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Cyprian Kamil Norwid: Il nostro epos, Il passato, L’oscurità

1 Mar

In aggiunta alle poesie di Norwid da me tradotte e pubblicate nel mio blog, propongo oggi la mia traduzione di queste altre tre poesie: Il nostro epos, Il passato, L’oscurità

Cyprian Kamil Norwid

               IL NOSTRO EPOS

                         1848

                             I

Dalle tue gesta a leggere ho imparato,

O cavaliere! – e a te leverò il mio canto.

Alto, le spalle rivolte al sole

Che, sulla corazza guizzando,

Indora la tua figura rattristata,

E gioca con la staffa abbandonata…

                             II

I tuoi tratti cantare non posso –

In molti hai riversato il tuo aspetto.

Ma il cuore? – anch’io sento l’ansia

Dell’eroismo…amico mio diletto!

Delle tue gesta l’ardore e lo zelo

Io ancora sento e ad essi ancora anelo.

                             III

Da bambino, sul foglio ingiallito

(Il suo colore non ho scordato)

Chino, con la testa tra le mani,

Oh! quanto etere ho aspirato

Dalla lettura, dal libro che leggevo!

E quando la candela si spegneva,

O qualcuno dei grandi chiamava,

Che tristezza intorno nasceva!

O quando solo poche righe ancora

Mancavano per la fine della storia!…

                              IV

Se ti amavo e se scrivo il vero,

Te lo dice la memoria che ho nutrita,

Io scrivo poco e poco pecco creando:

Scrivo e canto fedele alla mia vita…

                               V

Proprio così!… di nuovo mi stai davanti

Come allora, con la corrosa armatura,

E risvegli mestizia, che irrita come serpe,

Ah! Dulcinea – mia dolce creatura!

                               VI

Proprio così!…qui non vien da ridere, no! –

Forse a chi guarda, forse ai lettori,

Ma a noi? noi che con entrambe

Le mani lottiamo coi malfattori,

Liberando la principessa virtuosa –

Resta il dolore, l’afa e la strada tortuosa.

                               VII

E il riso? – poi nella storia – i posteri

Ridano pure di noi così limitati,

Mentre loro sono felici e immensi,

E puri e di splendore adornati…

                              VIII

E loro? – non traditi da nessuno,

In paradiso volano raggianti

Con le loro Beatrici – innamorati –

Con le corone e i preziosi manti,

Sorridono agli astri affabilmente,

E un Osanna! per loro si sente.

                               IX

Benedicili, o Signore.  .  .  .  .  .  .  .  .

                                X                         

                     …e noi – cavalieri erranti,

Senza scudieri, fascia rossa sul petto,

Per umidi boschi e boschi di querce,

Tiriamo da lontano il nostro carretto

Impigliato: in grate di ferro rugginoso,

In porte aperte come cannone furioso…

                                XI

Un giorno un branco di draghi si scalda

Su zolle e avvelenate radici;

Un altro un nano con uno sterpo

Stuzzica a un cavallo le narici;

Altrove una fanciulla invoca aiuto;

E altrove un grigio serpe biforcuto…

                                XII

Per così tanti sentieri io andavo

Con la grande lancia che spezza i rami,

Solo tu lo sai, o Don Chisciotte,

Tu che questo mio ricordo ami,

Perché la marmaglia dalle cento facce

Riderà indegna delle tue tracce!

                                XIII

E la mia Dulcinea – oh! cavaliere

Intrepido – la sua persona così amata

Non mi si è mai rivelata;

– A meno che brezze gentili e lievi

Il velo dal viso non scosteranno,

E un serto di stelle mostreranno

Sui capelli, o l’anello di opale,

O una scarpina che gioca con la ruta

In fiore, piccola, così piccola,

Come una conchiglia mai veduta…

                                XIV

È tutto!… gli uccelli spesso mi cantavano

Che già risvegliata e senza più malia,

Esce dalla torre in mezzo ai draghi;

Che regge una lampada, e i mostri,

Non sopportando la luce fuggono,

Sbattono le ali in antri desolati

E imprecano, gridano, ululano…

                                XV

E allora? – gli uccelli, posatisi

Sullo scudo o sul mio elmo cantano

Ciò che vogliono – ma lo spirito sa

Che mentono, la verità è soltanto

Per noi Don Chisciotti, noi gli eletti –

Contro draghi, veleni, e proietti.

                      L’OSCURITÀ

                                 I

Tu lamenti l’oscurità del mio linguaggio;

– Hai mai acceso una candela tu stesso?

O il tuo servo ti ha sempre portato

La luce?… – ascoltami allora adesso.

                                 II

Lo stoppino, acceso dalla scintilla, brucia

E riscalda la cera, che come sfera s’è alzata,

E al suo polo la fiamma a un tratto annega;

La sua luce si fa pallida – velata –

                                 III

Ora – pensi, ora si spegne, perché dal basso

Il fluido riscaldato ingoierà la luce –

Fede ci vuole – cenere e scintilla non bastano…

Hai avuto fede?… allora guarda come brucia!…

                                 IV

Così sono le mie parole, o bonuomo,

Ma tu neghi loro un briciolo di attenzione,

Prima che riscaldino la freddezza dell’epoca –

Lanciano in cielo una fiamma… in espiazione.

                        IL PASSATO

                                  1

Passato, morte e dolore non li ha creati Dio,

Ma chi la legge vuole stracciare,

E quindi vive nel timore

E, sentendo il male, vuole dimenticare!

                                  2

Ma non è come un bambino che sul carro

Grida: “Oh! la quercia dove

Corre?… corre nel bosco…”

– Mentre sta ferma ed è il carro che si muove.

                                   3

Il passato è anche l’oggi, anche se l’oggi lontano:

Dietro le ruote un villaggio vedrai,

Non qualcosa da qualche parte,

Dove la gente non è stata mai!…

Santa pace

1.

Ancora solo qualche nube greve

Dalle froge del cavallo non spinta via,

Ancora solo qualche ripida altura,

E poi già sole e armonia…

Ancora solo qualche piuma dall’elmo

Gettata nel vuoto del vento –

Ancora solo un dardo spezzato,

Un solo lampo – un solo tuono –

E poi niente più c’è stato!…

2.

Così è nella vita – il gorgo dei tempi

Sull’ippogrifo inchioda il cavaliere,

Gli fa strappare un drappo di lutto,

Saltare inesistenti bare nere.

Dietro il nero delle bare la pace albeggia,

Ricompensando giustamente;

E sempre ancora solo uno stento,

Uno sforzo solo – un solo portento,

E poi più niente!…

(Traduz. di Paolo Statuti)