Aleksandr Semjonovič Kušner, che Josif Brodskij considerava uno dei migliori poeti lirici russi del XX secolo, è nato il 14 settembre 1936 a Leningrado. Nel 1959 ha terminato la facoltà di filologia presso l’Istituto Pedagogico Statale “Herzen” e per dieci anni ha insegnato lingua e letteratura russa. Membro dell’Unione degli Scrittori dal 1965 e del Pen Club dal 1987. Sposato con Elena Nevzgljadova, filologo e poetessa che pubblica con lo pseudonimo Elena Ušakova. Kušner ha ricevuto diversi prestigiosi premi, tra i quali ricordiamo in particolare, nel 2005, la prima edizione del “Poeta” – premio nazionale russo assegnato per i migliori risultati conseguiti nella poesia contemporanea. Nel 2011 il suo libro “Da questa parte del misterioso confine” alla Fiera del Libro di Mosca è stato dichiarato “Poesia dell’anno”.
Di Aleksander Kušner il linguista Dmitrij Lichaciov ha detto: “Kušner è il poeta della vita in tutte le sue manifestazioni. E’ questo uno dei tratti più salienti della sua poesia”. Secondo il critico e storico della letteratura Lidija Ginsburg, nei suoi versi si realizza il “connubio tra l’esaltazione della vita e la sua tragicità”. Il critico letterario e scrittore Andrej Ar’ev ha scritto: “Nel XX secolo quanti sono stati definiti “l’ultimo”: “l’ultimo della campagna”, “l’ultimo pietroburghese”, “l’ultimo disperato”, “l’ultimo romantico”, “l’ultimo metafisico”. A questo, soltanto Kušner ha sorriso e ha fatto un gesto di noncuranza con la mano, dicendo: “Ogni poeta è l’ultimo. Salvo poi scoprire all’improvviso che è il penultimo”.
Quando nel 2013 uscì la sua raccolta Luce serale, il poeta la commentò così: “E’ un libro di nuove poesie che costituiscono un certo rabesco, si tengono per mano, trovano per sé il necessario vicino. Necessario per una qualche affinità interiore o, al contrario, a causa di un chiaro contrasto. Inoltre in un libro di versi, in questa cooperazione c’è una non premeditata comunanza: in essi si trovano quei pensieri, sentimenti, osservazioni della mente e percezioni del cuore di cui sei vissuto. E si può dire anche: in essi sono fissati i momenti non soltanto felici, ma anche quelli tristi, di malumore. Ma chi li scrive, nel processo di creazione della poesia, si libera dall’angoscia, vince le tenebre. E questa energia, questo impeto di liberazione dal “peso gravoso”, forse sarà utile al lettore.
In più di cinquanta anni ho scritto molti libri. Il primo – Prima impressione uscì nel 1962. Questo è diciottesimo. Forse è un po’ troppo? Oggi si usa limitare la quantità. Un poeta ha stampato due poesie in un anno e la critica lo elogia, lo elogia, io penso, perché leggere due poesie è più facile e si fatica meno che a leggerne dieci. Leggere le poesie è difficile e inoltre manca il tempo. Ma Puškin ha scritto molto. In trentasette anni ha creato tanto, quanto noi a quell’età neanche ce lo sognavamo! E Lermontov, e Blok…Bisogna prendere esempio da loro. Ed ecco ancora cosa è venuto alla luce con gli anni: l’età non è un ostacolo alla creazione di versi. Forse essa aiuta perfino a scriverli, non come in gioventù, ma in modo diverso. Migliori, peggiori – non sta a me giudicare. Il poeta non va in pensione…I versi aiutano a resistere al male della vita e alle sue miserie, i versi ci consolano, restituiscono il desiderio di vivere, “per ragionare e soffrire”.
Poesie di Aleksandr Kušner tradotte da Paolo Statuti
Là dove sul fondo c’è una chiocciola…
Là dove sul fondo c’è una chiocciola
Come tromba d’orchestra,
Dove i chiozzi guizzano veloci
E li aspetta una tragica sorte
Nelle fauci dell’implacabile luccio, –
Là le soavi ninfe dimorano,
E ci tendono le mani
E ci chiamano con fievole voce.
Esse hanno alcune sottospecie:
Nei ruscelli appaiono le naiadi,
Nel folto dei boschi le driadi,
E nell’azzurro mare le nereidi.
Confoderle è sconveniente,
Com’è per il ranuncolo d’acqua,
Quello africano, quello non comune,
E quello velenoso dei prati.
La saccenteria non è una cosa oziosa!
Poeta, non risparmiare gli sforzi,
Non trascurare il tuo podere
E sii minuzioso, come Linneo.
Sorveglio le nuvole notturne dietro la finestra…
Sorveglio le nuvole notturne dietro la finestra,
Scostata la pesante tenda.
Ero felice – e temevo la morte. La temo
Anche adesso, ma non come allora.
Morire – significa stormire al vento
Insieme con l’acero, che guarda triste.
Morire – significa entrare alla corte
Di Riccardo o di Arturo.
Morire – è schiacciare la noce più dura,
Apprendere tutte le cause e i motivi.
Morire – è diventare contemporaneo di tutti,
Tranne di quelli che sono ancora vivi.
E’ una canzone di Schubert…
E’ una canzone di Schubert, hai detto.
Io la cantavo sempre, non sapendo di chi fosse.
Con essa, sembra, si può iniziare da capo
La vita, già molto simile a un prodigio!
Qualcosa come un usignolo e un triste suono
In un boschetto tedesco – e un suono triste.
La canzone ci è più cara se ha parole semplici,
E senza parole anche meglio, – con forza terrena!
Io la cantavo sempre, così senza motivo
E confondendo le parole malamente.
La notturna tenebra tedesca vi incombe,
E la tristezza in essa è così celestiale.
E poi per anni la dimenticavo.
E poi di nuovo a un tratto ritornava,
Come coprendomi con l’ombra di una quercia,
Tentandomi a ricominciare da capo.
Claude Monet diceva più o meno così…
Claude Monet diceva più o meno così:
Recandoti a un plein-air, dimentica il burrone,
Se è un burrone, la quercia, se è una quercia,
E un ripiano sul monte, se è un ripiano.
Pensa semplicemente: ecco un ovale giallastro,
E sotto un triangolino piccolo e rosato,
E vedi strisce, nient’altro che strisce,
Se ti dirai: sono rami, – mentirai.
E non pensare a una somiglianza; non guardare
Né un’onda, né un campo, né un fiume, né un prato, –
Di sé si prenderanno cura loro stessi,
A un tratto appariranno da un beato nonsenso!
Fryderyk, voi dovreste immortalare voi stesso…
Fryderyk, voi dovreste immortalare voi stesso,
Il pianoforte per questo non basta,
E amando così tanto la vostra musica,
Io vorrei augurarvi anche il canto,
E la sinfonia, l’opera,
Senza soggetto né protagonista non si può!
Bisogna essere simili a Mozart e a Rossini,
Chiedo i timpani e l’oboe.
Fryderyk, amerete il fagotto e la tromba,
Non vi annoiate senza flauto e senza violino?
Io sono pronto a cambiare l’augurio in supplica:
Cercate di evitare errori,
La polonaise è eccellente, l’étude è incantevole,
Senza dubbio la mazurca è stupenda,
Ma da voi anche in Francia si aspettano di più,
E anche tra le opprimenti nevi di Pietroburgo.
Fryderyk sorride. Egli non è adirato,
turbato, irritato, confuso.
In queste esortazioni c’è una ragione,
Il suo vecchio maestro merita
Rispetto. Ecco che anche Mickiewicz
Gli si avvicina con lo stesso consiglio.
Egli allegherà alla lettera un notturno –
E il notturno sarà la migliore risposta.
* * *
Perché il vorticoso Van Gogh
Mi tormenta con un punto oscuro?
Com’è giallo il suo autoritratto!
Bendato l’orecchio ferito,
Con una giubba verde, come una vecchia,
Perché mi segue con lo sguardo?
Perché nel suo caffè a mezzanotte
C’è quel cameriere con la faccia di vizioso?
Brilla un biliardo senza giocatori?
Perché una pesante sedia è messa
Lì per avvelenare la tranquillità,
E aspetti le lacrime o un suono di scarpe?
Perché egli soffia col vento sulla corona?
Perchè dipinge il dottore
Con un assurdo rametto in mano?
In quel suo paesaggio sghembo
Dove va quel carretto leggero
Senza passeggero e senza bagaglio?
Ciò che noi chiamiamo anima…
Ciò che noi chiamiamo anima,
Che, come nuvola, è di aria
E splende nell’oscurità notturna
Capricciosa, indocile
O a un tratto, come aeroplano,
Più sottile di una spillo pungente,
Corregge dall’alto
La nostra vita, migliorandola;
Ciò che al pari di un uccello
Balena nell’aria azzurra,
Che non brucia nel fuoco,
Che sotto la pioggia non si bagna,
Senza cui non si può respirare,
Né scusare uno sciocco nell’offesa;
Ciò che dovremmo restituire,
Morendo, in un aspetto migliore, –
Ed è forse anche ciò
Per cui non dispiace sforzarsi,
Che ci fa anche onore,
A ben considerare.
Veramente è buona,
Di una moda assai vecchia,
Nuvoletta, rondine, anima!
Io sono legato, tu sei libera.
Ecco io sto nell’ombra notturna…
Ecco io sto nell’ombra notturna
Solo nel giardino deserto.
Ora cigolerà una porta in paradiso,
Ora sbatterà una porta nell’inferno.
E a sinistra una musica risuona
E una voce armoniosa canta.
E a destra qualcuno grida e grida
E maledice questa vita.
Dalla mattina girando per la stanza…
Dalla mattina girando per la stanza,
Con che premura l’anima
Si prepara l’afflizione!
(Così la rondine fa il nido.)
Niente la distoglie
Né dietro la finestra, né nella conversazione.
Invano il giorno è splendido e sereno, –
Non l’attira un foglio viscoso,
Né il tavolo, né la pagina di un libro.
Quale mediocre esperto di persone
Ha detto che la felicità le serve?
Soltanto con l’afflizione ci si può elevare.
Come il san Sebastiano del Bellini nel giardino…
Come il san Sebastiano del Bellini nel giardino
Con una freccia nel petto e nell’anca passeggia
E non prova dolore, e il cespuglio in fiore
Fruscia di amore celestiale e di bontà,
Così anche tu vorresti lasciar fuori dalla bara
Non proprio i tormenti, ma i simboli di essi.
Ma prova a liberare il martire dalle frecce –
Si stupirà, e a un tratto si offenderà anche.
Questa polvere, queste barre di vacillanti ringhiere…
La prola “tormenti”, lo ammetto, mi turba:
Non ho mai amato le frasi altosonanti,
Meglio sporchi colombi, i loro brontolii,
Meglio un misero, comune, prosaico piano
E il disteso fruscio dei pioppi urbani.
Non renderò né piaghe, né punture, né ferite –
Divertirò con esse un passante nel regno delle ombre.
(C) by Paolo Statuti