Nel mio blog musashop.wordpress.com ho già pubblicato tempo fa diverse poesie della poetessa polacca Urszula Kozioł, mia carissima amica. Quelle che pubblico oggi nella mia versione sono le ultime da lei scritte nel 2017.
Prima del commiato
“Canto a me e alle Muse…”
(Jan Kochanowski)
Credo nelle cose che non si vedono
nella musica che non si sente
credo nelle parole non dette
che rimangono nell’ipotesi
e in quelle impensabili
anche se da qualche parte esistono
Credo nel grido del silenzio
e nella capacità di superare il limite
del tempo e del territorio
tramite un verso
che sa sollevarsi
e da una lingua a un’altra
facilmente trasferirsi con “piedi di piombo”
Credo che l’inesistente
mi trasformerà e illuminerà
perché io scompaia più silenziosa
da questo mondo
senza spaventare una farfalla
pensierosa sopra un fiore
(perché forse presto proprio essa
si tramuterà in me)
Lettere dell’alfabeto
Il mondo effettivo scompare
in mondi paralleli
io già vivo più nel virtuale
che nel reale
Mando lettere a nessuno
invento risposte
cerco di attingere fiducia
dal fruscio degli appunti
Qua e là gironzolo ed erro
nel letamaio delle parole imbrattate
prive di senso fino ad essere lettere nude
Come riunire queste lettere di nuovo
come riordinarle
come spostarle da parola a parola
La finestra
“Solitudine – a che serve la gente, cos’è il cantore per la gente?…”
(Adam Mickiewicz)
Gli amici sono già corsi da persone più allegre
non si sognano di chiedersi come vivo
I miei morti erano affiatati
io non servo loro più a niente
Non devo affatto ritirarmi nel deserto
per riflettere sul mio destino
Il mio deserto sono queste quattro pareti
la porta alla quale nessuno bussa
il telefono muto
Il mio deserto è la città piena di frastuono
essa mi ha voltato le spalle coi grattacieli
(che mi hanno tolto l’orizzonte
ancora ieri visibile dalla finestra della cucina)
Metamorfosi
Camminando mi sorprendo
a muovere le labbra muta
ma non so che cosa
ostinatamente taccio a me stessa
e a un tratto senza preavviso
da se stesso si svincola un verso
come dalla propria crisalide
adagio e a fatica la cicala
esce buffamente un piedino dopo l’altro
un occhio dopo l’altro
alla luce
libera dai gangli le alucce
le distende
e canta subito
a gran voce col loro aiuto
Tra le linee
Le linee del cuore e della vita
sul mio palmo
si scostano tra loro
corrono come rotaie
verso un binario morto
tra loro
si è stesa l’assenza delle parole
e in ciascuna separatamente
un segno di reticenze
di irriflessioni
tra loro un grande NIENTE
ha messo radici
tra loro banchi
di sabbia fittizia
un qualunque soffio anche il più lieve
già mi versa la polvere negli occhi
non posso trovare me stessa
mi sono smarrita
Invece di una poesia
Faccio passi incerti
seguendo il moto ondulato
di sparse particelle di linguaggio
e di singole lettere
trepidamente aggomitolate
ancora non messe in ordine
né in un alfabeto
né in una parola
nessuna sa ancora
con quale altra
e in quale riga deve disporsi
secondo il suggerimento
e secondo la formazione a delta
presa in cielo da oche e gru
al momento di volare via.
Battito d’ali
Già pensavo che per sempre
il cuore si fosse seccato
che attraverso questi aridi deserti
il verso vivo non passerà
un vento improvviso mi ha strappato
all’immobilità
mi sono aggrappata a una parola
per non cadere
adesso questa parola ha richiamato un’altra
e già entrambe insieme
chiamavano altre e altre ancora
alla fine sono riuscita a raggiungere il suolo
sotto i piedi del verso
ho toccato il fondo
e finalmente sotto i suoi piedi
ho ripreso fiato
*
Le parole hanno preso il loro posto
l’ultima della prima riga
si è unita all’ultima
della terza riga
e tra loro due
si è sparsa l’assenza di parole
bianca come un velo
o piuttosto come una benda
e da sotto questo candore improvviso
si è alzato un frullo
e invisibili ali
mi battevano sugli occhi
*
Le parole vorticarono
e una dopo l’altra con improvviso slancio
scomparvero in una nuvola lattea
e ho sentito
che mi rubavano un frammento di anima
e lo portavano non si sa dove
e non si sa dove l’hanno lasciato
e di nuovo il cuore si è seccato
non so per quanto tempo
e ho sentito gli inarrestabili piedi
di un verso che svaniva
che di nuovo mi abbandonava
e – non saprò per quanto tempo –
di nuovo mi ha strappato la penna di mano
Ai margini del crepuscolo
“L’orologio batte la mezzanotte,
scompari malinconia”
(Jan Kochanowski)
Sono annegata nelle lacrime
mi ha trafitta il momento nero
dell’uomo amato
non sono riuscita ad uscirne
mai mi sono salvata per miracolo
sono precipitata in un burrone
mi hanno perso di vista
hanno ripreso le ricerche un anno dopo
nessuno sa con quale risultato
per questo resto nel dubbio
vivo non vivo – –
recentemente
mi sono impigliata in un fato
si è visto che non era il mio
sono finita qui per errore
ormai non stava bene ritirarsi
non provengono da ciò questi sogni
altrui che si ripetono
e non mi appartengono? –
mi soprende la presenza nei miei sogni
di tante persone
mai viste prima
e anche di luoghi
di paesaggi nei quali
– che strano! – mi sento a casa mia
riconosco le strade, le case
so quale tram prendere
e per quale guado senza pericolo
passare dall’altra parte del fiume
i sogni bucati favoriscono
le immagini inventate
di sicuro si insinuano tra le fessure
mi stupiscono
le insolite costruzioni
nonché le vetrate in cattedrali deserte
mai essendo desta le ho incontrate così…
neanche simili persone…
Discuto con loro ma non so di che
corro corro
per non perdere il treno
benché mi invitino a restare
vogliono offrirmi qualcosa
forse ballare un po’ – –
Questo mondo parallelo chiaramente
vuole assuefarmi a sé
suscitare curiosità
anche se al tempo stesso fa tremare
perché mi è difficile conciliarmi
con lo stato così confuso della mia anima
che furtivamente da me già si allontana
verso spazi abissali
che non hanno né il lato destro
né il sinistro
né la parte bassa né quella alta
né il centro né l’estremità
e sono assolutamente
definitivamente incomprensibili
(C) by Paolo Statuti