IL CORVO interpretato da Paolo Statuti
Era mezzanotte e sconforto, e stanco, annoiato, ero assorto
In strambi volumi di scienza d’obliata memoria –

Illustrazione di Gustave Doré: Irrompe solenne un Corvo dei santi giorni di allora. Non una riverenza; svolazzava con impazienza…
M’ero assopito, quando un battito lieve a un tratto ho udito,
Come se qualcuno bussasse, bussasse alla mia dimora.
“E’ una visita,” borbotto, “che batte alla mia dimora –
Questo solo e nulla ancora.”
Ah, rammento chiaramente, era uno squallido dicembre;
E la brace morente specchiava in terra la sua scoria.
Con ansia desiderai il mattino; – invano chiesi persino
Ai miei libri una tregua al dolore per la persa Lenora –
Per la radiante fanciulla che gli angeli chiaman Lenora –
Che qui non ha nome, mai più ancora.
E il triste, esitante frusciare d’ogni tenda all’istante
Mi turbò e colmò di vaghi terrori mai provati finora;
Per sopire il fremito del cuore, pensavo nel torpore
“E’ una visita che prega d’entrare nella mia dimora –
Una tarda visita che prega d’entrare nella mia dimora; –
E’ questo e nulla ancora.”
Or l’animo era più forte; non indugiando oltre ,
“Sinceramente,” dico, “imploro perdono, Signore o Signora;
M’ero appisolato, e così lievemente voi bussate,
Così debolmente battete, battete alla mia dimora,
Che a stento v’ho sentito” – qui apro l’uscio della dimora; –
Solo buio e nulla ancora.
Nel fondo il buio frugando, a lungo restai esitando;
Temevo e sognavo sogni mai sognati finora;
Ma il silenzio restò inviolato, nessun segno fu dato,
E la sola parola detta e sussurrata fu “Lenora!”
Questo sussurrai, e un’eco di rimando bisbigliò “Lenora!”
Solo questo e nulla ancora.
Nella stanza ritornai, l’anima ardendo come mai
Ed ecco un battito più forte, non udito finora.
“Di certo,” dico, “di certo c’è qualcosa alla finestra;
Guardiamo, dunque, cosa c’è, e il mistero sveli ora –
O cuore quietati un momento e il mistero sveli ora; –
Questo è il vento e nulla ancora!”
Qui spalanco le imposte, quando, con buffi scarti e scosse
Irrompe solenne un Corvo dei santi giorni d’allora.
Non una riverenza; svolazzava con impazienza;
Poi, come una gran dama, si posa sull’uscio della dimora –
Si posa sul busto di Atena sull’uscio della dimora –
Si posa e nulla ancora.
Già il nero uccello volgeva al riso il mio triste rovello,
Con tutto il severo e grave decoro della sua boria,
“Hai il ciuffo raso e sottile,” dico, “ma non sei certo un vile,
Orrendo, antico Corvo che vaghi dalla Notturna proda –
Dimmi qual è il tuo nome sulla Notturna Plutonia proda!”
Disse il Corvo, “Mai più ancora.”
Resto sbalordito da ciò che il buffo uccello ha proferito,
Benché la sua risposta non fosse che una stolta storia;
Perché dobbiam convenire che nessun essere umano
Ha mai visto un uccello sull’uscio della sua dimora –
Sul busto scolpito sopra l’uscio della sua dimora,
Con tal nome “Mai più ancora.”
Ma il Corvo, stando sul placido busto, disse soltanto
Questo, quasi l’anima ponesse in quell’unica parola.
Null’altro egli pronunciò – non una piuma egli vibrò –
E a stento mormorai “Altri amici sono andati finora –
Domani anch’egli andrà, come i sogni svaniron finora.”
Ma egli disse “Mai più ancora.”
Trasalii alla quiete turbata da tal replica sensata,
“Certo,” dissi, “quel che dice è solo ciò che ha tuttora,
Preso da un padrone dolente che uno spietato Accidente
Incalzò finch’ebbero i suoi canti quel motivo ognora –
Finch’ebbero i pianti della sua Speme quel motivo ognora –
“Mai – mai più ancora.”
Ma ancor l’Uccello volgendo al riso il mio triste rovello,
Spinsi una sedia di fronte a lui e all’uscio della dimora;
E, nel velluto sprofondando, presi a pensare, legando
Fantasia a fantasia, all’uccello del tempo d’allora –
A ciò che intendeva il bieco, goffo, orrendo uccello d’allora
Gracchiando “Mai più ancora.”
Intento a indovinare, non trovai motto da replicare
All’uccello i cui occhi ardenti mi bruciavano nel cuore;
Così sedevo immerso nei presagi, il capo riverso
Sull’imbottitura che la lampada frugava ognora,
Sul velluto viola che la lampada frugava ognora,
E ch’ella non premerà, mai più ancora!
Poi l’aria mi sembrò più densa, come satura d’incenso
Sparso da Serafini tintinnanti nella dimora.
“Misero,” gridai, “il tuo Dio t’ha dato – e con gli angeli inviato
Respiro – respiro e nepente dal ricordo di Lenora;
Bevi , oh, bevi il nepente e dimentica la persa Lenora!”
Disse il Corvo “Mai più ancora.”
“Profeta! maligno!” risuono, “profeta, uccello o demonio! –
Che ti mandi il Tentatore, o t’abbia spinto la bufera,
Squallido eppur ardito, in questo deserto stupito –
In questa casa dell’Orrore – svela il vero a chi t’implora –
C’è – c’è balsamo in Ghilead? – svela – svela a chi t’implora!”
Disse il Corvo “Mai più ancora.”
“Profeta! maligno!” risuono – “profeta, uccello o demonio!
Per quel Ciel che ci guarda – per il Dio che come te adoro –
Di’ a quest’anima dolorante se in quell’Eden distante,
Rivedrà la santa fanciulla che gli angeli chiaman Lenora –
La rara radiante fanciulla che gli angeli chiaman Lenora.”
Disse il Corvo “Mai più ancora.”
Levandomi gridai “Sia questo il commiato, uccello o dannato! –
Torna alla bufera e alla Notturna Plutonia proda!
Non lasciar nera piuma qual traccia della tua fallacia!
La solitudine resti immutata! – lascia la mia dimora!
Via il tuo becco dal mio cuore, e il tuo aspetto dalla mia dimora!
Disse il Corvo “Mai più ancora.”
E il Corvo rimane immoto, ancor rimane, senza un moto,
Sul cereo busto di Atena sull’uscio della mia dimora;
Gli occhi in quell’istante aveva d’un demone sognante,
E il lume gettava la sua ombra sul suolo della dimora;
E la mia anima dall’ombra che vaga nella dimora
Non si solleverà – mai più ancora!
(C) by Paolo Statuti. Riproduzione riservata.