Poeta, prosatore, critico letterario, traduttore della letteratura serbo-croata, professore di Filologia slava all’Università Jaghiellonica di Cracovia, è uno dei principali rappresentanti della Nouvelle Vague polacca degli anni ’70 e una delle figure di primo piano nella vita letteraria polacca dell’ultimo mezzo secolo. Come critico letterario è ricordato soprattutto nella veste di appassionato difensore dei valori tradizionali della poesia, restando in acceso e ironico contrasto con la generazione dei poeti riuniti intorno alla rivista trimestrale underground “bruLion”, i quali cercavano la libertà come assoluto e propugnavano la rivolta e la contestazione, respingendo la tradizione patriottica e culturale.
E’ nato il 20 settembre 1946 a Gliwice. Il suo debutto poetico risale al 1967 sulla rivista Poesia e sull’Almanacco dei giovani. Dal 1968 al 1975 membro del gruppo Adesso. Negli anni 1981-83 è stato uno dei redattori del mensile Scrittura. Ha pubblicato 18 raccolte di poesia, tre romanzi e numerosi saggi, tra i quali ricordiamo quelli sull’opera di Zbigniew Herbert dal titolo Il sorriso della sfinge.
Fin dalla sua prima sorprendente raccolta Verrà la festa anche per i pigri (1972), dove troviamo inquietanti e fantasmagorici quadri surreali, ispirati dalle visioni di Bruegel e Goya, ha trovato un suo personale linguaggio con l’impiego di un’ampia gamma di mezzi e temi poetici: dalla cronaca di scene di vita a insolite visioni sature di elementi simbolici. E’ rimasto sempre fedele all’idea di letteratura impegnata, dove la poesia è banco di prova del mondo e sensibile apparato di conoscenza dell’uomo.
La sua poesia, che alcuni definiscono anche come “annotazioni sonore della realtà”, è ricca di colori. E’ profondamente personale e sorprendentemente universale. Lirico delicato, sensibile alla bellezza della vita quotidiana, capace di trasformare in materia poetica il ciarpame esistenziale. La sua penultima raccolta Origami si compone di miniature paesaggistiche, annotazioni contemplative e sommesse, dove il poeta cerca di esprimere le impercettibili relazioni tra ciò che è fragile, fugace, e ciò che costituisce l’eterna Natura. Egli riesce sempre ad essere un osservatore raccolto e un acuto pensatore.
Il poeta e critico letterario Bartosz Suwiński scrive: “La poesia di Julian Kornhauser è fragile e delicata come porcellana, è semplice, sobria e coraggiosa, si presta a continue interpretazioni. Essa impiega registri diversi per raccontare poeticamente la realtà. Concede la parola a individui indifesi, esclusi, dimenticati, ed essi a un tratto reclamano dignità. La forza della sua poesia risiede nella franchezza del suo poetare, captando ciò che viene dalla gente, dal mondo. E’ dalla parte dell’uomo. Vede chiaramente e senza pregiudizi. E’ una poesia fatta soprattutto di osservazioni intime, piene di serenità e raccoglimento”.
Penso che Julian Kornhauser, oltre che della propria opera, può essere fiero anche della sua prole: la figlia Agata è la moglie dell’attuale presidente polacco Andrzej Duda, mentre il figlio Jakub, poeta anche lui, è dottore in scienze umanistiche e insegna all’Università Jaghiellonica di Cracovia.
Poesie di Julian Kornhauser tradotte da Paolo Statuti
Vietnam
Ecco il succo rosso scorre sull’erba verde,
il succo rosso penetra nella terra nera,
e sedici milioni di uomini uccidono…
uccidono, uccidono.
Carl Sandburg
Lanciate di più, lanciate più
sogno, in cui non c’è pallottola né fuoco,
in cui il gas è profumo
del paradiso promesso, lanciate più
rami respiranti e trasparenti
frutti, il corpo della giungla è spaccato,
nel fango dei mattini affondano le decisioni
e i rapporti, nella ragazza martoriata
matura il mondo, matura l’uccello
rigonfio, ritagliato dall’Europa e dal progresso,
dall’ora sognata e da un messaggio d’amore,
in entrambe le parti della giungla fiorisce
la benzina, in entrambe le parti del mondo
scoppia il fegato, e l’uomo plasma
di sangue il suo futuro e il suo odio,
non nascono i bambini, le madri non sono più
quelle care signore dalle seriche bianche
mani, e nessuno di questi
intelligenti assassini piange
nemmeno le piante uccise col gas.
Poesia
La poesia non mi serve per respirare
né per amare, né per mordermi le labbra, per sciogliermi
nella città, per il dolore, per gridare, uccidere. La poesia
non mi serve affatto, mi stringe al collo
con un pugno di carta, gocciola il sangue
secco degli aforismi, gli occhi grigi dei postulati si chiudono,
si aprono, il sordo grido del corteo da dietro
la barricata, che viene alzata, crea
in essa piccole dimore per gli evacuati.
Oh no, la poesia mi guarda come un animaletto
spaventato, sbattete la porta, e andrà a pezzi
la realtà, la modesta stanza di un lirico
naturale, che coltiva la polemica per
tempi migliori. Poesia, sporco asciugamano di albergo
che passa di mano in mano e odora
sempre dello stesso sapone da bucato. Che bello
mantenersi con la morte, che si allena
per le lunghe distanze al Madison Square Garden,
e credere che sia una metafora che assicura
un’onesta immortalità.
La pergola
Al lavoro vado a piedi
comincio alle sei e mezza
accendo la luce della macchina
se è rimasto il lavoro del giorno prima lo termino
se qualcosa non mi riesce mi innervosisco
smetto riposo penso
ciò che non riesce oggi riuscirà domani
lacune non ci sono
l’uomo come il ferroviere
batte sulla ruota e non chiede perché
come nella vita
il pomeriggio vado nel mio terreno
mi rallegro quando tutto germoglia
dalla pergola vedo l’alveare
Colpi
Quando il poeta scrive,
scrive per gli altri.
Ma gli altri non si rivolgono a lui,
cercano quelli delle prime pagine dei giornali.
Pieno di odio,
si getta su di loro.
Morde, prende a calci, impreca.
Vuole essere notato,
scrive sempre più furiosamente e di più.
Quanto più a lungo lotta,
tanto meno è per gli altri,
e tanto più è per se stesso.
Split
Attraverso a piedi la città
di notte, fino al porto.
Cade una calda e fitta pioggerella.
Sento davanti a me soltanto
i passi del mare.
La mietitura
Leggo le poesie di un nuovo poeta.
Notte, calura estiva, temporale.
Leggo, provando un vago timore
davanti alle sue parole, immensità delle graminacee
silenziosità del mare.
Sento in esse un grido di aiuto, ma
so che ormai non riuscirò a darlo.
Le mie futili parole contro le sue parole.
La mia incertezza e la sua mietitura.
Ricordare
Hai gli occhi, dunque guarda.
Non perdere neanche una fogliolina di questo mondo,
né un solo nervetto della sua delicata pellicola,
guarda e ricorda:
quella è una quercia che non lascerà mai la terra,
quella è una stella che regge con un filo i tuoi sogni,
quella è una casa, tronfia come saggio gufo,
e quella è una mamma che toglie le patate dal tegame.
Librerie
passeggiare tra le librerie
sfogliare i libri
copertine a colori come donne incinte
difficilmente si armonizzano
gli autori sorridono per le alette
le loro note si gonfiano
milioni di parole come piccoli insetti che conquistano i boschi
mi godo le interiezioni
fisso i titoli
non c’è fine all’insolito errare delle illusioni
i ripiani si piegano sotto il peso di sentenze e idee
la ragazza che cura gli affari ha un’aria annoiata
nelle librerie non c’è più anima
è scomparso quel lieve fruscio irritante dei fogli
che conduceva al vestibolo del paradiso del mistero dell’essere
i libri non profumano
le copertine non aprono i portoni
ciò che si sente stride
ciò che si vede si frantuma come vetro
i libri
giardini trascurati con gli aculei pungenti del biancospino
entro in essi rischiando
e mi divora il selvaggio canto delle pagine
Era è passato
era è passato
tra era ed è passato una piccola fessura bianca
uno stretto varco una pausa senza significato
eppure tante cose sono avvenute
slanci e cadute di sentimenti
previsioni danzanti nei sogni
incontri al vertice e ai margini del bosco
era ciò che è ardente flessibile in una luce improvvisa
era sciocco insidioso ma pieno di contenuto ignoto
è passato perché non ha tremato nelle fondamenta
piccolo era piccolo è passato
era a lungo
è passato due volte
e in mezzo l’erba secca colpita dalla falce del sole
il convento sul fiume l’inquietante rombo del treno
la ghiaia sottile che scende a valle
La passata di prugne
E’ il libro della primavera,
aperto da una fetta di pane.
Uno spirito buono
che aziona la lama del coltello.
Si siede sulle labbra
come respiro di una primula,
dorme dolcemente
dalla mattina alla sera.
Se cade sulle dita
per disattenzione,
non scappa –
si arrampica sulla corda della bocca.
Morte del poeta
Sulla rivista Poesia di Belgrado una breve menzione
sulla morte di Miloš Komadina (1955-2004).
Ricordo questo biondo esile ragazzo,
la cui raccolta del debutto Un normale mattino
mi arrivò nel 1978.
Non conosco le sue vicende di questi anni,
non so con chi si è schierato nella guerra civile.
Trent’anni fa scrisse:
Ho abbattuto un albero verde.
Ho tagliato i rami.
Ho tolto la corteccia.
Ho ricavato le tavole.
Ho trovato dei bravi mastri,
tutta la casa è in agitazione,
fanno la bara per me.
Come suona strano adesso:
Ho trovato i becchini,
Hanno scavato la fossa.
L’hanno messo nella bara della sua poesia
e l’hanno coperta di terra sillabotonica?
(C) by Paolo Statuti