Scrutando il cielo della poesia polacca ho scoperto un’altra stella. Si chiama Mirka Szychowiak. Ha debuttato nel 2005 ed ha al suo attivo 5 raccolte di poesie e una di racconti. Ha già vinto diversi premi letterari. Il poeta, prosatore e critico Karol Maliszewski scrive: «Questo genere di versi è atteso con nostalgia, con essi si tira un sospiro di sollievo». Il poeta Bohdan Zadura a sua volta afferma: «La lingua di queste poesie esprime ciò che pensa la testa e ciò che sente il cuore…Mirka Szychowiak comunica con il mondo. Ha nei confronti di esso tanta sensibilità, quanta ne occorre per non cadere nel sentimentalismo, tanto distacco quanto basta per manifestargli qualcosa di più della comprensione». Ecco invece cosa dice la poetessa: «La poesia è dappertutto, ma io non la cerco, è lei che mi trova, perché io la partorisca. La gravidanza poetica si sviluppa nella mia testa, finché la poesia non assume una forma precisa. Allora la scrivo, fino all’ultima parola».
In una sua recente e-mail Mirka Szychowiak mi ha confessato: «Oggi posso dire che fuggendo da Wrocław ho trovato nella campagna di Księżyce la mia vera casa, dove posso avere tutti gli animali che voglio e dove tutto è mio. Ho sempre scritto qualcosa, ma soltanto in questa campagna è nata la poetessa Mirka Szychowiak. Ho debuttato relativamente tardi e mi chiedono perché. Penso che non si possa mettere fretta. Ognuno ha il suo momento. Il mio è giunto quando doveva giungere. Se avessi dovuto debuttare prima, l’avrei fatto. In una intervista ho detto che la scrittura consiste nell’attesa (anche). Le gestazioni letterarie non sono uguali per tutti – il parto avviene in tempi diversi. I parti prematuri sono pericolosi…Non ho intenzione di essere del tutto adulta o di sentirmi come una matrona impettita; non voglio perdere le occasioni di entrare in contatto con ciò che è apparentemente futile, brutto, emarginato. Perché Mirka Szychowiak cerca la bellezza proprio dove essa non è in prima fila, ma è profondamente nascosta da qualche parte».
Poesie di Mirka Szychowiak tradotte da Paolo Statuti
Non c’è male
Non c’ero là, ma sento un dolce
odore. Così dovrebbe profumare
il veleno. Si può prendere di gusto,
ben bene sparire ai propri occhi,
anziché fingere che si vuole qualcosa.
Com’è imbarazzante questa vita.
Pigolio
Cala l’acqua, i giorni sempre più mortali,
i paesaggi piangono soli. Chi innesterà e spargerà
questa forza, raccoglierà le gocce, perché non io?
Niente si può dividere a metà, niente ormai vuole essere
intero e vivo. Ciò che era mio l’hanno preso senza chiedere.
Cose trovate per caso, solo questo ora ho. Un paesaggio
arido, fiumi vuoti e qualche uccello impaurito
coi sintomi della malattia dell’orfano. Siamo così
diversi da tutto ciò che amo.
Suolo
La sera la gente torna a casa e si spopola
la riva del fiume – il nostro preferito
locale notturno. E’ bello immergersi
nell’acqua fino al collo e sgranocchare le stelle
che galleggiano come ciccioli dorati.
Veniamo qui, quando non abbiamo più niente
da riparare. Gli strati protettivi
stesi sulla riva, aderiamo morbidamente.
Sotto di noi la parte assonnata del cielo.
Riflesso
Il pesce di cristallo, solo e morto
riposa sul ripiano deserto.
Verso in esso un frammento di oceano;
la sabbia si posa sul fondo del ventre
e si ammassa, partorendo nel dolore una duna.
Non mi rallegra questa frode,
dovrei liberarlo e lasciarlo
in pace. Tutto solo, come me.
Sul fondo del deserto due pesci
– uno piange, l’altro vuole.
Né, né
Il cielo annerito sputa le note
– un requiem da tempo promesso alle stelle.
Bruciano così in fretta, che la notte si acceca.
Il fuoco irrompe dalla finestra aperta,
distribuisce biglietti per il concerto di ieri.
Ciò che l’ha rapita non pretende un riscatto
– il prezzo della paura è incalcolabile.
Là in alto duole molto, vuole soffocare.
Né dormire né cadere né niente.
Circostanze
Mi sono trasferita nel mondo macchiata
di sangue, con la cintura di sicurezza recisa.
Pioveva in quel momento? Di notte, o forse
all’alba, il mio corpo si costruiva dall’inizio.
Loro sapevano più di me, ma ora non si sa
a chi chiedere. Da quando sento che esso non
mi appartiene, voglio modificare il curriculum.
Oltre il corpo deve esserci una qualche storia.
I testimoni se ne sono andati, prendendo il ricordo di me,
l’hanno lasciato nella polvere, alla rinfusa, adulto.
E da quando non cresco più, ricordo sempre meno.
Accanto
Rumore nei corridoi delle vene, intorno le piantagioni
dei tendini; il corpo vestito di tutto punto
non permette di vedere ciò che avviene in se stesso.
Si vive con questo corpo insieme e separati,
con lo stesso nome, per lo più tacendo.
Quali sono le abitudini di ciò che hai dentro,
dormite insieme, o uno di voi veglia,
controlla il polso, la temperatura e il respiro?
Ciò è vivo nel vivo, vicino e sconosciuto;
qualcuno a volte deve entrarci e governare,
guarda da vicino, tocca e spezza, e tu
nemmeno sai a chi duole di più.
Solo la testa sembra essere comune
e il sangue è lo stesso, versato come fiume.
Il resto è lontano, benché proprio sotto la pelle
– una cassaforte con la serratura arrugginita.
Allora
E’ certo che quel giorno arriverà.
Lo chiamo un lungo sogno, allora è più facile
mescolarlo con la paura in agguato.
I timori camminano al centro, costringono
allo scontro frontale. Io partecipo, ma nessuno
m’ incontrerà col decesso scritto in faccia.
Per ora penso a cosa prendere e a cosa lasciare,
a chi affidare gli apparecchi del linguaggio,
a cosa distruggere, o considerare come prova
che qui c’ero anch’io. E chi conserverà questo?
Quando qualcuno farà segno di voler ricordare,
si tornerà sull’argomento.
Ho per te un piccolo nobel
Finalmente hai la pace.
Ti giungono soltanto i suoni
che accrescono il sapore del silenzio.
La febbre non ha minato i tessuti
e ciascuno può rigenerarsi.
Lo so, è stata dura.
Per l’acuto catarro delle vie vitali
non s’è ancora trovata la giusta diagnosi.
Ma tu non hai sofferto oziosamente.
Da ciò che scavava un tunnel
nella tua testa – hai ricavato un antidoto;
per esso ti do un piccolo nobel.
Posso portare qui altri?
Di quelli non contorti, frastornati,
che sgranocchiano pillole come caramelle.
Racconta loro di te – di quella più recente,
che ha sconfitto il drago. Questo basta.
Trasbordo
La rabbia è un carburante, per il quale
ho uno sconto – occhi chiusi e piede sul gas.
Non vede dove corre, chi va, non
sente se si staccherà un pezzo, neanche
si fermerà, non cercherà di rimettere a posto
ciò che è caduto. La testa si riempie come
un pallone si riempie di aria – sei sempre più grande,
ma come più leggera, meno sensibile al fuoco
che da sotto con insistenza cerca
di staccarti da terra. C’è una scelta,
un’altra strada e un altro luogo, per scaricare
l’eccesso di carburante, togliere il piede dal gas,
lasciare il bagaglio e andare a piedi?
Entrare in qualche modo in una gita
a piedi, consumare le suole e aprire
gli occhi, vedere tutto questo e tutto
guardare e reggere la testa, affinché
non scappi, affinché non rimanga sola
in questo bordello.