
Amiche e Amici di facebook, la settimana scorsa la fortuna mi ha arriso. Ho conosciuto infatti una straordinaria poetessa e pianista – Julia Pikalova. Nata a Mosca, si è laureata in lettere all’Università di San Pietroburgo. Inoltre si è diplomata in Amministrazione del Business presso l’Università Statale della California. Ha fatto una brillante carriera presso importanti società internazionali. Da sette anni si dedica anche alla poesia. I suoi versi vengono pubblicati dalle riviste letterarie in Russia, Ucraina, Belgio, Canada, Danimarca. Vive in Italia. Nel prossimo mese di novembre uscirà a Mosca la sua prima raccolta contenente 500 poesie. Da qualche anno è tornata a esercitarsi al pianoforte e dal 2017 si esibisce con successo nel festival Milano Amateurs & Orchestra, che ha vinto due volte. Io l’ho ascoltata in Youtube nei concerti per pianoforte di Mozart, Grieg e Saint-Saens, interpretati in modo eccellente. Sono lieto e onorato di essere il suo primo traduttore italiano. La poesia di Julia Pikalova mi ha subito colpito per la sua musicalità, profondità e per le sue immagini pittoriche. I versi di Julia Pikalova nascono dall’osservazione emozionale di fatti culturali: un quadro, una composizione musicale, una poesia. E’ la risposta poetica di un’anima incline all’arte. La poetessa sa trovare le parole giuste per esprimere la bellezza e l’inquietudine del mondo circostante.
Poesie di Julia Pikalova tradotte da Paolo Statuti
BEETHOVEN. IL QUARTO CONCERTO PER PIANOFORTE
Cessa l’udito terreno, ma cresce la musica interiore.
Ti laceri e la gente – è sempre più selvatico – dice.
Questa musica – libera, libera o muori.
Così Orfeo implorava nell’Ade per la sua Euridice.
Così Orfeo implorava. Cessa l’udito. Sogghigna la gente.
Il Quarto è scritto, ma il Terzo vogliono eseguire.
Questa musica libera, libera! – no, non la danno,
E finché vivrai nel tuo spartito dovrà morire.
Ehi, davvero non sapete? Ai cieli non è gradita!
L’udito terreno, umano – è un ostacolo per voi, vili uomini!
Cessa l’udito. Cessa l’udito! Ma il Quarto tu lo eseguirai:
E’ l’ultima tua uscita – in alto, oltre la scala dei toni.
IL VENTO!
Ecco il vento! Sì, il vento!
Ecco il lago s’è mosso!
All’alba ha sfondato le cornici,
Mi ha chiamato e le ali mi ha messo.
Con strepito incontra le onde,
Manda al diavolo la trama nuvolosa,
Ed io nel turbine selvaggio
Volo ed esulto gioiosa!
Che passioni mai provate!
Quali furiosi drammi!..
E non so come tornare
Indietro nelle cornici sfondate.
IL SALVATORE
Il cuore gioioso è ferito,
La mente si offusca per amore:
Patria mia – Rachmaninov –
Che nel mio sangue scorre.
Quanti anni si possano sfogliare –
Ci solleva, appena arrivato,
Il suo indomito slancio
E il suo spirituale afflato.
Atteso il futuro in anticipo,
Volendo il triste fato sviare,
La mia patria sconfinata
Su di un’ala LUI vuol portare.
E vola, vola più disteso,
Tutta in sè presente,
Dilagante e libero
Un motivo fedele e credente,
E il mio paese che soffre
Nella stipa e nel catrame,
Dalla colpa si libera
Sulla sua ala immane.
SHOSTAKOVICH NEL 1940
Dell’anima inquieta, giovane in eterno,
Risuona un motivo dimenticato.
Diversamente vibrano le corde,
L’agitazione senza aver domato,
E dentro te con un mite sorriso
Tu guardi felice: io sono di me stesso!..
Così in inverno respira il breve giorno,
Tra due notti strettamente messo.
ROSA CANINA
A tal punto profumava la rosa,
Che si è fatta perfino parola…
A. Achmatova
Prima dell’alba questo mondo
dalla nebbia è ancora avvolto;
sonnecchiano anche gli amanti,
la luce degli occhi ancora spenta.
Io di nuovo sono di guardia permanente:
in certi momenti
solo i poeti insonni sanno quanto esso sia attraente!
E quando me ne andrò
e resterà il cieco mattino –
ormai spese per i versi tutte le parole,
voglio essere un’ape che vola nella bianca rosa,
che vola in profondità,
fino al suo stesso cuore.
IL BOSCO. IMPRESSIONISMO
Oggi l’azzurro sul bosco di nuovo
splende così terso, lavato.
Ma il bosco l’abbiamo visto in lacrime,
tremante per quanto ha provato.
Più volte ha smesso di singhiozzare
ma era a disagio, pietà suscitando.
L’alba sugli aceri e sui tigli
è cresciuta riflessa nel pianto,
ha scaldato con zampilli porporini
le corone, i tronchi, le radici…
E i profumi al sole sono esplosi
più indocili e più felici!
E le foglie come carte vincenti
verdi e senza ingannare.
Il cielo si è gettato nel lago
e il lago è diventato un mare.
NOTTE (“e giunge la prima riga”)
… e giunge la prima riga –
tu non sai quanto crudele:
BIANCHE NUBI NOTTURNE
AFFLUIVANO DA NORD-EST,
sommergevano il lago fino in fondo –
fino al fondo dell’occhio stesso –
fino all’inferno, –
e c’era un tale silenzio,
come se il mondo fosse finito adesso.
DIO E IL LAGO
Dio stanco di creare riposava,
bruciando d’imperitura pietà,
e trattenendo il respiro guardava
il lago oltre gli azzurri monti.
Egli quest’angolo aveva a cuore
e, chiusi gli occhi, ascoltava con amore
le campane sulle rive lontane,
e il lago era pieno di suono
e il suono si spandeva incessante.
Il lago, occhio azzurro e grande,
guardava in alto mite e tranquillo,
assente, indifferente, indolente
e rifletteva le nuvole e Dio,
che per un attimo non pensava a niente.
LE DUE PIETA’ DI MICHELANGELO
“Non ha l’ottimo artista alcun concetto / ch’un marmo solo in sé non circoscriva…”
Michelangelo, RIME (151)
Davanti alla pietà di lei il mondo ammutisce
E si stupisce. Interminabile istante.
Un tale dolore non ha nome, ma del marmo
E’ più chiaro il chiarissimo sembiante.
Lei, addolorata, nei secoli ti glorificherà.
Nella grandezza modesta. Giovane come te.
“E il sommo genio non aggiungerà
Un solo pensiero a ciò che il marmo ha in sé…” * –
Tu capirai poi, vivendo nel suo tormento.
Tutto scorre. La fine non termina mai.
La t u a pietà. Tu abbandoni le braccia.
Nessuno vede il volto che tu hai.
Ma a quelli di noi che non sperano più,
Con le braccia già pronte a cadere,
Tu dirai: Lui invisibile il mondo sosterrà,
Che nessuno avrà la forza di sostenere.
* Nella traduzione dal russo della frase di Michelangelo
IL RUSCELLO
Non so più se ancora, se ancora
L’arrivo dell’estate mi è così caro…
Il ruscello in primavera tanto allegro,
Sul fondo scintillava così avaro.
Ancora di recente fresco e sonante,
Nell’afa è quasi svenuto spossato
E qualcosa debolmente ha balbettato,
Come quando si addormenta un infante.
TRAMONTO
quasi ondata di sogni porporini
il tramonto dietro i vetri s’è versato
la luce delle insegne vi è annegata,
come ombra senza più sangue
e, nella scarlatta nebbia tremando,
il carro di Febo già si allontanava
e la città? la città correva sempre,
e la città il cielo non guardava
* * *
Stupendo giorno per leggere la poesia.
Fredda pioggia sul freddo lago.
Nessun peschereccio e anche i gabbiani
Sono al riparo. Per la grande umidità
I rabeschi trasudano sulla parete
Della villa accanto: l’umidità svela
Dov’erano le finestre – tranne quelle
Coperte tempo fa dalle imposte, poiché
Non c’era nessuno che le aprisse;
Oltre gli scuri quadrati delle antiche finestre
Tu immagini il vuoto all’interno.
Qui passavano i soldati romani,
Per questa stessa riva
Davanti a me nella grigia caligine,
E io cerco di figurarmi come di notte
Queste rive erano buie.
Solo i punti isolati dei falò
Tentavano di disperdere la nebbia generale,
Prima che i frutti della civiltà
Si insinuassero in questo paese, come le rime,
E, illuminate le notti coi fanali, noi
Li spaventassimo.
ll giorno è finito. La pioggia ha smesso.
I fanali si accendono come lunghe catene,
Versando la luce e cadendo nel verso,
E come fiocchi di neve sbattono le falene,
Nei raggi, le ali pesanti di umidità,
C’è odore di un’ignota sciagura:
La prevedi, ma che rispondere non si sa.
E stando sull’acqua che si oscura,
Io le proprie spalle abbraccio.
LA LETTERA
Sapevo che prima che il giorno finisse,
Abituandoti alla distruttività della frase,
Mi avresti rinnegato tre volte,
Deciso e chiaro tre volte di seguito;
La parola sulla bocca si faceva dura…
Ma non voglio dare definizioni:
Anch’io so cos’è la paura,
Ricordo l’orto dove i ginocchi ho piegato
E per questo tre volte stimo te
Che sei stato alla pari con me,
Te che a metà strada tornasti qua,
Te che a metà strada tornasti qua,
Dove la parola “predan”* non indica
Tradimento in fondo, ma fedeltà,
Sì, fedeltà! E il suo fondamento
E’ questa lettera che invita: le braccia distendi,
A pegno di sublimità, ma prima – i tormenti:
Il Tuo Triplice Tradimento.
* La parola “predan” che è nel testo originale, in russo ha due significati: tradito e fedele (devoto), mentre le parole “predatel’stvo” (tradimento) e “predannost” (fedeltà, devozione), anch’esse nel testo originale, sono simili.
SNAPSHOT
Nelle mie proprietà silenzio:
Non un soffio, non un fiato,
Le ore scorrono a strati
E i ricordi hanno mescolato.
Tace seducente l’acqua,
Getta la rete il pescatore,
Punge la prima stella il cielo
Che ancora non perde il chiarore.
VERRÀ
L’amore è balzato fuori davanti
a noi,
come a un tratto
balza fuori l’assassino
in un vicolo, e colpisce
entrambi!
Così colpisce il fulmine, così
colpisce la lama finnica!
M. Bulgakov, “Il maestro e Margherita”
Oh, che brividi provo!
Notti e giorni io in lotta sto.
Io do tutto ai quaderni,
I quaderni a te darò.
Rovine, trofei, stelle
Mi scorrono attraverso, guarda!
Il mio verso migliore non è nato,
Esso da dentro mi arde.
Mi arde e non si fredderà,
Scoprire illimitato.
I mei occhi dorati
L’insonnia ha contornato.
Insonnia – amica mia. Con essa
Io non mi stancherò di guardare
Come mi getterò al tuo collo,
Le labbra per cercare.
E grande sarà la sete –
Io a lungo ti ho attesa!
E il verso – un giorno verrà,
Come lama finnica a sorpresa.
08.08
Nel calendario due volte otto è arrivato,
Ciò che è vivo di caldo si ubriaca –
Ma un pugno di foglie agosto ha già gettato
E l’autunno sorride e si prepara.
SELFIE
Io sono chi vi scrive profezie
E che le avvera tutte una ad una.
O Dio, che notudine, che magie!
Che luna forte, che luna!
RINGRAZIAMENTO
Grazie che oggi non tutto il giorno
è stato buio come di recente,
grazie che oggi io qui vado,
che vado, che, anche se per niente,
io vado, che strada, farmacia e fanale*
saranno lì anche domani,
che della paura nulla sia rimasto
nel gesto di torcersi le mani,
che gli aghi degli occhi non pungono,
che lo sguardo distratto scivola via,
che l’intelletto, mio censore, tace,
che non ho debiti con la poesia…
oh, no! – grazie che il mio fiato amaro,
suo malgrado, di creare è capace.
* È un verso di una celebre poesia di Aleksandr Blok satura di disperazione.
TUTTO CIÒ CHE L’ANIMA RIEMPIE
Tutto ciò che l’anima riempie
invano cerca l’espressione
ma la matita è impotente
e indugia sopra un bianco burrone
le mie più tenere parole
sono grezze e approssimate
… oggi la neve ha baciato
le mie labbra angosciate
SE NE VA L’ESTATE VAGABONDA
Se ne va l’estate vagabonda,
a lungo non resta.
Già lo spazzino spia il volo
della sua veste,
si cela il grande corpo della terra
in una cappa rappezzata…
Io in estate non arrivo a niente,
ma verrà di nuovo, se è andata?
Ma nell’orto di rosse mele croccanti
si può entrare in segreto,
e attraverso l’ottica di una lacrima
il mondo è luminoso e mansueto.
NEL PRATO UNO SVOLAZZO DI FIORI
Nel prato uno svolazzo di fiori!
Trepido-lilla, azzurro-chiari
e sconcerto-rosa – caccia di memorie
per lunghi sonni invernali…
In seguito tutto è già noto,
indulgente con me io non sarò.
Non temo né il tempo né il luogo –
un giorno anche loro scriverò.
Fluiranno dietro la cupa fronte
memorie sacre e passate –
farfalle coi nomi latini,
in un album anzitempo appuntate.
NAPOLI
In un solo paiolo
essere ed esistenza:
Palazzi, corti, teatri e rioni malfamati.
Versa Napoli il tuo brodo,
Di te non siamo sazi ancora!
Chi ti beve –
perde il senno.
Non è ciò che vogliamo da tempo?
Pronte a salpare le case stanno
E i lenzuoli come vele al vento.
Un inchino alla porta per non sbattere la testa.
Il gettone per il dio dell’ascensore è pronto.
Napoli, versa!
Abbiamo pochi primi assaggi,
Quando nel pesante aroma anneghiamo.
Stranieri dietro una porta di cartone.
Stranieri nei garage e nei vicoli.
E tu, amico mio,
che bevi la città con me –
Tu col tuo cuore che sussulta e risuona.
Delle fragranti strade la vite aggrovigliata
E le piazze ci guardano con uno strano sguardo,
Ma io, chiusi gli occhi, posso andare.
Lo so:
tu mi cammini accanto.
ISTAMBUL
Dicembre. Ma l’aria odora di marzo, di masùt, di pesce, di halvà.
Nel porto c’è chiasso, il vigile fischia con voluttà.
Bancarelle, primavera, vetro, castagne, gabbiani, caciotta,
E la lente concava del cielo con tutto l’azzurro è rivolta
In basso, sul Bosforo, su di noi, sui templi contro i colli pressati,
A salvare noi, reggendo il peso del cielo, chiamati.
La capitale-aùl*, remota antichità e novità…
Tutto ciò che Istambul aveva, ora con me rimarrà:
La mole della città straniera e del cielo straniero veduto,
Dove spremono la melagrana, come il mio cuore hanno spremuto.
* Aùl: Villaggio di montanari del Caucaso e di alcune altre tribù nomadi dell’Asia Centrale.
CAMMINARE SULL’ACQUA
All’alba un luccichio di ragnatele.
Come l’aria, appena cullate,
E il lago in una nebbia rosata,
E nella nebbia le isole velate.
E nella nebbia – la tua riva lontana,
E nessuno intorno a remare,
E sembra che l’uscita è smarrita,
Ma l’uscita è sull’acqua camminare.
MITO SUL MITO. ORFEO
col respiro ardente sulla guancia mi sveglierai –
e sarà NOI, non diventerà TU ed IO.
e poi tu – ti affrancherai, tu – scorderai,
tu – sceglierai di scordare! all’oscurità
non potrai disubbidire, non oserai.
oh, all’inizio ci sarà l’Ade!
ma coi giorni – anche il ricordo dissiperai,
conta solo indietro non guardare.
adesso che dalle logore pergamene
trapelerà sempre meno chiaro il mio aspetto,
scenderai per me nel regno dei morti?..
sai che è un mito, Orfeo, riportami indietro!
CIACCONA *
“Non voglio più gelarmi di paura,
Meglio mettere di Bach la Ciaccona,
E poi verrà la persona…”
A. Achmatova
1.
Barocco è una parola elegante,
E accanto ad essa il buio e la peste –
Forse a riscuotere il tributo
Nelle vostre case irromperanno presto.
Non sembra siano contaminate –
Ma la lavandaia non era contagiosa? –
La manica degli abbienti – di batista
E degli indigenti – di stoffa non preziosa.
Oggi siete vivo e vegeto?
Cercate di vivere senza scosse!
La lavandaia ha le mani porpora.
La lavandaia ha le mani rosse.
2.
Ti porterà il tuo principe
Alle terme coi suoi musicisti.
Tua moglie attenderà coi figli:
Sei un genio, ma i tuoi cari nutrisci.
Il tempo per le cure, la fine
Non si può prevedere.
Ma non riceverai un dispaccio,
Ma non ti avviserà un corriere.
Di notte sotto un tetto non tuo
La tua casa tu sogni forse…
Ma la lavandaia ha le mani porpora.
La lavandaia ha le mani rosse.
3.
Ed ecco il ritorno a Köthen.
Dei vicini lo sguardo inquieto.
Domanda il caro figlio “Chi è là?” –
A chi è tornato non indietro.
Maria, Maria, Mari…
Soltanto due mesi separati.
Barocco è una parola elegante,
Elegante, demoni dannati!
Ora mai più ti abbraccerà,
Ora niente più ti sussurrerà…
La prenderà un ospite silenzioso…
E le tue spalle col peso incurverà.
Allora dalla scenografia terrena
Varchi la soglia che ti ha derubato:
Non c’è la morte, ma delle variazioni
C’è il torrente che a Dio t’ha portato!
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4.
La felicità futura propagandata,
E le pareti ascoltano le mosse, **
La lavandaia ha le mani porpora,
La lavandaia ha le mani rosse.
E le labbra si serrano severe,
Le persone hanno il viso stravolto,
E in una piccola anticamera
Dell’inquilino c’è solo il cappotto.
E non c’è né il bene, né la legge…
Ma c’è un virtuoso udito,
La cesellata parola ciaccona
E lo spirito dal dolore forbito.
* Questa poesia si basa su fatti reali. A luglio del 2020 ricorreva il trecentesimo anniversario della morte di Maria Barbara, prima moglie di Johann Sebastian Bach. Il decesso fu rapido e inaspettato. Bach accompagnava il principe Leopoldo coi suoi musicisti nel suo viaggio alle terme di Karlsbad (oggi Karlovy Vary). Quando Bach era partito Maria Barbara stava bene, ma quando tornò due mesi dopo, seppe che era morta il 7 luglio. La causa della morte non si conosce. Si ritiene che la celebre ciaccona (inclusa nella partita per violino n. 2) sia stata scritta da Bach in memoria di Maria Barbara.
** “le pareti ascoltano le mosse”, “Dell’inquilino c’è solo il cappotto” – tutto questo si può vedere nell’alloggio-museo dove abitò Achmatova. Il cappotto apparteneva al marito della poetessa Nikolaj Punin, che da lì fu portato via alla polizia segreta. Morì in un lager nel 1953. In questo appartamento Achmatova scrisse il suo Requiem. Un particolare interessante: sia la Ciaccona di Bach, che il Requiem di Mozart sono in re minore. Achmatova amava e ascoltava la Ciaccona di Bach. Del resto la ritroviamo in diverse sue poesie.
SENZA PAROLE
Il libro dovrebbe scriverlo il lettore.
Il miglior lettore legge con gli occhi chiusi.
M. Cvetaeva
Sentire – i sussurri di un arbusto,
Sentire – dei ghiacci il crepitio,
Il rombo dei profondi minerali.
In poesia è nel giusto
Chi sa senza parole:
Metteranno in musica.
Egli è privo di parola, uno spirito.
Egli abbraccia – ognuno,
Egli condurrà – due.
Io mi trasformo – in udito,
Io mi trasformo in riso,
Io mi trasformo – in verso.
Con tutti i battiti di palpebre,
Con tutta la fluidità delle mani,
L’essenziale è affermare:
Io tra mille fiumi, o amico,
La voce del tuo fiume
So trovare.
* * *
bruciano boschi e città
conservatori musei
intorno come al solito
folla di fannulloni e babbei
un’orda di blogger incapaci
orde di follower curiosi
bruciano boschi e città
bruciano inermi e orgogliosi
il mio globo azzurro in fiamme
come porpora si stende
sto di guardia e mi sembra
una parola al fuoco resistente
non una fesseria del blogger
né le ciglia malaccorte –
ma il secondo volume
refrattario delle anime morte.*
* Gogol’ bruciò il manoscritto del secondo volume del suo romanzo Le anime morte, ma Bulgakov ha scritto: “I manoscritti non bruciano”.
SAN PIETROBURGO
Ai bordi del mare del nord,
Spalancata ad ogni vento,
Con la consueta logica discute
L’antica città, il tempio aperto.
Dove lo sguardo Aurore e Apolli
E’ rivolto al freddo e lo disprezza:
Invano la neve innamorata
Le loro spalle di marmo accarezza.
A niente, girato mezzo mondo,
Ti ho mai paragonata –
O mia gelida Palmira,
O mia Italia innevata.
MAI
Anima mia, ti stancherai una volta
Di rinforzare le mie fragili ossa?
Io ogni giorno mi spezzo di brama,
Di muta immutabile angoscia.
Ma ogni giorno tu mi inciti di nuovo
E un lavoro non visibile mi dai,
In cerca di un’unica parola
Che si troverà – mai.
LA CREAZIONE DEL MONDO
La terra era informe e vuota
E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Il poeta sul foglio ancora vergine
Si estenua con qualunque possibilità.
Egli prende tutto da niente,
E di nuovo si tormenta sull’universo,
Ma la sua forza apparente
Cambierà in misera impotenza:
Si rincorrono le onde, libere e orgogliose,
E nelle loro profondità – onde, onde di nuovo,
E questa diavoleria dell’acqua
Non si arrende alla diavoleria della parola.
E il mutismo è pieno e profondo.
Ma ha vibrato la membrana presentendo
Ed emerge la prima riga
Dal rombo dell’oceano mondiale,
Mute si schiudono le labbra:
“Egli pensava sul giovane pianeta.
La terra era informe e vuota
E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.”
ITALIA
A Paolo Statuti
Italia! Della tua erede
In nessun luogo un’impronta rimane.*
Vengono verso di me due cigni bianchi,
E io non ho neanche un po’ di pane.
Assorbo il cielo, che spande generoso
Sulle onde azzurri riflessi.
Io ti canto, ma non saranno
Da te compresi i miei versi.
Lo so: qualunque cosa io faccia,
Per te non sarò in nessuna parte…
E i cigni – due bianche candele –
Si dondolavano ad arte,
E i cigni salutavano alteri,
Gli elastici colli movendo.
A un tratto un nodo in gola:
Essi mi stavano capendo!
- L’erede è il poeta straniero che non lascia impronte, perché l’Italia non lo capisce.
AMORE
Amore – fiorellino selvatico:
in primavera bucaneve o mughetto,
e più vicino all’estate papavero scarlatto;
gli basta molto poco,
non è superbo come uno di serra,
ma a volte mercanteggiano anche lui –
e allora non vive a lungo.
Amore – bestiolina sempre affamata,
occhi che brillano come perline,
dall’ombra è pronto a balzare fuori
più veloce del pensiero per un boccone
caduto a terra per caso – o più profondo
nell’ombra, se lo spaventa un suono o un gesto.
Amore – bambino inerme,
geloso, sensibile e radioso,
e se còccolo – ride,
e piange – se orfano,
ma anche allora vive la speranza
nei suoi occhi fiduciosi.
Amore – fiorellino, bambino, bestiolina:
esile stelo e sottile vocina;
sognalo o non sognarlo,
la sua nascita – un puro caso,
tra i soliti giorni puoi trovarlo.
E al mondo uno più tenero non c’è.
E al mondo uno più vitale non c’è.
ALLA PRIMA
Al pittore, scultore e grafico
Aleksandr Kostin
a puntasecca.
sbagliare non è dato.
ogni fruscio è un tratto.
e la punta
scivola da sé duttile e discontinua,
come il tuo respiro accelerato.
scivola da sé –
col sogno dell’ideale.
punge da dentro la tempia.
e se all’inizio c’era l’ansia –
la lastra l’assorbe in sé.
e riesce bene alla prima soltanto
a chi è fedele al cammino assegnato.
e tu sai
chi invisibile guidava la tua mano,
ma non si può nominare.
LA BAMBINA CON LA TRECCIA
Alla memoria delle vittime dell’attentato terroristico
nella metro di San Pietroburgo il 3 aprile 2017
L’obolo per il trasporto sotterraneo.
Come al solito il sole resta in attesa
Là, di sopra.
La bambina con la treccia*
È esclusa dal pagamento del trasporto.
Lei nel vagone fatale
Ti sorrideva come un miraggio, come la fortuna,
E solo con la manica ti ha sfiorato appena:
Tu ancora da nessuno ti eri congedato.
E rimbombarono le regole del gioco:
Nessuna differenza tra cattivo e buono.
Con te accanto i mondi in frantumi,
Ma il tuo no, era solo respinto,
E il guidatore fino all’ultimo ha condotto
La catena dei vagoni nel fracasso e nel fumo.
Altri, pagato l’obolo,
Viaggeranno in altri vagoni,
E tu ti sei alzato.
Di sopra negli schermi le solite persone
Mentono con le facce artefatte.
Invano chiedi: silenzio, consòlami! –
Non c’è silenzio più fragoroso, dopo un’esplosione!
Il volto della bambina è appena balenato,
Quasi fosse una visione, eppure
Sentirai per sempre sulla pelle
Come la sua manica ti ha sfiorato.
*In russo treccia è kosà, ma questa parola significa anche grande falce. Qui la bambina rappresenta la morte in veste giovanile e la treccia rappresenta la falce.
LA PASSEGGIATA
Già salpa. Dove possiamo andare?..
A.S. Puškin
dove andare? – hai chiesto come automa
uscendo per una passeggiata
e ti sei immerso nella folla che finché
non piove scorre lenta sulla strada
dove – non fa lo stesso? cappella parco
e un’ampia svolta dove dai cornicioni
si affacciano i musetti delle chimere
dove friggono le frittelle in padelloni
dove vendono scialli e magliette
dove la caviglia slogano le antiche pietre
dove i passanti non hanno occhi profondi
e nella memoria nessuna traccia troverete
dove si stuzzicano i manifesti rivali
dove i colombi sono grassi e imponenti
e dove un flautista è sotto il vetusto muro
e fatti sette passi più non lo senti
scorre la vita col suo tessuto sottile
e da esso l’eternità traspare
tu intanto in un baretto ti sei seduto
e mangi da un piatto da usare e gettare
scorre la vita
e il suo tessuto è sottile
e tu sei da questa parte per ora
dove andare – si sa e non pensare
finché l’olio di una frittella
le dita ti ungerà
e il cristallo di una vetrina
un cupo sembiante rifletterà
2.
A un tratto mi ha bussato il ritmo:
“un piatto da usare e gettare”…
Sembrerebbe, ma che sciocchezza!
Lascia perdere e fa’ qualcosa di utile.
Ma il ritmo insisteva, tanto che mi toccò
riflettere su cosa mi spingeva a fare.
Allora, a occhi chiusi, ho cercato
d’immaginare: chi mangiava, e cosa, e dove,
e come era finito là…
E a poco a poco
i quartieri del centro storico
di tutte le città europee insieme
si delinearono sotto le palpebre.
Ma per cosa – ancora non lo sapevo.
Tra l’altro c’era un verso sul tessuto
dal quale traspariva qualcosa –
per meglio dire, si oscurava, ma l’oscurità
trasparire non può? E allora
la lingua ha aiutato: traspare l’eternità! *
Ed è subito seguito il resto:
Pushkin, le antiche pietre, le chimere,
le FRITTELLE, le frittelle, oh sì.
“Se voi sapeste da quale fogna
crescono i versi, senza provare vergogna.” **
* Nel testo russo: просВЕЧивает ВЕЧность. Qui la poetessa gioca con la sillaba ВЕЧ presente in entrambe le parole (N.d.T.)
** Da una poesia di Anna Achmatova (N.d.T.)
MILITARI
ma quale – accidenti!
quale mai primavera
può arrivare
MILITARI
ma quale – accidenti!
quale mai primavera
può arrivare
se ogni tanto siamo più intransigenti
se la guerra
è penetrata nei sogni e nei pori pure
e sulla facciata serpeggiano deliziose spaccature!
ora ci è noto
il codice segreto
e le mani prudono dall’eccitazione!
su,
su mettiamo in circolazione
l’arma della totale distruzione!
EXEGI MONUMENTUM
La mia voce è più ferma e più quieta,
Aspre canzoni alla gente non canto.
Un giorno anche su di me un articolo,
Diciamo – preambolo, scriveranno,
Ma sarò per il popolo un poeta caro
Che cantava il silenzio e tristi momenti,
Perché a scuola nessuno dei suoi quieti canti
Hanno costretto a tenere a mente.
* * *
Noi tardavamo a gustare questo miele.
Noi nella seminebbia ci toccavamo col respiro
e un intero lungo istante
salvavamo dalla molesta eternità
protetto contro gli inverni col solo dorso
il calore delle sole labbra, noi, combaciati,
tacevamo, e il tempo con tutta la sua forza
alle nostre spalle infuriava invano
VERTICE DELL’ESTATE
Vertice dell’estate. Mezzodì. Dormiveglia.
Il mondo oggi ha fatto a meno di me.
Come si sta bene, che quiete in casa!
Entra una vespa – ecco il fatto del giorno.
Attraverso le ciglia della pigrizia estiva
Vedo gli indizi di un percepibile bene:
I petali sulla tovaglia, le ombre,
E una mela, da stamattina dimenticata.
STREAM OF CONSCIOUSNESS
Before you slip into unconsciousness I’d like to have another kiss, another flashing chance at bliss, another kiss, another kiss…
The Doors
In un torrente di sussurro e mormorio
e di lunghe vocali,
e di estasi, di tremito,
e di occhi, forse fatali
nella loro felicità e follia
(il cervello – dalla corrente staccato!),
senza soggetti e predicati,
e anche – di punti privato,
e anche – senza pause (oh, deliquio
di un linguaggio ardente!)
le labbra che tacevano – dissaldate
dall’incontro di ebbrezza fremente
le parole mute – da digital
nella voce si sono lanciate,
sono vissute e sopravvissute,
adesso così affamate
non le sfameremo con le ore, coi giorni,
cogli anni, con la vita,
ed ecco noi perdiamo la ragione:
“di’! dimmi!” –
risuona com un guasto del cuore…
quando succederà,
come tra due uccelli
il nostro colloquio sarà!
IL POETA E LA GENTE
Io ero pronto ad amare il mondo intero,
ma nessuno mi ha capito e io ho imparato
a odiare.(M. Lermontov, Un eroe del nostro tempo)
Intorno gli occhi: così la solitudine è più viva.
Non mi rifletterò in nessuno, passando,
Tra idiomi e consonanze altrui
Le mie parole rapprese ingoiando.
Occhi-occhi, schermi trasparenti,
Delle dolciastre labbra il dolciastro accento
E Lermontov troppo presto è scomparso,
Per trovare su questo un commento.
Astrazione, frustrazione, chimera –
La vicinanza umana, dalle tu un nome,
Ma in alto c’è ancora la fede
Nella grande d’amore illusione!
Oh, io ho provato, salendo in alto:
Respirare è più arduo, ma in compenso
Nessuno telefonerà e nessuno scriverà.
Io questo amo e al colonnello penso.*
Qui, in alto – senza trambusto e con rigore.
Amare la gente è più facile da lontano.
Ed io a un tratto capisco Dio,
E perché ci dice: “ancora vi amo”.
*Riferimento al romanzo di Gabriel Garcia Màrques: Nessuno scrive al colonnello.
IL PONTILE
Si versa sopra i vecchi tigli
La luce della luna informe
I quieti singhiozzi del lago
Li sente solo chi non dorme.
Nel fumo argenteo della luna
Taccio presso un tiglio gentile.
Le barche – cuccioli ciechi –
Sfiorano il loro pontile.
Di notte nel paradiso solitario
Né voci e nemmeno un fuoco…
Dalla cara lontananza
Oh, ricordami almeno un poco!
ESCATOLOGICO
“Più oltre – il silenzio”
Shakespeare
Quante volte, sorpresa all’improvviso,
ero tutta presa dal ritmo lontano.
Due brevi segnali, poi tre più lunghi,
sempre diversi, cercavo di capire invano.
Può essere un disperato s o s,
o un pesante sonno che riposo non porta.
Io so soltanto che è una cosa seria,
ma sempre più pause di volta in volta.
Tre rapidi segnali… due non cadenzati…
Io guardo, ascolto, non desisto.
Ma sempre meno giungono all’udito,
sempre più con la memoria ho visto.
Anche se tu non dovessi morire affatto –
lascerai la strada, nel passato volando,
e i saggi pedagoghi della Cina
a sonare Chopin insegneranno,
e poi spariranno i mari e i monti,
e la terra intera – transitorio evento,
e nella memoria aguzzerà lo sguardo
dalla Rho Ophiuchi un osservatore attento.
E allora, come là: svegliati e canta,
tenera è la notte, la vita è bella e piace!
Ma un sordo e pieno silenzio m’invade,
e proprio esso non mi dà pace.
NON FARÒ IN TEMPO
Non farò in tempo! No!
Il giovane vento in fretta fuggirà,
Il tuo aereo nella Cassiopea
Come stella imprevista brillerà,
Nel fondo dei calici dei fiori
Stilleranno gocce di dolce umidore –
Ma non comincia la matita la corsa
Sulla carta di bianco candore.
L’attimo non realizzato sparirà,
Il mio silenzio incolpando…
Oh, chi oggi è più inutile di me
E più di me affranto?
Ecco che la punta della grafite
Potrà veramente ferire!
E piomberà un tale silenzio
Che non potrò soffrire.
CONCERTO NELLA CATTEDRALE DI SOFIA
Sofia, Sofia, organo volante
La porta spalancata, la volta vibrante,
E violini – estasi, ciclone!
Attenti a non volare via! Attenzione!
Attenti a non volare via! Attenzione!
La musica, ignorando la terra, spaziava,
Il cielo i suoi navigli rovesciava,
Il mondo da un fulgido fuoco illuminato,
E il vento ballava in esso sfrenato,
E il vento ballava in esso sfrenato.
La musica, respirando l’ozono, si spandeva,
L’anima cresceva, ma contenerla tutta non poteva.
Essa passò volando e sparì lontano,
Io sorridevo e il pianto scorreva pian piano.
Io sorridevo e il pianto scorreva pian piano.
LA MISSIONE
Linea, linea e punto e virgola.
Era lo stupido segnale di contatto,
ma l’astronauta, sorvolando il mondo,
ormai non ha più alcun rimpianto:
si libra e della missione se ne buggera,
la terra dall’oblò gli appare chiara,
e là, in un punto, il bianco d’una vela,
e come la terra anch’essa solitaria,
e là, in basso, ridicoli omettini
senza mappa, nè vela né timone
navigano pian piano su mari e fiumi
per il mondo – del creatore donazione,
e là, in basso, fissano incantati il cielo,
captando buone nuove e ogni suono,
chiedendo la strada nell’eterno silenzio
per le lontane stelle, se esse ci sono –
ma tutto è coperto dal telo nuvoloso,
e nei cieli ora nulla più appare,
e l’astronauta, chiuso ogni contatto,
dal Mestolo dell’Orsa* beve la pioggia stellare.
* L’Orsa Maggiore ha la forma di un mestolo.
BEETHOVEN*
Tu ordinerai ai servi di non aprire a Beethoven
lo bloccherai nel messenger e nei vari siti
alcuni combattono altri estraggono bitcoin
alcuni fanno intrighi altri si sono smarriti
i due precedenti insieme non centrano la vena
la verità storico-isterica i suoi diritti protesta
sul ponte non distrutto entra l’armata francese a Vienna
e io guardo da lì il Danubio e mi gira la testa
Tu ti costringerai a partire pur con il crepacuore
ma conserverai le lettere col settimo sigillo
io sto sul ponte l’autunno è terribile e muto
“Tu chiedi come io vivo ma preferisco non dirlo”
Napoleone fa saltare le mura fortificate
com’è vile chi trova un uomo già a terra e lo finisce
e sotto il ponte il sangue blu da Vienna
fluisce fluisce
meglio il blackout di un piccolo sussurro e le dicerie
un nero quadrato ogni cosa che vuoi conterrà
perduto tutto l’ultimo ride bene del tempo
che ci ha mentito dicendo che tutto sparirà
troveranno le Tue lettere tra un secolo e mezzo
le tradurranno e pubblicheranno io le leggo ora
peccato che non ho detto io: dell’uomo intero
ci resterà parte del discorso** la testa gira ancora
cosa hai provato Tu troncando i cari rapporti
è stata la Tua grave disgrazia o la colpa ahimé
sempre scorre scorre a Vienna il sangue blu
e Tu vivrai finché esso si verserà in Te
la distruzione la rovina tamburi e sciacalli
la città la terra l’anima nel fuoco nel fuoco
significa che lui troverà sostegno in sé
e ne darà anche me un poco
io sto appoggiata alla ringhiera e comincio
appena a distinguere nei fragorosi tuoni
“solo coi suoni – ah non sono forse immodesto
pensando che più delle parole mi ubbidiscono i suoni”
solo coi suoni nell’oscurità informe brancolando
e che lui non senta neanche una stereocannonata
né il silenzio ma così è più semplice e più fedele
perché la musica sopra tutto è sempre stata
*Le parole in corsivo sono tratte dalle lettere di Beethoven a Josephine Deym, rinvenute negli anni ’50 del XX secolo negli archivi della famiglia Deym. Dalla corrispondenza di Beethoven sono tratte anche altre parole quali: sostegno in sé, distruzione, rovina, tamburi.
**”Parte del discorso” è il titolo di una raccolta poetica di Josif Brodskij.
LE TRE SORELLE
il giorno è morto.
i miei occhi sono acuti,
ma entrando nel crepuscolo sono scoraggiata.
per prime sorgono tre sorelle:
bianca, azzurra, dorata.
la povera sfera
inebriata vola veloce;
ferita – dalle mie mani sarà curata.
come sorelle germane io le amo –
bianca, azzurra, dorata.
e quando
del cielo indivisibile
di superare i confini mi sarà dato,
nell’universo dilagherà il mio io –
bianco, azzurro, dorato.
IL CIELO DA ME STA VOLANDO
L’abitudine volpesca del vento.
Il bosco mi accerchia improvviso.
Le foglie maligne, pungenti
Si avventano sul mio viso!
.Ma oltre la portata dello sguardo,
Oltre la morte fogliata –
Ecco la benedetta luce
Della prima nevicata.
Dunque ancora non è la fine.
Il labbro sta scintillando.
Piego la testa all’indietro –
Il cielo da me sta volando.
LEGAMI
«…Nel paese dove si formano chimerici legami
E le torri si ergono di palazzi lontani!»
Mandel’shtam
«Per quali strade di fatica e prodigio, ma essa è. Io sono!»
Cvetaeva
Perché tra fantasia e menzogna
Non noti le frontiere così chiare?
Ti è noto il tremito scintillante
Che sull’orlo delle ciglia sembra indugiare?
Dalla lente delle lacrime incantevole
Trapelerà il mondo più reale di ieri.
Non temere, tocca il dono, prendi
Del prodigio e della fatica i sentieri –
E vedrai dalla finestra all’istante
Formarsi chimerici legami,
Dei neuroni il gioco stravagante!..
L’ultimo verso adesso è colmato
Da una insostenibile rivelazione,
Che sulla punta della penna ha indugiato.
CANZONE DEL POETA
L’involucro labile e sparuto
All’incontro col paesaggio conduco.
L’universo che sempre più dilaga
In una rete di metafore racchiudo.
Si propaga? – non fa niente –
Stringerò più forte le estremità…
L’involucro sparuto si spaventa!
Il tuo aiuto, o mia musa, verrà?
Sto davanti al lago soleggiato,
Pari ai cieli esso è profondo –
E mi immergo e lo penetro tutto,
E riemergo in un altro mondo,
E indietro, di nuovo, nuovamente,
E cucio, cucio le estremità…
L’involucro sparuto si tormenta!
Il tuo aiuto, o mia musa, verrà?
STELLE CADENTI
ringraziare i tramonti e le aurore,
e le quiete fuggevoli ore
non contare,
e ai cieli chiedere le cadenti stelle,
come i bambini chiedono le care caramelle,
e – afferrare.
L’ACCORDO
Tu pensavi, un tuo solito canto?
E non avrà nessuna conseguenza?
Tu pensavi, non dovrai conservare
Il volto dell’esistenza?
Lasciati convincere.
Il fardello sarà leggero:
Ti daremo questi monti,
Le nubi e il lago intero.
. . . . . . . ..
Che cosa io imploravo allora,
Ancora oggi non ricordo.
E il cielo ha mandato un acquazzone –
A suggello del nostro accordo.
LA FEDE
a metà di un giorno senza fine
come sul fondo di un fiume non terso
il mio genio mi ha lasciata
e da allora non un verso non un verso
dura sorte dura sorte dura sorte
ma di ciò a nessuno darò la colpa
egli sopra un’ala mi ha messa
e se poi non mi ha protetta non importa
la gratitudine è al di sopra dell’angoscia
ed è un sostegno per la schiena stanca…
solo un fruscio lungo il fiume
serpeggia maligno e verso di me avanza
sguazzano sei ali membranose
la sua pelle è iridescente
dice ti aiuterò io a dimenticare
non è niente dice non è niente
guarda intorno nessun’anima nessuna
il cielo le spalle ti ha voltato
firma dice firma
ripudia dice ripudia ciò che è stato
guardami più allegra
perché ti geli in questo tacere?
non rimpiangere dice non rimpiangere
di nessuno dice rimpianto devi avere
appena lo strapperai dall’anima
una nuova voce verrà vedrai
firma dice firma
mai dico mai
a un gesto di stizza della mia mano
il serpente nell’erba o nel sogno scompare
il vento soffia sul fiume assonnato
è il mio genio che da me vedo tornare
SOTTO LE PALPEBRE
Poco m’importa se la pioggia autunnale
La terra per metà ha coperto con veli.
Sotto le palpebre è la mia incolumità:
Mondi, mari e velieri,
Le gru e gli arcobaleni
Nella festiva celeste sommità.
In me è vivo il verde vento
Di questo maggio sfrenato:
E delle labbra l’enigma monello,
Delle braccia l’invito spalancato,
E il passo – ultima linea retta! –
Tutto ciò che desidero io vedo,
E gli occhi inutili chiusi ho lasciato.
* * *
non temete, amici miei,
perché non bisognerà,
di qualunque sguardo i poeti
prolungano le estremità
ecco il cielo, ed ecco una stella
un miracolo davvero
appariremo là quando
da qua moriremo
VERSI LIBERI
Io non amo i versi liberi, ma a volte
Essi fluiscono come i fiumi,
Ed è piacevole sentire la favella in bocca.
Prova ad alta voce – bello, vero?
Mutando le parole in massime,
Le condanni all’immortalità.
Ebbene, di che tratta questo verso?
Esso è la vita: tu, come dire, perdonami se mi confido
così con te. Elegante prefazione, ma l’essenza nella solenne
corrente si è dissolta. Tutto era così notevole, amico mio, tu andavi
verso le cime, dove l’aria è dolce, ed ecco – su un colle hai piantato
una bandierina…Va bene. Ma tutto sommato sei deluso,
vero? Ti sei accorto che non è di questo calibro la tua pistolina?..
Coraggio, torniamo al fedele verso libero!
E sono scorse ondate di grandi parole,
E sulla cima è piantata la tua bandiera,
E la favella fluisce nella bocca,
E nessun turbamento tutto sommato,
Nessun turbamento.
No.
Ma questo verso
Ha un nome solo – verso libero.
I FRINGUELLI
…tremando d’infinito…
Paolo Statuti
tu ricordi, ricordi, com’erano tenui,
prima dell’alba gli ultimi momenti?
noi semisvegli ci tenevamo stretti
e i fringuelli ci chiamavano insistenti
e cinguettavano: “senti – senti, dell’alba
è ancora fresco – fresco il manto”,
e si dilatavano le nostre anime,
d’infinito tremando
LORCA
Siamo tutti lupi del fosco bosco
dell’Eternità
M. Cvetaeva, Il poeta e il tempo
Che ci può fare il tuo ferro,
Un colpo tra gli occhi dritto?
Noi siamo lupi di un bosco e t e r n o,
Il tempo per noi non è un editto.
Tu colpisci per primo,
Miri alle nostre menti.
Ulula, attualità-carogna:
Saremo noi i vincenti.
(C) by Paolo Statuti