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Mirka Szychowiak

10 Gen

 

 

    Scrutando il cielo della poesia polacca ho scoperto un’altra stella. Si chiama Mirka Szychowiak. Ha debuttato nel 2005 ed ha al suo attivo 5 raccolte di poesie e una di racconti. Ha già vinto diversi premi letterari. Il poeta, prosatore e critico Karol Maliszewski scrive: «Questo genere di versi è atteso con nostalgia, con essi si tira un sospiro di sollievo». Il poeta Bohdan Zadura a sua volta afferma: «La lingua di queste poesie esprime ciò che pensa la testa e ciò che sente il cuore…Mirka Szychowiak comunica con il mondo. Ha nei confronti di esso tanta sensibilità, quanta ne occorre per non cadere nel sentimentalismo, tanto distacco quanto basta per manifestargli qualcosa di più della comprensione». Ecco invece cosa dice la poetessa: «La poesia è dappertutto, ma io non la cerco, è lei che mi trova, perché io la partorisca. La gravidanza poetica si sviluppa nella mia testa, finché la poesia non assume una forma precisa. Allora la scrivo, fino all’ultima parola».

In una sua recente e-mail Mirka Szychowiak mi ha confessato: «Oggi posso dire che fuggendo da Wrocław ho trovato nella campagna di Księżyce la mia vera casa, dove posso avere tutti gli animali che voglio e dove tutto è mio. Ho sempre scritto qualcosa, ma soltanto in questa campagna è nata la poetessa Mirka Szychowiak. Ho debuttato relativamente tardi e mi chiedono perché. Penso che non si possa mettere fretta. Ognuno ha il suo momento. Il mio è giunto quando doveva giungere. Se avessi dovuto debuttare prima, l’avrei fatto. In una intervista ho detto che la scrittura consiste nell’attesa (anche). Le gestazioni letterarie non sono uguali per tutti – il parto avviene in tempi diversi. I parti prematuri sono pericolosi…Non ho intenzione di essere del tutto adulta o di sentirmi come una matrona impettita; non voglio perdere le occasioni di entrare in contatto con ciò che è apparentemente futile, brutto, emarginato. Perché Mirka Szychowiak cerca la bellezza proprio dove essa non è in prima fila, ma è profondamente nascosta da qualche parte».

 

 

Poesie di Mirka Szychowiak tradotte da Paolo Statuti

 

Non c’è male

Non c’ero là, ma sento un dolce

odore. Così dovrebbe profumare

il veleno. Si può prendere di gusto,

ben bene sparire ai propri occhi,

anziché fingere che si vuole qualcosa.

Com’è imbarazzante questa vita.

Pigolio

 Cala l’acqua, i giorni sempre più mortali,

i paesaggi piangono soli. Chi innesterà e spargerà

questa forza, raccoglierà le gocce, perché non io?

Niente si può dividere a metà, niente ormai vuole essere

intero e vivo. Ciò che era mio l’hanno preso senza chiedere.

Cose trovate per caso, solo questo ora ho. Un paesaggio

arido, fiumi vuoti e qualche uccello impaurito

coi sintomi della malattia dell’orfano. Siamo così

diversi da tutto ciò che amo.

Suolo

 La sera la gente torna a casa e si spopola

la riva del fiume – il nostro preferito

locale notturno. E’ bello immergersi

nell’acqua fino al collo e sgranocchare le stelle

che galleggiano come ciccioli dorati.

Veniamo qui, quando non abbiamo più niente

da riparare. Gli strati protettivi

stesi sulla riva, aderiamo morbidamente.

Sotto di noi la parte assonnata del cielo.

Riflesso

 Il pesce di cristallo, solo e morto

riposa sul ripiano deserto.

Verso in esso un frammento di oceano;

la sabbia si posa sul fondo del ventre

e si ammassa, partorendo nel dolore una duna.

Non mi rallegra questa frode,

dovrei liberarlo e lasciarlo

in pace. Tutto solo, come me.

Sul fondo del deserto due pesci

– uno piange, l’altro vuole.

Né, né

 Il cielo annerito sputa le note

– un requiem da tempo promesso alle stelle.

Bruciano così in fretta, che la notte si acceca.

Il fuoco irrompe dalla finestra aperta,

distribuisce biglietti per il concerto di ieri.

Ciò che l’ha rapita non pretende un riscatto

– il prezzo della paura è incalcolabile.

Là in alto duole molto, vuole soffocare.

Né dormire né cadere né niente.

 

Circostanze

 Mi sono trasferita nel mondo macchiata

di sangue, con la cintura di sicurezza recisa.

Pioveva in quel momento? Di notte, o forse

all’alba, il mio corpo si costruiva dall’inizio.

Loro sapevano più di me, ma ora non si sa

a chi chiedere. Da quando sento che esso non

mi appartiene, voglio modificare il curriculum.

Oltre il corpo deve esserci una qualche storia.

I testimoni se ne sono andati, prendendo il ricordo di me,

l’hanno lasciato nella polvere, alla rinfusa, adulto.

E da quando non cresco più, ricordo sempre meno.

Accanto

 Rumore nei corridoi delle vene, intorno le piantagioni

dei tendini; il corpo vestito di tutto punto

non permette di vedere ciò che avviene in se stesso.

Si vive con questo corpo insieme e separati,

con lo stesso nome, per lo più tacendo.

Quali sono le abitudini di ciò che hai dentro,

dormite insieme, o uno di voi veglia,

controlla il polso, la temperatura e il respiro?

Ciò è vivo nel vivo, vicino e sconosciuto;

qualcuno a volte deve entrarci e governare,

guarda da vicino, tocca e spezza, e tu

nemmeno sai a chi duole di più.

Solo la testa sembra essere comune

e il sangue è lo stesso, versato come fiume.

Il resto è lontano, benché proprio sotto la pelle

– una cassaforte con la serratura arrugginita.

Allora

 E’ certo che quel giorno arriverà.

Lo chiamo un lungo sogno, allora è più facile

mescolarlo con la paura in agguato.

I timori camminano al centro, costringono

allo scontro frontale. Io partecipo, ma nessuno

m’ incontrerà col decesso scritto in faccia.

Per ora penso a cosa prendere e a cosa lasciare,

a chi affidare gli apparecchi del linguaggio,

a cosa distruggere, o considerare come prova

che qui c’ero anch’io. E chi conserverà questo?

Quando qualcuno farà segno di voler ricordare,

si tornerà sull’argomento.

Ho per te un piccolo nobel

 Finalmente hai la pace.

Ti giungono soltanto i suoni

che accrescono il sapore del silenzio.

La febbre non ha minato i tessuti

e ciascuno può rigenerarsi.

Lo so, è stata dura.

Per l’acuto catarro delle vie vitali

non s’è ancora trovata la giusta diagnosi.

Ma tu non hai sofferto oziosamente.

Da ciò che scavava un tunnel

nella tua testa – hai ricavato un antidoto;

per esso ti do un piccolo nobel.

Posso portare qui altri?

Di quelli non contorti, frastornati,

che sgranocchiano pillole come caramelle.

Racconta loro di te – di quella più recente,

che ha sconfitto il drago. Questo basta.

Trasbordo

 La rabbia è un carburante, per il quale

ho uno sconto – occhi chiusi e piede sul gas.

Non vede dove corre, chi va, non

sente se si staccherà un pezzo, neanche

si fermerà, non cercherà di rimettere a posto

ciò che è caduto. La testa si riempie come

un pallone si riempie di aria – sei sempre più grande,

ma come più leggera, meno sensibile al fuoco

che da sotto con insistenza cerca

di staccarti da terra. C’è una scelta,

un’altra strada e un altro luogo, per scaricare

l’eccesso di carburante, togliere il piede dal gas,

lasciare il bagaglio e andare a piedi?

Entrare in qualche modo in una gita

a piedi, consumare le suole e aprire

gli occhi, vedere tutto questo e tutto

guardare e reggere la testa, affinché

non scappi, affinché non rimanga sola

in questo bordello.