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Tomasz Gluziński: Il grande pascolo

23 Mag

 

 

Tomasz Gluziński

Tomasz Gluziński

 

   Nel 2005 la casa editrice “Więź” di Varsavia pubblicò un’antologia poetica di Tomasz Gluziński dal titolo “Il grande pascolo”, contenente poesie tratte da diverse sue raccolte, e con una presentazione del poeta, saggista e critico letterario Krzysztof Karasek. Al riguardo ho trovato in internet questo articolo del poeta, saggista e traduttore Jarosław Mikołajewski (v.nel mio blog), scritto nello stesso anno. Eccolo nella mia traduzione.

 

Un capolavoro dimenticato

 

Una gioia maggiore della scoperta di un nuovo talento, si prova quando si ritrova un’opera ingiustamente dimenticata. La gioia di ricordare e di proporre la poesia di Tomasz Gluziński la dobbiamo alla casa editrice “Więź” e a Krzysztof Karasek, che ha scelto le poesie di questo poeta, corredandole di una sua introduzione.

“Gluziński nacque nel 1924 a Lwów – scrive Karasek. Frequentava la scuola nella stessa strada in cui si trovava quella del suo compaesano di dieci anni più giovane Zbigniew Herbert, solo che dalla parte opposta. La guerra lo cacciò dalla città natale e nel 1950 si stabilì a Zakopane”. Un conciso e colorito curriculum di Gluziński lo troviamo nella sua autobiografia essenziale contenuta nella lettera da lui scritta al poeta Zbigniew Herbert nel 1983. Emerge da essa la figura di un patriota che nel 1944 si arruolò nel 1 Reggimento Alpini, che dopo la guerra cercò la sua dimora nella Bassa Slesia, e infine si creò una famiglia, mettendo per sempre radici ai piedi del Giewont. Sciatore, allenatore delle nazionali femminile e maschile di sci, uomo di forte fibra. “Al partito o altra ignobile organizzazione non appartenevo – scrive nella suddetta lettera – non applaudivo, non sorridevo stupidamente, ho pubblicato un paio di libri e neanche una volta ho consegnato personalmente il manoscritto alla casa editrice, servendomi sempre della posta. Non mi conoscono da nessuna parte, non sanno che aspetto ho”.

“Le mie vicende – rispondeva Herbert – sostanzialmente sono state assai simili (…). Grazie a Te mi sono reso conto di quanto sia inestimabile la solidarietà generazionale – non quella che risulta dalla data di nascita, ma quella che deriva dalla osservanza della lealtà”.

Come poeta Gluziński debuttò nel 1958 sul settimanale “Tygodnik Powszechny”, ha pubblicato 11 raccolte di poesie, è morto nel 1986. “Era – scrive Karasek – una delle personalità di Zakopane, come il pittore Brzozowski, lo scultore Rząsa o il generale Boruta-Spiechowicz – stabile elemento del paesaggio di questa città (…). E’ sepolto nel Vecchio Cimitero, celebre necropoli di Zakopane. “Sciavo – scrive riassumendo ad Herbert la sua vita – al sole, nella nebbia, nelle bufere di neve, sul ghiaccio, giravo sulle creste, sulle vette, nei boschi, e ringraziavo Dio che mi aveva fatto diventare un poeta poco istruito, ma esperto”.

Tomasz Gluziński era un poeta che sperimentava In maniera oltremodo consapevole. Era il poeta della rude denominazione della realtà, degli inattesi paragoni, delle ricerche nello spazio e nella fantasia al tempo stesso, del ridurre il mondo alla sua essenza. C’è nei suoi versi il coraggio di denudare i rituali, l’audacia del linguaggio corrente e dell’arrivare al nocciolo delle cose, senza inutili preamboli.

Scrive giustamente Karasek che Gluziński svolse un ruolo rilevante „nella formazione del linguaggio poetico contemporaneo”, lo indica come un creatore della Nouvelle Vague polacca, così importante per i poeti nati negli anni ’40, nonché per quelli assai più giovani.

C’è nella raccolta “Il grande pascolo”  una ricchezza di poesie indipendenti, subordinate soltanto all’avventura spirituale e alla volontà artistica. Autentiche quando le loro fonti scaturiscono da fatti del tutto privati e a noi nascosti. Questo volume di Gluziński è uno dei dei più grandi eventi letterari del nostro tempo, e anche se il poeta è morto 19 anni fa, ciò non cambia affatto la sostanza delle cose.

(2005)                                                            Jarosław Mikołajewski

 

 

 

Alcune poesie di Tomasz Gluziński tradotte da Paolo Statuti

 

Didascalia

dietro la finestra secondo la stagione molte

foglie o un gran gelo e l’ornamento o

la sua completa assenza determina senza alcun

dubbio sia la topografia sia

l’atmosfera di questo luogo dove al

centro su una comune sedia o meglio

in terra siede una persona di sesso

indifferente di qualsiasi età che subito

a prima vista sembra

soffrire benché non sia affatto

una sofferenza per una malattia e la persona

stessa possa essere sostituita semplicemente

con un modello di cera o di cartapesta ma ecco

man mano che cresce tra le quinte una allegra

melodia eseguita al corno

inglese con l’accompagnamento dell’organo e

di voci umane inarticolate

il viso della figura seduta e tutta la sua

ricurva immobilità subisce

una graduale inevitabile metamorfosi

che si manifesta con la scomparsa delle rughe

all’inizio con un lieve poi sempre crescente

gesticolare tanto che quando si alza

il sipario abbiamo davanti a noi un uomo

maturo dal cranio benfatto e distinto e

il volto sereno e tutta la bella virile

figura dimostra la forza e la risolutezza

propria delle persone abituate a svolgere

determinate funzioni e allora secondo

le circostanze da sinistra o da destra

si apre come sempre una porta ed entra

una persona di sesso indifferente che a prima

vista sembra soffrire ma

non è una sofferenza per una

malattia e la persona può essere sostituita

con un semplice pupazzo di cera o di

cartapesta ed ecco a poco a poco man mano che

si sviluppa l’azione con la crescente

melodia al corno inglese e all’organo

con l’accompagnamento di voci umane

inarticolate i ruoli subiscono una impercettibile

lenta e inevitabile trasformazione e così

tra gli applausi il sipario si abbassa e si alza

più volte e bisogna qui aggiungere ancora

che il dramma si svolge con disinvoltura alla luce

del giorno sotto i nostri occhi

 

1968

 

Cosciente

 

nemmeno la guerra

nessuno porta le armi

semplicemente una marcia

 

quel giorno della partenza di trecentomila

pellegrini per il deserto causò

nel calendario della storia

importanti mutamenti

 

in questa situazione

la poesia

non può più

imitare il cinguettio degli uccelli

non può essere un erbario

né il martirio dell’etimologia

 

tutto ciò che avviene intorno

supera l’immaginazione

e i diari di un’anima sensibile

i libri dei sogni e le metafore abissali

adesso sono tanto necessarie

quanto un sacco di sale versato nel mare

 

l’odierna poesia deve essere

cosciente

e nessuna parola

che cozza contro altre con schianto

come lucenti sfere sul verde

abito della fantasia sarà in grado

di uguagliare lo scricchiolio della sabbia

 

e i sussurri del desiderio

 

1977

 

Al crepuscolo

 

come cavarsela col panorama

 

dipingere tutto come viene

coi salici la nuvola l’erba che appassisce

e la rosea gelatina del sangue

 

come dunque immortalare un bel paesaggio

 

covoni di segala il panico degli uccelli

il pallido azzurro del cielo di settembre

e la nuvola di polvere da sotto lo zoccolo

 

gli sciami di mosche il loro verde lucente

 

le pagnotte da poco freddate

che tra le stoppie giacciono

come pietre campestri

 

e il penultimo riflesso del sole

 

prima che sul freddo candore della fronte

al crepuscolo

striscerà come rame

 

17.09.1975

 

Indomabile

 

cercare di astenersi dalle metafore

dire la verità e soltanto

la verità

l’erba

è verde

la neve è fredda

l’acqua è bagnata

la corda è di canapa

e ognuno ha

i buchi nel naso

 

se tuttavia qualcuno

volesse da queste banali

informazioni trarre

delle conclusioni non resterà deluso

 

perfino l’elenco del telefono

in certe circostanze

può risultare anche

una lettura sconvolgente

 

per confrontare

i numeri

di berlino e di varsavia

del 31 agosto 1939

 

quasi la lista

completa dei boia e delle vittime

 

evitare le metafore

l’erba

è nera la neve è calda

neanche una goccia d’acqua la corda

per appendere e i buchi

nel naso nelle spalle nella

nuca

perché non c’è una

parte del corpo che l’indomabile

immaginazione umana

possa risparmiare

 

1977

 

Indipendenza

 

la mia libertà

si compone

di appena qualche elemento

 

il primo

è l’estraneità dell’odio

che è la schiavitù più crudele

 

il secondo

è la discordanza con l’invidia

questa usurpazione del possesso esclusivo

 

il terzo

la libertà di pensiero

o se si preferisce

la resistenza

alle seducenti e a volte

velenose verità della filosofia

degli ultimi secoli

 

i restanti attributi

non meritano

di essere menzionati

se non si vuole

gracchiare come un qualunque pappagallo

in una qualunque

gabbietta di fildiferro

 

Zakopane 17.07.1983

 

Senza chiacchiere

 

i cani

non imparano mai

l’arte di parlare

vivono

forse troppo poco

 

ma anche così

sono superiori all’uomo

nel trasmettere le intenzioni

senza smorfie e senza chiacchiere

 

una particolare articolazione

di desideri di avvisi d’inquietudini

di curiosità e perfino

di affetto

manifestano perfettamente

con il loro tipico atteggiamento

dal naso alla punta della coda

oppure

coi latrati o mugolando ringhiando

e ancora con un certo

vocalizzo da cani

l’espressione

degli occhi dei cani dimostra in modo

suggestivo una intelligente

sensibilità

e la docilità

estorta con un severo addestramento

è un’ulteriore prova

della smisurata fiducia e

dell’amore del tutto irrazionale

degli animali

per l’uomo

 

Zakopane 26.07.1983

 

Quanto ancora

 

quali esperienze ancora

 

quanti sacrifici occorre subire

per non chiamare i bisogni dello spirito

solo un mercato

per un boccone di pane

 

quanto tempo deve passare

 

per capire che la fame del cuore

si nutre di foraggio della verità

e non di oro

che uccide

 

quanto sangue scorrerà ancora

 

quanto ci spremeremo il cervello

per capire l’origine della bramosia

per sapere

cosa ci duole

 

Zakopane 6.09.1983

 

Solo un filo sottile

                                  A Zbigniew Herbert

 

nei rivoli dell’acquazzone

il cervello si bagna

e nelle paludi marcisce l’erba

ai pensieri rigonfi nessuna pausa

di sonno neanche un istante

soltanto la veglia

 

soltanto dietro il colletto cola la paura

goccia dopo goccia penetra nelle tegole di legno

trapela la minaccia dal vecchio tetto

e il fungo si addentra nei quattro angoli

 

con un tale acquazzone

il torrente romba

e dai monti il granito portato batte

l’acqua si avvicina alla porta

e mille rane nascono nel pozzo

 

dietro la finestra rivoli

niente di più

non c’è più né terra né  cielo

solo un filo sottile di speranza

e una fetta di pane ammuffita

 

Zakopane 8.08.1985

 

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

Jarosław Mikołajewski

9 Feb

 

 

Jarosław Mikołajewski

Jarosław Mikołajewski

 

   Nato nel 1960 a Varsavia, è uno dei poeti polacchi contemporanei più apprezzati. E’ anche saggista, autore di libri per bambini, pubblicista e ha grandi meriti come traduttore in polacco di Dante, Petrarca, Michelangelo, Leopardi, Montale, Ungaretti, Luzi, Penna, Pavese, Pasolini, Levi e altri ancora. Dalla letteratura italiana per l’infanzia ha tradotto “Pinocchio” di Carlo Collodi e alcune opere di Gianni Rodari. Tra il 1991 e il 2014 ha pubblicato 11 raccolte di poesie. I suoi libri sono stati tradotti in più lingue. Ha ricevuto prestigiosi premi letterari, tra cui nel 2014 la medaglia d’argento per meriti speciali al servizio della Cultura “Gloria Artis”, e in Italia: Stella della Solidarietà Italiana, Premio Nazionale per la Traduzione, Premio della Città di Roma, Premio Flaiano.

Negli anni 1983-1998 è stato docente della cattedra di Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Varsavia, e negli anni 2006-2012 direttore dell’Istituto Polacco a Roma. Da questo soggiorno romano è nata, tra l’altro, la raccolta di saggi “La Romana Commedia” (2011) – un peculiare diario-guida attraverso la città di Roma. La chiave per conoscere i segreti della Città Eterna è la “Divina Commedia” di Dante. Essa detta il ritmo delle scoperte di Jarosław Mikołajewski e determina la struttura di questo libro, che si compone di 100 canti suddivisi nelle tre cantiche: “Inferno”,”Purgatorio” e “Paradiso”. A proposito di questo libro la poetessa Julia Harwig scrive: “Si può ritrovare la Roma contemporanea grazie alla “Divina Commedia” di Dante? Jarosław Mikołajewski ha rischiato e ha scritto per noi un racconto di questa stupenda città, costruendolo intorno a frammenti dei “Canti” di Dante. Un’idea ardita, ma che non desta obiezioni. A Roma, presente e passato convivono e coesistono…Un carattere particolare è dato al libro dal personale rapporto dell’autore con questa città”.

Come romano trasferito in Polonia  posso capire perfettamente i sentimenti di questo poeta polacco trasferito a Roma, dove per sei anni , nella tradizione di altri illustri poeti polacchi, quali ad esempio Jarosław Iwaszkiewicz e Jerzy Hordyński, ha “visto e sentito” l’essenza di questa città. A Roma ci sono i classici luoghi per turisti: Colosseo, Fontana di Trevi, Bocca della Verità, ecc., e ci sono i “quadri” preferiti dai poeti: le Ville, i pini, i vecchi vicoli, le fontanelle, i tramonti, ecc., ed essi attingono le parole da ciò che “vedono e sentono”. Jarosław Mikołajewski ha lasciato le sue personali e durature impronte sul suolo di Roma, e se dovesse tornarci, sono sicuro che  le varie anime della Città lo riconoscerebbero subito e lo accoglierebbero come un vecchio amico.

Di proposito non voglio esprimere giudizi critici (anche perché non sono un critico letterario) sulla creazione di questo poeta, e nemmeno citare la critica ufficiale, ma ho tradotto 10 sue poesie – ciò significa che mi piacciono – e invito i lettori di questo mio post a manifestare i loro pareri, che sono certo saranno accolti con interesse da Jarosław Mikołajewski.

 

Poesie di Jarosław Mikołajewski tradotte da Paolo Statuti

 

Il prato

Le mie figlie si nutrono come giovani mucche

di erba

che cresce nei verdi pascoli

 

di latte

che ai pietosi animali

si stilla dalle turgide mammelle

 

le mie figlie bevono tisane

di erbe

dai nomi latini

e le loro guance profumano

come serici gusci ripieni di lavanda

 

le mie figlie sono tutte yoghurt

pane e sole

 

masticano i dolci petali

dei fiori di campo

e i loro capelli profumano

di rugiadosa violacciocca

 

Vivo accanto a loro come un maiale

 

come un cane crepato

sulla riva di un fiume cristallino

 

e che ancora non è diventato erba

 

né rugiada

che vola verso il sole

 

né l’acqua di questo fiume

 

O terra carnivora

inghiottisci finalmente la mia carne

 

o fa’ fiorire il mio corpo

imbalsama la mia pelle

 

Il museo degli oggetti antichi

 

le risorse sono limitate

un carro per il cielo

trascinato dall’ombra d’un cavallo

 

uccelli

onde

 

qualche caro oggetto di uso quotidiano

una bambola o la moglie

un pettine

 

e ancora una guida

un corvo

un raggio

 

un’ombra sulla bacheca

 

 

 

 

 

 

 

La valle

 

scendo in valle giulia con giulia

 

e con noi scendono signori e signore

e con loro i cani senza guinzaglio

 

anche mia moglie scende

e le due figlie maggiori

 

e ciascuna nel portamonete ha le foto

delle due nonne

di un nonno

e dell’altro nonno

che un tempo scese la valle con noi

 

quando scendiamo

si sentono gli elefanti

e i pavoni

 

forse è una tigre che domanda a giulia

 

forse

 

a valle giulia

al sole s’inchina l’erba

e all’erba il sole

 

e il sole nell’erba è come un leone

che a morsi si fa strada nella terra

 

e il tempo è strano per questa stagione invernale

anche qui a roma dove a gennaio al massimo

sono dieci gradi e invece guardate che roba

 

è così caldo in quest’ora serale

che dalle case escono

e scendono con noi in valle giulia

sirene di città e sirene marine

anemoni di mare e fiori

egiziani

venditori

massaggiatori e preti

 

parrucchiere con le gambe di vario tipo

quelle più in alto lunghe

quelle più in basso corte

 

e ognuno bagna i piedi nella propria ombra

che scorre nell’erba come un ruscello

 

Domanda

 

sono venuto al mondo

dove non c’ero né io né te

ma le mani applaudivano già le tue creazioni

 

i tuoi fiori si strofinavano a questi piedi

i chicchi nelle mie mani formavano manciate

 

ah come eravamo inutili

 

io non ero una creazione

ma i miei sensi

lo erano e come

 

io non c’ero

ma tu eri già il creatore

 

c’era un motivo per cambiare ciò

Un poeta molto vecchio

 

Andavo a incontrare

un poeta molto vecchio

 

tanto vecchio che se fosse stato una quercia

avrebbe avuto mille anni

 

Avrebbe ricordato i fratelli

che diventarono canoe

 

avrebbe ricordato

che poteva diventare un armadio

 

o san Sebastiano

nell’altare centrale o di lato

 

che la sua parte inferiore

poteva diventare il ceppo per la scure

(oggi al museo delle torture medioevali)

e la parte superiore

centinaia di migliaia di fiammiferi

(oggi nella cenere dei falò sui pendii dei Bieszczady)

 

Andavo da un poeta molto vecchio

 

dovevo notarlo ora nel suo nervosismo

ora nella sua assenza

 

prima ancora di scorgerlo

doveva sparire

prima ancora di orientarmi

doveva gettarmi dalle scale

 

dovevo essere come un pescatore

che abbraccia una sirena

 

Andavo da un poeta

che poteva essere una quercia

lungo un parco di alberi

che erano come maschere

 

guardavo in una cavità

senza scoiattoli e senza uccelli

 

toccavo la corteccia come palpebre

incollate da rivoli di resina fossile

 

Andavo da un poeta molto vecchio

tra gli alberi come tra armature

con le visiere calate

 

Quando entrai nella casa del poeta molto vecchio

le scale che potevano essere lui

se fosse stato una quercia

avrebbero scricchiolato sorde e morte

 

Quando entrai nell’appartamento

mi accolse in piedi

 

nelle dita millenarie strinse il bastone che

poteva essere lui stesso se fosse stato una quercia

 

e pesando nella mano il destino della quercia che

poteva essere lui stesso ma non lo era

fece ciò che nessuna quercia farebbe mai

se avesse mille o duemila anni

 

fece un passo

docile alla sua volontà di quercia

e le foglie stormirono

giovani come la terra

 

Requiem a santa cecilia

 

forse così si entra in paradiso

 

come l’orchestra nel concerto

 

ricevono gli applausi ma come preambolo

parlano di politica

di malattie

senza timore

 

non invidiano

non vanno in collera

 

il primo violino

non ce l’ha col solista

 

loro accordano gli strumenti

noi la tosse

 

così si vede dall’alto

dai posti scadenti dietro la scena

dove abbiamo davanti la faccia del direttore

 

Sconforto

 

voglio smarrire la bestia

che dorme sotto di me

 

come un pallone

mi sollevo

nella volta celeste

ma la bestia è con me

come l’ombra sotto la nube

 

ma la bestia è

con me

come l’ombra

sotto la nube

 

sotto il sole che si è levato

sul cielo sereno

 

la mia bestia

si stacca più scaltra di me

 

mi si alza dal letto

e fa ciò che non so

finché non la troverò

sulle lenzuola comuni

 

di ossicini

messi

nelle ali rosicate

 

Il mondo salvato

 

segno sulla mappa dove siamo stati

non siamo stati quasi in nessun luogo

 

guarda quanto mondo non morirà con noi

 

e sai una cosa?

risparmieremo sempre più posto

 

facciamo domenica

il piano di risparmio

 

qui non saremo più

 

e ancora là più vicino

là più lontano

 

guarda quanto mondo

ci sopravviverà

 

Ai magri

 

che per tutta la messa

in chiesa come un soldato

 

curati

inamidati

 

che nei treni

vi sistemate

come scapolare

 

come toletta

portatile con specchietto

 

sospirate nell’intenzione

dei corpi nel grasso sofferenti

ai quali l’anima non entra nella pelle

 

il ventre nella camicia

e nei pantaloni

 

i cui piedi bruciano

come se la fiamma li lambisse già

 

Il cerchio di gesso

 

passeggiano i colombi e non ci vedono

sfrecciano le barche e ci evitano

 

come se non ci fossimo

sulle piazze e nell’acqua?

 

che gente siamo che non ci siamo?

 

 

(C) by Paolo Statuti