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Julian Kornhauser

19 Mar

 

 

Julian Kornhauser

 

 

Poeta, prosatore, critico letterario, traduttore della letteratura serbo-croata, professore di Filologia slava all’Università Jaghiellonica di Cracovia, è uno dei principali rappresentanti della Nouvelle Vague polacca degli anni ’70 e una delle figure di primo piano nella vita letteraria polacca dell’ultimo mezzo secolo. Come critico letterario è ricordato soprattutto nella veste di appassionato difensore dei valori tradizionali della poesia, restando in acceso e ironico contrasto con la generazione dei poeti riuniti intorno alla rivista trimestrale underground “bruLion”, i quali cercavano la libertà come assoluto e propugnavano la rivolta e la contestazione, respingendo la tradizione patriottica e culturale.

E’ nato il 20 settembre 1946 a Gliwice. Il suo debutto poetico risale al 1967 sulla rivista Poesia e sull’Almanacco dei giovani. Dal 1968 al 1975 membro del gruppo Adesso. Negli anni 1981-83 è stato uno dei redattori del mensile Scrittura. Ha pubblicato 18 raccolte di poesia, tre romanzi e numerosi saggi, tra i quali ricordiamo quelli sull’opera di Zbigniew Herbert dal titolo Il sorriso della sfinge.

Fin dalla sua prima sorprendente raccolta Verrà la festa anche per i pigri (1972), dove troviamo inquietanti e fantasmagorici quadri surreali, ispirati dalle visioni di Bruegel e Goya, ha trovato un suo personale linguaggio con l’impiego di un’ampia gamma di mezzi e temi poetici: dalla cronaca di scene di vita a insolite visioni sature di elementi simbolici. E’ rimasto sempre fedele all’idea di letteratura impegnata, dove la poesia è banco di prova del mondo e sensibile apparato di conoscenza dell’uomo.

La sua poesia, che alcuni definiscono anche come “annotazioni sonore della realtà”, è ricca di colori. E’ profondamente personale e sorprendentemente universale. Lirico delicato, sensibile alla bellezza della vita quotidiana, capace di trasformare in materia poetica il ciarpame esistenziale. La sua penultima raccolta Origami si compone di miniature paesaggistiche, annotazioni contemplative e sommesse, dove il poeta cerca di esprimere le impercettibili relazioni tra ciò che è fragile, fugace, e ciò che costituisce l’eterna Natura. Egli riesce sempre ad essere un osservatore raccolto e un acuto pensatore.

Il poeta e critico letterario Bartosz Suwiński scrive: “La poesia di Julian Kornhauser è fragile e delicata come porcellana, è semplice, sobria e coraggiosa, si presta a continue interpretazioni. Essa impiega registri diversi per raccontare poeticamente la realtà. Concede la parola a individui indifesi, esclusi, dimenticati, ed essi a un tratto reclamano dignità. La forza della sua poesia risiede nella franchezza del suo poetare, captando ciò che viene dalla gente, dal mondo. E’ dalla parte dell’uomo. Vede chiaramente e senza pregiudizi. E’ una poesia fatta soprattutto di osservazioni intime, piene di serenità e raccoglimento”.

Penso che Julian Kornhauser, oltre che della propria opera, può essere fiero anche della sua prole: la figlia Agata è la moglie dell’attuale presidente polacco Andrzej Duda, mentre il figlio Jakub, poeta anche lui, è dottore in scienze umanistiche e insegna all’Università Jaghiellonica di Cracovia.

 

Poesie di Julian Kornhauser tradotte da Paolo Statuti

 

Vietnam

                                                                    Ecco il succo rosso scorre sull’erba verde,

                                                                    il succo rosso penetra nella terra nera,

                                                                    e sedici milioni di uomini uccidono…

                                                                    uccidono, uccidono.

                                                                                                             Carl Sandburg

 

Lanciate di più, lanciate più

sogno, in cui non c’è pallottola né fuoco,

in cui il gas è profumo

del paradiso promesso, lanciate più

rami respiranti e trasparenti

frutti, il corpo della giungla è spaccato,

nel fango dei mattini affondano le decisioni

e i rapporti, nella ragazza martoriata

matura il mondo, matura l’uccello

rigonfio, ritagliato dall’Europa e dal progresso,

dall’ora sognata e da un messaggio d’amore,

in entrambe le parti della giungla fiorisce

la benzina, in entrambe le parti del mondo

scoppia il fegato, e l’uomo plasma

di sangue il suo futuro e il suo odio,

non nascono i bambini, le madri non sono più

quelle care signore dalle seriche bianche

mani, e nessuno di questi

intelligenti assassini piange

nemmeno le piante uccise col gas.

 

Poesia

 

La poesia non mi serve per respirare

né per amare, né per mordermi le labbra, per sciogliermi

nella città, per il dolore, per gridare, uccidere. La poesia

non mi serve affatto, mi stringe al collo

con un pugno di carta, gocciola il sangue

secco degli aforismi, gli occhi grigi dei postulati si chiudono,

si aprono, il sordo grido del corteo da dietro

la barricata, che viene alzata, crea

in essa piccole dimore per gli evacuati.

Oh no, la poesia mi guarda come un animaletto

spaventato, sbattete la porta, e andrà a pezzi

la realtà, la modesta stanza di un lirico

naturale, che coltiva la polemica per

tempi migliori. Poesia, sporco asciugamano di albergo

che passa di mano in mano e odora

sempre dello stesso sapone da bucato. Che bello

mantenersi con la morte, che si allena

per le lunghe distanze al Madison Square Garden,

e credere che sia una metafora che assicura

un’onesta immortalità.

 

La pergola

 

Al lavoro vado a piedi

comincio alle sei e mezza

accendo la luce della macchina

se è rimasto il lavoro del giorno prima lo termino

se qualcosa non mi riesce mi innervosisco

smetto riposo penso

ciò che non riesce oggi riuscirà domani

lacune non ci sono

l’uomo come il ferroviere

batte sulla ruota e non chiede perché

come nella vita

il pomeriggio vado nel mio terreno

mi rallegro quando tutto germoglia

dalla pergola vedo l’alveare

 

Colpi

 

Quando il poeta scrive,

scrive per gli altri.

Ma gli altri non si rivolgono a lui,

cercano quelli delle prime pagine dei giornali.

Pieno di odio,

si getta su di loro.

Morde, prende a calci, impreca.

Vuole essere notato,

scrive sempre più furiosamente e di più.

Quanto più a lungo lotta,

tanto meno è per gli altri,

e tanto più è per se stesso.

 

Split

 

Attraverso a piedi la città

di notte, fino al porto.

Cade una calda e fitta pioggerella.

Sento davanti a me soltanto

i passi del mare.

 

La mietitura

 

Leggo le poesie di un nuovo poeta.

Notte, calura estiva, temporale.

Leggo, provando un vago timore

davanti alle sue parole, immensità delle graminacee

silenziosità del mare.

Sento in esse un grido di aiuto, ma

so che ormai non riuscirò a darlo.

Le mie futili parole contro le sue parole.

La mia incertezza e la sua mietitura.

 

Ricordare

 

Hai gli occhi, dunque guarda.

Non perdere neanche una fogliolina di questo mondo,

né un solo nervetto della sua delicata pellicola,

 

guarda e ricorda:

quella è una quercia che non lascerà mai la terra,

quella è una stella che regge con un filo i tuoi sogni,

 

quella è una casa, tronfia come saggio gufo,

e quella è una mamma che toglie le patate dal tegame.

 

Librerie

 

passeggiare tra le librerie

sfogliare i libri

copertine a colori come donne incinte

difficilmente si armonizzano

gli autori sorridono per le alette

le loro note si gonfiano

milioni di parole come piccoli insetti che conquistano i boschi

mi godo le interiezioni

fisso i titoli

non c’è fine all’insolito errare delle illusioni

i ripiani si piegano sotto il peso di sentenze e idee

la ragazza che cura gli affari ha un’aria annoiata

nelle librerie non c’è più anima

è scomparso quel lieve fruscio irritante dei fogli

che conduceva al vestibolo del paradiso del mistero dell’essere

i libri non profumano

le copertine non aprono i portoni

ciò che si sente stride

ciò che si vede si frantuma come vetro

i libri

giardini trascurati con gli aculei pungenti del biancospino

entro in essi rischiando

e mi divora il selvaggio canto delle pagine

 

Era è passato

 

era è passato

tra era ed è passato una piccola fessura bianca

uno stretto varco una pausa senza significato

eppure tante cose sono avvenute

slanci e cadute di sentimenti

previsioni danzanti nei sogni

incontri al vertice e ai margini del bosco

era ciò che è ardente flessibile in una luce improvvisa

era sciocco insidioso ma pieno di contenuto ignoto

è passato perché non ha tremato nelle fondamenta

piccolo era piccolo è passato

era a lungo

è passato due volte

e in mezzo l’erba secca colpita dalla falce del sole

il convento sul fiume l’inquietante rombo del treno

la ghiaia sottile che scende a valle

 

La passata di prugne

 

E’ il libro della primavera,

aperto da una fetta di pane.

Uno spirito buono

che aziona la lama del coltello.

Si siede sulle labbra

come respiro di una primula,

dorme dolcemente

dalla mattina alla sera.

Se cade sulle dita

per disattenzione,

non scappa –

si arrampica sulla corda della bocca.

 

Morte del poeta

 

Sulla rivista Poesia di Belgrado una breve menzione

sulla morte di Miloš Komadina (1955-2004).

Ricordo questo biondo esile ragazzo,

la cui raccolta del debutto Un normale mattino

mi arrivò nel 1978.

Non conosco le sue vicende di questi anni,

non so con chi si è schierato nella guerra civile.

Trent’anni fa scrisse:

Ho abbattuto un albero verde.

Ho tagliato i rami.

Ho tolto la corteccia.

Ho ricavato le tavole.

Ho trovato dei bravi mastri,

tutta la casa è in agitazione,

fanno la bara per me.

Come suona strano adesso:

Ho trovato i becchini,

Hanno scavato la fossa.

L’hanno messo nella bara della sua poesia

e l’hanno coperta di terra sillabotonica?

 

 

 

(C) by Paolo Statuti