
Anna Kamienska
L’ amicizia tra due poeti, rinsaldata dalla poesia e dalla fede: Jan Twardowski (1915-2006) e Anna Kamieńska (1920-1986)

Padre Jan Twardowski
Ho avuto l’onore e il piacere di conoscere personalmente il sacerdote-poeta Jan Twardowski nel 1981 a Varsavia, e la prima cosa che mi colpì in lui fu il suo limpido sguardo e la semplicità dei modi. Non esito a dire che egli è uno dei poeti polacchi più letti ed amati. Nato a Varsavia il 1 giugno 1915. Debuttò prima della guerra con il volumetto “Il ritorno di Andersen”, stampato dalla tipografia Hoesicka in appena 40 copie. Sempre prima della guerra iniziò gli studi di filologia polacca presso l’università della Capitale, studi poi terminati nel 1947. Durante l’occupazione nazista prese parte all’Insurrezione di Varsavia e alla vita clandestina, pubblicando contemporaneamente poesie. Nel 1945 entrò in seminario e tre anni dopo fu ordinato sacerdote. Ha scritto diversi volumi di poesie, accolti tutti con grande interesse sia dai lettori che dalla critica.
La sua creazione non si può misurare esclusivamente con il metro della lirica religiosa, anche se senza dubbio il cristianesimo come filosofia del mondo e sistema di valori ne costituisca il fondamento. La sua poesia infatti è lontana dal dogma e dal bigottismo. Essa esprime in modo molto personale l’ammirazione davanti a tutte le manifestazioni dell’esistenza, davanti alla perfezione e alla varietà dell’opera del Creatore. I suoi versi si chinano con francescana umiltà e attonito stupore perfino sulla più piccola creatura vivente – un uccello o una pianta. La lirica di padre Twardowski porta nella poesia polacca un raro tono di saggia accettazione del mondo e degli uomini, che deriva non solo dalla fede ma anche dalla capacità di perdonare. In questa lirica non c’è enfasi, né patos, né arte oratoria. Usa la lingua corrente, si serve di espressioni colloquiali, non disdegna lo scherzo e l’ironia. E’ concisa, a volte si avvale dell’ aforismo. Il lettore ritrova in esse situazioni note, impressioni familiari e comprensibili.
Perché i polacchi amano Jan Twardowski? Il critico Konstanty Pieńkosz risponde così a questa domanda: “Lo amiamo tra l’altro perché egli ha infranto certi tabù, perché ha contribuito a liquidare le barriere che separavano il mondo dei laici da quello dei religiosi. Lo amiamo anche per il suo disinteressato senso dell’umorismo e sentimento della gioia, oggi così rari nella poesia contemporanea che parla esclusivamente di miserie del nostro secolo. Inoltre il mondo di padre Twardowski presenta un’intera gamma di colori e sentimenti. La sua semplicità non semplifica affatto e non limita la visione del mondo; in sorprendenti paradossi essa cerca soccorso e scampo di fronte ai fatali meandri dei dilemmi umani. E’ confortante vedere come in tempi così inclementi per l’arte, la poesia moderna riesca ancora a trovare contemporaneamente destinatari eruditi e meno eruditi.”
Paolo Statuti
Presento ora alcune poesie di Jan Twardowski nella mia versione, iniziando dalla celebre “Sbrighiamoci”:
Sbrighiamoci…
Ad Anna Kamieńska
Sbrighiamoci ad amare gli altri così presto se ne vanno
lasciandosi dietro le scarpe e il telefono muto
soltanto ciò che è irrilevante come una mucca si trascina
ciò che più conta è così fulmineo che di colpo accade
poi il silenzio normale così insopportabile
come la purezza nata nel modo più semplice dallo sconforto
quando pensiamo a qualcuno dopo averlo perduto
Non esser certo che hai tempo perché la certezza è incerta
ci toglie la sensibilità come pure ogni gioia
giunge al tempo stesso come il patos e il buonumore
come due passioni sempre più deboli di una sola
così presto se ne vanno come il tordo tacciono a luglio
come un suono alquanto sgraziato o come un arido saluto
per vedere veramente chiudono gli occhi
benché ci sia più pericolo a nascere che a morire
amiamo sempre troppo poco e ogni volta troppo tardi
Non scrivere di ciò troppo spesso ma una volta per tutte
e sarai così come il delfino mite e vigoroso
Sbrighiamoci ad amare gli altri così presto se ne vanno
e quelli che non se ne vanno non sempre torneranno
e non si sa mai parlando di amore
se il primo sia l’ultimo o l’ultimo il primo
Ho confidato in una via…
Ho confidato in una via
angusta
a rompicollo
con buche fino ai ginocchi
fuori tempo come a novembre le bietole tardive
e sono finito in un prato c’era santa Agnese –
finalmente – ha detto
temevo già
che avessi preso un’altra strada
più diretta
asfaltata
l’autostrada per il cielo – con il premio di un ministro
e che ti avessero rapito i diavoli
Adesso…
Adesso nasce la poesia religiosa
ad ogni passo conversioni
meglio non dire chi ha intimorito
il bulldog della coscienza
ma Tu che splendi negli occhi come nel Santuario
non dimenticare
che scrivendo versi Ti sono stato fedele
ai tempi di Stalin
La fine
Ciò che si è incontrato e poi diviso
ciò che era insieme per correre in parti diverse
la felicità all’improvviso spezzatasi dentro
benché dicendosi addio si ami più a lungo
persone care che poi sembrano estranee
e si dicono tutto è finito
Non affliggerti di niente, perché lo storno pensieroso
e la triste terra in mani invisibili
la nocciolina del carpine con l’aluccia verde
la giraffa che con il collo vede più lontano
sanno come il cuore non ucciso da cuore
la fine – è una bugiarda nel mondo infinito
Fissato con lo spillo
L’Angelo Custode gira per il mondo
racimola frantumi di amori finiti
raccoglie briciole di pane per i passeri
perché nulla vada sprecato
lettere di andata e ritorno
telefonate da un orecchio all’altro
piccoli buffi ricordini che furono commozione
l’agendina con la data dell’incontro celata nella teiera
cicatrici dopo il riso
diverbi non si sa perché
rimpianti come singole vespe
asini che amoreggiano
tutto fissato con lo spillo
ciò che sembrava ormai per sempre
la saggezza all’ultimo che non si tratta di questo
la gioia di amare ciò che è impossibile
Ti chiedo fiducia
Non voglio il tuo amore –
non cerco l’amicizia –
proprio questo non è per me
e non mi tocca affatto
Semplicemente ti chiedo
un po’ di fiducia,
per sostenerti alla mia povera
anima di sacerdote
Nient’altro. Per confidare in essa
perfino per chiudere gli occhi
e come in Terra Santa per scorrere fino a Betlemme
E tutto ciò che duole per tramutare in Dio
come nel Sacrificio di ogni giorno –
il semplice pane e il vino
Sulla piazza della città
I re ha guidato a Betlemme una stella colossale
girando cerchi dorati sulle teste dei cammelli –
me ha ricondotto a Dio la mattina di Natale
sulla piazza infangata – di neve un’esile stella.
E’ caduta – e di colpo candore, luce e calore…
e il gelo mi leccava le ossa attraverso il cappotto invernale.
Giustizia
Se tutti avessero quattro mele ciascuno
se tutti fossero forti come cavalli
se tutti fossero ugualmente inermi nell’amore
se ognuno avesse le stesse cose
nessuno servirebbe a nessuno
Ti ringrazio che la Tua giustizia sia l’ineguaglianza
ciò che ho e ciò che non ho
anche ciò che non ho da dare a qualcuno
sempre a qualcuno serve
c’è la notte perché sia il giorno
il buio perché risplenda una stella
c’è l’ultimo incontro e la prima separazione
preghiamo perché altri non pregano
crediamo perché altri non credono
moriamo per quelli che non vogliono morire
amiamo perché ad altri il cuore s’è raffreddato
una lettera avvicina perché un’altra allontana
gli ineguali si necessitano
per essi è così facile capire che ognuno è per tutti
e decifrare l’insieme
I defunti che si vantano
Forse in cielo i defunti si vantano di come sono morti:
– Io sono morto d’influenza.
– E io di raffreddore.
– E io non so più di che, perchè spesso si muore non
di ciò, di cui ci si ammala.
– A me il cuore ha cessato di battere,
– E a me ha dato un calcio un cavallo.
– E io sono volato dalla finestra.
– Ho inghiottito un ago.
– Sono stato soffocato da un cetriolo.
– Sono morto, perché non avevo la medicina.
– E io sono morto, perché avevo troppe medicine.
– Mi sono sbagliato e mi hanno avvelenato i funghi.
– E io perché giocavo coi fiammiferi ed è bruciata la casa.
– E io neanche mi sono accorto di essere morto.
Tutti però ammutiscono quando giunge Padre Massimiliano
Kolbe, delegato all’inferno come Angelo Custode, Padre
Kolbe che nemmeno al buio ha perso la luminosità del volto,
e dice:
– E io sono morto perché non mi curavo di me, ma degli
altri.
Sempre presenti
Diceva che davvero bisogna amare i defunti
perché proprio loro sono ostinatamente presenti
non si addormentano
hanno il tempo tondo quindi non hanno fretta
tranquilli perché non hanno esaurito niente
neanche in caso d’incendio salterebbero in piedi
non mandano giù come noi il senso intimorito
non si fingono né migliori né peggiori
non pronunciamo su di loro migliaia di sentenze
sempre gli stessi come l’ontano verde fino all’ultimo
conoscono perfino l’indirizzo privato di Dio
non declamano sull’amore
ma aiutano a trovare gli oggetti smarriti
non invecchiano ringiovaniti dalla morte
non spaventano con un vuoto pieno di erudizione
non uniscono santità e appetito
più vicini di quando se ne andavano per un attimo
passando accanto con il corpo non visto
hanno salvato assai più di un’anima
Lettera alla Madonna
Nelle prime parole riferisco niente è cambiato
la cutrettola gialla gioisce del suo nero becco
il salmone torna al fiume dove è nato
la formiche si leccano come sanno fare
il capriolo si cura con la malva e tossisce meno
il bosco è così reale che sembra una visione
l’ape non conosce Chopin ma è musica
la morte come al solito adagia sulla terra
santi qui si può diventare perfino nel cortile
gettando alle galline il grano alla vecchia maniera
di nuovo il più bello in Polonia è luglio sull’acqua
e la bellezza è più vicina quando il tempo si allontana
nessun pesce perde neanche una squama
la gazza con la stretta coda ripete facezie
la memoria delle cose sopravvive ai defunti
perciò la teiera sbreccata ricorda mia madre
per l’usignolo a giugno ogni notte è troppo breve
poiché crede nell’amore non ha paura del corpo
canta che il cuore è vivo e ormai eterno
la cicogna solleva sempre soltanto la gamba sinistra
scrivo una lettera perché vederTi non posso
eppure penso che forse a volte Ti sento
altrimenti cos’è quel sussurro quando mi addormento
(Tutte le versioni sono di Paolo Statuti)
Così Jan Twardowski ricorda Anna Kamieńska:
Ho conosciuto Anna Kamieńska nel 1955, ma la nostra amicizia è nata più tardi, dopo la morte del marito – il poeta Jan Śpiewak (1967). Prima è stata la conoscenza di un sacerdote che scrive poesie e una coppia di coniugi poeti.
A metà degli anni cinquanta, quando come sacerdote giunsi a Varsavia dalla provincia, trovai in una libreria una raccolta di versi del mio poeta preferito Józef Czechowicz, curata da Seweryn Pollak e Jan Śpiewak. Poiché mi interessavano quelle poesie, telefonai a Śpiewak per ringraziarlo di essersi occupato di Czechowicz e per la bella introduzione. Mi invitò a casa sua e allora conobbi Jan, Anna e i due piccoli figli che giocavano nei loro lettini. Dopo quel primo incontro ci invitavamo a vicenda. Parlavamo molto di letteratura, di fede. Fui sorpreso, allorché si rivelò che si consideravano non credenti. Anche quando presi alloggio presso le suore della Visitazione a Varsavia, venivano a trovarmi.
Improvvisamente Jan Śpiewak si ammalò di cancro. Andavo spesso a trovarlo in ospedale e ogni volta trovavo Anna accanto al suo letto. Immersa nella sofferenza sembrava non accorgersi di niente e di nessuno. Talvolta tornavamo insieme dall’ospedale. Fu senza dubbio il momento più difficile della sua vita. Pregavo al capezzale di Janek quando era ormai in stato d’incoscienza. So che per lui era importante. Anna ricorda questo nella sua “Agenda”: “Janek giaceva sul letto di morte già incosciente. Jan Twardowski pregava vicino a lui sottovoce. Quando il sacerdote è uscito, Janek si è risvegliato e ha detto all’improvviso chiaramente: – Il sacerdote ha pregato. Sono felice. Adesso che ricordo quel tempo, le sue parole mi sembrano essenziali. Fu una confessione di fede. Al contrario di me, Janek fu sempre credente. E forse a volte basta soltanto questo, perché insieme con la sofferenza dell’agonia l’uomo sia redento.”
Ero vicino a Jan quando è morto. Gli somministrai l’estrema unzione. La sua scomparsa sconvolse Anna nel profondamente, tanto che d’un tratto mutò la sua visione del mondo. La sofferenza si impossessò di lei a tal punto, che subito capì che doveva lottare con essa. Ricordo quando con la mente offuscata veniva nella chiesa delle suore della Visitazione. Aveva bisogno di parlare e fu allora che diventammo amici. Spesso visitavamo insieme la tomba di Jan al cimitero di Powązki. Girando tra le tombe parlavamo di fede, di Dio, di frammenti della Bibbia, di liturgia e anche di letteratura. Gli argomenti non ci mancavano mai. In questo c’era qualcosa di singolare. Visitavamo non solo le tombe di persone care, conoscenti e scrittori, ma anche quelle dimenticate e abbandonate. In Anna cominciò a destarsi la fede. Fui testimone della sua conversione e della sua crescita nella fede. Con commozione lessi nella sua “Agenda”: “Già da dieci anni camminiamo tra le tombe. Oggi padre Jan ha posato un mazzetto di lillà sulla tomba di Janek. Mi sono meravigliata che ci fossero ancora i lillà. Noi veniamo e ce ne andiamo, e i fiori rimangono sempre uguali e hanno gli stessi nomi.” Forse la nostra amicizia contribuì alla sua conversione, ma non io l’ho convertita. Io non so convertire. Dio converte.
Sia prima che dopo la conversione, Anna è sempre stata una persona saggia. Cercando Dio, esigeva molto da sé. Nella sua “Agenda” scriveva: “Affidarsi alla Ragione che supera la nostra ragione e al Mondo che circonda il nostro mondo. Non ridursi ai nostri limiti umani. Se non possiamo uscirne, dobbiamo avere almeno la consapevolezza della loro insufficienza (…) Credere è una fatica pazzesca, un lavoro arduo. Non l’ho mai capito come oggi.” Questa trasformazione, profonda e totale, non poteva non influire sulla sua creazione. Le parole servivano ora non solo ad annotare giorno dopo giorno le sofferenze, ma erano anche un tentativo di sconfiggere la disperazione. Anna adesso vedeva diversamente i compiti dell’arte. Non desiderava accrescere il suo patrimonio poetico. Sapeva infatti che nessuna poesia è in grado di rendere la verità delle esperienze umane. Prendeva tuttavia la penna per dare un nome alla sua inquietudine ed esprimere la speranza ritrovata a fatica. Ogni parola espressa aveva il suo peso, racchiudeva l’enorme sforzo di un essere umano che cerca un senso. Sempre più importante nella vita di Anna diventava Dio. Nelle sue poesie dava testimonianza della conversione e si faceva strada attraverso le tenebre verso la luce. La sua lettura principale in quel difficile periodo era la Sacra Scrittura. Essa era anche l’argomento più frequente dei nostri colloqui.
Ammiravo l’intelletto acuto e profondo di Anna. Insieme leggevamo e spiegavamo il Vangelo. Capita raramente di leggere il Vangelo con una donna. Anna era insolitamente sensibile ai bisogni umani. Era una madre buona e amorevole. Si preoccupava di “riportare in superficie” i poeti dimenticati. Era una santa donna. Come poetessa diventò assai popolare negli ultimi anni della vita. Partecipammo insieme alle settimane della Cultura Cristiana a Varsavia. La invitavano spesso a diversi incontri nelle chiese. Adesso che non c’è più, ha perso la sua popolarità. Succede così dopo la morte…L’uomo muore due volte. Una volta fisicamente e un’altra volta quando muoiono i suoi amici. Ma ci sono momenti in cui a un tratto la memoria si ravviva. Norwid tornò a vivere dopo la morte. Przesmycki lo scoprì. E dopo anni di purgatorio salì in cielo.
Non mi sono mai sentito maestro di Anna. La morte del marito l’aveva resa ancora più matura. Nei nostri rapporti esisteva la collaborazione: Dio dava ad Anna la maturità, e io avevo un certo qual ruolo accompagnandola nel suo cammino. Anna Kamieńska fu per me un dono di Dio. Ritengo che non ci siano incontri casuali. Dio mette sulla strada dell’uomo un amico, e solo dopo un certo tempo capiamo cosa voleva dirci tramite lui.
Ho dedicato ad Anna la poesia “Sbrighiamoci…”. Adesso essa è molto popolare. Si adatta alle nozze e ai funerali. Le parole “Sbrighiamoci ad amare gli altri così presto se ne vanno…” sono diventate un noto aforisma. Recentemente l’ho sentito in sacrestia, dove è entrata una ragazza esclamando: – Voglio il matrimonio. Il più presto possibile. L’ho guardata con sospetto e le ho chiesto: – Perché tanta fretta? – Ha sentito, padre, quel detto: “Sbrighiamoci…”? Ebbene mi sbrigo, perché non mi scappi…Si dice che abbia scritto questa poesia dopo la morte di Anna. Non è vero, l’ho scritta qualche anno prima. Mi rispose con un’altra poesia, a volte conversavamo in versi.
Un giorno all’improvviso si ammalò di cuore. Andò all’ospedale. Le fecero un’ottima diagnosi, tanto che poté subito tornare a casa. Reggeva nelle mani il certificato medico e con questo certificato è morta. “Mi sono sbrigata, ma non ho fatto in tempo ad amare…” – ecco la risposta di Anna alla mia poesia. L’amore può non essere reciproco. L’amicizia è sempre reciproca, perché altrimenti essa non esisterebbe. L’amicizia di Anna Kamieńska è stata per me un’amicizia non comune. Era un’amicizia soprannaturale. L’unica e più importante amicizia della mia vita, così nobile, così spirituale.
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Anna Kamieńska studiò filologia classica all’Università di Lublino e debuttò come poetessa nel 1945 sul settimanale “Odrodzenie” (“Rinascita”). Ha lasciato molte raccolte poetiche, racconti, saggi, traduzioni e alcuni libri per la gioventù, uno dei quali è “Książka nad książkami” (“Il libro dei libri”), uscito nel 1985. E’ una raccolta di racconti il cui tema è il Vecchio Testamento. Lo compongono 98 brevi capitoli (10 dei quali sono Salmi) dedicati a personaggi ed episodi di questa parte della Bibbia. Anna Kamieńska ne accentua gli aspetti umani, creando attorno alle varie figure un’atmosfera di grande lirismo e di partecipazione emotiva. Lo stile discorsivo e il linguaggio semplice ne fanno un testo in grado di offrire ai giovani un modo nuovo e avvincente di familiarizzarsi con il mondo e con il messaggio del Vecchio Testamento. Questo libro offre inoltre la misura della profonda conoscenza della storia e delle tradizioni ebraiche da parte della scrittrice – notabene Polacca al cento per cento – nonché del suo sincero amore per le stesse.
Più volte premiata sia in Polonia che all’estero per la sua produzione letteraria, Anna Kamieńska è senza dubbio una delle figure più rappresentative della letteratura polacca del dopoguerra. Elemento dominante della sua creazione è l’umanitarismo, un’attenta sensibilità per le vicende e gli affanni umani, il desiderio di comprendere e di commiserare i più deboli e coloro che hanno bisogno di aiuto, espresso con una sincera fede nel ruolo sociale della parola poetica, nella forza redentrice della poesia. Vi si avverte un atteggiamento di solidarietà con l’uomo come essere sociale e biologico (frequenti i motivi della nascita e della morte), la tendenza a ricercare le fonti di un ordine morale permanente e dei valori estetici, soprattutto nella tradizione antica e cristiana, nonché nella cultura popolare.
Un’intensa percezione del mondo, dell’ambiente, del fascino della vita, della natura, della ricchezza dell’esistenza e della sua mutabilità – ecco la sfera dell’ispirazione poetica di Anna Kamieńska. In questa mutabilità la poetessa cerca forme e leggi stabili che consentano di raggiungere l’armonia interiore. Motivi importanti di questa lirica sono quelli della famiglia, dei genitori, della madre, della maternità, nei quali la poetessa scorge la base dei sentimenti umani. Mezzo per superare il dramma della sofferenza e della morte diventa l’amore – come forza naturale e biologica, l’amore destato dall’intensità dei sentimenti.
Ed ecco alcune poesie di Anna Kamieńska nella mia versione.
Sbrigati…
Sbrigati
forse riuscirai ancora a dire
cosa sonnecchia
in un grande silenzio
sbrigati
forse riuscirai ancora ad amare
ciò che sembra soltanto uno spazio
sbrigati
forse riuscirai ancora a leggere
una pagina del libro che si chiude
sbrigati
forse il tuo desiderio sarà ancora così forte
che toccherai e sparirai al tocco
ma sbrigati
La Pietà polacca
neve neve neve ed io
ho sui ginocchi il bimbo
d’un minatore fucilato
uno studente ucciso a randellate
ho le mani colme di morte
mi dondolo su di loro
la mia fronte tocca le fronti brinate
sono prigione io stessa imprigionata
come nel sonno non ho la borsetta
con i buoni per il banchetto funebre
cosa farò senza il permesso di vivere
senza passaporto senza kennkarte (1)
sospettata di ultima libertà
di soffrire
non ho in bocca né un grido
né saliva né bestemmia
solo l’ostia amara del silenzio
sulla lingua
(1) Lasciapassare rilasciato dai nazisti
Di me stessa
Sembra che mi stia spogliando di tutto
scrivo versi semplici come per bambini
e ancora mi pesa soltanto
il finto travestimento da vecchia
A lungo ho cercato la parola
ed era lì sottomano come cucchiaio
Sempre ho saputo cos’è più importante
più importante è l’amore
Questo scrivo quando sono andati tutti
persino lo sconforto se n’è andato
Ora potrei come l’aria
marcare in me stessa mari alberi e monti
Ora potrebbero attraverso me brillare
le erbe e volare le api
Logorarmi fino a tale trasparenza
che il gabbiano scorga attraverso me il guizzo del pesce
Nulla mi spaventa
perché il futuro più non mi serve
Del resto la parola amo
può averla soltanto il presente
Cos’altro
di me
Questo
è tutto
Morirò tutta
Non mi cerco nel verso
mi celo più in fondo
Non porto la metafora
come un cappello piumato
Invito a tavola gli amici
e i nemici più fedeli ancora
Morirò tutta ma da una parola dopo di me
crescerà l’albero del silenzio
E sopra lo strepito del mondo
sporgerà un attonito ramo
Non ci sono cose grandi
Non ci sono cose grandi tranne quelle che sono piccole
e nulla è così importante come ciò che non è importante
come quando una madre mortalmente malata
sussurra là nella dispensa la marmellata per te
Il pino
Non ho scelto un solo elemento
li ho scelti tutti in un albero solo
aria terra fuoco acqua
nell’albero snello in cui infilavo
la nudità del sogno amore morte e pudore
ed esso ha preso il volo
e il cielo ha invaso col setaccio dei suoi rami
la terra ha stretto fra gli artigli
l’acqua ha lappato celando nel profondo
il fuoco dell’olocausto
oh come trasalì con tutti gli elementi
quando la fredda scure provò sulla pelle
come se si destassero in lui i lampi
dei temporali di primavera danzanti lungo il tronco
quasi segnali telegrafici
O pino dell’infanzia o mia casa abbattuta
o mia croce morente sotto il peso del corpo
Per
Per eludere la solitudine
per non pensare come giungere alla sera
per differire il verdetto dell’incurabile morte
per smarrirsi nella calca dei respiri
per dimenticare l’astuzia e il tradimento
per vedere dei felici e dei torturati
i baci e il pestaggio coi cavalli
per mescolare insieme passato e futuro
sperando che da essi sorga il presente
per celarsi allo sguardo dell’Ignoto
per non attendere una telefonata
per rinviare il tormento di stendere giudizi
per non sapere se fuori piove oppure nevica
perché il sole tramonti senza di noi
ossia senza alcun nostro aiuto
per ridurre al silenzio i pettegoli giornali
e il cuore che si affretta alla meta
per vivere non vivendo
partire non partendo
Per questo sediamo in un cinema con gli occhi asciutti
con un piatto respiro come se non ci fossimo
Povero corpo
Abbi pietà del povero corpo
perché è il più prossimo
dei tuoi prossimi
più strettamente unito a te
della donna
Ormai non sai più
dove finisce il corpo
dove cominci tu
Come bue e somaro
porta il tuo giogo
tollera la storpiatura la vecchiaia e va oltre
E’ lui che cerca il guado nel fiume del tempo
Il tempo che te stesso aggira
Povero corpo
il mondo intero ti offre da cinque finestre
e tu a lui per grazia da mangiare e da bere
e gli vieti il calore della mano umana
che financo il bue sente sul suo collo
Merita pietà la tua casa corporale
non aborrire la sua fedeltà sudata
Se è vero che in Dio c’è giustizia
anche la mite bestia del corpo sarà redenta
Poesia
La signora Zofia
Małynicz
grande attrice
corre con un impeto di bontà
con la foga nel cuore
da un’inferma con l’anca fratturata
a una morente di cancro in ospedale
Là toglie dall’argentea fronte il cappellino
gualcendo nelle mani la tremarella di trina
e all’inferma si rivolge coi miei versi
No no signora Zofia
non c’è nei miei versi
in tutta la nostra poesia una sola parola
per i morenti
ossia per tutti
Pane madre erba terra
qui non occorre molto
eppure ogni parola si spegne
come lampadina incurabilmente fulminata
Siamo morti le nostre parole sono morte
non siamo là dove cammina la limpida signora
Zofia dove per giunta dicono non c’è più speranza
Mi vergogno fino alla punta dei capelli
fino alle desinenze dei versi
fino a tutte le battute troppo facili
fino alle complicazioni inutili
pane madre erba terra
frutta silenzio acqua
O acqua viva acqua purificaci prima che sia tardi
dalla grande menzogna
che poesia non è
Preghiera di Lech Wałęsa in prigione
Madre Santa non ho più la piastrina
col tuo volto di Częstochowa
piangente nella neve di dicembre
E’ penetrata nell’intimo
assieme al dolore che c’è stato inferto
Di colpo T’hanno spinto in fondo all’anima
Là Ti ritrovo là m’inginocchio
con il popolo tradito martoriato
e là in silenzio veglio, veglierò
senti?: in me battono milioni di cuori
questa è la nostra supplica finché viviamo
Madre Santa Madre mia
Madre della nostra Madre natìa
dacci la forza di sopportare
dacci il bagliore della libertà e del vero
e perdona i nostri persecutori
quando noi non potremo
(Tutte le versioni sono di Paolo Statuti)
(C) by Paolo Statuti
Tag:Anna Kamienska, Anna Kamienska e Jan Twardowski tradotti da Paolo Statuti, Jan Sliwiak, Jan Twardowski, Paolo Statuti, poesia polacca, poesia religiosa, traduzione poetica