone,
Grugnisce irritata
E mugolando
Al suo fianco è già sdraiata.
Il re di nuovo fa un gesto,
Di nuovo una grata si alza
E una coppia di leopardi
All’infuori balza;
Di lotta ansiosa,
Sulla tigre si avventa rabbiosa,
Si avvinghiano con furia
Ma la lotta non dura –
Il leone solleva la testa,
Ruggisce e il silenzio ritorna.
La tigre ansima e gira intorno
E ansimando si arresta,
Poi al suolo si sdraia di nuovo.
La leggiadra Marta a un tratto,
Da un balcone leziosa
Un suo guanto getta e il guanto
Tra le belve si posa.
Marta ad Emrod si rivolge:
“Chi mi ama davvero tanto,
E me l’ha detto mille volte,
Ora mi riporti il mio guanto”.
Emrod senza temere
Si avvicinò alle fiere,
Guardato con orrore
Da cavalieri e signore.
Il guanto prese
E tornò sul balcone.
Sul viso di Marta sorridente
Gettò il guanto dicendo:
“Al vostro incanto sono indifferente”.
Poi si voltò e andò via per sempre.
aprile 1820
TUKAJ
ovvero PROVE DI AMICIZIA
Ballata in quattro parti
I
«Io sto morendo. – Io non piango.
Sia questo il vostro conforto:
Prima o poi la morte ci aspetta,
Non soffre più colui che è morto.
Possedevo terre e castelli,
Ero celebre e potente,
La mia porta era sempre aperta
Per ogni amico e conoscente.
O forza! o creatura umana!
Grande nome, ricche dimore,
Grande nulla! semplice fumo!
Muoio quando la vita è in fiore!
Quando cercando il sapere
In capo al mondo mi spingevo
E gli occhi sui libri stancavo,
Un tesoro di scienza avevo.
O scienza! o creatura umana!
Grande nome, grande onore,
Grande nulla! semplice fumo!
Muoio quando la vita è in fiore!
Sincero e con l’anima pura
La santa fede rispettavo,
Prodigo premiavo la virtù,
La mia offerta in chiesa portavo!
O fede! o creatura umana!
Santo nome, santa devozione!
Santo nulla! semplice fumo!
Muoio quando la vita è in fiore!
O Creatore! così severo,
Se mi dai questa breve età,
A che pro ho servi fedeli?
A che pro premio la fedeltà?
Tu doni l’amante all’amante,
Ma la morte non li vuole insieme.
E ho così tanti amici !
Statemi bene, statemi bene!»
Circondato dai suoi cari,
Tukaj, tra gemiti e lamenti,
Salutato il mondo per sempre,
Ha chiuso gli occhi ormai spenti.
A un tratto un fulmine sul tetto,
Tremano i muri della stanza,
Un vecchio a tutti sconosciuto
Vola dentro con arroganza.
La testa bianca come neve,
Le guance da rughe solcate,
La barba che arriva ai ginocchi,
Le mani a un bastone poggiate.
«Tukaj!» – e lo toglie dal letto.
«Vieni con me» – gli ordina – «vieni!»
Attraversano molte stanze
E superano i terrapieni.
Vanno. Cade una fitta pioggia.
A tratti l’argento lunare
Dissolve la nebbia addensata,
A tratti in essa scompare.
Superano i boschi fangosi,
Paludi e gole profonde
Di Hnilice la buia foresta,
Del lago le livide onde.
Là dove la selva è più folta,
Nero in basso, la cresta d’oro,
La fronte coperta di pietre,
Si erge il monte Zarnowo.
In ginocchio su una tomba,
Le braccia al cielo rivolte,
Il vecchio spalancò la bocca,
Gridò e fischiò ben tre volte.
«Tukaj, guarda, ecco il sentiero!
Oltre il sentiero, non lontano,
C’è l’eremo del saggio Polel *,
Il saggio al saggio tende la mano.
Nota è la tua scienza e la virtù,
Dio alla terra ti ha legato
Con tant amabili vincoli,
Ma una breve vita ti ha dato.
Non temere inutilmente,
Scopri le mie possibilità,
Vivi per la moglie e gli amici,
Per sempre, per l’immortalità.
Io per primo a un occhio mortale
La strada oso indicare,
Ma come la legge dispone,
Solo per due lo posso fare.
Scegli dunque un’altra persona
Che stimi e di cui diresti
Che in ogni difficile prova
Come di te ti fideresti.
______________________________________
* Divinità degli antichi slavi (N.d.T.)
Scegli bene – sarai immortale!
Scegli male – avrai la tomba».
«O vecchio! queste tue visioni
Un velo oscuro adombra.
Dimmi… » – «L’ho detto e lo ripeto:
Scegli qualcuno e sii accorto.
Ascolta la tua testa e il cuore.
Ciò riguarda l’anima e il corpo!
Uno fedele o non fedele,
Immortalità o per sempre morto!…
Di chi fidarti veramente?… »
Tukaj al vecchio non risponde,
Chi può leggere nella mente?
Come puoi fidarti dei servi?…
«Forse la consorte o l’amante?»
«Sì…» – però tace rattristato;
«Sì… » – ma non ha continuato.
I pensieri si accavallano,
«Certo, la moglie… sì, l’amante!»
Ma la paura lo confonde
E arrossisce dubitante;
I pensieri si accavallano,
Ecco, forse ora risponde,
Ora… ma nient’altro egli aggiunge.
«Muori allora! osavi chiedere?
Tu osavi desiderare?
Tu di nessuno hai fiducia,
Perché al mondo voler restare?»
Lui pensa. – «Nessuno fra tanti?
La moglie, un amico, un’amante?» –
Lui pensa. – Ma all’improvviso
La volta del cielo si annera,
Tuona, trema la terra intera,
Brucia e ribolle la palude,
Si fonde nel fuoco la rupe,
Spariscono le valli e il lago.
Tra fulmini, fischi e stridori,
Grazie a forze superiori,
Tukaj nel suo letto ritornò,
Circondato dai famigliari.
Una voce da lontano tuonò:
«Non hai nessuno, l’hai ammesso,
Di cui potresti in ogni prova
Fidarti come di te stesso!»
II
«Io ce l’ho un amico, ce l’ho!»
Grida a un tratto Tukaj morente.
Scompare il pallore dal viso
E l’occhio di nuovo si accende.
Tukaj è strappato alla tomba,
Da sé solo lascia il suo letto
E cammina con le sue forze,
Come da nulla fosse affetto.
E camminando egli vede
Sul cuscino una pergamena,
Dove un segreto accordo
Un diavolo ha scritto appena.
Tukaj , curioso, lo prende,
Si siede, si accomoda e legge:
«Il giorno in cui la luna nuova
Sul piccolo bosco vedrai,
Cerca una pietra sotto la quale
C’è una radice che strapperai.
Quando verrà da te la morte,
Ordina di tagliarti in quarti,
Di far bollire la radice,
Per ungere bene i tuoi arti:
Rinascerà l’anima e il corpo,
Ti alzerai nell’età fiorente
E, grazie al balsamo, potrai
Morire e nascere per sempre».
Poi istruzioni da osservare:
Come testa e gambe tagliare,
Che acqua usare per bollire,
Quali erbe per l’unguento.
E nel poscritto, per finire,
C’era questo avvertimento:
«Se è usata un’altra persona
Per compiere questa unzione,
Dai nostri inganni sviata,
A un altro l’erbe mostrerà,
O nel momento stabilito
Il tuo corpo egli non unge:
Allora il balsamo non servirà
E tu fra i demoni finirai.
Se tu sei d’accordo, adesso,
A conferma di quanto detto,
Mefistofele, nostro messo,
Ti darà una copia del patto.
Sta’ attento ai nostri inganni,
Farci causa non ti servirà.
Scritto nell’Erebo, sabato.
Firmato di suo proprio pugno:
Nihil obstat: Lucifero,
Copia conforme: Hadramelach».
Tukaj, scontento, ora pensava,
Il poscritto non si aspettava.
Poggia il mento sulla mano,
Contrariato il naso corruga,
Più volte la fronte si asciuga,
Prende il tabacco e l’annusa,
Ora abbassa lo sguardo a terra,
Oro lo rivolge al soffiitto.
Prende il foglio, lo soppesa,
Lo guarda e riguarda stizzito,
Lo rilegge ancora una volta,
Di nuovo incerto lo soppesa,
Poi sul tavolo un pugno sferra,
Sospira, bofonchia, protesta,
Mette le mani sulla testa,
A un tratto salta su irruente,
Agita la mano: «E sia!»
Poi tace e siede nuovamente,
Si rialza e di nuovo pensa,
Cammina, si siede di nuovo.
Con lui bisogna aver pazienza,
Perché coi diavoli non si scherza.
Pensa: o la vita eterna,
O eternamente dannato.
Non dice niente, pensa tra sé,
E solo un suo labbro ha tremato.
È il momento della risposta.
Tukaj dalla folla si scosta
E tutto solo si rinchiude
Nello studio della ragione.
E là il contratto di nuovo,
Prima di accettarlo e firmarlo,
Nelle pinze dell’ attenzione
Mette stringendole ben bene.
I vari pensieri colano
Nel crogiolo della somiglianza;
Taglia con cura le differenze,
La stessa idea frantuma in grani,
La fonde come fosse cera,
Finché arriva alla conclusione.
Dopo averla esaminata,
Dice dopo lunga riflessione:
«Quali che siano gli inganni
Di cui ho sentito parlare,
Se sono pochi oppure tanti,
Avranno triplice natura.
Se tu vuoi sviare qualcuno,
Devi costringerlo o consigliarlo;
O convincerlo con un dono,
O spaventarlo, o costringerlo.
Ciò detto in poche parole
Sarà dunque un sillogismo:
È destinato alla rovina
Chi è curioso, avido o pauroso.
Ma chi in questo triplice caso
Non cederà in un cimento,
Di costui, come di te stesso,
Puoi fidarti in ogni momento».
Tukaj, ora contento di sé,
Cerca la sabbia e l’atramento,
Va a firmare il patto infame,
Ma senza fretta, a passo lento.
È già buio per la srittura,
Nell’inchiostro una muffa scura;
Due candele doveva usare
E due calamai colmare.
Il gomito ora gli doleva;
Nella penna un pelo vedeva
E il becco era molto usato.
La scosse, lo prese sull’unghia.
Dopo una lunga riflessione,
Finalmente scrive: E SIA.
Voleva mettere il suo nome,
Ma prima di scrivere la T,
Di nuovo pensa una mezz’ora.
La testa e la penna scuoteva
E niente di più ha aggiunto;
Solo dopo la lettera T
Ha messo ancora qualche punto….
Quando già vede tutto scritto,
Di nuovo vuol verificare;
Non ridete di lui, va capito –
Coi diavoli non puoi scherzare.
Ma con suo grande stupore
A un tratto la «S» di SIA
Comincia a ronzare e frusciare
E a gonfiare tutti i bordi.
Gira, bela e aumenta il gonfiore,
Come fa la pasta lievitata.
La metà inferiore in quel mentre
Si tramuta in costole e ventre,
E nella metà superiore
Sembra un pentolone la testa.
Il collo come di una vespa,
Naso a uncino, barba caprina,
Una zampa è di cavallo,
Una zampa è di gallina,
Guarda con gli occhi di bovino,
Ha le ali come un mulino…
Insomma ve lo garantisco –
Era il messaggero Mefisto.
Tukaj non poteva sapere
Se doveva farlo sedere,
Ma quello gli salta addosso,
Spavaldo gli afferra un dito,
Fa un taglio con un coltellino
E bagna nel sangue il pennino;
Gli ficca la penna nella mano,
Guida la mano lentamente,
Quando UKAJ è già tracciato,
Si forma TUKAJ interamente.
Il diavolo sogghigna e scompare…
Bravo chi lo potrà trovare!
Aprile 1820
IL TUMULO DI MARYLA
ROMANZA
(da un canto lituano)
lo Straniero, la Fanciulla,
Janek, la Madre, l’Amica
Straniero
Là presso un ramo del Niemen,
Là dove il terreno è più verde,
Di chi è quel tumulo ben curato?
In basso è tutto adornato
Di biancospino e ribes nero;
I lati sono coperti d’erba,
La testa è ornata di fiori
E vicino a sè ha un pado.
Là portano tre sentieri:
Uno viene da destra,
Un altro dalla casa di fronte,
Il terzo da sinistra.
Di qui passava la mia chiatta
E a una fanciulla ho domandato:
Di chi è quel tumulo ben curato?
Fanciulla
Se a tutto il villaggio chiederai,
Una sola risposta avrai:
Maryla viveva in quella casa
Ed ora in questa tomba riposa.
Le tracce che vedi a destra
Sono di un giovane amante;
Questo è il sentiero della madre,
E di qua la sua amica viene.
Ma ormai l’alba è vicina,
Verranno anche stamattina;
Nasconditi dietro questo rovo,
Ascolterai il loro dolore,
Coi tuoi occhi vedrai.
Guarda a destra… ecco il giovane.
Guarda, anche la madre si avvicina,
E da sinistra ecco l’amica.
Camminano lentamente,
Portano i fiori
E piangono.
Janek
Maryla! a quest’ora!
Ancora non ci siamo incontrati,
Ancora non ci siamo abbracciati,
Maryla! è già sorta l’aurora!
Ti aspetto sospirando,
Stai ancora dormendo?
O con me sei adirata?
Ah, Maryla, mia adorata!
Perché e dove ti nascondi?
No, non sai che l’alba è sorta,
Con Janek non sei adirata,
Ma sei morta, tu sei morta!
Del tumulo sei prigioniera,
Non sarà più com’era,
Non ci vedremo più!
Prima, quando mi coricavo,
Mi dicevo: al risveglio la rivedrò
E nel sonno ti sognavo!
Ora dormirò lontano dalla gente,
Non desidero più niente.
Oh, chiudere gli occhi per sempre!
Ero giudizioso, quand’ero felice;
Mi lodavano i vicini, anche loro,
Mi lodava mio padre,
Ora io l’addoloro,
Nè con la gente, né con Dio!
Che il grano vada pure perso,
Che il fieno sia rovinato,
Che il vicino ci sia avverso,
Che i lupi sbranino il bestiame!
Maryla non c’è, non c’è!
Mio padre tutto mi procura,
La casa e l’attrezzatura,
A patto che io mi sposi;
M’invogliano i mezzani,
Non c’è Maryla, non c’è!
Ma non mi hanno convinto.
Non posso, no, non posso;
Padre mio, lo so che farò:
Lontano me ne andrò,
Cercatemi pure,
Nessuno mi troverà,
Ormai ho deciso,
L’esercito russo mi avrà
E in guerra sarò ucciso.
Non c’è Maryla, non c’è!
Madre
Perché non mi sveglio presto?
Nel campo dovrei già lavorare.
Tu non ci sei, mia cara,
E non mi puoi svegliare!
Tutta la notte ho patito,
Ben poco ho dormito.
Il mio Simon è andato
Prima dell’alba, per compassione
Non mi ha svegliato,
È uscito senza colazione:
Falcia, falcia tutto il giorno,
Da qui a casa io non torno.
Perché dovrei tornare?
Chi dirà che il pranzo è pronto?
Chi con noi si siederà?
Ah, nessuno ora lo farà!
Finché te avevamo,
Come in cielo ci sentivamo.
Quanti ragazzi e ragazze,
Com’era lieta la festa del grano,
E la semina così chiassosa.
Senza di te la casa è vuota!
Chi passa non si ferma.
I cardini arrugginiscono,
Il cortile s’infesta, ahimé!
Lasciati da Dio e dalla gente,
Non c’è Maryla, non c’è!
Amica
Qui, ricordo, al mattino
Sulla riva ci fermavamo
A parlare a lungo
Di chi amavamo.
Ciò non accadrà mai più.
Dove sei Maryla, dimmi, orsù!
Chi con me si confiderà,
Con chi io mi confiderò?
Ah, se con te, amica mia,
Gioia e tristezza non spartisco,
La tristezza resta tristezza,
L’allegria non è allegria.
Straniero
Questo sente lo straniero,
Sul viso una lacrima s’è versata,
Lui la lacrima asciuga
E prosegue la sua strada.
novembre 1820
IL SUONATORE DI LIRA
ROMANZA
(da un canto popolare)
Un vecchio come un colombo bianco,
Con la barba fino alla vita,
E due giovani che lo sorreggono
Passano accanto al nostro campo.
Egli canta e la sua lira suona
Accompagnata dai pifferi.
Lo chiamo e lo invito a sedersi
E onorarci con la sua persona.
«Vieni, festeggiamo la semina,
O vecchio, divertiti con noi!
Ciò che Dio ci manda dividiamo,
Dormirai nel villaggio, se vuoi».
Ha sorriso e, inchinatosi,
Si è seduto ringraziando,
Vicino si siedono i ragazzi
E guardano chi sta ballando.
Pifferi e tamburelli echeggiano,
Mucchi di ramaglia bruciano;
Saltano le giovani e le vecchie
Bevono: la semina festeggiano.
All’improvviso cessa il clamore,
Tutti abbandonano il fuoco,
Corrono sia giovani che anziani
A salutare il vecchio cantore.
«Salve, o cantore, sii il benvenuto,
Sei giunto in un bel momento!
Sei stanco, vieni da lontano?
Riposa e buon divertimento!».
Lo portano a un tavolo di zolle
E al centro lo fanno sedere.
«Su, prendi qualcosa da mangiare,
O una tazza di miele vuoi bere?
Vediamo i pifferi e la lira,
Di udirvi saremo contenti,
Ti riempiremo la sacca e un cesto
E ti saremo riconoscenti».
Batté le mani: «Silenzio, prego,
Silenzio! – ripeté – sedete,
Sonerò qualcosa volentieri,
Ma che sonarvi?» – «Ciò che volete!».
Prese la lira e con un bicchiere
Di miele il petto si scaldò.
I ragazzi presero i pifferi,
Toccò le corde e così cantò:
«Lungo il Niemen io vado vagando,
Passo da un villaggio all’altro,
Attraverso campi e boscaglie
Le mie canzoni cantando.
Tutti mi venivano vicino,
Ma nessuno, ahimé, mi capiva.
Asciugo le lacrime, sospiro
E mi rimetto in cammino.
Chi mi comprenderà avrà pietà,
Si torcerà le bianche dita,
Verseremo una lacrima insieme
E là il mio viaggio finirà».
Ma a un tratto smise di sonare
Guardando la gente sul prato,
I suoi occhi egli fissa in un punto:
Qualcuno se ne stava appartato.
Là una pastorella intrecciava
E disfaceva una corona,
E un giovane in piedi accanto a lei
Con i fiori giocherellava.
Calmo era il viso della fanciulla,
Lo sguardo era mansueto e fiero.
Non sembrava né triste né allegra,
Ma profondo era il pensiero.
E come vibra un filo d’erba
Anche in assenza di vento,
Sul suo petto vibrava la veste,
Pur nessun sospiro udendo.
Dal seno con la mano lei toglie
Una fogliolina seccata,
Sussurra qualcosa e la getta
Con una stizza malcelata.
Gira la testa, poi si allontana
Con lo sguardo al cielo rivolto,
Dagli occhi una lacrima è sgorgata
E un rossore ha coperto il volto.
Il vecchio tace e tocca le corde,
La fissava ora con dolore,
Il suo sguardo di falco sembrava
Voler scrutare a fondo il suo cuore.
Di nuovo prende la lira e il caldo
Miele nel suo petto scende;
I ragazzi prendono i pifferi
E di nuovo il canto si distende:
«Per chi intrecci la corona
Di rose, di gigli e timo?
Felice sarà la persona
Che in dono la riceverà.
Essa è per colui che ami?
Le tue lacrime e il rossore
Svelano per chi intrecci
Quella nuziale corona.
Uno avrà la corona
Di rose, di gigli e timo;
Ti ama un’altra persona,
Ma l’avrà uno soltanto,
Lascia il tuo rossore e il pianto
A colui che rendi triste,
E il fortunato abbia
La tua leggiadra corona!
Si levò allora un brusio,
I presenti sussurravano:
«La cantava uno del villaggio»,
Ma chi era non ricordavano.
Il vecchio triste alza una mano:
«Ascoltate! – egli dice – è così,
Me la cantava un infelice,
Forse uno che viveva qui.
Una volta viaggiando visitai
Królewiec e proprio allora
Da Litwa con una imbarcazione
Giunse un giovane pastore.
Era assai triste ma i motivi
Della tristezza mi ha celato.
Era fuggito dai suoi compagni
E la casa aveva lasciato.
Io spesso lo vedevo – all’aurora
O quando la luna brillava –
Nei campi o in riva al mare
Sempre tutto solo vagava.
Tra le rocce come una roccia,
Nella pioggia, al gelo, nel vento.
All’acqua affidava il suo pianto,
E ai venti il suo lamento.
Era triste e un giorno l’incontrai,
Da allora con me sempre restò.
Senza parlare accordai la lira
E a cantare cominciai.
Movendo la testa accennava
Che il mio canto gli piaceva.
Mi strinse la mano, l’abbracciai
E il pianto di entrambi scendeva.
Ci conoscevamo meglio adesso,
Eravamo amici sinceri.
Come al solito egli taceva,
Ma neanch’io parlavo spesso.
Poi, dal dolore logorato,
Perse del tutto le sue forze;
Io gli ero compagno e servitore,
Nella malattia l’ho curato.
Egli si spegneva lentamente,
Un giorno mi chiamò al capezzale
E mi disse: «La fine è vicina,
Niente potrà salvarmi, niente.
Inutilmente gli anni ho trascorso:
Questo è il mio unico torto,
Senza rammarico lascio il mondo,
Ma da tempo ero già morto.
Da quando queste rocce selvagge
Nascosto mi hanno tenuto,
Il mondo per me era nulla,
Solo di ricordi ho vissuto.
Ma tu mi sei rimasto fedele!
Non so come ricompensarti,
Sono povero e tu lo sai bene,
Ma ciò che ho voglio lasciarti.
Voglio che resti a te la canzone
Che spesso cantavo nel pianto;
Tu conosci bene le parole
E il tono di voce altrettanto.
Ho una ciocca di capelli biondi
E una foglia di cipresso;
Conserva ogni cosa con amore,
È tutto ciò in mio possesso.
Se lungo il Niemen incontrerai
Colei che non ho più riveduto,
Canta per lei la mia canzone,
E saprà di avermi perduto.
Ti ringrazierà, ti inviterà.
Dimmi… » – Ma gli occhi si spensero
E il nome della Santa Vergine
Sulle sue labbra restò a metà.
Morendo voleva dire ancora
Qualcosa, ma riuscì solamente
A indicare il cuore, volgendo
All’amata terra la sua mente».
Il vecchio tacque. Stringendo la foglia
A lungo ancora guardava,
Ma dalla folla era già lontana
La pastorella che cercava.
Solo la veste riconosceva,
Lo scialle il viso le copriva,
Prima che sparisse vide ancora
Che un giovane per mano la teneva.
Chiese al vecchio la folla turbata:
«Dicci, che cosa è accaduto?»
Egli taceva, eppure sapeva,
Ma per la folla restò muto.
1820-1821
I TRE FRATELLI BUDRYS
(ballata lituana)
Il vecchio Budrys ha tre figli forti come i Lituani,
Un giorno dice loro: «Ascoltate,
Tenete pronti i vostri cavalli e le selle,
Le spade e le lance affilate.
Perché mi hanno detto a Vilna che preparano
Tre spedizioni in tre direzioni:
Olgierd contro la Rus’, Skirgiełł contro Lachy,
E il principe Kiejstut contro i Teutoni.
Siete sani e forti, andate a servire il paese,
Gli dei lituani vi aiuteranno;
Quest’anno io non vado, benché ancora potrei,
Siete tre e quali siete sapranno.
Uno di voi seguirà Olgierd contro i Russi.
Oltre l’Ilmen, fin sotto Novogród;
Là troverà code di zibellino e arazzi,
Là i mercanti hanno soldi e assai di più.
Un altro di voi si unisca alle schiere di Kiejstut,
Di una strage di Teutoni si vanti;
Lì sono ricchi d’ambra, hanno stoffe pregiate
E pianete ornate di brillanti.
Il terzo di voi segua Skirgiełł oltre il Niemen.
Là invano buoni attrezzi cercherà,
Ma in compenso può trovare buone spade e scudi,
E da lì una nuora mi porterà.
Perché là vivono le amanti più avvenenti,
Tanto allegre come gattine,
Il viso più bianco del latte e le ciglia nere,
Gli occhi brillano come stelline.
Da lì, mezzo secolo fa, quand’ero giovane,
Una di loro ho preso per moglie;
E anche se è morta, ancora oggi io la ricordo
E il mio sguardo dovunque la coglie».
Ciò detto, benedì i tre figli e li abbracciò;
Saltarono in sella, giovani e forti.
Dopo l’autunno e l’inverno non tornano ancora,
Budrys già pensa che sono morti.
Nella bufera di neve un uomo armato vola
E sotto il manto cela qualcosa.
«Ehi, porti un sacco pieno di rubli di Novogród?»
– «No, padre, è la mia futura sposa».
Nella bufera di neve un uomo armato vola
E sotto il manto cela qualcosa.
«Figlio mio, tu mi porti un sacco pieno d’ambra!».
– «No, padre, è la mia futura sposa».
Nella bufera di neve un terzo uomo vola.
Il manto è gonfio di ricchezza altrui,
Ma prima di vederla, il vecchio Budrys ordina:
«Preparate le nozze anche per lui».
1827-1828