Julian Tuwim (1894-1953)
LA LOCOMOTIVA
(Ho tradotto questo capolavoro della poesia polacca per bambini abbastanza liberamente e piuttosto come una “variazione sul tema” o, se preferite, come “trascrizione”. Come ogni traduzione poetica, essa è frutto di un compromesso tra la fedeltà e la libertà del traduttore, inevitabile specie quando si devono rispettare ritmo e rime del testo originale).
Nella stazione la locomotiva –
Enorme, pesante,
Di olio grondante.
Soffia, ansima e dalla pancia
Il fuoco avvampa:
Bum – che caldo!
Uh – che caldo!
Puff – che caldo!
Uff – che caldo!
Ansima e sbuffa, sbuffa a malapena,
E di carbone la pancia è strapiena.
I vagoni sono già agganciati,
Grandi, pesanti come carri armati
E ognuno è pieno di adulti e bambini,
In uno cavalli, in un altro bovini,
In un terzo siedono solo grassoni,
Siedono e mangiano grassi capponi.
Nel quarto dodici casseforti,
E nel quinto sette pianoforti,
Nel sesto una bombarda blindata!
Sotto ogni ruota una zeppa ferrata!
Nel settimo tavoli tondi e caraffe,
Nel seguente un orso e due giraffe,
Nel nono tanti maiali ingrassati,
Nel decimo casse e bauli borchiati,
I vagoni sono circa quaranta,
Anzi no, forse anche cinquanta.
E se venissero sia pur mille atleti
E mangiasse ognuno sei pasti completi,
E tutti avessero ogni muscolo teso,
Non reggerebbero tutto quel peso!
A un tratto – un fischio!
A un tratto – fiffiì!
Il vapore – bum!
Le ruote – tutum!
Dapprima
lentamente
come una tartaruga
pesantemente
Si è scossa
si è mossa
sulle rotaie
pigramente.
Uno strappo ai vagoni e tira,
E ruota dietro ruota gira,
Accelera e corre, corre più sicura,
Martella, batte ribatte e tambura.
Dove va? Dove va? Sempre diritto!
Sempre sui binari, a capofitto,
Per monti, per campi vola come un dardo,
Per evitare di giungere in ritardo,
A tempo rimbomba e batte to–to-to:
Tac to-to, tac to-to, tac to-to, tac to-to,
Fluida e lieve vola lontano,
Come se fosse un aeroplano,
Non una macchina così trafelata,
Ma un’inezia, una baggianata.
E dove, e come, perché così incalza?
Perché to-to, to-to in avanti balza?
Corre, martella, avvampa, bum-bum?
Il vapore l’ha mossa con forza puff-puff,
Puff – il vapore dalla caldaia ai pistoni,
E i pistoni come duecento polmoni
Pompano, pompano e il treno avanza,
Tac to-to tac to-to con forza e baldanza,
E le ruote rombano e batton to-to-to:
Tac to-to, tac to-to, tac to-to, tac to-to!…
RADIO UCCELLI
Pronto, pronto! Qui radio uccelli dal querceto,
Trasmettiamo il programma consueto.
Prego ognuno di sintonizzarsi,
Discuteremo sul da farsi,
Chiariremo questioni nebulose:
Anzitutto – come stanno le cose?
Inoltre – dov’è nascosto
L’eco nel bosco?
Chi può lavarsi per primo
Nella rugiada al mattino?
Come capire all’istante
Chi è un uccello e chi un intrigante?
Nei loro interventi
Pigoleranno, cinguetteranno,
Fischieranno, strideranno
Gli uccelli seguenti:
Usignoli, passeri, cardellini,
Galli, picchi, cuculi, beccaccini,
Civette, corvi, cince, cappellacce,
Papere, upupe, storni, beccacce,
Gufi, tordi, picchi, beccofrusoni,
Capinere, cicogne, mestoloni,
Rigogoli, marzaiole, fringuelli
E tanti tanti altri uccelli.
Per primo l’usignolo
Così cominciò:
“Pronto, o, to to to to!
Tu tu tu tu tu tu tu
Radio, radijo, dijo, ijo, ijo,
Tijo, trijo, tru lu lu lu lu
Pio pio pijo lo lo lo lo lo
Plo plo plo plo pron-to!”
Al che il passero trillò:
“Ma che musica è mai questa?
Ah! Mi viene il mal di testa
Per capirla, oibò oibò!
Cip cip ciiip!
Cip cip ciiip!
Usignolo guastafeste,
Non siam mica al circo equestre!
Guardate! Ha rizzato le piume!
“Basta! – grida a tutto volume!
Cip cip ciiip,
Cip cip ciiip!”
E trilla, soffia, strilla,
Cippia, scrippia, zirla,
E alla fine infuriata
Risonò una chicchiriata:
“Cucurìcu! Cucurìcu!”
Urla il cuculo: “Che sento!
Un momento! Un momento!
Cucu-rìcu? Cucu-rìcu?
Malandrino! Non consento!
Prendi ricu e vola via,
Ma il cucu è cosa mia!”
Cucu! Cucu! – ripeteva,
Al che il picchio: toc toc toc!
Ed il gufo ora a gridare:
Ma chi sei? Hai bevuto? Puoi andare!
E la quaglia: vieni qui! vieni qui!
Hai qualcosa? butta qui! butta qui!
Ad un tratto, ma che strano!
Trilli, strilli – che baccano:
“Dallo a me! Butta qua! Un rametto?
Una piuma? Uno spago? Un insetto?
Vieni qui, dammi la metà!
Faccio il nido, mi servirà!
Ma guarda che tipo! Non te lo do!
Non me lo dai? Vergogna, oibò!
Ma che roba! Dovresti arrossire!”
E tutti gli uccelli ad inveire.
La polizia dei pennuti fece irruzione
E così finì la trasmissione.
Jan Brzechwa (1900-1966)
Nelle isole Bermude…
Nelle isole Bermude
Non ci sono tartarughe,
Ma c’è un piccolo pulcino
Che trasporta un vitellino.
Ci son oche stravaganti
Che fan uova di diamanti.
Sulle querce e sugli ontani
Crescon mele e aranci strani.
E c’è anche una balena
Che somiglia a una murena.
E salmoni tanto buoni
Nel sughetto di lamponi.
Ed i topi vanno a scuola
Di chitarra e di mandola.
Le formiche hanno il chimono,
Ma quest’isole ci sono?
Non ci sono!
Non ci sono!
Bugiardella
Un momento, un momento,
E’ avvenuto un cambiamento:
Mia cugina Serenella
S’è mutata in pavoncella
E ripete tutto il dì:
“Cipi, cipi, cipicì!”
– Ma che dici, ma va’ via!
Questa è solo una bugia.
Un momento, un momento,
E’ successo un gran portento:
Da un enorme nuvolone
E’ caduto un acquazzone,
Ma di vino, oh oh oh,
E sapeva di bordeaux.
– Ma che dici, ma va’ via!
Questa è solo una bugia.
Non è tutto , un momento!
E’ successo un grande evento:
Dalla zia ieri mattina
Una stupida gallina
E’ saltata, ah ah ah,
Nella pentola sul gas.
– Ma che dici, ma va’ via!
Questa è pura fantasia.
Un momento, aspettate,
Una papera, pensate!
Che voleva fare il bagno
E’ affogata nello stagno,
Ed i pesci dal dolore
Hanno pianto per tre ore.
– Ma che dici, che bugia!
Questa è pura fantasia.
Lo diremo al tuo papà,
Alla mamma e ben ti sta!
La tinca, la rana e il granchio
La tinca, la rana e il granchio rosa
Tanto per fare qualcosa,
Decisero di lasciare lo stagno,
Per cantare sotto il castagno.
Eh, sì, ma come?
La tinca
Cantava per finta,
La rana
Come una frana,
E il granchio rosa
Alla ritrosa.
La carpa gonfiò allora le branchie:
“Amici ho un’idea brillante,
Tutti insieme, di botto,
Costruiamo un viadotto!”
Eh, sì, ma come?
La tinca
Costruiva per finta,
La rana
Come una frana,
E il granchio rosa
Alla ritrosa.
Il granchio disse allora:
“Non mangia chi non lavora,
Ho un’idea proprio geniale –
Mettiamoci tutti a fare le scale!”
Eh, sì, ma come?
La tinca
Faceva finta,
La rana
Come una frana,
E il granchio rosa
Alla ritrosa.
Ed ecco il rospo gridò da un fosso:
“La carestia ci è addosso,
Coraggio, amici cari,
Compriamo alimentari!
E per fare quattrini,
Produciamo calzini!”
Eh, sì, ma come?
La tinca
Produceva per finta,
La rana
Come una frana,
E il granchio rosa
Alla ritrosa.
La tinca alla fine sentenzia:
“C’è di mezzo la nostra esistenza,
Lasciammo lo stagno scioccamente,
Torniamo allo stagno immantinente.”
E andaron, ma – che peccato! –
Lo stagno era stato svuotato!
Allora tutti piansero tanto.
Ma bastava quel pianto
A empirlo tutto quanto?
Tanto più che
La tinca
Piangeva per finta,
La rana
Come una frana,
E il granchio rosa
Alla ritrosa.
L’anatra strampalata
Sul ruscello presso la fermata
Viveva un’anatra strampalata,
Che non nuotava con le compagne
Ma andava a piedi per le campagne.
Una volta andò dal barbiere:
“Per favore, un chilo di pere!”
Lì vicino c’era la farmacia:
“Un litro di latte per mia zia”.
Da lì poi andò dallo speziale
Per spedire un vaglia postale.
Le anatre dicevan disperate:
“Ma che roba, guardate, guardate!”
Faceva le uova sopra il tetto
E sul ciuffo aveva un fiocchetto,
E per indispettire i presenti,
Si pettinava con lo stuzzicadenti.
Sia che il tempo fosse brutto o bello,
Lei si portava sempre l’ombrello.
Mangiando una fettuccia lunga e fina,
Diceva: “che buona fettuccina!”
E quando inghiottì due monete,
Diceva: “ve le ridò, non temete!”
Le anatre si chiedevano in tante:
“Che ne sarà di questa stravagante?”
Ma alla fine arrivò un acquirente,
Che un bell’arrosto già aveva in mente.
E così fece con grande bravura,
In una teglia speciale, con cura,
Ma servendo il pranzo il cuoco esclamò:
“Ma questa è una lepre oibò oibò!”
E con un contorno d’insalata.
Eh sì era proprio strampalata!
Il fiammifero
Diceva il fiammifero orgoglioso:
– Mostratemi uno coraggioso,
Che con me possa competere qua,
Quando a un tratto cala l’oscurità.
Davvero il sole non vale niente
Col suo volto dorato e lucente,
Solo di giorno c’è il suo splendore,
Mentre il mio c’è a tutte le ore!
– Oibò, oibò! –
La candela esclamò.
Il fiammifero rispose fiero:
– Potrei bruciare il mondo intero,
E benché non sia uno che si vanta,
Anche la Vistola – tutta quanta.
Quindi, dopo averci pensato un po’ su,
Saltò nel fiume e non bruciò più.
E così finì la presunzione
Di quel fiammifero fanfarone.
– Oibò, oibò! –
La candela esclamò.
Boghindo, bogondo
Boghindo-bogondo, un tavolo rotondo,
E sul tavolino un cestino profondo,
Nel cestino una mela, nella mela un vermetto,
E il vermetto indossa un verde giubbetto.
Dice il vermetto: – Nonna e nonno Michele,
Papà e mamma hanno sempre mangiato mele,
Io non ne posso più! Le mele mi hanno stufato!
Ho voglia di bistecca! – E se ne andò al mercato.
Strisciò a lungo e non cambiò idea neanche un istante;
Arrivò in città e andò al ristorante.
Nei ristoranti – le stesse usanze suppergiù:
Arriva il cameriere e gli porge il menù,
Ma nel menù – che spavento e che scalogna!:
Zuppa di mele e gnocchi di mela cotogna,
Mele bollite, mele al forno, torta e frittelle
Di mele e pizza di mele novelle!
Allora, vermetto? La bistecca è andata a fondo?
Boghindo-bogondo, un tavolo rotondo.
Pettegolezzi di uccelli
Il fringuello sulla quercia si posò:
– Di sicuro oggi mi raffredderò!
Avrò forse anche il mal di gola,
Perderò la voce e la parola,
E devo dare un concerto martedì,
Da tempo l’ho promesso al colibrì.
Gemettero tristi le ghiande: – Ahi! Ahi!
– Come farai, fringuello, come farai?
Vola dal picchio, si trova sul faggio,
Che ti batta sulla schiena, coraggio!
La cincia cinguettò in un sol fiato:
– A quanto pare il fringuello è malato!
Il pettirosso andò dallo stornello:
– Lo sai? E’ successo questo e quello,
La cincia proprio ora ha informato
Che il fringuello è gravemente malato.
Lo stornello volò dall’usignolo
– Non si sa molto, ma risulta solo
Che il fringuello da un mese tondo tondo
E’ già semplicemente moribondo.
L’usignolo chiese quindi all’ara
Di preparare subito una bara.
Poi l’ara si rivolse al passero:
– Dammi i chiodi per chiudere la cassa.
Da ciò venne a sapere il colibrì
Che il fringuello sarebbe morto quel dì.
Ma il fringuello che non sapeva niente,
Sulla quercia stava tranquillamente.
Le ghiande lo informarono poco dopo
Che il concerto non avrebbe avuto luogo,
Perché il fringuello era appena morto,
E di certo non sarebbe risorto.
(Versione di Paolo Statuti)
(C) by Paolo Statuti