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Aleksandr Semjonovich Kushner

17 Apr

 

 

Aleksandr Kushner

    

 

Aleksandr Semjonovič Kušner, che Josif Brodskij considerava uno dei migliori poeti lirici russi del XX secolo, è nato il 14 settembre 1936 a Leningrado. Nel 1959 ha terminato la facoltà di filologia presso l’Istituto Pedagogico Statale “Herzen” e per dieci anni ha insegnato lingua e letteratura russa. Membro dell’Unione degli Scrittori dal 1965 e del Pen Club dal 1987. Sposato con Elena Nevzgljadova, filologo e poetessa che pubblica con lo pseudonimo Elena Ušakova. Kušner ha ricevuto diversi prestigiosi premi, tra i quali ricordiamo in particolare, nel 2005, la prima edizione del “Poeta” – premio nazionale russo assegnato per i migliori risultati conseguiti nella poesia contemporanea. Nel 2011 il suo libro “Da questa parte del misterioso confine” alla Fiera del Libro di Mosca è stato dichiarato “Poesia dell’anno”.

Di Aleksander Kušner il linguista Dmitrij Lichaciov ha detto: “Kušner è il poeta della vita in tutte le sue manifestazioni. E’ questo uno dei tratti più salienti della sua poesia”. Secondo il critico e storico della letteratura Lidija Ginsburg, nei suoi versi si realizza il “connubio tra l’esaltazione della vita e la sua tragicità”. Il critico letterario e scrittore Andrej Ar’ev ha scritto: “Nel XX secolo quanti sono stati definiti “l’ultimo”: “l’ultimo della campagna”, “l’ultimo pietroburghese”, “l’ultimo disperato”, “l’ultimo romantico”, “l’ultimo metafisico”. A questo, soltanto Kušner ha sorriso e ha fatto un gesto di noncuranza con la mano, dicendo: “Ogni poeta è l’ultimo. Salvo poi scoprire all’improvviso che è il penultimo”.

Quando nel 2013 uscì la sua raccolta Luce serale, il poeta la commentò così: “E’ un libro di nuove poesie che costituiscono un certo rabesco, si tengono per mano, trovano per sé il necessario vicino. Necessario per una qualche affinità interiore o, al contrario, a causa di un chiaro contrasto. Inoltre in un libro di versi, in questa cooperazione c’è una non premeditata comunanza: in essi si trovano quei pensieri, sentimenti, osservazioni della mente e percezioni del cuore di cui sei vissuto. E si può dire anche: in essi sono fissati i momenti non soltanto felici, ma anche quelli tristi, di malumore. Ma chi li scrive, nel processo di creazione della poesia, si libera dall’angoscia, vince le tenebre. E questa energia, questo impeto di liberazione dal “peso gravoso”, forse sarà utile al lettore.

In più di cinquanta anni ho scritto molti libri. Il primo – Prima impressione uscì nel 1962. Questo è diciottesimo. Forse è un po’ troppo? Oggi si usa limitare la quantità. Un poeta ha stampato due poesie in un anno e la critica lo elogia, lo elogia, io penso, perché leggere due poesie è più facile e si fatica meno che a leggerne dieci. Leggere le poesie è difficile e inoltre manca il tempo. Ma Puškin ha scritto molto. In trentasette anni ha creato tanto, quanto noi a quell’età neanche ce lo sognavamo! E Lermontov, e Blok…Bisogna prendere esempio da loro. Ed ecco ancora cosa è venuto alla luce con gli anni: l’età non è un ostacolo alla creazione di versi. Forse essa aiuta perfino a scriverli, non come in gioventù, ma in modo diverso. Migliori, peggiori – non sta a me giudicare. Il poeta non va in pensione…I versi aiutano a resistere al male della vita e alle sue miserie, i versi ci consolano, restituiscono il desiderio di vivere, “per ragionare e soffrire”.

 

Poesie di Aleksandr Kušner tradotte da Paolo Statuti

 

Là dove sul fondo c’è una chiocciola…

 

Là dove sul fondo c’è una chiocciola

Come tromba d’orchestra,

Dove i chiozzi guizzano veloci

E li aspetta una tragica sorte

 

Nelle fauci dell’implacabile luccio, –

Là le soavi ninfe dimorano,

E ci tendono le mani

E ci chiamano con fievole voce.

 

Esse hanno alcune sottospecie:

Nei ruscelli appaiono le naiadi,

Nel folto dei boschi le driadi,

E nell’azzurro mare le nereidi.

 

Confoderle è sconveniente,

Com’è per il ranuncolo d’acqua,

Quello africano, quello non comune,

E quello velenoso dei prati.

 

La saccenteria non è una cosa oziosa!

Poeta, non risparmiare gli sforzi,

Non trascurare il tuo podere

E sii minuzioso, come Linneo.

 

Sorveglio le nuvole notturne dietro la finestra…

 

Sorveglio le nuvole notturne dietro la finestra,

Scostata la pesante tenda.

Ero felice – e temevo la morte. La temo

Anche adesso, ma non come allora.

 

Morire – significa stormire al vento

Insieme con l’acero, che guarda triste.

Morire – significa entrare alla corte

Di Riccardo o di Arturo.

 

Morire – è schiacciare la noce più dura,

Apprendere tutte le cause e i motivi.

Morire – è diventare contemporaneo di tutti,

Tranne di quelli che sono ancora vivi.

 

E’ una canzone di Schubert…

 

E’ una canzone di Schubert, hai detto.

Io la cantavo sempre, non sapendo di chi fosse.

Con essa, sembra, si può iniziare da capo

La vita, già molto simile a un prodigio!

 

Qualcosa come un usignolo e un triste suono

In un boschetto tedesco – e un suono triste.

La canzone ci è più cara se ha parole semplici,

E senza parole anche meglio, – con forza terrena!

 

Io la cantavo sempre, così senza motivo

E confondendo le parole malamente.

La notturna tenebra tedesca vi incombe,

E la tristezza in essa è così celestiale.

 

E poi per anni la dimenticavo.

E poi di nuovo a un tratto ritornava,

Come coprendomi con l’ombra di una quercia,

Tentandomi a ricominciare da capo.

 

Claude Monet diceva più o meno così…

 

Claude Monet diceva più o meno così:

Recandoti a un plein-air, dimentica il burrone,

Se è un burrone, la quercia, se è una quercia,

E un ripiano sul monte, se è un ripiano.

Pensa semplicemente: ecco un ovale giallastro,

E sotto un triangolino piccolo e rosato,

E vedi strisce, nient’altro che strisce,

Se ti dirai: sono rami, – mentirai.

E non pensare a una somiglianza; non guardare

Né un’onda, né un campo, né un fiume, né un prato, –

Di sé si prenderanno cura loro stessi,

A un tratto appariranno da un beato nonsenso!

 

Fryderyk, voi dovreste immortalare voi stesso…

 

Fryderyk, voi dovreste immortalare voi stesso,

Il pianoforte per questo non basta,

E amando così tanto la vostra musica,

Io vorrei augurarvi anche il canto,

E la sinfonia, l’opera,

Senza soggetto né protagonista non si può!

Bisogna essere simili a Mozart e a Rossini,

Chiedo i timpani e l’oboe.

Fryderyk, amerete il fagotto e la tromba,

Non vi annoiate senza flauto e senza violino?

Io sono pronto a cambiare l’augurio in supplica:

Cercate di evitare errori,

La polonaise è eccellente, l’étude è incantevole,

Senza dubbio la mazurca è stupenda,

Ma da voi anche in Francia si aspettano di più,

E anche tra le opprimenti nevi di Pietroburgo.

Fryderyk sorride. Egli non è adirato,

turbato, irritato, confuso.

In queste esortazioni c’è una ragione,

Il suo vecchio maestro merita

Rispetto. Ecco che anche Mickiewicz

Gli si avvicina con lo stesso consiglio.

Egli allegherà alla lettera un notturno –

E il notturno sarà la migliore risposta.

 

*  *  *

 

Perché il vorticoso Van Gogh

Mi tormenta con un punto oscuro?

Com’è giallo il suo autoritratto!

Bendato l’orecchio ferito,

Con una giubba verde, come una vecchia,

Perché mi segue con lo sguardo?

Perché nel suo caffè a mezzanotte

C’è quel cameriere con la faccia di vizioso?

Brilla un biliardo senza giocatori?

Perché una pesante sedia è messa

Lì per avvelenare la tranquillità,

E aspetti le lacrime o un suono di scarpe?

Perché egli soffia col vento sulla corona?

Perchè dipinge il dottore

Con un assurdo rametto in mano?

In quel suo paesaggio sghembo

Dove va quel carretto leggero

Senza passeggero e senza bagaglio?

 

Ciò che noi chiamiamo anima…

 

Ciò che noi chiamiamo anima,

Che, come nuvola, è di  aria

E splende nell’oscurità notturna

Capricciosa, indocile

O a un tratto, come aeroplano,

Più sottile di una spillo pungente,

Corregge dall’alto

La nostra vita, migliorandola;

 

Ciò che al pari di un uccello

Balena nell’aria azzurra,

Che non brucia nel fuoco,

Che sotto la pioggia non si bagna,

Senza cui non si può respirare,

Né scusare uno sciocco nell’offesa;

Ciò che dovremmo restituire,

Morendo, in un aspetto migliore, –

 

Ed è forse anche ciò

Per cui non dispiace sforzarsi,

Che ci fa anche onore,

A ben considerare.

Veramente è buona,

Di una moda assai vecchia,

Nuvoletta, rondine, anima!

Io sono legato, tu sei libera.

 

Ecco io sto nell’ombra notturna…

 

Ecco io sto nell’ombra notturna

Solo nel giardino deserto.

Ora cigolerà una porta in paradiso,

Ora sbatterà una porta nell’inferno.

 

E a sinistra una musica risuona

E una voce armoniosa canta.

E a destra qualcuno grida e grida

E maledice questa vita.

 

Dalla mattina girando per la stanza…

 

Dalla mattina girando per la stanza,

Con che premura l’anima

Si prepara l’afflizione!

(Così la rondine fa il nido.)

Niente la distoglie

Né dietro la finestra, né nella conversazione.

 

Invano il giorno è splendido e sereno, –

Non l’attira un foglio viscoso,

Né il tavolo, né la pagina di un libro.

Quale mediocre esperto di persone

Ha detto che la felicità le serve?

Soltanto con l’afflizione ci si può elevare.

 

Come il san Sebastiano del Bellini nel giardino…

 

Come il san Sebastiano del Bellini nel giardino

Con una freccia nel petto e nell’anca passeggia

E non prova dolore, e il cespuglio in fiore

Fruscia di amore celestiale e di bontà,

Così anche tu vorresti lasciar fuori dalla bara

Non proprio i tormenti, ma i simboli di essi.

Ma prova a liberare il martire dalle frecce –

Si stupirà, e a un tratto si offenderà anche.

 

Questa polvere, queste barre di vacillanti ringhiere…

La prola “tormenti”, lo ammetto, mi turba:

Non ho mai amato le frasi altosonanti,

Meglio sporchi colombi, i loro brontolii,

Meglio un misero, comune, prosaico piano

E il disteso fruscio dei pioppi urbani.

Non renderò né piaghe, né punture, né ferite –

Divertirò con esse un passante nel regno delle ombre.

 

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Musica consolatrice

5 Lug

La musa Polimnia

La musa Polimnia

 

   Jerzy Waldorff-Preyss (1910-1999) (v. nel mio blog il suo testo “Arturo Toscanini”) termina il suo libro “Ósme sekrety Polihymnii” (Gli ottavi segreti di Polimnia) con un capitoletto intitolato “Musica consolatrice”. Lo propongo nella mia traduzione ai lettori del mio blog amanti della musica.

 

                                               Musica consolatrice

   Prima di terminare questo libro, dobbiamo porci una domanda molto importante: possiamo dire di sapere già tutto sulla musica? Oh no! Essa è come un oceano, sul quale la nave della nostra conoscenza è appena una minuscola barchetta tra le onde che scorrono attraverso i secoli. Ho voluto soltanto costruire per voi una barchetta sufficiente a farvi entrare nel più bello degli oceani. Ora continuate a navigare da soli.

   La navigazione non è una cosa semplice. Essa richiede cuore e coraggio per far fronte ai venti e superare notti angosciose, prima che all’alba appaiano all’orizzonte isole di una nuova smagliante bellezza. Per questo vorrei ancora mettere nelle vostre mani una bussola, affinché non andiate alla deriva e non vi scoraggiate.

   Cosa era e cosa è la musica? Come orientarsi tra i suoi molteplici tesori? Cosa aspettarsi da essa?

   Quando si concluse il medioevo e l’umanità stanca di severi precetti cominciò  a cercare altre strade verso il futuro – gli artisti e i filosofi risalirono agli antichi modelli. Rinacquero il pensiero e la bellezza dell’antichità. L’uomo e i suoi problemi tornarono in primo piano, e si avvertì la necessità di trasformare “i cupi fanatici del medioevo” in illuminati rappresentanti dell’umanesimo. La fase intermedia doveva essere la moderazione dei costumi – una nuova estetica, nuovi canti e danze. Dunque la musica durante il rinascimento svolse il ruolo di arte moderatrice e nobilitante i costumi..

   Spostiamoci nel tempo e nello spazio. Siamo due secoli dopo, in Germania.

   Non subito l’umanesimo doveva dare gli attesi risultati; il progresso incontra strade spinose. Intanto l’Europa è spietatamente distrutta dalla guerra dei trent’anni. La popolazione della Germania è ridotta a un terzo, regnano le malattie e la fame, quando nella piccola città di Eisenach nasce nel 1685 Jan Sebastian Bach. Trascorse una giovinezza difficile e anche i suoi futuri contatti coi protettori non andarono sempre per il meglio. Quando richiese con troppa insistenza il suo compenso al principe di Weimar, quest’ultimo ordinò…di rinchiuderlo nella segreta. Nel 1746 Federico il Grande di Prussia pubblicò la sua opera “Regole per condurre le guerre”. Una delle sue principali tesi diceva: “Il soldato dovrebbe temere più il suo ufficiale che il nemico”.

   Bach agli inizi della sua vita fu testimone delle terribili conseguenze delle guerre dinastiche asburgiche, mentre alla fine dei suoi giorni poté osservare il nascente imperialismo prussiano. Eventi che non inducevano certo all’ottimismo. Eppure la musica di Bach splendeva di serena e salda fede nell’uomo e nella vittoria della bellezza e del bene sulla bruttezza e sul male.

   Proseguiamo. Bach è già scomparso da mezzo secolo, quando in Francia scoppia la rivoluzione. Il re abdica, il potere – almeno così sembra agli osservatori del tempo – è nelle mani del popolo. In una città francese di provincia uno sconosciuto ufficiale – Rouget de Lisle – sulla scia dell’entusiamo scrive l’unico capolavoro musicale della sua vita – la “Marsigliese”. Questo inno sarà da allora per molti anni il simbolo delle lotte per la libertà, in grado di trascinare le masse alle azioni più eroiche.

   Ma la fede dei rivoluzionari francesi in una imminente era di perfezionamento dell’uomo, doveva deludere allo stesso modo in cui un tempo aveva deluso gli umanisti. Erede della rivoluzione non fu il popolo, ma la borghesia. Essa prese il potere, si scelse il suo re ed egli lanciò il motto: “arricchitevi!”. Seguirono decenni, per i quali l’unico valore diventò il denaro. L’epopea di quei tempi è descritta nella “Commedia umana” di Balzak. Spietati borghesi si scagliavano gli uni contro gli altri, lottando per cariche, prestigio e rendite. I figli avvelenavano i genitori, per avere prima l’eredità. Amore e fedeltà furono messi da parte, con l’oro si comprava e si vendeva tutto.

   Da quei giorni si levò tuttavia una voce più forte dell’ululato di quelli che correvano dietro alla prosperità: la musica di Beethoven. Un bisbetico accigliato ricordava che le lotte dello spirito sono più importanti delle quotazioni in borsa, che lo sviluppo dell’umanità si realizza attraverso la ricerca di nuovi ideali, e non della ricchezza.

   La Polonia era in una situazione particolare. Per più di un secolo era esistita la nazione, ma non lo stato. Divisi in tre parti, vanamente lottavamo per l’unificazione e l’indipendenza. I migliori figli della Polonia finivano in Siberia, riempivano le prigioni degli Asburgo e degli Hohenzollern, e i diplomatici dei tre invasori assicuravano il mondo che in Polonia regnava il silenzio e la calma. Una calma assoluta, dopo la liquidazione delle insurrezioni, un silenzio quasi mortale, se non fosse stato rotto dalla musica. Le polacche e le mazurche di Chopin lottavano senza sosta per l’indipendena polacca.

   Oggi alcuni sono propensi ad affermare che la musica ha fatto il suo tempo e che è formalmente finita. Che non troverà una nuova lingua per parlare alla gente dei nostri tempi. E’ un’affermazione ingenua, come se qualcuno si ostinasse a dire che la donna moderna non può provare e suscitare amore, perché ha smesso di indossare gli abiti con la strascico.

   La musica doveva mutare il suo linguaggio, ogni epoca infatti ha un suo nuovo modo di esprimersi nell’arte. Ma l’influenza della musica sui cuori umani resterà immutata, finché anche un solo cuore umano batterà sulla Terra.

   Separandomi da voi, cari lettori, vorrei trovare un qualche appellativo per la musica, affinché essa vi resti familiare. Il riformatore sociale e religioso tedesco Martin Lutero, la chiamò “musica consolatrice”.

   Penso che, qualunque sia la vostra sorte, sia essa segnata dai successi o dalle sconfitte, sia che siate circondati dagli amici o siate soli, che stiate lottando o riposando, l’avrete sempre al vostro fianco, fedele e immutabile compagna della vita – la musica consolatrice.

   E per congedarci lasciamo ancora per un attimo la parola a Konstanty Ildefons Gałczyński:

 

Stringiamoci alla musica,

la musica è il nostro festino,

amiamo le trombe e gli archi,

l’oboe, il cembalo e il clarino.

 

C’è in casa un candeliere

con una scarlatta candela:

essa serve per i concerti,

al suono essa la luce lega.

 

La gioia come seria danza

scorre intorno pian piano.

E la candela illumina

il volto di Jan Sebastiano.

 

(C) by Paolo Statuti