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La musica nella poesia polacca

22 Mag

 

 

Zbigniew Herbert

Canto del tamburo

Sono scomparsi gli zufoli dei pastori

l’oro delle trombe domenicali

i verdi echi i corni

anche i violini sono scomparsi –

è rimasto soltanto il tamburo

e il tamburo ci suona ancora

la marcia festiva la marcia funebre

semplici sentimenti vanno a tempo

sulle rigide gambe il tamburino suona

e un solo pensiero una sola parola

quando il tamburo chiama il ripido abisso

portiamo spighe o la lapide

che il saggio tamburo si predirà

quando il passo batte sulla pelle dei selciati

quel passo altero che trasformerà il mondo

in un corteo e in un solo grido

finalmente va l’umanità intera

finalmente ognuno ha trovato il passo

la pelle di vitello due bacchette

hanno distrutto torri e solitudine

e il silenzio è calpestato

e la morte non fa paura quando è densa

la colonna di polvere sul corteo

si aprirà il mare obbediente

scenderemo giù nel baratro

nei vuoti inferni e più in alto

del cielo verifichiamo la falsità

e liberato dagli spaventi

in sabbia si muterà l’intero corteo

portato dal vento beffardo

e così l’ultima eco passerà

lungo l’indocile muffa della terra

resterà solo il tamburo il tamburo

dittatore di musiche disperse

 

1957

 

Krzysztof Karasek

Spiegazione degli ultimi quartetti di Beethoven

                                                                                           A Paweł Mykietyn

 

Per essere folli bisogna avere conoscenze altolocate.

Quando le persone smettono di darsi del lei,

il resto è inevitabile.

 

Ho vissuto tanto da vedere i figli più vecchi dei genitori.

Grazie a ciò mi sono convinto che pensiamo le stesse cose.

Per quanto riguarda il mio lavoro, per esso ho rischiato la vita,

e la mia ragione è depressa.

Questo è Van Gogh.

 

Non c’è storia d’amore più triste

di quella di Giulietta e Romeo.

Morirò come il cigno, cantando

(Bianca dall’Otello).

Perché i nostri sogni sono sempre eterni?

 

Tre sono le streghe: fede,

speranza, amore.

La terza ora, ora delle streghe.

 

Il caso può essere sinonimo di Dio,

quando non permette troppe confidenze.

Must es sein? Must sein.

 

14.03.2012

Jerzy Liebert

 

Musica mattutita

 

Lontano e così leggero,

Il vento culla alberi e cielo,

Gli uccelli l’azzurro dalle gole

Spandono a gocce nella quiete.

 

Il silenzio come vaso colmo

Fino all’orlo di dolce fluido,

Versa l’azzurro nei calici

Dell’acacia e del gelsomino.

 

L’azzurro si fonde con l’argento,

Sprizza un intenso aroma,

Gratta agli uccelli le linguette

E nuove gocce suonano.

 

1925

 

 Rafał Wojaczek

 

Di nuovo musica

 

Di nuovo musica: chi ci pensa così intensamente,

che il cuore perde la memoria e batte altrove.

E il noto, benché sempre inatteso, timore

fa sì che i nostri corpi si trovino di nuovo.

 

E di nuovo con le labbra impaurite chiedi abilmente

il mio favore e curi la mia lingua addentata.

Ai freddi piedi permetti che lo spavento li guidi,

perché se avrai fiducia, lui stesso ti mostrerà il modo.

 

E di nuovo sei così premurosa e docilmente

fedele a quell’oblio che la musica

ti offre: l’invito ad accompagnarla col sangue.

E di nuovo la morte ci prende con sé per i suoi scopi.

 

1972

 

Bogdan Jaremin

 

Indirizzi di musica della signora Ishizu

 

La giapponese Ishizu non conosceva il tuo indirizzo.

Scriveva: Gould, Toronto, sentiva i suoni della mezzanotte.

 

E si apriva senza resistenza

il chiarore della musica

che ci attira dalla parte del bene comune

l’oscurità della musica

che giustifica il cammino verso l’ignoto

la preghiera della musica

che implora la pietà di Dio per ogni creatura

la fede della musica

che promette il seme al grembo chtonico della donna

la dispensa della musica

che nutre i sogni dei solitari oppressi dallo sconforto

la profondità della musica

da cui emerge un’isola sotto i piedi che affondano

 

Apritevi porte delle orecchie, apriti pietra del cuore

sollevati ferrea palpebra della notte,

svelati indirizzo del senzatempo.

 

2015

 

(Tutti le poesie sono nella versione di Paolo Statuti)

 

(C) by Paolo Statuti

Rafał Wojaczek

15 Set

 

Rafał Wojaczek: Ritratto del poeta e pittore Zbigniew Kresowaty

Rafał Wojaczek (Ritratto eseguito dal poeta e pittore Zbigniew Kresowaty)

  

   Poeta e prosatore polacco, annoverato nel gruppo dei poeti maledetti. Nacque a Mikołów il 6 dicembre 1945 e morì suicida a Wrocław l’11 maggio 1971. Debuttò nel 1969 con la raccolta Sezon (La stagione), accolta con lusinghieri giudizi dalla critica. Nel 1970 uscì la sua seconda raccolta Inna bajka (Una diversa favola). Postume uscirono Którego nie było (Colui che non c’era, 1972) e Nie skończona krucjata (La crociata non finita, 1972).

   Scriveva solo quando non era in stato di ubriachezza. Si chiudeva in casa per due settimane e senza interruzione scriveva, correggeva, limava. Poi subentrava un intervallo di due-tre settimane, durante il quale si ubriacava da non reggersi in piedi, faceva scenate, provocava scandali. Più volte tentò di togliersi la vita. I medici gli diagnosticarono la schizofrenia. Questa diagnosi pesò su tutta la sua vita. Egli stesso chiese di trascorrere una settimana in una clinica psichiatrica e lì conobbe un’infermiera che diventò sua moglie e gli diede una figlia. Ma il matrimonio non durò neanche un anno e finì col divorzio.

   Gli ultimi anni furono assai difficili – sprofondando sempre più nell’alcol sentiva di non essere più in grado di scrivere come un tempo. E non potendo scrivere, la vita non avrebbe avuto più alcun valore.  L’ultimo tentativo di suicidio gli riuscì. Su un biglietto scrisse esattamente le dosi e i nomi delle medicine che avrebbe preso. Non si sa se per documentare la sua morte, o per lasciare una indicazione per il pronto soccorso. Comunque sia, aveva ingerito una tale quantità di farmaci, tra cui una forte dose di valium, che neanche un pronto intervento avrebbe potuto salvarlo.

   Principali temi della sua poesia sono la morte, l’amore, la femminilità e la carnalità. L’erotismo e la sessualità sono ripetutamente legati alla morte. Il soggetto lirico dei suoi versi parla del dolore, ha il senso della estraneità, si ribella alla ipocrisia del mondo e della società, e ostinatamente esplora gli angoli oscuri dell’anima umana, analizza le proprie paure, inquietudini, ossessioni. Il linguaggio della sua poesia è spesso naturalistico, brutale e osceno. Ma sotto il volgare strato lessicale di Wojaczek si cela anche un profondo lirismo, un bisogno di tenerezza e una grande sensibilità, come emerge dalle lettere alla madre e al suo grande amore Teresa Ziomber.

   Questo poeta così inquieto e tragico, dalla vita così imprevedibile, morto ad appena ventisei anni non ancora compiuti, è stato uno dei fenomeni più controversi nella poesia polacca del XX secolo. E’ sfrecciato come una cometa, lasciando dietro di sé la leggenda, soprattutto tra i giovani.

 

Rafał Wojaczek tradotto da Paolo Statuti

 

Patria

 

Madre saggia come torre di chiesa

Madre più grande di Romana Chiesa

Madre lunga come transiberiana

E vasta come il deserto del Sahara

 

Madre pia come il foglio del partito

E bella come i vigili del fuoco

E paziente come un inquisitore

E dolorante come nel parto

 

E autentica come uno sfollagente

Madre buona come un gotto di birra

Seni di madre due vodke devote

 

E premurosa come un barista

Madre sacra come Regina di Polonia

Madre estranea come Regina di Polonia

 

Versetto per Miron Białoszewski

Ascoltare fino alla sordità

Affissarsi fino alla cecità

Affannarsi fino all’ultimo fiato

Assorbirsi fino alla distruzione

Ah, assanguarsi – fino al sole!

Amare fino alla repulsione

 

1970

 

Ti parlo piano

Ti parlo così piano come un luccichio

E fioriscono le stelle sul prato del mio sangue

Nei miei occhi è la stella del tuo sangue

Parlo così piano che la mia ombra svanisce

 

Sono un’isola fresca per il tuo corpo

che cade di notte come goccia ardente

Ti parlo così piano come nel sonno

il tuo sudore sulla mia pelle brucia

 

Ti parlo così piano come un uccello

all’alba il sole cala nei tuoi occhi

Ti parlo così piano

come lacrima che scolpisce una ruga

 

Ti parlo così piano

come tu fai con me

 

Mito di famiglia

 

Kiełbasa * –  

Mia madre commestibile

 

E’ appesa a un gancio di nichel

e odora di camino

 

Costa poco del resto non è mai stata cara

era comprensiva e conosceva le possibilità

 

Io sono figlio di mia madre

e di un certo giovanotto

che non fu prudente

e di sicuro cattivo

ma forse soltanto non sapeva

Mia madre allora era stordita

e poi si pentì

 

Adesso io ho fame

e mia madre pende

 

Dunque fisso la vetrina

e sento

che mi cola

la saliva e lo sperma

 

Lo so tra un istante non esiterò più

entrerò e chiederò

proprio questa

Kiełbasa –

Mia madre commestibile

E’ la mia fame dell’infanzia

* Salame in polacco

 

Sii per me

 

Sii per me dai piedi alla testa, dal tallone all’orecchio

Dai ginocchi all’inguine, dal gomito alle unghie

Sotto l’ascella, sotto la lingua, dal clitoride alle ciglia.

 

Sii il polo del mio cuore anormale

Il cancro che mangia il cervello e permetterà di sentirlo

Sii l’acqua dell’ossigeno per i polmoni bruciati.

 

Sii  per me reggiseno, mutande, giarrettiera

Sii culla per il corpo, bambinaia che culla

Mangiami lo sporco delle unghie, bevi il sangue mensile.

 

Sii passione e compimento, piacere, di nuovo fame

Passato e futuro, secondo ed eternità

Sii ragazzo, sii ragazza, sii notte e giorno.

 

Sii per me vita, gioia, sii morte, gelosia

Sii rabbia e disprezzo, disgrazia e noia

Sii Dio, sii Negro, padre, madre, figlio.

 

Sii – e non chiedere come Ti ripagherò

E allora gratis prenderai il più bel tradimento:

L’amore che sveglierà la morte addormentata in Te.

 

La stagione

 

C’è la ringhiera

ma non ci sono le scale

C’è l’io

ma non ci sono io

C’è il freddo

ma non ci sono le calde pelli degli animali

le pellicce d’orso le code di volpe

 

Dal momento in cui è bagnato

è molto bagnato

l’io ama il bagnato

sulla piazza, senza l’ombrello

 

C’è il buio

c’è il buio come il più buio

io non ci sono

 

Non c’è il dormire

Non c’è il respirare

Il vivere non c’è

 

Soltanto gli alberi si muovono

insolito muoversi degli alberi

 

generano un gatto nero

che percorre tutte le strade

 

Scrivo amore

 

per te scrivo amore

io senza nome

animale insonne

 

scrivo spaventato

solo di fronte a Te

che ti chiami Essere

io carne della preghiera

di cui Tu sei l’uccello

 

dalle labbra cola

una goccia di alcol

in essa tutti i soli e le stelle

l’unico sole di questa stagione

 

dalle labbra cola

una goccia di sangue

e dove è la Tua lingua

che calmi il dolore

causato dalla parola morsa

amo

 

 

 

 

*  *  *

I capelli assonnati assonnata la veste Lesbia assonnata

     Il brugo del sonno dolcemente elargisce l’arsenico

L’udito dorme la voce tace Dio muore

     Sordamente fruscia una conchiglia dell’oceano

Il bianco pesce del corpo lentamente nuota

 

 

Di nuovo musica

 

Di nuovo musica: chi ci pensa così intensamente,

che il cuore perde la memoria e batte altrove.

E il noto, benché sempre inatteso, timore

fa sì che i nostri corpi si trovino di nuovo.

 

E di nuovo con le labbra impaurite chiedi abilmente

il mio favore e curi la mia lingua addentata.

Ai freddi piedi permetti che lo spavento li guidi,

perché se avrai fiducia, lui stesso ti mostrerà il modo.

 

E di nuovo sei così premurosa e docilmente

fedele a quell’oblio che la musica

ti offre: l’invito ad accompagnarla col sangue.

E di nuovo la morte ci prende con sé per i suoi scopi.

 

1972

 

 

 

 

 

(C) by Paolo Statuti