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Janka Kupala

16 Ott

    

Janka Kupala (1882-1942), pseudonimo di Ivan Dominikovič Lucevič. Poeta, drammaturgo, pubblicista, traduttore, è considerato il principale creatore della moderna letteratura bielorussa. E’ uno dei simboli spirituali del suo Paese. Come tutti i classici, Janka Kupala è perennemente attuale e sarà sempre incluso nel novero delle figure più eminenti della Bielorussia. All’inizio del XX secolo, quando la lingua bielorussa viveva un momento difficile, ed era perfino in dubbio la sopravvivenza stessa della nazione, egli fece molto, affinché i bielorussi sentissero la propria individualità nazionale e lottassero per essa .

     Nel 1898 terminò la scuola bielorussa popolare. Scrisse le sue prime poesie in polacco. Pubblicò la prima raccolta poetica Rimpianto nel 1908 a San Pietroburgo. In essa sono ritratte le aspirazioni e le lotte del contadino bielorusso in un tono fondamentalmente pessimistico, che si accentuò nelle raccolte seguenti Il suonatore di gusli (1910) e Sulle orme della vita (1913), pervase da tendenze nazionalistiche. In quest’ultima, a differenza delle due precedenti, si sente l’influenza dell’estetica modernista e simbolista. Tra le sue opere drammatiche ricordiamo soprattutto Paulinka e Il nido distrutto, in cui la difesa dei contadini ha già un colorito liberale-rivoluzionario, dal quale tuttavia il poeta prenderà le distanze, per avvicinarsi, dopo la rivoluzione, alle idee bolsceviche. Il dramma Il nido distrutto, apparso nel settembre del 1913, è l’opera più importante del periodo prerivoluzionario. Nell’esempio di una famiglia di contadini che perde tutti i suoi averi, egli vede la tragedia del suo popolo. Il dramma fu rappresentato solo dopo la rivoluzione nel 1917 e stampato a Vilno nel 1919.

     Alla fine di settembre 1915 si trasferì a Mosca dove iniziò gli studi presso l’Università “A. L. Szaniavskij”. Qui sposò Vladislava Stankevič, che gli fu fedele compagna. Dopo la morte di Kupala trascorse la vita a collezionare il patrimonio letterario del consorte, e creò a Minsk il museo a lui dedicato all’ombra degli alberi dell’omonimo parco.

      A Minsk nel 1919 uscì il primo numero del giornale da lui redatto La campana. Per esso scrisse nuovi versi e pubblicò numerosi articoli sul tema del movimento nazionale bielorusso e della lotta per la libertà. Al tempo stesso tradusse Il canto della schiera di Igor. Nel 1922 contribuì alla creazione dell’Istituto di Cultura Bielorusso. Gli anni successivi videro la repressione dell’intelligentzia e Kupala fu costretto a scrivere poesie elogianti i risultati del socialismo. Subiva spesso interrogatori in merito all’organizzazione controrivoluzionaria “Unione per la Liberazione della Bielorussia”, che in realtà non esisteva. Avvilito dalla persecuzione, il 20 novembre 1930 tentò di suicidarsi. In preda alla disperazione firmò la cosiddetta “Lettera aperta di Janka Kupala”, nella quale rinnegava i suoi ideali nazionali. La sua creazione degli anni ’30, tranne poche eccezioni come un poema dedicato alla memoria di Taras Ševčenko, è priva di valori artistici, eppure (o direi proprio per questo) nel 1941 ottenne il premio Lenin. Queste poesie furono pubblicate nella raccolta L’annuncio del cuore.

     Nel 1941, in seguito all’occupazione tedesca della Bielorussia, Kupala si recò prima a Mosca e poi nel Tatarstan, da dove scriveva poesie-appelli alla nazione, spronandola alla lotta contro gli invasori. Il 28 giugno 1942 morì tragicamente a Mosca, cadendo nella tromba delle scale dell’albergo Mosca, dopo un volo di più di 10 metri. La versione ufficiale è quella del suicidio, ma ci sono particolari e considerazioni che suggeriscono in modo convincente la versione di un ennesimo omicidio del famigerato NKVD. Molti ritengono che negli archivi del Servizio Federale per la Sicurezza esistano documenti che potrebbero fare piena luce sulla morte del poeta.

     Scrisse di lui Ettore Lo Gatto: «Strettamente legato alla tradizione popolare, Janka Kupala ha tuttavia introdotto nella poesia bielorussa perfezione di tecnica, varietà di stile, ricchezza di motivi. Nell’opera drammatica è da rilevare anche la tendenza a far proprie le forme più moderne, quali per esempio il grottesco. Di grandissima importanza è stata l’opera del Kupala per la formazione dell’attuale lingua letteraria bielorussa, nella quale egli ha introdotto numerosi neologismi. A Kupala si richiama l’odierna generazione di poeti bielorussi».

     Le sue ceneri riposano nel  cimitero militare di Minsk, accanto alla tomba dell’altro illustre poeta e scrittore bielorusso, suo coetaneo, Jakub Kolas.

Poesie di Janka Kupala tradotte dal russo da Paolo Statuti

I meli fioriscono…

I meli fioriscono, fioriscono bene,

Con la loro veste di bianca peluria,

Le api sui fiori si posano qua e là

E ronzano, ronzano con goduria.

Ero seduto con lei sotto un melo –

Stanchi della passata settimana –

Il sole inondava l’orizzonte,

Sotto i raggi il prato si arrossava.

Il vento accarezzava il fogliame,

Spargeva il polline con magnanimità,

Il cinguettio per un attimo cessava,

Ma tornava con maggiore intensità.

Un paradiso era il nostro giardino –

E nel giardino io – Adamo, lei – Eva,

E il vento era Dio e mezzano,

E un albero una corona ci faceva.

Gli amici uccelli ci donavano un trillo,

Il sole era il padrino di noi sposi,

L’arcobaleno ci preparava il letto

Con morbidi e verdi cuscini erbosi.

Ci cadeva sugli occhi il fiore del melo,

Come muta nevicata scendeva,

Con la mente volavamo oltre le nubi,

Ci abbracciavamo con la Terra io ed Eva.

Mia dolce compagna, al mio cuore

Tutti i tesori terreni vuoi donare.

E quale tesoro io abbia in casa

Tu stessa non puoi immaginare.

O cara, mio fiore di primavera,

Perenne luce nei terreni dolori,

Saremo, come il sole tra la gente,

Come nei cieli – del mondo i signori!

La mia preghiera

Io pregherò con l’anima che canta,

Pregherò col cuore e con la mente,

Perché la bufera della cupa sorte

Risparmi questa terra e la sua gente.

Io pregherò il sole prodigioso

Di riscaldare d’inverno i poveretti.

Giocando con le spighe di frumento,

Porti luce sotto i miseri tetti.

Pregherò perché le nubi del cielo

Che minacciose giocano con la sorte,

Ai poveri degni di compassione

Né grandine né tuoni portino a volte.

Pregando le stelle mi addolorerò

Che si spengono lasciando il firmamento,

Io sento: se una di esse cade,

Qualcuno se ne va in quel momento.

Con forza pregherò un campo di biade

Che il raccolto premi il sudore versato,

Che nelle povere case ci sia il pane –

Che il popolo veda il sogno avverato.

Io pregherò con l’anima che canta,

Pregherò col cuore e con la mente,

Che delle forze oscure non ruggiscano

Sulla Patria e su di me le tormente.

La bellezza del mondo

O primavera! Tu hai donato

La gioia e una festa giuliva,

Hai illuminato la mia anima

E mi hai dissetato con acqua viva.

Sotto l’ardente azzurra volta

Hai dipinto il tuo verde affresco,

E sulla terra ridestata

Hai tessuto il tuo rabesco.

Guarda l’opera delle tue mani!

Benediscono il tuo operato

La terra, il cielo e il venticello,

Ti rendo omaggio e ti sono grato.

Torna a vivere il focolare!

Rifioriscono le campanelle,

Brilla il fiume, fischiano gli uccelli,

La loro voce sale alle stelle.

E il pensiero vola nell’azzurro

Per confidare a tutti – anche a Dio –

Con quali luminosi doni

La primavera è apparsa al cuore mio.

Vola, o pensiero, sempre più alto,

Fin dove lo sguardo arriverà,

Dammi un canto di acciaio tonante,

Portami una ferrea volontà.

Col canto esalterò l’amore

Nelle terre altrui, tra la mia gente,

Perché esso fiorisca nel mondo

Quando dormiremo eternamente.

La ferrea volontà tanto più

Serve all’amore per ripagare

Il pianto, la fame, la sventura,

Il peso che ha dovuto portare.

La mia scienza

Dio non mi ha dato di leggere i libri,

Non amava questi lussi mio padre.

I canti li ho imparati dai paesani,

L’idioma bielorusso da mia madre.

All’alba dei miei giorni infelici

La terra bielorussa mi ha cresciuto,

E io ascoltavo il brusio dei villaggi

E ai campi rivolgevo il mio saluto.

Le bellezze della terra esaltavano

L’anima mia ed essa volava

Nel cielo azzurro tra gli arcobaleni,

E iride-primavera diventava.

Ebbra d’incanti, ubriaca di canto,

Come un paradisiaco sognare,

Della prossima primavera parlava,

E in essa si versava il mio cantare.

E il fiume impetuoso, il mulino

Con la voce dell’acqua cadenzata

M’ispiravano temi melodiosi,

Nei versi creavano una cantata.

Sull’ampio sentiero gli alberi ombrosi,

Le oche che ogni anno migravano,

Creavano nel cuore pure armonie

E un tenero consenso ispiravano.

E il campo che col suo verde seduce,

La fienagione sotto il manto del sole,

Davano ai miei canti un dolce rabesco

E di parole creavano corone.

Di fruscio delle foglie del vecchio pero,

Di sussurro delle spighe di frumento

L’eco soave nell’anima scorreva

E dei miseri essa udiva il lamento.

La leggenda del bosco primordiale

Parlava di tristezza della vita

E nel mio cuore risvegliava i canti

E dal non essere la mente assopita.

E il sole con le sue eterne faville

Un calore celeste m’infondeva,

E il vento che l’erba dei prati piega,

Le ali di un’aquila mi metteva.

La falce, l’ascia e il correggiato

Mi davano una forza sovrumana,

Nell’afa, nel gelo sono cresciuto forte,

E il mio canto rispondeva alla campana.

Sono cresciuto senza altra scuola,

Cercavo nel buio e il mio dono ho trovato,

E la mia voce è larga come un campo,

Io al canto bielorusso sono destinato.

La mia strada…

La mia strada non è coperta di fiori,

Né rischiarata dal sole ridente,

Tra miseri campi immersi nella nebbia

Essa si dipana mestamente.

La mia strada è in una notte senza fine,

Buio e foschia intorno ad essa,

La lontananza è una chimera offuscata,

Come il sogno e la chimera stessa.

La strada mi sbarrano i nemici coi guai,

Mi tentano a fermarmi e a dormire,

Ma la fede nel futuro con forza

Mi dice che devo proseguire.

Incontrerò un fratello messo in catene,

Che lui stesso non vedrà, no.

«Dove vai per questa strada?» – chiederà.

«Sempre avanti!» – io gli risponderò.

Sempre avanti per aride sabbie

La mia natura indocile andrà,

Finché le albe la illumineranno,

Finché il mio cuore non si fermerà!

(C) by Paolo Statuti